N. 22 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 febbraio 1997

                                 N. 22
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 4 febbraio 1997 (della regione Lombardia)
 Impiego  pubblico  -  Disposizioni  di  legge  collegata  alla  legge
    finanziaria   -   Prevista   estensione,   presso   le   pubbliche
    amministrazioni   (comprese   le  regioni)  per  tutti  i  profili
    professionali delle varie qualifiche e livelli,  del  rapporto  di
    lavoro  a  tempo  parziale,  a  cui  il  singolo  dipendente  puo'
    accedere, di regola, in base a domanda che  l'amministrazione  non
    ha  facolta'  di  respingere,  con  grave ingerenza nell'autonomia
    gestionale delle regioni in materia di  personale  e  lesione  dei
    principi  di  ragionevolezza  organizzativa  e di buon andamento -
    Previsione vincolante delle finalita' (costituzione di economie di
    bilancio, incremento della mobilita', ecc.) a cui  i  risparmi  di
    spesa  derivanti  dalla  trasformazione  del rapporto di lavoro da
    tempo pieno a tempo  parziale  vanno  destinati,  con  conseguente
    lesione  anche dell'autonomia finanziaria delle regioni - Richiamo
    alle sentenze nn. 219/1984 e 359/1993.
 Finanza regionale  -  Imposta  regionale  (ex  art.  17  del  decreto
    legislativo n. 398/1990) e imposta erariale (accisa) sulla benzina
    per autotrazione nei territori delle regioni a statuto ordinario -
    Disposizioni   di   legge   collegata  alla  legge  finanziaria  -
    Elevazione a lire 50 al litro della misura massima  della  imposta
    regionale   -  Operativita'  degli  aumenti  dell'imposta  statale
    limitatamente  alla  differenza   esistente   in   atto   rispetto
    all'aliquota  dell'imposta  regionale - Conseguente impossibilita'
    di una libera determinazione dell'imposta da parte delle  regioni,
    con  violazione  della loro autonomia finanziaria, in quanto della
    fissazione del sovrapprezzo ad esse spettante, in misura inferiore
    al massimo consentito, finirebbe col beneficiare solo lo  Stato  -
    Penalizzazione  dei cittadini delle regioni in cui cio' avvenisse,
    colpiti dall'imposta erariale non "in ragione della loro capacita'
    contributiva", ma in ragione  diretta  o  indiretta  delle  scelte
    delle amministrazioni delle regioni non in grado di applicare, per
    l'imposta regionale in questione, aliquote altrettanto basse.
 Programmazione  economica  -  Intese  istituzionali  di programma per
    interventi (in materia  gia'  disciplinata  con  decreto-legge  n.
    32/1995, convertito con legge n. 104/1995) coinvolgenti molteplici
    soggetti pubblici e privati e implicanti decisioni istituzionali e
    risorse   finanziarie  a  carico  delle  amministrazioni  statali,
    regionali e  delle  province  autonome  -  Disposizioni  di  legge
    collegata  alla  legge finanziaria - Prevista approvazione di tali
    intese da parte dello Stato  (attraverso  il  CIPE)  anche  quando
    siano   le   regioni   o   le   province  autonome,  e  non  anche
    l'amministrazione centrale a promuoverle  -  Modalita'  del  tutto
    generiche e imprecise e strumenti assolutamente non definiti degli
    imposti  vincoli,  con  violazione  dell'autonomia  amministrativa
    regionale.
 Finanza regionale - Tesoreria unica - Disposizioni di legge collegata
    alla legge finanziaria -  Accredito  dei  pagamenti  del  bilancio
    dello  Stato  per  il  1997,  per gli enti soggetti all'obbligo di
    tenere le disponibilita' liquide nelle contabilita' speciali o  in
    conti correnti con il Tesoro, sui conti aperti presso la tesoreria
    dello  Stato  solo  ad avvenuto accertamento che le disponibilita'
    sui conti medesimi si sono ridotte a un valore non superiore al 20
    per cento delle  disponibilita'  rilevate  al  1  gennaio  1997  -
    Pesante limitazione delle disponibilita' e dell'utilizzo, da parte
    delle  regioni, delle giacenze di cassa ad esse spettanti ai sensi
    della normativa vigente, con l'ulteriore effetto di  ritardare  il
    pagamento  di  spese  gia' regolarmente deliberate e impegnate, in
    violazione della loro autonomia finanziaria e di  bilancio  e  del
    principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione -
    Richiamo alle sentenze nn. 155/1977, 94/1981, 162/1982 e 307/1983.
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, artt. 1, commi 57, 58, 59 e 154,  2,
    comma 205, 3, comma 214).
 (Cost., artt. 1, 3, 53, 97, 117, 118 e 119).
(GU n.11 del 12-3-1997 )
      Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della
    Giunta  regionale  pro-tempore  on. Roberto Formigoni, autorizzato
    con delibera della Giunta regionale n. 24344 del 24 gennaio  1997,
    rappresentato  e  difeso,  come  da mandato a margine del presente
    atto, dal prof.  avv. Beniamino Caravita di Toritto, e  presso  il
    suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via T. Taramelli 22,
    contro  il  Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per
    la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli  artt.  1,
    commi 57, 58, 59 e 154; 2, comma 205; 3, comma 214, della legge 23
    dicembre 1996, n. 662, pubblicata nel supplemento ordinario n. 233
    alla  Gazzetta  Ufficiale  serie  generale, n. 303 del 28 dicembre
    1996,  contenente  "Misure  di  razionalizzazione  della   finanza
    pubblica",  per  violazione degli articoli 97, 117, 118, 119 della
    Costituzione.
   All'esito di un percorso parlamentare particolarmente accidentato -
 come ormai accade da un po' di tempo a  questa  parte  per  tutte  le
 leggi finanziarie e i provvedimenti collegati - e' stata approvata la
 legge  23 dicembre 1996, n. 662, recante "Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica".
   All'interno di una struttura normativa  di  difficilissima  lettura
 (la  legge e' composta da 3 articoli, il primo dei quali contiene 267
 commi, il secondo 224 e il terzo 217, per un totale di 708 commi  che
 coprono 138 pagine di Gazzetta Ufficiale|), nello scarsissimo tempo a
 propria  disposizione  (ancora una volta si rivela come il termine di
 30  giorni  per  l'impugnazione delle leggi statali sia assolutamente
 insufficiente|), la regione Lombardia ha individuato, nel coacervo di
 disposizioni contenute nella legge, molte delle quali saranno oggetto
 di  impugnative  in  via  incidentali,  una   serie   di   previsioni
 direttamente e immediatamente lesive della propria autonomia, che qui
 di  seguito  vengono  impugnate,  con  espressa riserva di poter piu'
 diffusamente esporre le proprie motivazioni.
   1. - L'art. 1, comma 57 della legge citata, introduce la previsione
 generale del rapporto di lavoro a tempo parziale presso le  pubbliche
 amministrazioni,  dovendosi  ritenere  ricomprese  le  regioni,  e lo
 estende a tutti i profili  professionali  delle  varie  qualifiche  o
 livelli.
   Il  successivo  comma  58  disciplina  con  disposizioni di estremo
 dettaglio - che giungono a definire anche  i  termini  temporali  del
 procedimento  -  le  modalita'  operative  cui  devono  attenersi  le
 amministrazioni interessate - e dunque anche quelle regionali - nella
 trasformazione  del  rapporto  di  lavoro  da  tempo  pieno  a  tempo
 parziale, automaticamente su domanda del dipendente e in virtu' dello
 strumento del silenzio assenso.
   Aldila'  dei  numerosissimi  dubbi  sulla legittimita' in se' delle
 previsioni e, soprattutto, sul loro collegamento sistematico  con  la
 disciplina  del  pubblico  impiego, si realizza in tal modo una forte
 ingerenza  nell'autonomia  gestionale   in   materia   di   personale
 riconosciuta  alle regioni dall'art. 117 della Costituzione, il quale
 attribuisce ad esse la potesta'  di  emanare,  nei  limiti  dei  soli
 principi  fondamentali  stabiliti  dalle  leggi  dello  Stato,  norme
 legislative di  adeguamento  all'ordinamento  degli  uffici  ed  alle
 disponibilita' del bilancio regionale (cfr. in tal senso Corte cost.,
 sent.  25 luglio 1984, n.  219; Corte cost., sent. 30 luglio 1993, n.
 359).  Si  determinano  di  conseguenza  gravi  ripercussioni   sulla
 funzionalita'  organizzativa delle strutture amministrative regionali
 e viene vanificata di fatto  la  pianificazione  degli  organici,  in
 palese  violazione del principio di ragionevolezza organizzativa e di
 buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  (art.   97   della
 Costituzione)  che  imporrebbe  di  assicurare  la  economicita',  la
 speditezza  e  la  rispondenza  al  pubblico  interesse   dell'azione
 amministrativa  con  specifico  riferimento  alla  peculiarieta'  dei
 singoli ordinamenti regionali.
   Per di piu' la previsione del successivo  comma  59,  imponendo  di
 destinare  i  risparmi  di  spesa  derivanti dalla trasformazione dei
 rapporti di lavoro  da  tempo  pieno  a  tempo  parziale  secondo  le
 modalita'  ivi  indicate,  oltre  a  negare  in  linea  di  principio
 l'esistenza stessa dell'autonomia finanziaria della Regione (art. 119
 della Costituzione), impedisce in pratica, del tutto irrazionalmente,
 di poter attivare processi di trasformazione inversi (da part-time  a
 tempo  pieno).    Se si tiene conto, inoltre, che in base al comma 45
 del medesimo art. 1 la regione non puo' assumere nuovo  personale  mo
 al   31  dicembre  1997,  cio'  significa  che  sara'  in  ogni  caso
 impossibile fare fronte ad eventuali carenze  di  organico  derivanti
 dalla   pedissequa   applicazione   delle   contestate   disposizioni
 nell'ordinamento delle varie regioni a  prescindere  dalla  peculiare
 situazione dell'organico regionale.
   Risultano  violati  pertanto  gli  artt.  97,  117, 118 e 119 della
 Costituzione.
   2. - L'art. 1, comma 154,  eleva  la  misura  massima  dell'imposta
 regionale  sulla  benzina  per autotrazione. Il secondo capoverso del
 medesimo  comma,  con  disposizione  di   oscurissima   formulazione,
 vanifica  tuttavia  la  possibilita'  di una libera determinazione da
 parte  della  regione  del   sovraprezzo   sulla   benzina.   Secondo
 l'interpretazione  che  pare  piu'  plausibile,  lo  Stato si riserva
 infatti, al fine di  mantenerne  omogenei  i  prezzi  sul  territorio
 nazionale,  di  aumentare  l'accisa sulla benzina per autotrazione in
 maniera differenziata nei  territori  delle  varie  regioni,  finendo
 cosi'   per  penalizzare  i  cittadini  di  quelle  regioni  che  non
 istituiscano l'aumento o lo facciano in misura piu' bassa di altre  e
 che  in  conseguenza  del  comportamento  virtuoso della loro Regione
 saranno costretti a pagare allo Stato una piu' alta  accisa  rispetto
 ai cittadini delle regioni piu' esose.
   Da  cio' consegue un doppio ordine di violazioni della Costituzione
 strettamente connessi. Da una parte,  questo  comporta  la  negazione
 dell'effettiva  possibilita'  della libera ed autonoma determinazione
 dell'aliquota dell'imposta regionale ai  sensi  dell'art.  119  della
 Costituzione,  in  quanto  della fissazione del sovraprezzo in misura
 inferiore al  massimo  consentito  non  beneficerebbero  i  cittadini
 autonomamente  rappresentati  dall'istituzione regionale, ma l'erario
 dello Stato che incasserebbe la differenza esistente  tra  l'aliquota
 massima  e  quella  realmente  in  atto  della citata imposta in ogni
 singola regione, sia pur ad un diverso titolo (accisa  sulla  benzina
 per  autotrazione).    Se  questo  non  determina,  in  via  teorica,
 l'esclusione della autonoma determinazione del sovraprezzo, di  fatto
 pero'  la  rende  inutile  per i cittadini e impraticabile per l'ente
 regione, in quanto fissare la misura  dell'imposta  regionale  al  di
 sotto  del  massimo  consentito  o  comunque al di sotto della misura
 praticata  dalla  generalita'  delle  altre  regioni  non  solo   non
 determinerebbe alcun vantaggio per la comunita' regionale, ma anzi ne
 farebbe  conseguire  lo svantaggio dell'iniquo e disparitario aumento
 dell'imposta erariale sul territorio regionale.
   D'altro lato, inoltre, la  previsione  dell'aumento  di  un'imposta
 erariale  sulla  benzina  (accisa), diversificata in maniera difforme
 sul territorio delle varie regioni e in ragione inversa  all'aliquota
 in  atto di una diversa imposta regionale sulla benzina (sovrapprezzo
 regionale), costituisce violazione anche degli artt.  3  e  53  della
 Costituzione,   in  quanto  del  tutto  irragionevole,  arbitraria  e
 discriminatoria, e andrebbe a penalizzare i cittadini  delle  regioni
 piu'   efficienti  e  laboriose  che  verrebbero  chiamati  a  pagare
 un'imposta  erariale   non   "in   ragione   della   loro   capacita'
 contributiva",  ma  in  ragione  della inefficienza amministrativa di
 altre  regioni  che  non  siano  in  grado  di   applicare   aliquote
 altrettanto basse per la citata imposta regionale. Ma il cittadino di
 una  regione  non  puo'  essere  chiamato a pagare, a nessun titolo e
 mediante nessun  artificio,  un'imposta  la  cui  determinazione  sia
 fissata   in  ragione  diretta  o  indiretta  di  scelte  operate  da
 istituzioni politico-amministrative nei confronti delle quali non  vi
 sia rapporto di rappresentanza e vincolo di responsabilita' politica,
 ne' diretto ne' indiretto.
   Le  irragionevoli  modalita'  di  determinazione e diversificazione
 territoriale di detta imposta erariale escludono,  peraltro,  che  il
 maggior  peso  dell'accisa sulla benzina in determinate regioni possa
 in alcun modo essere considerato collegato ad esigenze solidaristiche
 o di perequazione territoriale.  L'unica  evidente  finalita'  della,
 discriminatoria,  disposizione  del secondo capoverso di questo comma
 sembra essere quella di escludere la  possibilita'  che  si  realizzi
 una,  pur  limitatissima,  differenza  territoriale  del prezzo della
 benzina, contraddittoriamente con la disposizione  di  cui  al  primo
 capoverso  della  stessa  disposizione,  di  per  se'  legittima, che
 aumenta la misura massima dell'imposta regionale sulla benzina  nella
 specifica forma del c.d. "sovraprezzo".
   Si  consideri  peraltro che il prezzo della benzina e', ormai, gia'
 naturalmente diversificato per motivi di mercato. Non si vede  allora
 quale  motivazione  abbia  spinto  il  legislatore  statale a dettare
 disposizioni  cosi'  contraddittorie  e   discriminatorie,   se   non
 l'assoluta  illegittima volonta' di frustrare e ledere la pur fragile
 autonomia tributaria regionale.
   3. - L'art. 2, comma 203, con una discutibilissima scelta circa  la
 sedes  materiae,  detta  disposizioni sostanziali e procedurali circa
 "gli  interventi  che  coinvolgono  una  molteplicita'  di   soggetti
 pubblici  e  privati  ed  implicano decisioni istituzionali e risorse
 finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle
 province autonome".
   In particolare, l'art. 1, comma 203, lett.  b),  definisce  "intesa
 istituzionale  di  programma" l'accordo tra amministrazione centrale,
 regionale  o  delle  province  autonome  con  cui  tali  soggetti  si
 impegnano  a collaborare sulla base di una ricognizione programmatica
 delle risorse finaziarie  disponibili,  dei  soggetti  interessati  e
 delle  procedure amministrative occorrenti per la realizzazione di un
 piano pluriennale di interventi d'interesse comune  o  funzionalmente
 collegati.
   La  lettera c) del medesimo comma 203, detta una articolata - e per
 vero non chiarissima - disciplina dell'"accordo di programma  quadro"
 per  tale  intendendosi  "l'accordo con enti locali ed altri soggetti
 pubblici e privati promosso dagli organismi di cui alla  lettera  b),
 in  attuazione  di  una  intesa  istituzionale  di  programma  per la
 definizione di un programma  esecutivo  di  interventi  di  interesse
 comune o funzionalmente collegati".
   Le  lettere  seguenti del medesimo comma 203 descrivono, in maniera
 non  meno  confusa,  il  "patto  territoriale";  il   "contratto   di
 programma"; il "contratto d'area".
   Il  comma 209 effettua alcune abrogazioni dell'art. 1, commi 1 e 2,
 del d.-l. 8 febbraio 1995, n. 32, convertito in  legge  con  legge  7
 aprile  1995,  n.  104,  e successivamente modificato. Le abrogazioni
 colpiscono alcune definizioni contenute in quei  commi,  parzialmente
 diverse  dalle  definizioni  offerte  dal  comma  203  (cosicche'  e'
 difficile non dar spazio al dubbio circa il perche' quelle precedenti
 definizioni non siano piu' apparse  confacenti,  e  il  perche'  tale
 intervento sostitutivo abbia richiesto lo strumento dei provvedimenti
 collegati  alla  finanziaria; dubbi sicuramente non rilevanti ai fini
 della costituzionalita', ma che sicuramente ogni persona che trova il
 coraggio di aggirarsi tra le centinaia  di  commi  del  collegato  si
 pone:  per  quale  misteriosa  ragione  questa  previsione ha trovato
 spazio in questa sede? e non esiste proprio nessun modo per limitare,
 prima,  e  controllare,  poi,  l'assurdo  affastellamento  delle piu'
 diverse disposizioni, dai piu' disparati contenuti,  all'interno  dei
 collegati  alla  finanziaria?    e, in definitiva, non esiste proprio
 modo per razionalizzare il nostro processo di produzione normativa?).
   Il successivo comma 205 pone in capo al CIPE  l'approvazione  delle
 intese  istituzionali di programma, anche quando sono le regioni e le
 province autonome, e non anche l'amministrazione centrale, i soggetti
 procedenti.
   Il comma 206 nulla dice in ordine alle  modalita'  di  approvazione
 degli altri strumenti (programmazione negoziata; accordo di programma
 quadro;   patto   territoriale;  contratto  di  programma;  contratto
 d'area), con le procedure del comma 205,  delibera  le  modalita'  di
 approvazione   di   tali   strumenti;  e  addirittura  puo'  definire
 "ulteriori tipologie della contrattazione programmata disciplinandone
 le modalita' di proposta, di approvazione, di attuazione, di verifica
 e controllo".
   Derivano da tali generiche previsioni due ordini di censure.
   Sotto un primo profilo, viene  violata  l'autonomia  amministrativa
 regionale,   giacche'   con   modalita'  assolutamente  generiche  ed
 imprecise   si   prevedono   forme    e    modalita'    di    vincolo
 dell'amministrazione  regionale,  vincolandola - anche per il tramite
 finanziario  -  con  strumenti  assolutamente  non   definiti.   Tale
 violazione   dell'art.   118   della   Costituzione  e'  poi  portata
 all'estremo nell'ultimo periodo del comma 206, con cui si attribuisce
 al CIPE una generica facolta' di definire e  disciplinare  "ulteriori
 tipologie  della  contrattazione  programmata"  e,  quindi, ulteriori
 forme di vincolo alle amministrazioni regionali che non trovano nella
 legge nemmeno una parziale indicazione di principi e di obiettivi  da
 raggiungere.
   Sotto  altro  profilo, una ulteriore violazione dell'art. 118 della
 Costituzione va individuata nel fatto  che  -  sicuramente  nel  caso
 dell'"intesa istituzionale di programma", probabilmente anche per gli
 altri  strumenti  - l'approvazione delle intese o degli accordi venga
 attribuita al CIPE, anche quando essa spetti alle regioni o  province
 autonome   medesime,   in  quanto  organi  procedenti  all'accordo  o
 all'intesa.
   E,  infatti,  la  generale  attribuzione  al  CIPE  del  potere  di
 approvazione  degli  accordi  o delle intese, anche quando la materia
 sia di competenza regionale e la  Regione  sia  l'organo  procedente,
 rischia  di  diventare un surrettizio modo per far rientrare lo Stato
 nell'amministrazione di settori di competenza  regionale  o  comunque
 per  attribuire  allo  Stato una illegittima potesta' di controllo in
 materia  al  di  fuori  degli   ordinari   strumenti   di   controllo
 sull'attivita' delle regioni gia' previste dalla Costituzione.
   4.  -  L'art.  3,  comma  214,  dispone  che "per gli enti soggetti
 all'obbligo di tenere le disponibilita'  liquide  nella  contabilita'
 speciali  o  in  conti  correnti  con  il  Tesoro,  per l'anno 1997 i
 pagamenti  del  bilancio  dello  Stato  sono  accreditati  sui  conti
 correnti  aperti  presso  la  tesoreria  dello Stato solo ad avvenuto
 accertamento che la disponibilita' sui conti medesimi si sono ridotte
 a un valore  non  superiore  al  20  per  cento  delle  disponibilta'
 rilevate  al  1  gennaio  1997".  In  tal  modo  si  viene a limitare
 pesantemente la disponibilita' e l'utilizzo delle giacenze  di  cassa
 presso  la Tesoreria centrale dello Stato, nonche' l'accreditamento a
 favore  delle  regioni  delle  somme ad esse spettanti ai sensi della
 normativa vigente, ledendo in  tal  modo  l'autonomia  finanziaria  e
 contabile   costituzionalmente   garantita   alle   regioni  medesime
 dall'art. 119 della Costituzione.
   Codesta ecc.ma Corte  ha  piu'  volte  ribadito,  infatti,  che  il
 sistema  della  tesoreria unica non costituisce di per se' violazione
 dell'autonomia  finaziaria  regionale,  purche'  non   si   trasformi
 illegittimamente in un "anomalo strumento di controllo sulla gestione
 finanziaria regionale" (sent. 155/1977; ma v. inoltre sentt. 94/1981;
 162/1982;  307/1983).    Si  deve dunque ammettere che allo stato dei
 fatti, oramai, l'autonomia finanziaria non comporti piu'  -  come  in
 una  prima fase - un'assoluta e immediata disponibilita' dei fondi da
 parte delle regioni, purche' esse comunque non vengano private  della
 possibilita'  di  disporre  effettivamente  delle  somme  di  propria
 pertinenza che siano gia' accreditate nei conti presso  la  tesoreria
 statale  o  che  siano  da accreditare in conformita' della normativa
 vigente in attuazione dell'art. 119 della Costituzione.
   E' evidente che una disposizione di legge ordinaria che vincola  il
 versamento  di  fondi  legittimamente spettanti alla regione ai sensi
 dell'art. 119 della Costituzione al raggiungimento di un  determinato
 obiettivo  costituisce  una  illegittima  forma  di  controllo  sulla
 gestione finanziaria  regionale  (in  termini  di  cassa),  che  lede
 l'autonomia  finaziaria e di bilancio, nonche' quella programmatoria,
 legislativa e amministrativa della regione.
   La riduzione della disponibilita' di cassa della regione  non  puo'
 non  determinare,  d'altronde, l'effetto di ritardare l'effettuazione
 del pagamento di spese gia' regolarmente deliberate e  impegnate,  in
 violazione,   oltre  che  dell'autonomia  finaziaria  regionale,  dei
 diritti dei creditori  e  del  principio  del  buon  andamento  della
 pubblica amministrazione di cui all'art 97 della Costituzione.
                               P. Q. M.
   E  con  la  riserva  di  meglio  illustrarli in seguito, la regione
 ricorrente, come sopra rappresentata e difesa,  chiede  che  l'ecc.ma
 Corte,   respinta   ogni  contraria  istanza,  voglia  dichiarare  la
 illegittimita' costituzionale della legge 23 dicembre 1996,  n.  662,
 contenente  "Misure  di  razionalizzazione  della  finanza pubblica",
 quanto all'art. 1, commi 57, 58 e 59, in  relazione  agli  artt.  97,
 117,  118  e  119 della Costituzione; all'art.  1, comma 154, secondo
 capoverso, in relazione agli artt. 1, 3, 53, 119 della  Costituzione;
 all'art. 2, comma 205, in relazione all'art.  118 della Costituzione;
 e  all'art.  3,  comma  214,  in  relazione agli artt. 97 e 119 della
 Costituzione.
     Roma, addi' 27 gennaio 1997
                    Prof. avv. Caravita di Toritto
 97C0134