N. 22 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 febbraio 1997
N. 22 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 febbraio 1997 (della regione Lombardia) Impiego pubblico - Disposizioni di legge collegata alla legge finanziaria - Prevista estensione, presso le pubbliche amministrazioni (comprese le regioni) per tutti i profili professionali delle varie qualifiche e livelli, del rapporto di lavoro a tempo parziale, a cui il singolo dipendente puo' accedere, di regola, in base a domanda che l'amministrazione non ha facolta' di respingere, con grave ingerenza nell'autonomia gestionale delle regioni in materia di personale e lesione dei principi di ragionevolezza organizzativa e di buon andamento - Previsione vincolante delle finalita' (costituzione di economie di bilancio, incremento della mobilita', ecc.) a cui i risparmi di spesa derivanti dalla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale vanno destinati, con conseguente lesione anche dell'autonomia finanziaria delle regioni - Richiamo alle sentenze nn. 219/1984 e 359/1993. Finanza regionale - Imposta regionale (ex art. 17 del decreto legislativo n. 398/1990) e imposta erariale (accisa) sulla benzina per autotrazione nei territori delle regioni a statuto ordinario - Disposizioni di legge collegata alla legge finanziaria - Elevazione a lire 50 al litro della misura massima della imposta regionale - Operativita' degli aumenti dell'imposta statale limitatamente alla differenza esistente in atto rispetto all'aliquota dell'imposta regionale - Conseguente impossibilita' di una libera determinazione dell'imposta da parte delle regioni, con violazione della loro autonomia finanziaria, in quanto della fissazione del sovrapprezzo ad esse spettante, in misura inferiore al massimo consentito, finirebbe col beneficiare solo lo Stato - Penalizzazione dei cittadini delle regioni in cui cio' avvenisse, colpiti dall'imposta erariale non "in ragione della loro capacita' contributiva", ma in ragione diretta o indiretta delle scelte delle amministrazioni delle regioni non in grado di applicare, per l'imposta regionale in questione, aliquote altrettanto basse. Programmazione economica - Intese istituzionali di programma per interventi (in materia gia' disciplinata con decreto-legge n. 32/1995, convertito con legge n. 104/1995) coinvolgenti molteplici soggetti pubblici e privati e implicanti decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province autonome - Disposizioni di legge collegata alla legge finanziaria - Prevista approvazione di tali intese da parte dello Stato (attraverso il CIPE) anche quando siano le regioni o le province autonome, e non anche l'amministrazione centrale a promuoverle - Modalita' del tutto generiche e imprecise e strumenti assolutamente non definiti degli imposti vincoli, con violazione dell'autonomia amministrativa regionale. Finanza regionale - Tesoreria unica - Disposizioni di legge collegata alla legge finanziaria - Accredito dei pagamenti del bilancio dello Stato per il 1997, per gli enti soggetti all'obbligo di tenere le disponibilita' liquide nelle contabilita' speciali o in conti correnti con il Tesoro, sui conti aperti presso la tesoreria dello Stato solo ad avvenuto accertamento che le disponibilita' sui conti medesimi si sono ridotte a un valore non superiore al 20 per cento delle disponibilita' rilevate al 1 gennaio 1997 - Pesante limitazione delle disponibilita' e dell'utilizzo, da parte delle regioni, delle giacenze di cassa ad esse spettanti ai sensi della normativa vigente, con l'ulteriore effetto di ritardare il pagamento di spese gia' regolarmente deliberate e impegnate, in violazione della loro autonomia finanziaria e di bilancio e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Richiamo alle sentenze nn. 155/1977, 94/1981, 162/1982 e 307/1983. (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, artt. 1, commi 57, 58, 59 e 154, 2, comma 205, 3, comma 214). (Cost., artt. 1, 3, 53, 97, 117, 118 e 119).(GU n.11 del 12-3-1997 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 24344 del 24 gennaio 1997, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto, e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via T. Taramelli 22, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 57, 58, 59 e 154; 2, comma 205; 3, comma 214, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, pubblicata nel supplemento ordinario n. 233 alla Gazzetta Ufficiale serie generale, n. 303 del 28 dicembre 1996, contenente "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica", per violazione degli articoli 97, 117, 118, 119 della Costituzione. All'esito di un percorso parlamentare particolarmente accidentato - come ormai accade da un po' di tempo a questa parte per tutte le leggi finanziarie e i provvedimenti collegati - e' stata approvata la legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica". All'interno di una struttura normativa di difficilissima lettura (la legge e' composta da 3 articoli, il primo dei quali contiene 267 commi, il secondo 224 e il terzo 217, per un totale di 708 commi che coprono 138 pagine di Gazzetta Ufficiale|), nello scarsissimo tempo a propria disposizione (ancora una volta si rivela come il termine di 30 giorni per l'impugnazione delle leggi statali sia assolutamente insufficiente|), la regione Lombardia ha individuato, nel coacervo di disposizioni contenute nella legge, molte delle quali saranno oggetto di impugnative in via incidentali, una serie di previsioni direttamente e immediatamente lesive della propria autonomia, che qui di seguito vengono impugnate, con espressa riserva di poter piu' diffusamente esporre le proprie motivazioni. 1. - L'art. 1, comma 57 della legge citata, introduce la previsione generale del rapporto di lavoro a tempo parziale presso le pubbliche amministrazioni, dovendosi ritenere ricomprese le regioni, e lo estende a tutti i profili professionali delle varie qualifiche o livelli. Il successivo comma 58 disciplina con disposizioni di estremo dettaglio - che giungono a definire anche i termini temporali del procedimento - le modalita' operative cui devono attenersi le amministrazioni interessate - e dunque anche quelle regionali - nella trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, automaticamente su domanda del dipendente e in virtu' dello strumento del silenzio assenso. Aldila' dei numerosissimi dubbi sulla legittimita' in se' delle previsioni e, soprattutto, sul loro collegamento sistematico con la disciplina del pubblico impiego, si realizza in tal modo una forte ingerenza nell'autonomia gestionale in materia di personale riconosciuta alle regioni dall'art. 117 della Costituzione, il quale attribuisce ad esse la potesta' di emanare, nei limiti dei soli principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, norme legislative di adeguamento all'ordinamento degli uffici ed alle disponibilita' del bilancio regionale (cfr. in tal senso Corte cost., sent. 25 luglio 1984, n. 219; Corte cost., sent. 30 luglio 1993, n. 359). Si determinano di conseguenza gravi ripercussioni sulla funzionalita' organizzativa delle strutture amministrative regionali e viene vanificata di fatto la pianificazione degli organici, in palese violazione del principio di ragionevolezza organizzativa e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione) che imporrebbe di assicurare la economicita', la speditezza e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa con specifico riferimento alla peculiarieta' dei singoli ordinamenti regionali. Per di piu' la previsione del successivo comma 59, imponendo di destinare i risparmi di spesa derivanti dalla trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale secondo le modalita' ivi indicate, oltre a negare in linea di principio l'esistenza stessa dell'autonomia finanziaria della Regione (art. 119 della Costituzione), impedisce in pratica, del tutto irrazionalmente, di poter attivare processi di trasformazione inversi (da part-time a tempo pieno). Se si tiene conto, inoltre, che in base al comma 45 del medesimo art. 1 la regione non puo' assumere nuovo personale mo al 31 dicembre 1997, cio' significa che sara' in ogni caso impossibile fare fronte ad eventuali carenze di organico derivanti dalla pedissequa applicazione delle contestate disposizioni nell'ordinamento delle varie regioni a prescindere dalla peculiare situazione dell'organico regionale. Risultano violati pertanto gli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. 2. - L'art. 1, comma 154, eleva la misura massima dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione. Il secondo capoverso del medesimo comma, con disposizione di oscurissima formulazione, vanifica tuttavia la possibilita' di una libera determinazione da parte della regione del sovraprezzo sulla benzina. Secondo l'interpretazione che pare piu' plausibile, lo Stato si riserva infatti, al fine di mantenerne omogenei i prezzi sul territorio nazionale, di aumentare l'accisa sulla benzina per autotrazione in maniera differenziata nei territori delle varie regioni, finendo cosi' per penalizzare i cittadini di quelle regioni che non istituiscano l'aumento o lo facciano in misura piu' bassa di altre e che in conseguenza del comportamento virtuoso della loro Regione saranno costretti a pagare allo Stato una piu' alta accisa rispetto ai cittadini delle regioni piu' esose. Da cio' consegue un doppio ordine di violazioni della Costituzione strettamente connessi. Da una parte, questo comporta la negazione dell'effettiva possibilita' della libera ed autonoma determinazione dell'aliquota dell'imposta regionale ai sensi dell'art. 119 della Costituzione, in quanto della fissazione del sovraprezzo in misura inferiore al massimo consentito non beneficerebbero i cittadini autonomamente rappresentati dall'istituzione regionale, ma l'erario dello Stato che incasserebbe la differenza esistente tra l'aliquota massima e quella realmente in atto della citata imposta in ogni singola regione, sia pur ad un diverso titolo (accisa sulla benzina per autotrazione). Se questo non determina, in via teorica, l'esclusione della autonoma determinazione del sovraprezzo, di fatto pero' la rende inutile per i cittadini e impraticabile per l'ente regione, in quanto fissare la misura dell'imposta regionale al di sotto del massimo consentito o comunque al di sotto della misura praticata dalla generalita' delle altre regioni non solo non determinerebbe alcun vantaggio per la comunita' regionale, ma anzi ne farebbe conseguire lo svantaggio dell'iniquo e disparitario aumento dell'imposta erariale sul territorio regionale. D'altro lato, inoltre, la previsione dell'aumento di un'imposta erariale sulla benzina (accisa), diversificata in maniera difforme sul territorio delle varie regioni e in ragione inversa all'aliquota in atto di una diversa imposta regionale sulla benzina (sovrapprezzo regionale), costituisce violazione anche degli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto del tutto irragionevole, arbitraria e discriminatoria, e andrebbe a penalizzare i cittadini delle regioni piu' efficienti e laboriose che verrebbero chiamati a pagare un'imposta erariale non "in ragione della loro capacita' contributiva", ma in ragione della inefficienza amministrativa di altre regioni che non siano in grado di applicare aliquote altrettanto basse per la citata imposta regionale. Ma il cittadino di una regione non puo' essere chiamato a pagare, a nessun titolo e mediante nessun artificio, un'imposta la cui determinazione sia fissata in ragione diretta o indiretta di scelte operate da istituzioni politico-amministrative nei confronti delle quali non vi sia rapporto di rappresentanza e vincolo di responsabilita' politica, ne' diretto ne' indiretto. Le irragionevoli modalita' di determinazione e diversificazione territoriale di detta imposta erariale escludono, peraltro, che il maggior peso dell'accisa sulla benzina in determinate regioni possa in alcun modo essere considerato collegato ad esigenze solidaristiche o di perequazione territoriale. L'unica evidente finalita' della, discriminatoria, disposizione del secondo capoverso di questo comma sembra essere quella di escludere la possibilita' che si realizzi una, pur limitatissima, differenza territoriale del prezzo della benzina, contraddittoriamente con la disposizione di cui al primo capoverso della stessa disposizione, di per se' legittima, che aumenta la misura massima dell'imposta regionale sulla benzina nella specifica forma del c.d. "sovraprezzo". Si consideri peraltro che il prezzo della benzina e', ormai, gia' naturalmente diversificato per motivi di mercato. Non si vede allora quale motivazione abbia spinto il legislatore statale a dettare disposizioni cosi' contraddittorie e discriminatorie, se non l'assoluta illegittima volonta' di frustrare e ledere la pur fragile autonomia tributaria regionale. 3. - L'art. 2, comma 203, con una discutibilissima scelta circa la sedes materiae, detta disposizioni sostanziali e procedurali circa "gli interventi che coinvolgono una molteplicita' di soggetti pubblici e privati ed implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province autonome". In particolare, l'art. 1, comma 203, lett. b), definisce "intesa istituzionale di programma" l'accordo tra amministrazione centrale, regionale o delle province autonome con cui tali soggetti si impegnano a collaborare sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse finaziarie disponibili, dei soggetti interessati e delle procedure amministrative occorrenti per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi d'interesse comune o funzionalmente collegati. La lettera c) del medesimo comma 203, detta una articolata - e per vero non chiarissima - disciplina dell'"accordo di programma quadro" per tale intendendosi "l'accordo con enti locali ed altri soggetti pubblici e privati promosso dagli organismi di cui alla lettera b), in attuazione di una intesa istituzionale di programma per la definizione di un programma esecutivo di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati". Le lettere seguenti del medesimo comma 203 descrivono, in maniera non meno confusa, il "patto territoriale"; il "contratto di programma"; il "contratto d'area". Il comma 209 effettua alcune abrogazioni dell'art. 1, commi 1 e 2, del d.-l. 8 febbraio 1995, n. 32, convertito in legge con legge 7 aprile 1995, n. 104, e successivamente modificato. Le abrogazioni colpiscono alcune definizioni contenute in quei commi, parzialmente diverse dalle definizioni offerte dal comma 203 (cosicche' e' difficile non dar spazio al dubbio circa il perche' quelle precedenti definizioni non siano piu' apparse confacenti, e il perche' tale intervento sostitutivo abbia richiesto lo strumento dei provvedimenti collegati alla finanziaria; dubbi sicuramente non rilevanti ai fini della costituzionalita', ma che sicuramente ogni persona che trova il coraggio di aggirarsi tra le centinaia di commi del collegato si pone: per quale misteriosa ragione questa previsione ha trovato spazio in questa sede? e non esiste proprio nessun modo per limitare, prima, e controllare, poi, l'assurdo affastellamento delle piu' diverse disposizioni, dai piu' disparati contenuti, all'interno dei collegati alla finanziaria? e, in definitiva, non esiste proprio modo per razionalizzare il nostro processo di produzione normativa?). Il successivo comma 205 pone in capo al CIPE l'approvazione delle intese istituzionali di programma, anche quando sono le regioni e le province autonome, e non anche l'amministrazione centrale, i soggetti procedenti. Il comma 206 nulla dice in ordine alle modalita' di approvazione degli altri strumenti (programmazione negoziata; accordo di programma quadro; patto territoriale; contratto di programma; contratto d'area), con le procedure del comma 205, delibera le modalita' di approvazione di tali strumenti; e addirittura puo' definire "ulteriori tipologie della contrattazione programmata disciplinandone le modalita' di proposta, di approvazione, di attuazione, di verifica e controllo". Derivano da tali generiche previsioni due ordini di censure. Sotto un primo profilo, viene violata l'autonomia amministrativa regionale, giacche' con modalita' assolutamente generiche ed imprecise si prevedono forme e modalita' di vincolo dell'amministrazione regionale, vincolandola - anche per il tramite finanziario - con strumenti assolutamente non definiti. Tale violazione dell'art. 118 della Costituzione e' poi portata all'estremo nell'ultimo periodo del comma 206, con cui si attribuisce al CIPE una generica facolta' di definire e disciplinare "ulteriori tipologie della contrattazione programmata" e, quindi, ulteriori forme di vincolo alle amministrazioni regionali che non trovano nella legge nemmeno una parziale indicazione di principi e di obiettivi da raggiungere. Sotto altro profilo, una ulteriore violazione dell'art. 118 della Costituzione va individuata nel fatto che - sicuramente nel caso dell'"intesa istituzionale di programma", probabilmente anche per gli altri strumenti - l'approvazione delle intese o degli accordi venga attribuita al CIPE, anche quando essa spetti alle regioni o province autonome medesime, in quanto organi procedenti all'accordo o all'intesa. E, infatti, la generale attribuzione al CIPE del potere di approvazione degli accordi o delle intese, anche quando la materia sia di competenza regionale e la Regione sia l'organo procedente, rischia di diventare un surrettizio modo per far rientrare lo Stato nell'amministrazione di settori di competenza regionale o comunque per attribuire allo Stato una illegittima potesta' di controllo in materia al di fuori degli ordinari strumenti di controllo sull'attivita' delle regioni gia' previste dalla Costituzione. 4. - L'art. 3, comma 214, dispone che "per gli enti soggetti all'obbligo di tenere le disponibilita' liquide nella contabilita' speciali o in conti correnti con il Tesoro, per l'anno 1997 i pagamenti del bilancio dello Stato sono accreditati sui conti correnti aperti presso la tesoreria dello Stato solo ad avvenuto accertamento che la disponibilita' sui conti medesimi si sono ridotte a un valore non superiore al 20 per cento delle disponibilta' rilevate al 1 gennaio 1997". In tal modo si viene a limitare pesantemente la disponibilita' e l'utilizzo delle giacenze di cassa presso la Tesoreria centrale dello Stato, nonche' l'accreditamento a favore delle regioni delle somme ad esse spettanti ai sensi della normativa vigente, ledendo in tal modo l'autonomia finanziaria e contabile costituzionalmente garantita alle regioni medesime dall'art. 119 della Costituzione. Codesta ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito, infatti, che il sistema della tesoreria unica non costituisce di per se' violazione dell'autonomia finaziaria regionale, purche' non si trasformi illegittimamente in un "anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale" (sent. 155/1977; ma v. inoltre sentt. 94/1981; 162/1982; 307/1983). Si deve dunque ammettere che allo stato dei fatti, oramai, l'autonomia finanziaria non comporti piu' - come in una prima fase - un'assoluta e immediata disponibilita' dei fondi da parte delle regioni, purche' esse comunque non vengano private della possibilita' di disporre effettivamente delle somme di propria pertinenza che siano gia' accreditate nei conti presso la tesoreria statale o che siano da accreditare in conformita' della normativa vigente in attuazione dell'art. 119 della Costituzione. E' evidente che una disposizione di legge ordinaria che vincola il versamento di fondi legittimamente spettanti alla regione ai sensi dell'art. 119 della Costituzione al raggiungimento di un determinato obiettivo costituisce una illegittima forma di controllo sulla gestione finanziaria regionale (in termini di cassa), che lede l'autonomia finaziaria e di bilancio, nonche' quella programmatoria, legislativa e amministrativa della regione. La riduzione della disponibilita' di cassa della regione non puo' non determinare, d'altronde, l'effetto di ritardare l'effettuazione del pagamento di spese gia' regolarmente deliberate e impegnate, in violazione, oltre che dell'autonomia finaziaria regionale, dei diritti dei creditori e del principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art 97 della Costituzione.
P. Q. M. E con la riserva di meglio illustrarli in seguito, la regione ricorrente, come sopra rappresentata e difesa, chiede che l'ecc.ma Corte, respinta ogni contraria istanza, voglia dichiarare la illegittimita' costituzionale della legge 23 dicembre 1996, n. 662, contenente "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica", quanto all'art. 1, commi 57, 58 e 59, in relazione agli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione; all'art. 1, comma 154, secondo capoverso, in relazione agli artt. 1, 3, 53, 119 della Costituzione; all'art. 2, comma 205, in relazione all'art. 118 della Costituzione; e all'art. 3, comma 214, in relazione agli artt. 97 e 119 della Costituzione. Roma, addi' 27 gennaio 1997 Prof. avv. Caravita di Toritto 97C0134