N. 231 ORDINANZA 19 giugno - 4 luglio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Patteggiamento - Consenso del p.m. - Rigetto della
 richiesta   da   parte   del  pretore  per  incongruita'  della  pena
 patteggiata - Erroneita'dei presupposti interpretativi da  parte  del
 giudice a quo - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 444).
 
 (Cost., artt. 3, 25 e 97).
 
(GU n.30 del 23-7-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof. Cesare MIRABELLI,   prof.
 Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.  Cesare  RUPERTO,
 dott.  Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,   prof. Guido NEPPI  MODONA,    prof.
 Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 444 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 maggio  1996
 dal pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Monfardini
 Sergio,  iscritta  al n. 881 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
 nella Gazzetta  Ufficiale    della  Repubblica  n.  38,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visto    l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  7  maggio  1997  il  giudice
 relatore Francesco Guizzi;
   Ritenuto  che  nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico  di
 Monfardini Sergio, tratto a giudizio con  decreto  di  citazione  del
 pretore  di  Livorno,  in  data  26  ottobre 1995, per rispondere del
 delitto di omicidio colposo, all'udienza del 12  aprile  1996,  prima
 dell'apertura  del  dibattimento,  l'imputato  formulava  istanza  di
 applicazione  della  pena,  a  norma  dell'art.  444  del  codice  di
 procedura  penale,  chiedendo  che  la pena di mesi tre di reclusione
 fosse sostituita con quella  pecuniaria  corrispondente,  pari  a  L.
 2.250.000   di  multa,  grazie  al  riconoscimento  delle  attenuanti
 generiche, di quella del danno risarcito e all'ulteriore  diminuzione
 di pena dovuta alla scelta del rito;
     che,  pur  avendo  il pubblico ministero prestato il consenso, il
 pretore  rigettava  la  richiesta,  ritenendo   incongrua   la   pena
 patteggiata;
     che  in  conseguenza dell'incompatibilita' del giudice, derivante
 dall'accennata pronuncia di rigetto, il processo veniva rimesso  alla
 cognizione  di  un  diverso magistrato e fissato per l'udienza del 22
 maggio 1996;
     che l'imputato reiterava l'istanza di applicazione della pena nei
 medesimi  termini,  ottenendo  ancora  il   consenso   del   pubblico
 ministero;
     che,  orientato a respingerla per le medesime ragioni esposte dal
 primo giudicante  nell'ordinanza  del    12  aprile,  il  pretore  ha
 sollevato  d'ufficio,  in  riferimento  agli  artt.  3, 25 e 97 della
 Costituzione, questione di  legittimita' costituzionale dell'art. 444
 del codice di procedura penale;
     che, nel pronunciare le sentenze nn. 186 del 1992 e 313 del 1990,
 la Corte  non  avrebbe  chiarito  se  ed  entro  quali  limiti  possa
 ammettersi  la  riproposizione  della  medesima  richiesta innanzi ad
 altro giudice  chiamato  a  conoscere  del  processo  in  conseguenza
 dell'incompatibilita'  dichiarata  con  la citata sentenza n. 186 del
 1992;
     che la carenza di previsione normativa al riguardo  consentirebbe
 la  reiterazione  ad  libitum  nei medesimi termini, con svalutazione
 integrale del giudizio di incongruita' della pena espresso dal  primo
 giudice  e  con  violazione  di alcuni principi costituzionali qui di
 seguito invocati;
     che tale disciplina sarebbe infatti contraria  all'art.  97,  con
 lesione  del  canone  di  buon andamento, permettendo la reiterazione
 d'una  richiesta,  gia'  rigettata  con  provvedimento  motivato  del
 giudice,  senza  l'indicazione  di  alcun  fatto  giuridico  nuovo, o
 diverso, tale da giustificare il riesame;
     che la riproposizione dell'istanza  di  applicazione  della  pena
 concordata   potrebbe,   per   il   possibile   rigetto  conseguente,
 determinare il paradosso di rendere incompatibili tutti i  magistrati
 potenzialmente disponibili;
     che   di  una  simile  disciplina  si  potrebbe  sospettare  come
 preordinata alla scelta del giudice, in violazione dell'art. 25 della
 Costituzione;
     che si dovrebbe dubitare, altresi', circa la ragionevolezza della
 possibilita' illimitata  di  reiterazione  della  richiesta  di  pena
 concordata,  anche perche' si vanificherebbero le precedenti pronunce
 di rigetto;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per
 la manifesta infondatezza della questione, in quanto gia' decisa  con
 la sentenza n. 439 del 1993.
   Considerato  che  la  Corte  e'  chiamata  a  un  nuovo giudizio di
 legittimita' costituzionale dell'art. 444  del  codice  di  procedura
 penale,  in  riferimento  agli  artt.  3, 25 e 97 della Costituzione,
 poiche'  -  con  lesione  di  detti  parametri  -  consentirebbe   la
 riproposizione  di  una  richiesta  gia'  rigettata con provvedimento
 motivato del giudice, senza che sia indicato  alcun  fatto  giuridico
 nuovo, o diverso, tale da giustificare il riesame;
     che   e'   errato   il  presupposto  interpretativo,  perche'  la
 reiterazione delle richieste di applicazione della pena, da cui muove
 il rimettente,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  (cfr.
 l'ordinanza  n.  199  del  1995  e  la  sentenza  n. 439 del 1993) e'
 ammissibile solo se e in quanto esse abbiano  un  contenuto  diverso,
 apprezzato  alla  luce del principio del corretto uso degli strumenti
 processuali;
     che,  pertanto,  la  questione   va   dichiarata   manifestamente
 infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale   dell'art.   444  del  codice  di  procedura  penale,
 sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97  della  Costituzione,
 dal pretore di Livorno con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.
                        Il Presidente: Vassalli
                         Il redattore: Guizzi
                        Il cancelliere: Malvica
   Depositata in cancelleria il 4 luglio 1997.
                        Il cancelliere: Malvica
 97C0797