N. 479 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1996- 24 giugno 1997
N. 479 Ordinanza emessa il 17 luglio 1996 e 9 dicembre 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 24 giugno 1997) dal T.A.R. del Lazio sui ricorsi riuniti proposti dal Papaldo Angelo ed altri contro il Ministero del bilancio e della programmazione economica ed altri. Impiego pubblico - Dipendenti dell'AGENSUD gia' transitati nell'Amministrazione statale - Fissazione, con decorrenza retroattiva dal 10 giugno 1994, del limite massimo dell'assegno personale (destinato a colmare la differenza tra il trattamento economico in godimento precedentemente e la nuova retribuzione) a lire 1.500.000 - Conseguente notevole riduzione del trattamento economico e di quiescenza di detti dipendenti - Irrazionale ed arbitraria disciplina retroattiva di un rapporto di durata - Violazione del principio del divieto della reformatio in peius - Incidenza sui principi di proporzionalita' e adeguatezza della retribuzione (anche differita) e sulla garanzia previdenziale. (Legge 7 aprile 1995, n. 104, art. 1, comma 2; d.lgs. 3 aprile 1993, n. 96, art. 14-bis, comma 1, lettera b) e 3; d.-l. 8 febbraio 1995, n. 32, art. 9, convertito in legge 7 aprile 1995, n. 104; d.lgs. 3 aprile 1993, n. 96, art. 14, comma 4). (Cost., artt. 3, 36 e 38).(GU n.30 del 23-7-1997 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti n. 7211/94 e n. 9212/95 proposti da Papaldo Angelo, Longo Francesco, Cocco Antonio, Catalani Maria, Di Rosa Augusto, Marchisio Elisabetta, Castellani Roberto, Massi Roberto, Celli Liviana, Bolognesi Cinzia, Viviani Roberto, Levantesi Roberto, Martucci Angelo, Fioretti Giuseppe, Nastasi Luigi, Re Francesco, Giulietti Giulio Maria, Rinaldi Lucia, Ansoinelli Sessa Arnaldo, Bartolucci Maria Teresa, Giamboni Mario, Ciampicagigli Stefano, Danese Angelo, Celentani Ungaro Carlo, Creton Maurizio, Izzi Renato, Donzella Giorgio, Parodi Maria Teresa, Accorso Giuseppina, Cozzi Anna Maria, Santucci Enzo, Cappabianca Francesco Saverio, Campanile Luciana, D'Aniello Salvatore, Cavaliere Francesco, Manconi Maria Antonietta, Mina' Jolanda, Angeloro Giacomo, Dalla Chiara Roberto, Barbato Carlo, Vantaggi Mario, Toti Anna, Pinelli Maria, Chiappa Giovanna, Galliano Giancarla, Malagnino Gabriella, Sollecchia Arnaldo, Proietti Luciana, Migheli Franca, Papisca Vittoria, Antonini Aurelio, Penza Ennio, Bitelli Maurizio, Minati Antonio, Ajello Anna Maria, Alcioni Adelaide, De Pietro Maria Pia, Gamorra Franco, Di Stefano Stefania, Veiluva Anna Rine, Sessa Ignazia Maria Grazia, Funari Giuliana, Cipriani Giovanna, Parravini Giovanni, Mengoni Enrico, Aletta Anna; Nonche' da Carbone Anna, Morgera Anna Maria, Foschi Giancarlo, Guglietti Antonio Agostino, Razzovaglia Domenico, Ricci Enrico, Buenopernica Armando, Carroccio Antonino, Lo Presti Giovanna, Macchiarella Stefano, Grimaldi Giovanni, Gherardi Anna, Boldrini Vittoria Maria, Laraia Rosanna Antonella, Sarli Carlo Giovanni, Grandolfo Carla, Castellani Carla, Camera Andrea, Faustini Carlo, Cozzi Mario, Cieri Giuseppe, Varesi Piero, Maguolo Alberto, Capoano Diego, Ferraro Vincenzo, Cristiani Sebastiano, Pistonesi Antonio, Cundari Antonio, Donzelli Salvatore, Ferrini Roberto, Bartolini Alessandro, Menafra Francesco, Alberotanza Michele, Peverieri Gabrielle, Albanese Piera, Tomage' Patrizia, Torri Laura, Silli Riccardo, Cerasoli Gea, Izzo Geppina, Violoni Maurizio, Ceci Mauro, Monferini Ivan, Bantini Marisa, Pappada' Loredana, Silvi Antonio, De Paolis Fausto, Favale Vittorio, Massimiano Antonia, Pagliara Camillo, Sacchetti Gaetano, Cupelli Luciano, Liberati Angelo, Testini Claudia, Alibrandi Andrea, Spagnolo Italo Franco, Casciana Filomena, Scozzo Stefania, Piermarini Tiziana, Capozzi Luigi, Venanzi Marcella, Bruno Agnese, Longo Giulio, Galletti Claudia, Malfatti Elvezia, Lotito Vincenzo, Vendetti Serafino, Mongiello Roberta, Palmieri Giuseppe, Bonelli Rosanna, Mazzarella Antonio, Santa Maria Lucia, Benedetti Lorenzina, Donatiello Michele Leonardo, Tiracorrendo Marina, Stasi Perla Gioia Serena, Criscione Rita, Cianfanelli Maria Grazia, Abatecola Alba, Medici Nives, Fabiani Riccardo, Emili Eliana, Maramao Mirella, Aceto Francesca, Delibero Eduardo, Menghini Loretta, Azzara' Moreno, Ferrante Simonetta, Garzia Fernanda, Pantone Luigi, Pioli Giovanna, De Vita Bruno, Fiore Alberto, Smedile Amelia e Agostini Matilde, rappresentati e difesi dagli avv.ti Giuseppe Abbamonte e Paolo de Camelis ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Azuni, n. 9; Contro quanto al ricorso n. 7211/94: il Ministero del bilancio e della programmazione economica in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro-tempore e il commissario liquidatore dell'agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno non costituitisi in giudizio. Quanto al ricorso n. 9212/1995: la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero del bilancio e della programmazione economica, dell'industria, commercio e artigianato, dell'agricoltura, del tesoro e dell'universita' e ricerca scientifica e tecnologica in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; la commissione liquidatrice dell'agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, l'INPDAI e l'INA in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, non costituitisi in giudizio; Per l'annullamento a) Quanto al ricorso n. 7211/1994: a) del provvedimento del commissario liquidatore Agensud di cui non si conosce il numero e la data con il quale e' stato determinato il trattamento retributivo, pensionistico e di fine rapporto dei ricorrenti ex dipendenti Agensud, ai sensi dell'art. 14 d.lgvo 3 aprile 1993, n. 96 e successive modifiche; c) della preordinataa direttiva del Ministero del bilancio n. 5/3108; d) di ogni altro atto preordinato, connesso o conseguenziale, comunque lesivo, di cui comunque non si ha conoscenza; b) Quanto al ricorso n. 9212/1995: dei decreti di inquadramento provvisorio di data e numero ignoti con i quali e' stato disposto l'inquadramento di ciascun ricorrente nei ruoli dei rispettivi Ministeri ed altre amministrazioni pubbliche interessate nelle qualifiche funzionali risultanti dal decreto relativo, nonche', per quanto possa occorrere degli atti relativi al pagamento della retribuzione; di ogni altro atto preordinato connesso e conseguenziale comunque lesivo del trattamento economico e previdenziale corrispondente a quello in precedenza in godimento presso l'Agensud. Nonche' per la remissione alla Corte costituzionale della questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 9 del d.-l. 8 febbraio 1995, n. 32 che ha sostituito gli artt. 14 e 14-bis del d.lgs. 3 aprile 1993, n. 96, dell'articolo unico della legge 7 aprile 1995, n. 104 e di ogni altra legge applicabile per contrasto con gli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri dell'industria, dell'agricoltura, del tesoro e della ricerca scientifica e tecnologica; Vista la memoria prodotta dai ricorrenti a sostegno della loro difesa; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore per la pubblica udienza del 17 luglio 1996 il consigliere Pellicano' ed uditi, altresi', gli avvocati Abbomonte e de Camelis per i ricorrenti e gli avvocati dello Stato Gentili (ric. n. 7211/1994) e Tonello (ric. 9212/1992) per le amministrazioni resistenti; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o I ricorrenti, gia' dipendenti di ruolo della agenzia per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno, a seguito della soppressione di detta amministrazione, sono stati, dapprima inseriti nell'apposito ruolo presso il Ministero del bilancio e, poi, assegnati ad altre amministrazioni per effetto delle disposizioni succedutesi nel tempo a modifica del decreto legislativo n. 96/1993. La parte di essi ricompresa, nell'elenco riportato in epigrafe, tra Papaldo Angelo e Aletti Anna sono stati, poi collocati a riposo. Con il primo ricorso hanno impugnato i provvedimenti con i quali e' stato determinato il loro trattamento economico in applicazione del decreto legislativo n. 96 del 1993, deducendo le censure che si riportano qui di seguito: 1. - Il regime normativo introdotto con i decreti-legge nn. 506 del 1993, 95 del 1994 e 228 del 1994, nonche' dall'art. 14 del decreto legislativo n. 96 del 1993 costituiscono una violazione del principio del divieto della reformatio in peius. Tale principio si fonda su naturali esigenze, individuali e sociali che vogliono, per il lavoratore dipendente, la garanzia del trattamento retributivo acquisito. Il principio della reformatio in peius si lega quindi alla garanzia di cui all'art. 36 della Costituzione: legame che si consolida quando, come e avvenuto nella specie, la riduzione della retribuzione giunge a livelli di elevato rilievo (circa il 40%) contro l'apprezzamento gia' compiuto dalla legislazione indicata sull'adeguatezza alla quantita' e qualita' del lavoro svolto che e' rimasto immutato. Inoltre, l'art. 14 del d.lgs. 3 aprile 1993, n. 96 e' illegittimo per eccesso di delega rispetto all'art. 5, lett. a) della legge n. 488 del 1992 che non consentiva la cessazione del rapporto prevista invece dall'art. 14 del decreto legislativo, nonche' dai decreti-legge n. 506 del 1993 con tutte le conseguenze che ne derivano in sede di formazione del nuovo rapporto di lavoro a seguito della prevista domanda di assunzione presso la Presidenza del Consiglio ed altre amministrazioni in ordine al trattamento giuridico ed economico. 2. - E' assolutamente inammissibile e contrario a qualsiasi principio di ragionevolezza il deteriore trattamento economico riservato al personale dell'Agensud in contrasto con i principi piu' basilari che caratterizzano il regime del pubblico impiego. In proposito occorre preliminarmente distinguere il caso di trasferimento delle funzioni, ben diverso evidentemente da quello della liquidazione per effetto delle finalita' attribuite ad enti estinti, come disciplinato dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1404 riguardo all'eliminazione dei cosiddetti "Enti inutili". La vicenda dell'Agensud non puo' in alcun modo attagliarsi all'ipotesi degli enti senza piu' scopi, tanto e' vero che la disciplina riguarda al contrario, la ricollocazione delle sue funzioni fra diversi altri apparati pubblici. Il parametro di riferimento e' allora quello degli interventi legislativi che nel corso degli anni hanno provveduto al riassetto delle funzioni dei vari enti pubblici (si pensi, ad esempio, alle vicende del Servizio sanitario nazionale con relativo transito di funzioni e strutture alle UU.SS.LL., ovvero alle vicende degli enti pubblici territoriali, decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 e legge n. 142/1990). Valgono, quindi al riguardo e con riferimento specifico alle ipotesi di trasferimento di funzioni e persino di dismissioni di apparati pubblici, non tanto la specifica disciplina della liquidazione degli enti estinti, bensi' piuttosto al contrario la disciplina ben rigorosamente garantista dei diritti acquisiti dai pubblici dipendenti di ruolo. delle funzioni, l'art. 122 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 prevede che il personale in servizio presso gli enti pubblici le cui funzioni sono transitate gli enti territoriali "... e' posto a disposizione delle regioni stesse contestualmente al trasferimento dei beni e delle funzioni"; allo stesso modo "il personale degli enti pubblici non compreso tra quello trasferito alle regioni ... e' assegnato ... con effetto dalla data di trasferimento delle funzioni amministrative, nell'ordine a) ad altro ente pubblico di cui all'ultimo comma dell'art. 1 della legge 20 marzo 1975, n. 70; b) ai ruoli unici di cui all'art. 6 della legge 22 luglio 1975, n. 382". Criterio questo richiamato anche con riferimento al trasferimento di funzioni amministrative conseguente all'istituzione delle aree metropolitane ed al riordino delle circoscrizioni comunali e provinciali di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142. Questo dunque il criterio garantista ispiratore di tutte le riforme di riallocazione delle funzioni pubbliche, totalmente disatteso dalle norme riferite all'Agensud che non reggono al parametro dell'uguaglianza anche di fatto e della ragionevolezza imposta dall'art. 3 della Costituzione. Soltanto a titolo ricognitivo occorre ricordare ancora le disposizioni di cui alla legge n. 70 del 1975 ("Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente") laddove e' previsto che in caso di soppressione o liquidazione di enti, al personale "... in servizio al momento della soppressione, ristrutturazione o fusione, in ruolo o con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a pieno orario, e' garantita la conservazione dell'impiego anche attraverso il trasferimento allo Stato o ad enti pubblici ...". Sempre in questo senso, ma sotto distinti profili, viene poi in evidenza la disciplina della messa in disponibilita' per soppressione di posto o riduzione di organico di cui all'art. 220, n. 7 del regio decreto n. 384 del 1934 (ora abrogato dall'art. 64 della legge n. 142 del 1990, ma dall'abrogazione deriva non certo un principio opposto, bensi' e soltanto il potere dovere degli statuti comunali di intervenire, evidentemente in senso conforme) o di cui agli artt. 72 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 con la piu' generale disciplina della collocazione in disponibilita' che la caratterizza come istituto di generale valenza e che configura con ben precisa durezza i vincoli dello status del pubblico dipendente al quale sono garantiti stipendio e carriera, persino ove sia momentaneamente sospesa la sua stessa prestazione lavorativa. Difficolta' di trattamento che si coglie non solo in termini diacronici con riferimento ai numerosi precedenti regimi che si sono succeduti seguendo univoci principi, ma anche ove ci si riferisca al coevo regime di cui al decreto legislativo 29 del 1993, che in numerose disposizioni (artt. 32, 34 e 30) tende a garantire la conservazione delle posizioni acquisite, conciliando al meglio gli interessi della pubblica amministrazione e quelli del dipendente. 3. - Il nuovo regime da un lato configura un'ipotesi di continuita' delle medesime funzioni presso altri uffici; dall'altro determina un mutamento della struttura stipendiale che deriva solo ed esclusivamente dalla fittizia interruzione del rapporto. Alla incongruita' del mancato rispetto del doveroso equilibrio nel sinallagma fra prestazione lavorativa e trattamento economico cosi' come cia' indicato dal legislatore nell'ordinamento dell'Agensud si aggiunge l'effetto assolutamente penalizzante che deriva dalla prescrizione che la nuova assunzione avverrebbe a livello iniziale della qualifica (art. 14 decreto legislativo n. 96 del 1993), penalizzazione che incide non soltanto sul trattamento economico ma anche sul maturato di carriera che e' il dato organizzativo a cui sono affidati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione, come vuole l'art. 97 della Costituzione. Sotto tale profilo, quindi, la frustrazione del maturato di carriera dei ricorrenti costituirebbe anche violazione della norma costituzionale sopra richiamata per la salvaguardia del buon andamento che impone un'organizzazione degli uffici in vista del risultato ottimale della massima funzionalita'. Non pare dubbio che la penalizzazione operata a danno di personale altamente qualificato si pone in irrimediabile contrasto con il citato precetto costituzionale. 4. - Le violazioni sin qui esaminate risultano tutte sussistenti anche sotto il profilo della materia pensionistica. Nella denegata ipotesi che il trasferimento delle funzioni dell'intervento straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno determinasse davvero la cessazione del rapporto di impiego del personale ricorrente, risulterebbe leso il loro diritto al trattamento di quiescenza per mancanza della contribuzione necessaria, con cio' violando anche il precetto dell'art. 38 della Costituzione. Ma piu' in generale nel trasferimento deve essere garantito l'intero maturato anche previdenziale, pena tutte le illegittimita' sin qui illustrate e dedotte. 5. - Per l'ipotesi in cui l'ultimo decreto-legge che ha sostituito l'art. 14 del decreto legislativo n. 93 del 1993, non dovesse essere convertito in legge, viene dedotto quanto qui di seguito riportato. Nessun principio o criterio direttivo consentiva al legislatore delegato, di disciplinare il trasferimento del personale in servizio presso l'Agensud attraverso la funzione della cessazione dal servizio e la successiva riassunzione, il cui solo senso e' quello di azzerare i maturati di carriera ed economici, cioe' di fare esattamente cio' che tutte le norme e discipline dell'impiego vietano. Nel caso che ci occupa la norma delegata ha travalicato l'oggetto definito dalla delega. Infatti, non ha esplicitato cio' che era implicito nella legge di delegazione, ma ha aggiunto un quid del tutto estraneo all'oggetto della delega. Sotto tale profilo, quindi il legislatore delegato ha violato i principi fissati dalla legge di delegazione, cosi' ponendosi in contrasto con il precetto di cui all'art. 76 della Costituzione. Con successivo ricorso n. 9112/1995 i ricorrenti, nel rivendicare l'integralita' del trattamento economico, pensionistico e di fine rapporto percepito presso la soppressa Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, hanno precisato meglio le norme sospettate di illegittimita' costituzionale ed hanno, in parte, riprodotto le censure gia' dedotte con il precedente ricorso, modificandole inoltre, con le integrazioni che si evidenziano qui di seguito con carattere corsivo; 1) il regime normativo introdotto con i decreti-legge nn. 506 del 1993, 95 del 1994 e 228 del 1994 nonche' dall'art. 14 del decreto legislativo n. 96 del 1993 costituiscono una violazione del principio del divieto della reformatio in peius. Tale principio si fonda su naturali esigenze, individuali e sociali che vogliono, per il lavoratore dipendente, la garanzia del trattamento retributivo acquisito. Il principio della reformatio in peius si lega quindi alla garanzia di cui all'art. 36 della Costituzione: legame che si consolida quando, come e avvenuto nella specie, la riduzione della retribuzione giunge a livelli di elevato rilievo (circa il 40%) contro l'apprezzamento gia' compiuto dalla legislazione indicata sull'adeguatezza alla quantita' e qualita' del lavoro svolto che e' rimasto immutato; 2-a) la legge di delegazione del 19 dicembre 1992, n. 448 all'art 3 non prevedeva alcuna facolta' per il legislatore di ridurre il trattamento economico che avrebbe dovuto essere espressamente prevista per poter derogare al principio generale del divieto di reformatio in peius, laddove ad absurdum, si ritenesse derogabile tale principio che in realta' non e' come esposto nel motivo che precede; 2-b) in effetti il decreto legislativo n. 96/1993 conservava lo stipendio precedente e cosi' pure il decreto-legge n. 285 del 1993, mentre con il decreto-legge n. 95 del 1994 una prima riduzione del 20% e dal decreto-legge n. 305 del 1994 e' stata operata una successiva riduzione del 20%, entrambe definitivamente stabilite, nell'ammontare complessivo del 40%, dalla legge n. 104 del 1995 di conversione del decreto-legge n. 32 del 1995. Ora, sembra evidente che si e' abusato delle norme costituzionali sulla produzione degli atti legislativi nelle loro varie forme ciascuna delle quali risponde a distinte esigenze. Infatti, nella specie, pur regolando sempre la stessa materia prima si e' data una delega attuata senza riduzione di stipendi, poi si e' fatto ricorso ai decreti-legge modificando il decreto legislativo e le modifiche riduttive si sono consolidate con lo strumento della legge di conversione. Al di la' dell'ossequio formale delle norme sul procedimento legislativo c'e' da precisare che questo modo abnorme di servirsi nel breve spazio di due anni, e meno, di un decreto legislativo e numerosi decreti-legge e relativa legge di conversione arrivando ad un risultato quale quello della reformatio in peius dello stipendio e/o della pensione, e' certo indice di deviazione del legislatore dai principi costituzionali che, del resto risultano dal contenuto dei provvedimenti finali, come detto nel motivo che precede; e la deviazione e' confermata dall'abnormita' del procedimento, avuto riguardo alla varia tipologia sugli atti che si sono succeduti in meno di un biennio e che sono illegittimi per quanto pervengono alla riduzione del trattamento economico; 3) e' assolutamente inammissibile e contrario a qualsiasi principio di ragionevolezza il deteriore trattamento economico riservato al personale dell'Agensud in contrasto con i principi piu' basilari che caratterizzano il regime del pubblico impiego. In proposito occorre preliminarmente distinguere il caso di trasferimento delle funzioni, ben diverso evidentemente da quello della liquidazione per effetto delle finalita' attribuite ad enti estinti, come disciplinato dalla legge 4 dicembre 1956, n. 1404 riguardo all'eliminazione dei cosiddetti "enti inutili". La vicenda dell'Agensud non puo' in alcun modo attagliarsi all'ipotesi degli enti senza piu' scopi, tanto e' vero che la disciplina riguarda al contrario, la ricollocazione delle sue funzioni fra diversi altri apparati pubblici. Il parametro di riferimento e' allora quello degli interventi legislativi che nel corso degli anni hanno provveduto al riassetto delle funzioni dei vari enti pubblici (si pensi, ad esempio, alle vicende del Servizio sanitario nazionale con relativo transito di funzioni e strutture alle UU.SS.LL., ovvero alle vicende degli enti pubblici territoriali, decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 e legge n. 142/1990). Valgono, quindi al riguardo e con riferimento specifico alle ipotesi di trasferimento di funzioni e persino di dismissioni di apparati pubblici, non tanto la specifica disciplina della liquidazione degli enti estinti, bensi' piuttosto al contrario la disciplina ben rigorosamente garantista dei diritti acquisiti dai pubblici dipendenti di ruolo nel caso di passaggio delle funzioni da loro esercitate ad altri enti e che nella specie le cose stiano a questo modo e' confermato dall'identita' delle funzioni attualmente svolte dai ricorrenti ancora in servizio rispetto a quelle svolte presso l'Agensud. Cosi', nel trasferimento del personale conseguente alla riallocazione delle funzioni, l'art. 122 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 prevede che il personale in servizio presso gli enti pubblici le cui funzioni sono transitate gli enti territoriali "... e posto a disposizione delle regioni stesse contestualmente al trasferimento dei beni e delle funzioni"; allo stesso modo "il personale degli enti pubblici non compreso tra quello trasferito alle regioni ... e' assegnato .... con effetto dalla data di trasferimento delle funzioni amministrative nell'ordine a) ad altro ente pubblico di cui all'ultimo comma dell'art. 1 della legge 20 marzo 1975. n. 70; b) ai ruoli unici di cui all'art. 6 della legge 22 luglio 1975, n. 382". Criterio questo richiamato anche con riferimento al trasferimento di funzioni amministrative conseguente all'istituzione delle aree metropolitane e dal riordino delle circoscrizioni comunali e provinciali di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142. Questo dunque il criterio garantista ispiratore di tutte le riforme di riallocazione delle funzioni pubbliche, totalmente disatteso dalle norme riferite all'Agensud che non reggono al parametro dell'uguaglianza anche di fatto e della ragionevolezza imposta dall'art. 3 della Costituzione. Soltanto a titolo ricognitivo occorre ricordare ancora le disposizioni di cui alla legge n. 70 del 1975 ("Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente") laddove e' previsto che in caso di soppressione o liquidazione di enti, al personale "... in servizio al momento della soppressione, ristrutturazione o fusione, in ruolo o con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a pieno orario, e garantita la conservazione dell'impiego anche attraverso il trasferimento allo Stato o ad enti pubblici .." nonche' la conservazione del trattamento economico anche con assegno personale (art. 2 legge cit.). Qui va sottolineato che ci si trova in presenza della legge generale sul riordinamento degli enti pubblici anche per soppressione sicche' il diverso trattamento previsto dal citato decreto-legge n. 96 del 1993 viola certamente il principio dell'eguaglianza di trattamento perche' la fattispecie e' gia' disciplinata dalla norma generale (legge n. 70 del 1975) che per la soppressione degli enti e del personale degli enti soppressi fa salvo il trattamento acquisito, prevedendo anche un assegno personale. Ora, anche a voler ammettere che l'Agensud sia stata soppressa, il trattamento economico del dipendente, in ogni caso, avrebbe dovuto essere eguale a quello previsto dalla norma generale delle legge n. 70 del 1975 citato. Sempre in questo senso, ma sotto distinti profili, viene poi in evidenza la disciplina della messa in disponibilita' per soppressione di posto o riduzione di organico di cui all'art. 220, n. 7 del regio decreto n. 384 del 1934 (ora abrogato dall'art. 64 della legge n. 142 del 1990, ma dall'abrogazione deriva non certo un principio opposto, bensi' e soltanto il potere dovere degli statuti comunali di intervenire evidentemente in senso conforme) o di cui agli artt. 72 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 con la piu' generale disciplina della collocazione in disponibilita' che la caratterizza come istituto di generale valenza e che configura con ben precisa durezza i vincoli dello status del pubblico dipendente al quale sono garantiti stipendio e carriera, persino ove sia momentaneamente sospesa la sua stessa prestazione lavorativa. Difficolta' di trattamento che si coglie non solo in termini diacronici con riferimento ai numerosi precedenti, regimi che si sono succeduti seguendo univoci principi, ma anche ove ci si riferisca al coevo regime di cui al decreto legislativo 29 del 1993, che in numerose disposizioni (artt. 32, 34 e 30) tende a garantire la conservazione delle posizioni acquisite, conciliando al meglio gli interessi della pubblica amministrazione e quelli del dipendente; 4) il nuovo regime da un lato configura un'ipotesi di continuita' delle medesime funzioni presso altri uffici; dall'altro determina un mutamento della struttura stipendiale che deriva solo ed esclusivamente dalla fittizia interruzione del rapporto. Alla incongruita' del mancato rispetto del doveroso equilibrio nel sinallagma fra prestazione lavorativa e trattamento economico cosi' come gia' indicato dal legislatore nell'ordinamento dell'Agensud si aggiunge l'effetto assolutamente penalizzante che deriva dalla prescrizione che la nuova assunzione avverrebbe a livello iniziale della qualifica (art. 14 decreto legislativo n. 96 del 1993), penalizzazione che incide non soltanto sul trattamento economico ma anche sul maturato di carriera che e' il dato organizzativo a cui sono affidati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione, come vuole l'art. 97 della Costituzione. Sotto tale profilo, quindi, la frustrazione dei maturato di carriera dei ricorrenti costituirebbe anche violazione della norma costituzionale sopra richiamata per la salvaguardia del buon andamento che impone un'organizzazione degli uffici in vista del risultato ottimale della massima funzionalita'. Non pare dubbio che la penalizzazione operata a danno di personale altamente qualificato si pone in irrimediabile contrasto con il citato precetto costituzionale. Inoltre, appare evidente che la deviazione della configurazione come nuove assunzione e' assunzione in posizione iniziale per quello che in effetti e' un trasferimento da un'amministrazione statale all'altra: configurazione che ha l'evidente deviato fine di disporre a piacimento della carriera svolta; 5) le violazioni sin qui esaminate risultano tutte sussistenti anche sotto il profilo della materia pensionistica. Nella denegata ipotesi che il trasferimento delle funzioni dell'intervento straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno determinasse davvero la cessazione del rapporto di impiego del personale ricorrente, risulterebbe leso il loro diritto al trattamento di quiescenza per mancanza della contribuzione necessaria, con cio' violando anche il precetto dell'art. 38 della Costituzione. Ma piu' in generale, nel trasferimento deve essere garantito l'intero maturato anche previdenziale, pena tutte le illegittimita' sin qui illustrate e dedotte. In realta' l'art. 9 del d.-l. 8 febbraio 1995, n. 32, convertito in legge 7 aprile 1995, n. 104, modificando l'art. 14 del d.-l. 3 aprile 1993, n. 96 al comma 4 stabilisce che: "Nei confronti del personale di cui al comma 1 si applicano le disposizioni proprie dell'amministrazione di assegnazione in materia di trattamento di fine rapporto. Cessa l'iscrizione previdenziale presso l'INA e la polizza ivi intestata all'Agenzia, dall'INA gestita e rivalutata secondo gli accordi in atto al momento della cessazione del rapporto di impiego con l'Agenzia, e' ripartita per ogni singolo dipendente". Dunque, nessuna salvezza del trattamento di fine rapporto e previdenziale gia' maturato quali che siano stati gli anni di servizio e contribuzione. Nessuna specificazione di criteri per la nuova disciplina e nessuna salvezza dei diritti acquisiti, ma solo un generico richiamo alla disciplina dell'amministrazione di assegnazione per il trattamento di fine rapporto non meglio precisato nei suoi contenuti; cessa poi l'iscrizione previdenziale presso l'INA con ripartizione delle polizze al momento attuale e nulla si dice per l'avvenire. Tutto cio' quando l'art. 38 della Costituzione stabilisce che: i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia e disoccupazione involontaria. Non si vede come una norma tassativa per la parte distruttiva e priva di regole certe per l'avvenire possa ritenersi conforme a questo dettato costituzionale di previsione dei mezzi adeguati. Con memoria depositata il 5 luglio 1996 i ricorrenti hanno svolto piu' ampia difesa ed insistito per l'accoglimento del ricorso introduttivo. D i r i t t o Attesi gli evidenti motivi di connessione, i due ricorsi vengono riuniti ai fini di un'unica pronuncia. Con detti ricorsi i ricorrenti, gia' dipendenti della soppressa Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno (Agensud), transitati in data 13 ottobre 1993 - in continuita' del rapporto di lavoro nei ruoli delle amministrazioni ministeriali dove prestano od hanno prestato servizio fino al collocamento in quiescenza, reclamano in sede giurisdizionale la tutela dell'integralita' del trattamento economico maturato e l'intangibilita' della posizione previdenziale acquisita, nonche' l'annullamento dei provvedimenti impugnati, con i quali e' stato rideterminato, in senso peggiorativo, il trattamento retributivo, pensionistico e di fine rapporto gia' in godimento, sia presso l'Agensud, sia presso la stessa amministrazione statale presso la quale sono transitati nei primi mesi di servizio, con la conseguente lesione della posizione previdenziale maturata. La vicenda sottoposta all'esame della sezione trae origine dalla decisione del legislatore di sopprimere gli enti cui era demandata l'attuazione dell'intervento straordinario statale nel Mezzogiorno. Invero, con la legge 19 dicembre 1992, n. 488, il Governo e' stato delegato ad emanare, entro il 30 aprile 1993, un decreto legislativo per disciplinare il trasferimento delle competenze dell'Agensud sulla base di principi e criteri che - per quanto riguarda i dipendenti - all'art. 3, lett. c), hanno prescritto l'utilizzazione del personale, prioritariamente per i compiti previsti dalla stessa legge. Il decreto legislativo n. 96 emanato in data 3 aprile 1993 ha disposto con l'art. 14, un meccanismo in base al quale il personale della soppressa Agensud cessava dal servizio decorsi centottanta giorni dalla data del 15 aprile 1993 con facolta', per lo stesso personale, di presentare domanda per l'assunzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e presso le pubbliche amministrazioni cui erano state attribuite le competenze dell'Agensud. Ancora, l'art 14 citato, con i commi 3, 4 e 5, ha definito le procedure per le nuove assunzioni previste solo nella posizione iniziale delle qualifiche, nonche' le modalita' di definizione del trattamento economico da determinarsi computando l'anzianita' pregressa maturata. Successivamente, il Governo con i dd.-ll. 9 agosto 1993, n. 285 e 7 dicembre 1993, n. 506, ha apportato modifiche al citato art. 14 decreto legislativo n. 96/1993, ma ha garantito la conservazione dei trattamenti stipendiali acquisiti fino al 31 gennaio 1994, poiche' dal mese successivo gli stessi sono stati modificati con l'entrata in vigore del d.-l. 7 febbraio 1994, n. 95. Infatti, in base all'art. 7 del citato decreto-legge n. 95, reiterato con l'art. 7 del d.-l. 9 aprile 1994, n. 228, ai ricorrenti e' stato attribuito lo stipendio iniziale previsto per le qualifiche di inquadramento, incrementato dalla somma calcolata secondo le modalita' previste per le qualifiche dirigenziali statali maturate alla data del 13 ottobre 1993. Inoltre, agli stessi ricorrenti in aggiunta alla retribuzione come sopra determinata e' stato attribuito un assegno personale pensionabile ed utile per il trattamento di fine rapporto, riassorbibile con qualsiasi successivo miglioramento, pari alla differenza tra la predetta retribuzione e lo stipendio iniziale della qualifica di provenienza aumentato di un incremento stipendiale relativo alla sola anzianita' maturata nella qualifica, (anziche' nella carriera) e determinato nella misura prevista per la preesistente progressione economica. Sulla base della stessa disposizione sono state soppresse le indennita' corrisposte presso l'Amministrazione di provenienza, mentre le altre indennita', percepite dai dipendenti delle Amministrazioni di destinazione, ad eccezione dell'indennita' integrativa speciale, sono state mantenute nella misura eventualmente eccedente l'importo annuo dell'assegno personale pensionabile. In seguito, in sede di reiterazione dei decreti-legge suindicati, con l'art. 8 del d.-l. 10 giugno 1994, n. 355, riprodotto con successivo d.-l. 8 agosto 1994, n. 491, e stato introdotto nel decreto legislativo n. 96/1993, l'art. 14-bis il cui comma 1, dava facolta' personale della cessata Agensud di optare, alternativamente per la cessazione del rapporto di impiego con detta amministrazione, alla data del 12 ottobre 1993 e per la contestuale instaurazione di un nuovo rapporto di servizio con le amministrazioni statali, oppure per il ricongiungimento del servizio prestato presso l'Agensud col servizio prestato presso l'amministrazione statale di assegnazione - con piena continuita' del rapporto di impiego - ma statuendosi in tale ipotesi il riconoscimento dei soli scatti di anzianita' conseguiti nell'ultima qualifica rivestita, nonche' un limite alla misura massima dell'assegno personale pensionabile - destinato a colmare la differenza col precedente trattamento goduto (comunque non superiore a L. 1.500.000 lorde mensili). Con la stessa disposizione e' stata confermata la corresponsione delle indennita' percepite presso l'Agensud solo nella misura eccedente l'importo dell'assegno perequativo calcolato con riferimento al solo stipendio, come disposto dal precedente testo dell'art. 14, introdotto dall'art. 7 dei decreti-legge n. 95 e 228 del 1994. Invece, con il successivo comma 3 dello stesso articolo e' stata confermata la soppressione delle indennita' percepite presso l'Agensud. Analoghe riduzioni sono, percio' conseguite per quanto concerne il trattamento pensionistico e quello di fine rapporto. I successivi decreti-legge n. 491 dell'8 agosto 1994, art. 8, n. 570 del 7 ottobre 1994, art. 9, n. 675 del 9 dicembre 1994, art. 9 e n. 32 dell'8 febbraio 1995, art. 9 hanno reiterato senza sostanziali modificazioni le descritte norme sul trattamento economico del personale dell'Agensud di cui all'art. 14-bis, comma 1, lett. b) e comma 3, del decreto legislativo n. 96/1993. Si e' cosi' cosi giunti alla legge 7 aprile 1995, n. 104 che ha convertito senza modificazioni, l'ultimo d.-l. n. 32 dell'8 febbraio 1995, dichiarando, con l'art. 1, comma 2, validi gli atti ed i provvedimenti adottati e salvi i rapporti giuridici sorti sulla base di tutti i suindicati decreti-legge. L'applicazione della normativa in questione ha comportato per i ricorrenti: a) la loro immissione nei ruoli dell'amministrazione statale o di altre pubbliche amministrazioni, con decorrenza dal 13 ottobre 1993, col riconoscimento della piena conservazione del trattamento retributivo in godimento presso l'Agensud mediante la corresponsione di un assegno perequativo in misura pari alla differenza tra la retribuzione gia' in godimento e lo stipendio statale, ai sensi dell'art. 5 d.-l. 9 ottobre 1993, n. 403, i cui effetti e rapporti guridici sorti in base alle norme in esso contenute sono stati fatti salvi dall'art. 1, comma 2, della legge 7 aprile 1995, n. 104; b) il calcolo dell'assegno perequativo previsto dall'art. 14, comma 5 del decreto legislativo n. 96 del 1993, quale risulta introdotto dall'art. 7 dei due decreti-legge n. 95 e 228 del 1994 suddetti sulla base dello stipendio iniziale della qualifica rivestita presso l'Amministrazione di provenienza incrementato secondo l'anzianita' maturata nella predetta qualifica e non sull'anzianita' di carriera, come avveniva in precedenza e determinato nella misura prevista per la preesistente progressione economica; La soppressione, sempre in base al citato comma 5 delle indennita' percepite presso l'Agensud e la corresponsione delle indennnita' previste per i dipendenti delle amministrazioni di destinazione solo nella misura eccedente l'anzidetto assegno ad personam, che non tiene conto di dette indennita', essendo calcolato con riferimento ai soli stipendi percepiti presso l'amministrazione di' provenienza e quella di destinazione; c) l'ulteriore riduzione con decorrenza dall'11 giugno 1994 - per effetto del decreto-legge n. 355 di pari data - della retribuzione mediante l'imposizione di un limite all'assegno personale nella misura massima di L. 1.500.000, a parita' di funzioni e di lavoro, la conferma, mediante il comma 3 dello stesso articolo della soppressione delle indennita' percepite presso l'Agensud e la corresponsione delle indennita' previste presso l'amministrazione di destinazione nella sola misura eccedente detto importo; d) la riduzione del loro trattamento di quiescenza, successivo al 7 febbraio 1994, rispetto al trattamento dei colleghi di pari o minore anzianita' e grado collocati in quiescenza in epoca precedente a tale data, giacche' fino a tale data la stessa legge n. 104/1995 garantisce la conservazione dei trattamenti stipendiali goduti, facendo salvi gli effetti dei decreti-legge pregressi non convertiti in legge; e) la riduzione del trattamento di fine rapporto nella misura pari a quella corrisposta ai dipendnenti dall'amministrazione di destinazione, in base al comma 8 dell'art. 14 del decreto legislativo n. 96 del 1993, nel testo introdotto dagli artt. 7 dei decreto-legge n. 95 e 228 del 1994, successivamente sostituito dal comma 4 dello stesso articolo con il testo introdotto dagli artt. 8 dei decreto-legge nn. 355 e 493 del 1994, e degli art. 9 dei decreto-legge nn. 570 e 675 del 1994, e 32 del 1995. Alla luce della normativa vigente, i due ricorsi in esame possono, pertanto essere decisi, solo dopo l'accertamento della legittimita' costituzionale della normativa in precedenza citata (art. 14, 4, 5 e 8 del decreto legislativo n. 96 del 1994, quale risulta introdotto dagli artt. 7 dei decreto-legge n. 95 e n. 228 del 1994, nonche' dell'art. 14-bis, comma 1, lett. b), e comma 3 dello stesso decreto legislativo quale risulta introdotto dall'art. 8 del decreto-legge n. 355 del 1994 e da quelli successivi fino al decreto-legge n. 32 del 1995) su cui si basa la riduzione della retribuzione dei ricorrenti. Diventano, quindi, rilevanti, ai fini della soluzione della controversia, le censure di illegittimita' costituzionale proposte con gli stessi ricorsi. In proposito i ricorrenti eccepiscono l'illegittimita' costituzionale dell'originario testo dell'art. 14 del decreto legislativo n. 96 del 1993 per violazione dell'art. 3 della legge di delega n. 488 del 1992 che prevedeva il licenziamento dei dipendenti dell'ex Agensud e, quindi dell'art. 76 della Costituzione, nonche' dell'art. 14, comma 4, 5 e 8 del decreto-legge n. 96 del 1993, introdotto dall'art. 7 dei decreto-legge n. 96 e n. 228 del 1994 e dell'art. 14-bis, comma 1, lett. b) e comma 3 del decreto legislativo n. 96/1993, nel testo introdotto dall'art. 8 dei dd.-ll. 10 giugno 1994, n. 355 e 5 agosto 1994, n. 491, nonche' dall'art. 9 dei dd.-ll. 7 ottobre 1994, n. 570 e 9 dicembre 1994, n. 675, non convertiti e 8 febbraio 1995, n. 32 convertito con la legge n. 104 del 1995, (che ha fatto salvi gli effetti prodottisi sulla base dei decreti-legge innanzi citati non convertiti in legge), in relazione ai principi del divieto della reformatio in peius e della ragionevolezza e agli artt. 76, 3, 36 e 38 della Costituzione. La censurata normativa ha, invero, consentito all'amministrazione con gli impugnati provvedimenti attuativi, il dimezzamento del trattamento economico gia' in godimento sia presso la cessata Agensud, sia anche presso la stessa amministrazione statale di assegnazione in forza della legislazione allora vigente, con conseguente lesione del maturato pensionistico. Infine, i ricorrenti lamentano che non e' stata fatta salva l'integrita' del trattamento di fine rapporto, avendo la normativa censurata previsto, a decorrere dalla data di inquadramento nelle amministrazioni di destinazione il meno favorevole trattamento dei dipendenti di dette amministrazioni. In proposito va rilevato che, per quanto concerne l'eccezione di legittimita' costituzionale del testo originario dell'art. 14 del decreto legislativo n. 96 del 1993, con il quale e' stato previsto il licenziamento del personale dipendente dall'ex Agensud e la riassunzione a domanda presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che tale disposizione appare superata dall'art. 14-bis, comma 1, del decreto legislativo introdotto dall'art. 8, del decreto-legge n. 355 del 1994, reiterato con i successivi decreti legge. Infatti, in base a tali disposizioni gli anzidetti dipendenti hanno la facolta' di optare per la cessazione dal rapporto d'impiego (e non cessano, quindi di diritto), con la contestuale instaurazione di un nuovo rapporto d'impiego, ovvero, con facolta' di attuare il ricongiungimento del pregresso servizio con quello da prestare nell'amministrazione di destinazione, con piena continuita' del rapporto d'impiego e a decorrere dal 12 ottobre 1993. Per quanto concerne, invece la lamentata riduzione del trattamento economico va rilevato che la fattispecie ripropone il problema dell'applicabilita' del divieto della reformatio in peius al trattamento economico dei pubblici dipendenti in relazione al quale la Corte costituzionale (con sentenza n. 153 del 23 maggio 1985), ha avuto modo di affermare che detto divieto "... e' ormai talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo: si tratta di un principio generale elaborato e costantemente affermato dalla giurisprudenza". Tale principio che e' riferito alla retribuzione complessiva, trova il suo fondamento nella necessita' di salvaguardare il tenore di vita del lavoratore, quale reso possibile dal trattamento economico dallo stesso in precedenza fruito (Consiglio Stato, sez. V, 23 marzo 1995, n. 466). Inoltre, va evidenziato che l'anzidetto principio e' stato espressamente codificato dagli artt. 202 testo unico n. 3 del 1957 e 12 del d.P.R. n. 1079 del 1970, nel caso di passaggio di carriera presso la stessa od altra amministrazione. In proposito va evidenziato che non e' controverso che i ricorrenti, provenienti dalla disciolta Agensud per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno, siano stati immessi nei ruoli statali in data 13 ottobre 1993, in vigenza del d.-l. n. 403 del 9 ottobre 1993 che, all'art. 5, garantiva loro l'integrale conservazione del trattamento economico in godimento presso l'Agensud mediante l'attribuzione di un assegno personale di importo pari alla differenza tra lo stipendio statale della qualifica rivestita e la retribuzione sino ad allora goduta. E', altresi', incontestato che di tale disposizione, riprodotta con il d.-l. 7 dicembre 1993, n. 506 sia stata data applicazione da parte dell'Amministrazione statale di assegnazione, che in tale periodo ha corrisposto ai ricorrenti un trattamento economico pari a quello percepito presso l'Agensud. Come pure e' incontestato che i rapporti giuridici sorti sulla base dei predetti decreti-legge e gli effetti prodottisi sono stati definitivamente fatti salvi dalla legge 7 aprile 1995, n. 104, art. 1, comma 2. La censurata sopravvenuta riduzione stipendiale (e conseguentemente pensionistica e di fine rapporto) operata con la normativa innanzi detta e', pertanto intervenuta sulla retribuzione gia' goduta dai ricorrenti come impiegati statali, a seguito del passaggio dall'Agenzia del Mezzogiorno, a parita' di quantita' e qualita' di prestazione lavorative richieste. Deve, quindi, ritenersi che la indicata modifica stipendiale sia intervenuta in un contesto giuridico in cui trovavano applicabilita' sia l'art. 202 testo unico n. 3 del 1957 sia l'art. 12 del d.P.R. n. 1079 del 1970 gia' citati. D'altra parte, anche a volersi considerare come momento rilevante per la fattispecie quello del passaggio dall'Agenzia del Mezzogiorno alle amministrazioni statali di assegnazione, in ogni caso dette norme avrebbero potuto trovare ingresso, nella considerazione che la Cassa per il Mezzogiorno, istituita per realizzare esclusivamente fini propri dello Stato, in quanto priva di patrimonio autonomo ma operante con l'impiego di fondi provenienti dallo Stato, ed in quanto destinataria di oneri che in base alla legislazione vigente sarebbero a carico dello Stato, va considerata come organo straordinario dell'amministrazione statale, pur se dotata di distinta personalita' giuridica (cfr. T.A.R. Lazio, III Sez., 9 giugno 1986, n. 2119). Le ricordate disposizioni, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa in molteplici occasioni (cfr. Cons. Stato, IV sez., 24 luglio 1989, n. 499, 26 febbraio 1985, n. 64; VI Sez. 20 febbraio 1987, n. 70) mirano a consentire la mobilita' del lavoro, sia nell'interesse del dipendente sia in quello dell'amministrazione e costituiscono espressione di un principio generale che tende ad espandersi nel pubblico impiego come nel settore lavorativo privato. Il meccanismo previsto da tali norme e' stato percio' ritenuto applicabile anche al di fuori dello Stato-Amministrazione in senso stretto, inteso come unitario soggetto di diritto al cui interno si articolano piu' branche riconducibili al medesimo centro di imputazione. In altri termini, e' stato ritenuto (cfr. Cons. Stato n. 499/1989 cit.) che se gli artt. 202 e 12 in discorso non possono trovare indiscriminata applicazione nel generico ambito dal pubblico impiego, gli stessi comunque possano operare con riferimento a quelle fattispecie in cui la distinta soggettivita' dell'apparato organizzatorio considerato non sia volta a realizzare un puro e semplice fenomeno di decentramento cd. autarchico o istituzionale (che costituisce la vicenda normalmente sottesa alla creazione di enti pubblici), ma inerisca ad una piu' articolata, e per certi versi piu' limitata, vicenda istituzionale. In questi ultimi casi il conferimento di soggettivita' autonoma acquista una valenza eminentemente tecnico-giuridica; ma il diverso apparato organizzatorio resta inserito, sotto il profilo funzionale, nell'ordinamento dello Stato; e cioe' nell'ambito del cd. Stato - ordinamento, anziche' in quello piu' ristretto di Stato - amministrazione. Non si appalesano, quindi manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale, per contrasto con il principio della reformatio in peius e della ragionevolezza e con gli artt. 3 e 36 e 38 della Costituzione, dell'art. 14, comma 5 del decreto legislativo n. 96 del 1993, introdotto dagli artt. 7 dei decreti-legge nn 95 e 228 del 1994 e dell'art. 14-bis, comma 1, lett. b) e comma 3 del decreto legislativo n. 96/1993, introdotto, dall'art. 8 dei dd.-ll. 10 giugno 1994, n. 355, e 5 agosto 1994, n. 491, nonche' dall'art. 9 dei dd.-ll. 7 ottobre 1994, n. 570 e 9 dicembre 1994, n. 675, non convertiti in legge e 8 febbraio 1995, n. 32 convertito con la legge n. 104 del 1995, che ha fatto salvi gli effetti prodottisi sulla base di tutti i decreti-legge innanzi citati, per quanto concerne la riduzione del trattamento economico e conseguentemente di quello pensionistico e di fine rapporto. Infatti, in applicazione dell'art. 14, comma 5 dei decreti-legge nn. 95 e 228 del 1994, l'assegno perequativo viene calcolato sulla base dello stipendio iniziale della qualifica rivestita presso l'amministrazione di provenienza incrementato secondo l'anzianita' maturata nella stessa qualifica e non sull'anzianita' di carriera, come avveniva in precedenza, mentre sono state soppresse le indennita' gia' corrisposte presso l'Agensud ed e' stata disposta la corresponsione delle indennita' percepite presso l'amministrazione di destinazione, solo nella misura eccedente l'anzidetto assegno ad personam, che non tiene conto di dette indennita', essendo calcolato con riferimento ai soli stipendi percepiti presso l'amministrazione di provenienza e quella di destinazione. La conferma della riduzione del trattamento economico complessivo puo', ulteriormente desumersi dall'ultima parte del citato comma 5 dell'art. 14 dei decreti-legge nn. 95 e 228 del 1994, laddove dispone che "non sono ripetibili i maggiori assegni corrisposti al personale di cui al comma 1 fino al 31 gennaio 1994". Ancora, la riduzione stipendiale operata per effetto della fissazione, con l'art. 14-bis, comma 1, lett. b) del decreto legislativo n. 96 del 1993, oltre a diminuire lo stipendio, pone un limite massimo indifferenziato, pari al L. 1.500.000, all'assegno personale spettante quale differenza fra il precedente e il nuovo trattamento economico dei dipendenti dell'Agensud transitati alle amministrazioni statali. Esso prevede, altresi', la corresponsione delle altre indennita' percepite presso l'Agensud, solo nella misura eccedente l'importo dell'assegno perequativo, mentre il successivo comma 3 ha confermato la soppressione delle indennita' gia' percepite presso l'Agensud. Tali riduzioni appaiono, irragionevoli ed in violazione del principio della reformatio in peius, secondo quanto sostenuto dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 153 del 1985. Il contenuto dell'art. 14-bis predetto, infine, appare lesivo del principio di uguaglianza, atteso che in tale modo si e' operata una indistinta omologazione, sotto lo stesso livello stipendiale, di personale con quallfiche ed anzianita' diverse, senza possibilita' di tener conto delle differenti funzioni svolte da ciascuno e dei differenti apporti di ciascuno all'attivita' dell'amministrazione di provenienza. Tutto cio', peraltro, ha comportato la violazlone del diritto di uguaglianza anche per cio' che attiene al trattamento pensionistico e previdenziale, in quanto, per effetto di disposizioni contenute in provvedimenti d'urgenza, poi fatti salvi in sede di conversione dell'ultimo decreto-legge (art. 1, comma 2, legge n. 104/1995, di conversione del d.-l. 8 febbraio 1995, n. 32), i dipendenti provenienti dall'Agensud hanno avuto trattamenti pensionistici e di fine rapporto diversi a seconda del momento del loro pensionamento (se precedente o successivo alla data della riduzione stipendiale di cui trattasi e cioe' al 7 febbraio 1994). Il che appare al Collegio non solo immotivato, ma anche irragionevole. Ove, poi, volesse farsi risalire la ragione della disposta riduzione stipendiale a motivi di necessaria omogeneizzazione col trattamento economico dei dipendenti delle amministrazioni di nuova destinazione, andrebbe osservato che per tale omogeneizzazione e' stato comunque usato uno strumento lesivo del principio di uguaglianza, in quanto indifferentemente ridutivo del trattamento stipendiale dei dipendenti, a prescindere da qualunque indicata proporzione rispetto ai trattamenti retributivi di comparazione. D'altra parte, l'omogeneizzazione dei regimi retributivi non puo' ritenersi operante a senso unico, sicche', l'assimilabilita' nella materia in esame delle due categorie di dipendenti avrebbe dovuto comportare l'applicazione anche ai dipendenti dell'Agensud transitati alle amministrazioni statali delle norme sul divieto della reformatio in peius del trattamento economico. Quanto, poi, alla ritenuta violazione dei principi costituzionali in tema di diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata, il Collegio non ignora che la Corte costituzionale ha in piu occasioni affermato che dalla disciplina costituzionale in vigore non e' dato desumere, per i diritti di natura economica connessi al rapporto di pubblico impiego, una particolare protezione contro l'eventualita' di norme retroattive, di talche' su questo piano, il vero limite nei confronti di norme di tale natura non puo' essere ricercato altro che nell'esigenza del rispetto del principio generale di ragionevolezza e che dette norme non si pongano in contrasto con altri principi o valori costituzionali specificamenfe protetti, cosi' da evitare che la disposizione retroattiva possa "trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti" (Cfr. Corte cost. sentenze n. 6 del 1994, n. 822 del 1988 e 349 del 1985 e, nel caso specifico le norme introdotte dalla legge n. 64 del 1986 in favore dei dipendenti dell'ex Cassa per il Mezzogiorno). Ma proprio in tale ottica, il Collegio ritiene che gli artt. 14, comma 5 e l'art. 14-bis, comma 1 lett. b) e comma 3 del decreto legislativo n. 93/1996, come introdotti dai decreti-legge succitati; abbiano irragionevolmente disposto una riduzione del trattamento economico dei dipendenti della disciolta Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, sia per l'entita' della riduzione operata che per la scelta dello strumento di riduzione (modifiche delle modalita' di calcolo dello stipendio tabellare, corresponsione eventuale di una sola parte delle indennita' corrisposte presso le amministrazioni di destinazione, soppressione delle indennita' percepite presso l'Agensud e fissazione di un indifferenziato tetto massimo dell'assegno personale), sia per la mancata considerazione che i dipendenti avevano, incontestatamente, svolto le stesse funzioni e prestazioni lavorative prima e dopo la riduzione stipendiale. In tal modo l'operata riduzione assume piu' il sapore di misura ingiustificata nei confronti di una categoria di dipendenti pubblici che non quello di misura razionalizzatrice, tanto piu' grave ove si rammenti, come gia' esposto in precedenza che tale riduzione non ha operato su tutti i dipendenti provenienti dall'Agensud, ma solo su quelli rimasti in servizio dopo una certa data. La riduzione appare, altresi' irragionevole in quanto, comportando l'abbassamento della base retributiva su cui viene calcolato il trattamento pensionistico e di fine rapporto del dipendente, comporta la violazione dell'art. 38 della Costituzione. Al riguardo va rilevato che la Corte costituzionale ha affermato, nella sentenza n. 822 del 1988 e nella sentenza n. 349 del 1985 che nel nostro sistema costituzionale il legislatore puo' emanare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, quando si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionalmente vigente per la materia penale (art. 25, comma 2, Cost.). Dette disposizioni, pero', al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello stato di diritto (v. sentenze nn. 36 del 1985 e 210 del 1971). Anche se deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni - ha affermato la Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 822 del 1988 - non puo' pero' ammettersi che detto intervento sia assolutamente discrezionale. In particolare, non puo' dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando sia gia' subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico e di fine rapporto in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa. Nella fattispecie, il trattamento pensionistico che, in base alla precedente legge, sarebbe spettato ai ricorrenti si e' irrimediabilmente ridotto di circa la meta' a causa della riduzione del trattamento economico. Inoltre, l'art. 14, comma 8 del decreto legislativo n. 96 del 1993 nel testo introdotto dagli artt. 7 dei decreti legge n. 95 e n. 228 del 1994 ha disposto che nei confronti del personale dell'Agensud transitato nelle amministrazioni statali, si applicano alla data del relativo inquadramento le disposizioni proprie del personale appartenenti alle stesse amministrazioni in materia di fine rapporto. Lo stesso articolo prevede, ancora che cessa l'iscrizione previdenziale presso l'INA e che la polizza ivi intestata all'Agenzia e dall'INA gestita e' ripartita all'atto dell'iscrizione nel ruolo statale per ogni singolo dipendente ed e' corrisposta al momento della cessazione del servizio, aggiuntivamente all'indennita' di buonuscita. Tale disposizione e' stata ribadita dall'art. 14, quarto comma del decreto legislativo n. 96/1993, nel testo introdotto dall'art. 8 dei dd.-ll. 10 giugno 1994, n. 355, 5 agosto 1994, n. 491, nonche' dall'art. 9 dei dd.-ll. 7 ottobre 1994, n. 570, 9 dicembre 1994, n. 675, non convertiti in legge e 8 febbraio 1995, n. 32 convertito con la legge n. 104 del 1995, (che ha fatto salvi gli effetti prodottisi sulla base di tutti i decreti legge innanzi citati). Infatti, l'inderogabile esigenza giustificatrice della riduzione del trattamento retributivo e, di conseguenza, di quello pensionistico e di fine rapporto non puo', ad avviso del Collegio concretarsi nelle ragioni che hanno determinato l'introduzione in via legislativa della disposizione di cui trattasi. L'esigenza di omogeneizzazione con le categorie statali di destinazione e la necessita' di contenimento della spesa previdenziale pensionistica non costituiscono ragioni idonee a giustificare la decurtazione della retribuzione, della pensione e del trattamento di fine rapporto in danno di quei lavoratori che hanno versato contributi a loro carico. per l'intero o in parte, nella legittima aspettativa di conseguire un trattamento pensionistico e di fine rapporto adeguato. Valgono per costoro - come ha affermato la Corte costituzionale nella sopra ricordata decisione - il principio della garanzia della sicurezza sociale, che e' anch'esso di ordine costituzionale (art. 38), oltre che le innegabili ragioni di giustizia sociale e di equita' per cui non possono effettuarsi riforme o conseguire risultati a danno di lavoratori in genere ed in specie di quelli che sono prossimi alla pensione o sono gia' in pensione. Ne' puo' valere, a contrario, la previsione di restituzione dei contributi versati in eccedenza, contenuta nell'art. 14-bis, comma 4 decreto legislativo n. 96/1993, tenuto conto che detta previsione non consente al lavoratore la conservazione, nella posizione di pensionato, di quel tenore di vita nella cui prospettiva aveva prestato la propria opera lavorativa, ponendosi, pertanto, ad avviso del Collegio anch'essa in contrasto con l'art. 38 della Costituzione. In conclusione, il Collegio ritiene rilevanti ai fini del decidere e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale per contrasto con principi del divieto della reformatio in peius e della ragionevolezza, nonche' con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, in quanto nel discipinare il trattamento economico, pensionistico e di fine rapporto dei dipendenti dell'ex Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno presso le amministrazioni di destinazione, non assicurano un importo pari a quello percepito presso l'amministrazione di provenienza, delle seguenti norme: 1) per quanto concerne la riduzione del trattamento economico e conseguentemente del trattamento pensionistico e di quello di fine rapporto: a) dell'art. 1, comma 2 della legge n. 104 del 1995 nella parte in cui sono stati dichiarati validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono stati fatti salvi gli effetti prodottosi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 14, comma 5 del decreto-legge n. 96 del 1993, nel testo introdotto dall'art. 7 dei decreti-legge n. 95 e n. 228 del 1994 e dall'art. 14-bis, comma 1, lett. b) e terzo comma del decreto legislativo n. 96/1993 nel testo introdotto dall'art. 8 dei dd.-ll. 10 giugno 1994, n. 355 e 5 agosto 1994, n. 491, nonche' dall'art. 9 dei dd.-ll. 7 ottobre 1994, n. 570 e 9 dicembre 1994, n. 675 non convertiti in legge; b) dell'art. 14-bis, comma 1, lett. b) e comma 3, del decreto legislativo n. 96/1993, nel testo introdotto dall'art. 9 del decreto-legge n. 32 del 1995 convertito con la legge n. 104 del 1995; 2) per quanto concerne il solo trattamento di fine rapporto: c) dell'art. 1, comma 2 della legge n. 104 del 1995 nella parte in cui sono stati dichiarati validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono stati fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 14, comma 8 del decreto legislativo n. 96 del 1993 nel testo introdotto dall'art. 7 dei decreti-legge nn. 95 e 228 del 1994 e sulla base dello stesso art. 14, comma 4, nel testo introdotto dall'art. 8, dei decreti-legge nn. 355 e 491 del 1994, dall'art. 9 dei decreti-legge nn. 570 e 675 del 1994, non convertiti in legge; d) dell'art. 14, comma 4 del decreto legislativo n. 96 del 1993 nel testo introdotto dall'art. 9 del d.-l. n. 32 dell'8 febbraio 1995, convertito con legge n. 104 del 1995. L'esame di tale questione deve essere, quindi, rimesso al vaglio della Corte costituzionale.
P. Q. M. Il tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. III-bis, dispone la riunione dei due ricorsi indicati in epigrafe e deferisce alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con i principi del divieto della reformatio in peius e della ragionevolezza, noche' degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, delle seguenti norme: 1) per quanto concerne la riduzione del trattamento economico e conseguentemente del trattamento pensionistico e di quello di fine rapporto: a) dell'art. 1, comma 2 della legge n. 104 del 1995 nella parte in cui sono stati dichiarati validi gli atti ed i provvedimenti adottati e son ostati fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 14, comma 5 del decreto legge n. 96 del 1993, nel testo introdotto dall'art. 7 dei dd.-ll. n. 95 e n. 228 del 1994 e dell'art. 14-bis, comma 1, lett. b) e comma 3 del decreto legislativo n. 96/1993, nel testo introdotto dell'art. 8 dei dd.-ll. 10 giugno 1994, n. 355 e 5 agosto 1994, n. 491, nonche' dall'art. 9 dei dd.-ll. 7 ottobre 1994, n. 570 e 9 dicembre 1994, n. 675, non convertiti in legge; b) dell'art. 14-bis, comma 1, lett. b) e comma 3 del decreto legislativo n. 96/1993, nel testo introdotto dall'art. 9 del decreto-legge n. 32 del 1995 convertito con la legge n. 104 del 1995; 2) per quanto concerne il solo trattamento di fine rapporto; c) dell'art. 1, comma 2 della legge n. 104 del 1995 nella parte in cui sono stati dichiarati validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono stati fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 14, comma 8 del decreto legislativo n. 96 del 1993 nel testo introdotto dall'art. 7 dei decreti-legge nn. 95 e 228 del 1994 e sulla base dello stesso art. 14, comma 4, nel testo introdotto dall'art. 8 dei decreti-legge nn. 355 e 491 del 1994, dall'art. 9 dei decreti-legge nn. 570 e 675 del 1994, non convertiti in legge; d) dell'art. 14, comma 4 del decreto legislativo n. 96 del 1993 nel testo introdotto dall'art. 9 del d.-l. n. 32 dell'8 febbraio 1995, convertito con legge n. 104 del 1995. Sospende il giudizio ed ordina l'invio degli atti alla Corte costituzionale. Ordina alla segreteria di notificare la presente ordinanza alle parti del giudizio e al Presidente del Consiglio dei Ministri e di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 17 luglio e del 9 dicembre 1996. Il presidente f.f.: Corasaniti Il consigliere est.: Pellicano' 97C0811