N. 386 SENTENZA 27 novembre - 11 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Dirigenti  di  azienda  in  pensione -
 Adeguamento  pensioni  INPDAI  -  Criteri  -  Identita'   del   thema
 decidendum  a  quello oggetto della sentenza della Corte n. 57/1993 -
 Principio di stretto  rapporto  fra  contribuzione  e  prestazione  -
 Richiesta di sentenza additiva - Inammissibilita'.
 
 (D.-L.  21  marzo  1988,  n. 86, art. 3, comma 2-bis, convertito, con
 modificazione, nella legge 20 maggio 1988, n. 160).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.51 del 17-12-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,    prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Guido  NEPPI  MODONA,    prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI,  prof.  Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis
 del d.-l. 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in  materia  previdenziale,  di
 occupazione  giovanile  e  di  mercato  del  lavoro,  nonche'  per il
 potenziamento del sistema informatico  del  Ministero  del  lavoro  e
 della  previdenza sociale), convertito nella legge 20 maggio 1988, n.
 160, promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1996 dal  pretore  di
 Torino  sul  ricorso  proposto  da  Gallian  Claudio  ed altri contro
 l'INPDAI,  iscritta  al  n.  1296  del  registro  ordinanze  1996   e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 49, prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli atti di  costituzione  di  Gallian  Claudio  ed  altri  e
 dell'INPDAI nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
 dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  novembre  1997  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto;
   Uditi l'avv.to  Filippo  Satta  per  Gallian  Claudio  ed  altri  e
 l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  in cui i ricorrenti, dirigenti
 d'azienda in pensione, avevano chiesto l'adeguamento  delle  pensioni
 in   godimento,  erogate  dall'INPDAI,  il  pretore  di  Torino,  con
 ordinanza emessa il 7 ottobre  1996,  ha  sollevato,  in  riferimento
 all'art.    3   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis del d.-l. 21 marzo  1988,  n.
 86  (Norme  in  materia  previdenziale, di occupazione giovanile e di
 mercato  del  lavoro,  nonche'  per  il  potenziamento  del   sistema
 informatico  del  Ministero  del  lavoro e della previdenza sociale),
 convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio  1988,  n.  160,
 nella  parte  in  cui,  ai  fini  del  calcolo della pensione erogata
 dall'INPDAI, limita il raddoppio dei massimali annui del  quinquennio
 1983-1987  esclusivamente  a  coloro  che  sono  stati  collocati  in
 pensione a partire dal 1 gennaio 1988.
   Premette il giudice a quo che, in un  precedente  giudizio,  i  tre
 odierni  attori,  collocati  in pensione anteriormente al 31 dicembre
 1987, avevano, unitamente ad altri, proposto analoga  domanda.  Essi,
 infatti,   avevano  richiesto  l'applicazione  del  piu'  vantaggioso
 criterio di calcolo della pensione stabilito dall'art. 3, comma 2-bis
 del d.-l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni,  nella
 legge  20  maggio  1988,  n.  160, secondo il quale, ai fini di detto
 calcolo,  per  le  pensioni  liquidate  dall'INPDAI "con decorrenza a
 partire  dal  1  giugno  1988"  le  retribuzioni  annue  relative  al
 quinquennio  precedente  sono prese in considerazione entro il limite
 pari  al  doppio  dei  massimali  annui  in  vigore  nel  quinquennio
 suddetto.  Con  ordinanza emessa il 12 maggio 1992, che integralmente
 riporta, lo stesso pretore aveva sollevato la medesima questione.  In
 tale   occasione  egli  aveva  respinto  la  domanda  dei  ricorrenti
 collocati in pensione prima del quinquennio anteriore  al  1  gennaio
 1988, anche in ossequio alla giurisprudenza costituzionale in tema di
 "tetti"  pensionistici  e di scelte legislative circa le demarcazioni
 temporali delle prestazioni previdenziali.
   La questione allora  sollevata  concerneva  dunque  tre  dirigenti,
 andati  in  pensione  prima  del  1 gennaio 1988 ma nel corso di quei
 cinque  anni,  cioe'  proprio  in  quel  quinquennio  che  gli  altri
 dirigenti,  collocati  viceversa  in  pensione successivamente a tale
 data,  si  erano  visti  raddoppiare  quanto  a  computabilita'   dei
 massimali ai fini del calcolo pensionistico.
   In  tale  differenziazione  il pretore ravvisava irragionevolezza e
 violazione  dell'art.  3  sotto  il  profilo  della   disparita'   di
 trattamento,  osservando  in proposito come coloro che fossero andati
 in pensione dopo il 31 dicembre 1987  beneficiassero  di  un  calcolo
 della  pensione  basato  sul  raddoppio  del  tetto  retributivo  del
 precedente quinquennio, mentre chi fosse  andato  in  pensione  prima
 della  data indicata percepiva una pensione commisurata al previgente
 massimale e, malgrado le successive perequazioni, era ben lontano dal
 potersi giovare del sostanziale raddoppio della base contributiva  di
 riferimento.  In  sostanza  le contribuzioni afferenti al quinquennio
 1983-1987,  a  parita'  di  tetto   retributivo   e   di   versamenti
 previdenziali,  finivano per incidere in misura diversa a seconda che
 l'interessato fosse andato in pensione prima o dopo la data indicata.
   Il pretore rimettente dubitava della  ragionevolezza  della  scelta
 legislativa,    richiamando   alcune   decisioni   della   Corte   ed
 esemplificando  altresi'   la   prospettata   disparita'   attraverso
 l'ipotesi di due dirigenti collocati in pensione, rispettivamente, il
 1  gennaio  1987  ed  il  1  gennaio  1988.  In  tal  caso i tre anni
 contributivi comuni e per i quali i versamenti sono  stati  identici,
 venivano a "pesare" in maniera ben diversa nel calcolo della pensione
 e  precisamente  per  il  doppio  soltanto  nel  secondo  caso:  cio'
 esclusivamente in ragione  della  data  del  pensionamento.  Chiedeva
 quindi  una pronuncia caducatoria dell'inciso - contenuto nella norma
 censurata - che recita: "con  decorrenza  a  partire  dal  1  gennaio
 1988";  in  tal  modo tutti coloro che fossero andati in pensione nel
 quinquennio avrebbero  goduto  per  gli  anni  utili,  del  raddoppio
 disposto dalla norma.
   Prosegue l'attuale rimettente rilevando come la Corte, con sentenza
 n.  57  del  1993,  nel dichiarare la questione inammissibile, avesse
 peraltro affermato che competeva  al  legislatore  un  intervento  di
 razionalizzazione  complessiva,  volto a ripristinare la legittimita'
 costituzionale del tessuto normativo,  intervento  che  non  appariva
 ulteriormente  dilazionabile: la questione non avrebbe infatti potuto
 non essere riconsiderata, anche sotto profili  diversi,  ove  non  si
 fosse  provveduto ad armonizzare e non gia' a segmentare nel tempo la
 linea  diagrammatica  che   segnava   l'andamento   dei   trattamenti
 pensionistici in argomento.
   Conclude  quindi  il  giudice  a  quo che, a causa dell'inerzia del
 legislatore al  riguardo,  egli  non  puo'  sottrarsi  "all'onere  di
 prospettare nuovamente la stessa questione".
   2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato che,  riservandosi
 di   dedurre   ulteriormente,   ha   concluso   per  la  declaratoria
 d'inammissibilita' o, in subordine, di non fondatezza.
   3. - Nel giudizio dinanzi a  questa  Corte  si  sono  costituiti  i
 ricorrenti,  riportandosi  ampiamente alle motivazioni della sentenza
 n. 57 del 1993 e citando peraltro anche le sentenze  n.  1  del  1993
 (come  esempio  di  eliminazione di una irragionevole discriminazione
 all'interno della stessa categoria) e n. 243 dello stesso  anno  che,
 nel   riconoscere   la   computabilita'  dell'indennita'  integrativa
 speciale della buonuscita,  ha  escluso  di  poter  proseguire  sulla
 strada  delle  declaratorie  d'inammissibilita'  rivolgendo moniti al
 legislatore nella perdurante inerzia di quest'ultimo.  Hanno concluso
 i ricorrenti per la declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale,
 osservando  come  i  provvedimenti di perequazione - tutti precedenti
 alla sentenza n. 57 del  1993  -  abbiano  avuto  una  portata  assai
 limitata.
   Con  ulteriore memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, essi
 hanno sottolineato che i suddetti interventi perequativi erano  tutti
 presenti  alla  Corte  nella  sentenza  n.  57  del  1993,  si'  che'
 l'adeguatezza   degli   stessi   avrebbe   concorso    nell'affermare
 l'illegittimita'  del  sistema  normativo,  la'  dove  per  il citato
 quinquennio accorda il raddoppio  dei  massimali  ai  soli  dirigenti
 collocati  in pensione a partire dal 1 gennaio 1988. L'illegittimita'
 si sostanzierebbe poi - secondo la difesa - interamente  nella  norma
 impugnata,  del  cui precetto il d.m. 25 luglio 1988, n. 422, sarebbe
 pedissequamente  attuativo,  avendone  solo  dettato   le   modalita'
 applicative.
                         Considerato in diritto
   1.  - Il pretore di Torino dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, comma 2-bis del d.-l. 21 marzo 1988, n. 86,  convertito,
 con modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, nella parte in
 cui  prevede che soltanto per i dirigenti collocati in quiescenza dal
 1 gennaio 1988  la  pensione  si  calcoli  raddoppiando  i  massimali
 contributivi  del  precedente quinquennio. Il giudice a quo ripropone
 la medesima questione gia' dichiarata inammissibile da  questa  Corte
 con  la sentenza n. 57 del 1993, reiterando la stessa censura, sempre
 in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,   per   l'asserita
 irragionevolezza   intrinseca   della   norma   e  la  disparita'  di
 trattamento  che  essa  avrebbe  determinato  rispetto  ai  dirigenti
 collocati in pensione nel quinquennio antecedente alla data predetta,
 i  quali,  a  parita'  di  contribuzione,  si sono visti calcolare la
 pensione entro il limite dei massimali allora vigenti. A  parere  del
 rimettente, il tempo ormai trascorso dalla succitata decisione, senza
 che  il  legislatore abbia proceduto all'intervento correttivo allora
 apparso alla Corte non ulteriormente dilazionabile,  giustificherebbe
 un nuovo scrutinio di costituzionalita'.
   2. - La questione e' inammissibile.
   2.1.  -  Il  thema  decidendum proposto dal pretore di Torino - che
 motiva l'ordinanza di rimessione riportando  letteralmente  il  testo
 del  proprio  precedente  atto di promovimento - e' identico a quello
 oggetto della sentenza n. 57 del 1993, con cui la questione e'  stata
 dichiarata  inammissibile per molteplici ragioni, nessuna delle quali
 e' venuta meno.
   Vero e' che nella motivazione di quella sentenza, la Corte  ritenne
 di  dover  segnalare  l'esigenza  di  un'armonizzazione  della  linea
 d'andamento dei  trattamenti  pensionistici  in  esame,  da  attuarsi
 attraverso   un   intervento   di  razionalizzazione  complessiva  di
 competenza del legislatore.  Ma cio' essa fece in connessione diretta
 col duplice rilievo: 1) che  l'illegittimita'  costituzionale,  cosi'
 come prospettata, sembrava "sostanziarsi nella concessione stessa del
 beneficio,   o  meglio  nella  previsione  regolamentare  che  ne  ha
 determinato le modalita',  piu'  che  nella  mancata  estensione  del
 medesimo";  2)  che  il "raddoppio dei massimali senza un correlativo
 recupero delle perequazioni medio tempore intervenute ed  in  assenza
 di  un'equa  regola  di  contribuzione  (conseguente  alla  richiesta
 pronuncia   d'incostituzionalita'),   determinerebbe    un    assetto
 incoerente del sistema".
   Ragioni,  codeste,  concorrenti  con  le  altre poste in luce nella
 stessa    motivazione,    onde    pervenire     alla     declaratoria
 d'inammissibilita';  e che permangono immutate, stante la surrilevata
 identicita' dell'odierna prospettazione, anche con riguardo all'unico
 parametro evocato, rispetto alla precedente.
   2.2. - A quanto sopra va aggiunto che, durante il tempo  da  allora
 trascorso,  s'e'  venuto  evolvendo  tutto  il  quadro del sistema di
 previdenza,  il  quale  appare  ora  caratterizzato  dal   definitivo
 affermarsi  di  uno  stretto rapporto fra contribuzione e prestazione
 come principio generale del sistema stesso.
   Nel disegno globale di quest'ultimo - gia' in corso  di  attuazione
 attraverso  il  decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 181, emanato a
 seguito della delega contenuta nell'art. 2, comma 22, della  legge  8
 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e
 complementare)   -   l'opera  del  legislatore  non  puo'  ormai  che
 articolarsi, fuori dai vecchi schemi del peculiare regime riguardante
 i dirigenti d'azienda dell'INPDAI, secondo  le  nuove  coordinate  di
 omogeneizzazione  dei  trattamenti,  le  quali vieppiu' accentuano la
 complessita' delle possibili soluzioni del problema qui in esame. Per
 cui e'  da  ritenersi,  da  una  parte,  che  la  pronuncia  additiva
 riprospettata  dal  giudice  a  quo condurrebbe ad un risultato ancor
 piu' incoerente che nel 1993 e, dall'altra,  che  non  e'  consentito
 impostare ora la questione di costituzionalita' negli stessi termini,
 alla stregua dei quali questa Corte auspico' allora un intervento del
 legislatore vo'lto alla razionalizzazione della normativa in esame.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, comma 2-bis del d.-l. 21 marzo 1988,  n.  86  (Norme  in
 materia  previdenziale,  di  occupazione  giovanile  e di mercato del
 lavoro, nonche' per il  potenziamento  del  sistema  informativo  del
 Ministero  del  lavoro  e  della previdenza sociale), convertito, con
 modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160 (Norme  in  materia
 previdenziale,  d'occupazione  giovanile  e  di  mercato  del lavoro,
 nonche' per il potenziamento del sistema  informatico  del  Ministero
 del  lavoro  e  della  previdenza sociale), sollevata, in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Torino con  l'ordinanza
 in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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