N. 399 ORDINANZA 27 novembre - 11 dicembre 1997
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Sentenza di applicazione della pena - Accertamento della colpevolezza dell'imputato o pronuncia di "condanna" alla pena concordata tra le parti - Omessa previsione - Richiesta di sentenza additiva - Discrezionalita' del legislatore (vedi sentenze nn. 265 del 94 e 129 del 1993, 187 e 92 del 1992) - Manifesta inammissibilita'. (C.P.P., art. 444). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.51 del 17-12-1997 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco GUIZZI; Giudici: prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 444 del codice di procedura penale, promossi con n. 3 ordinanze emesse il 21, il 24 ed il 21 febbraio 1997 dal pretore di Catania, sezione distaccata di Acireale, rispettivamente iscritte ai nn. 263, 264 e 265 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1997. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 12 novembre 1997 il giudice relatore Guido Neppi Modona; Ritenuto che con tre ordinanze di analogo contenuto (r.o. nn. 263, 264 e 265/1997) il pretore di Catania, sezione distaccata di Acireale, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 444 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, nel pronunciare la sentenza di applicazione della pena, accerti la colpevolezza dell'imputato, ovvero lo dichiari colpevole del reato, ovvero ne pronunci "condanna" alla pena concordata tra le parti, in riferimento agli articoli 27, primo e secondo comma, e 3 della Costituzione (quest'ultimo richiamato solo nell'ordinanza n. 264/1997); che, in particolare, il giudice rimettente lamenta che, alla stregua dell'interpretazione che il "diritto vivente" riserva all'art. 444 cod. proc. pen., la sentenza di applicazione della pena prescinde dal previo accertamento non solo della responsabilita' dell'imputato, ma della stessa sussistenza del fatto-reato; che tale disciplina violerebbe i principi costituzionali della personalita' della responsabilita' penale e della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, nonche' il principio di ragionevolezza, creando una assurda disparita' di trattamento tra imputati a seconda del rito applicato; che ad avviso del giudice rimettente si tratta di "una concezione aberrante, sia sul piano etico che giuridico, perche', scindendo pena da responsabilita', vulnera il principio fondamentale del diritto penale secondo cui non puo' esserci applicazione di pena (cioe' condanna penale) senza accertamento di responsabilita'"; che la questione di legittimita' costituzionale non investirebbe, secondo l'opinione del rimettente, l'istituto del patteggiamento nel suo complesso, in quanto il giudice avrebbe la possibilita' di acquisire la certezza morale della colpevolezza dell'imputato patteggiante sulla base sia della stessa richiesta di applicazione della pena, che comporta una implicita ammissione di responsabilita', sia degli atti delle indagini preliminari, ma solo la funzione della sentenza di applicazione della pena, che alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimita' non comporta un accertamento di responsabilita'; che nei vari giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con distinti ma identici atti di intervento, che la questione sia dichiarata infondata; Considerato che, in relazione al pressoche' identico contenuto delle tre ordinanze, deve disporsi la riunione dei relativi giudizi; che, a prescindere dalla plausibilita' della ricostruzione operata dal giudice rimettente circa la natura della sentenza di applicazione della pena e delle conclusioni che egli trae dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita' in materia, la questione pone in realta' in discussione non solo la natura di tale sentenza, ma la stessa struttura e la disciplina complessiva dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti; che, in effetti, la richiesta del giudice rimettente di una sentenza additiva ove si affermi che il giudice, nel pronunciare sentenza di applicazione della pena, debba accertare la colpevolezza dell'imputato, o dichiararlo colpevole del reato, ovvero pronunciare, quantomeno, condanna alla pena concordata tra le parti, comporterebbe una completa revisione dell'istituto in esame, in quanto la diversa natura che il rimettente vorrebbe attribuire alla sentenza di applicazione della pena rispetto a quella risultante dall'attuale disciplina non potrebbe non riflettersi sui controlli e sugli accertamenti giurisdizionali che il giudice e' chiamato ad effettuare prima di accogliere la richiesta delle parti (per cui v. sentenze n. 155 del 1995, n. 116 del 1992, n. 313 del 1990), nonche' sugli effetti della sentenza medesima; che, in particolare, al fine di rendere l'istituto dell'applicazione della pena adeguato alla qualificazione che il rimettente vorrebbe attribuire alla sentenza di cui all'art. 444, comma 2, cod. proc. pen., dovrebbe comunque essere riscritta ex novo la disciplina che attualmente subordina l'accoglimento della richiesta di applicazione della pena alla condizione che il giudice non debba pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., e circoscrive il controllo giurisdizionale del giudice all'accertamento della correttezza della qualificazione giuridica del fatto e dell'applicazione e comparazione delle circostanze del reato, nonche' alla verifica sulla congruita' della pena indicata dalle parti; che tali interventi, in quanto incidenti sui meccanismi predisposti dal codice di rito per creare un opportuno equilibrio tra la struttura negoziale dell'istituto dell'applicazione della pena, basato sull'iniziativa delle parti, e gli irrinunciabili accertamenti e controlli giurisdizionali, sono riservati alla sfera di discrezionalita' del legislatore; che, anche con specifico riferimento alla disciplina dei procedimenti speciali, questa Corte ha ripetutamente affermato che sono inammissibili questioni formulate in termini tali da comportare interventi legislativi non costituzionalmente vincolati e, in quanto tali, rientranti nella sfera della discrezionalita' del legislatore (v. sentenze n. 265 del 1994, 129 del 1993, nn. 187 e 92 del 1992); che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile; Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 444 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal pretore di Catania, sezione distaccata di Acireale, con le ordinanze in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1997. Il Presidente: Guizzi Il redattore: Neppi Modona Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1997. Il direttore della cancelleria: Di Paola 97C1412