N. 187 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 gennaio 1998

                                N. 187
  Ordinanza  emessa  l'8  gennaio  1998  dal  tribunale amministrativo
 regionale di Trento sul  ricorso  proposto  dall'Impresa  costruzioni
 f.lli  Azzolini  s.r.l.    contro  la provincia autonoma di Trento ed
 altre
 Giustizia   amministrativa   -   Giudizi   dinanzi    ai    Tribunali
    amministrativi regionali e al Consiglio di Stato aventi ad oggetto
    provvedimenti  di  aggiudicazione,  affidamento  ed  esecuzione di
    opere pubbliche o di pubblica utilita', ivi comprese le  procedure
    di  occupazione  ed  espropriazione delle aree ad essa destinate -
    Pronuncia  sull'istanza  di   sospensione   -   Previsione   della
    possibilita'  di definizione immediata del giudizio nel merito con
    motivazione abbreviata - Riduzione a  meta'  di  tutti  i  termini
    processuali  e,  in  particolare,  di  quello  di decadenza per la
    proposizione  del  ricorso  - Deteriore trattamento del ricorrente
    rispetto alla pubblica amministrazione e  al  controinteressato  -
    Incidenza  sul  diritto  di  difesa  e  sul principio della tutela
    giurisdizionale.
 (D.-L. 25 marzo 1997, n. 67,  art.  19,  convertito,  con  modifiche,
    nella legge 23 maggio 1997, n. 135).
 (Cost., artt. 3, 24, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma).
(GU n.13 del 1-4-1998 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 555 del 1997
 proposto   dall'Impresa   costruzioni    f.lli    Azzolini    s.r.l.,
 rappresentata  e  difesa  dall'avv. Mario Maccaferri ed elettivamente
 domiciliata presso il suo studio  in  Trento,  via  Grazioli  n.  31;
 contro  la provincia autonoma di Trento, in persona del presidente in
 carica  della  Giunta  provinciale,  rappresentata  e  difesa   dagli
 avvocati  Damiano  Florenzano, Nicolo' Pedrazzoli e Fernando Spinelli
 ed elettivamente domiciliata in Trento presso il servizio legale  per
 gli  affari  contenziosi  della  provincia  autonoma  di  Trento, via
 Romagnosi n.  9;  e  nei  confronti  dell'Impresa  Chini  costruzioni
 s.p.a.,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.    Giulio  Giovannini ed
 elettivamente  domiciliata  presso  il  suo  studio  in  Trento,  via
 Serafini n. 9 e delle Imprese I.R.E.S. s.r.l. e A.T.I.  Iobstraibizer
 Marcello  C. e Sabbia Ghiaia Calcestruzzi s.n.c., non costituitesi in
 giudizio;  per  l'annullamento,  previa  sospensione,  del verbale di
 licitazione n. di rep. 21208 del 23 ottobre 1997 relativo  alla  gara
 di  appalto  mediante licitazione privata per i lavori di recupero di
 Palazzo Tambosi, p. ed, 962 C.C. Trento (II e III stralcio  unificato
 esecutivo)   con  cui  la  commissione  giudicatrice  nominata  dalla
 provincia autonoma di Trento ha dichiarato aggiudicataria dei  lavori
 l'Impresa  Chini  costruzioni  s.p.a.,  nonche'  di  tutti  gli  atti
 presupposti  e/o   conseguenti   al   provvedimento   impugnato,   in
 particolare dei verbali della Commissione preposta alla gara.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visti gli atti di costituzione in giudizio della provincia autonoma
 di Trento e della ditta controinteressata e le annesse produzioni;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Uditi  sulla  domanda  incidentale  di  sospensione nella Camera di
 consiglio  dell'8  gennaio  1998,  relatore  il   consigliere   Luigi
 Antonini,  l'avv. Mario Maccaferri per la societa' ricorrente, l'avv.
 Damiano Florenzano per l'amministrazione  resistente,  l'avv.  Giulio
 Giovannini per la controinteressata;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con  ricorso  notificato  il 17 e il 18 dicembre e depositato il 24
 dicembre 1997  la  ricorrente  societa'  costruzioni  f.lli  Azzolini
 s.r.l.    ha  impugnato  il  verbale  23 ottobre 1997 con il quale la
 commissione giudicatrice della licitazione privata per  l'affidamento
 dei  lavori  di  recupero di Palazzo Tambosi ha aggiudicato l'appalto
 all'impresa  Chini  costruzioni  s.p.a.,  chiedendone  l'annullamento
 previa sospensione.
   Con   unico   motivo   di   ricorso,   la  ricorrente  sostiene  la
 irregolarita' delle offerte della aggiudicataria, del  raggruppamento
 Iobstraibizer  s.n.c.  e  Sabbia  Ghiaia  Calcestruzzi s.n.c. nonche'
 della I.R.E.S.  s.r.l., rilevando come la  esclusione  anche  di  una
 sola  delle  offerte  delle  tre ditte farebbe decadere la vincitrice
 Chini   a   vantaggio   della   ricorrente   che  risulterebbe  cosi'
 aggiudicataria.
   Si e' costituita in giudizio la provincia intimata che,  dopo  aver
 sollevato eccezione di irricevibilita' del ricorso notificato oltre i
 30 giorni previsti dall'art. 19, comma 2, del d.-l. 25 marzo 1997, n.
 67,  convertito con modificazioni in legge 23 maggio 1997, n. 135, ne
 ha chiesto il rigetto per infondatezza.
   Anche la aggiudicataria si e' costituita in giudizio, eccependo  la
 tardivita'  del  ricorso  e  chiedendone  comunque  la  reiezione nel
 merito.
   Alla camera di  consiglio  dell'8  gennaio  1998,  fissata  per  la
 discussione della istanza di sospensione del provvedimento impugnato,
 le parti hanno insistito nelle rispettive tesi; il difensore di parte
 ricorrente  ha  dato  atto  che  la  provincia  autonoma di Trento ha
 depositato in giudizio tutti gli atti necessari ai fini del decidere.
 La causa e' stata quindi tattenuta in decisione.
                             D i r i t t o
   1. - Il  ricorso  in  esame  e'  rivolto  all'annullamento,  previa
 sospensione,  di un provvedimento di aggiudicazione di opera pubblica
 e ricade quindi sotto la disciplina dell'art. 19 del d.-l.  25  marzo
 1997,   n.   67   (contenente   "Disposizioni  urgenti  per  favorire
 l'occupazione"), convertito con modificazioni nella legge  23  maggio
 1997, n. 135.
   Ora,  il  comma  2  del citato art. 19 (recante "Norme sul processo
 amministrativo") dispone che "il Tribunale amministrativo  regionale,
 chiamato  a  pronunciarsi sulla domanda di sospensione, puo' definire
 immediatamente il giudizio  nel  merito,  con  motivazione  in  forma
 abbreviata.    Le  medesime  disposizioni  si  applicano  davanti  al
 Consiglio di Stato in caso di domanda di sospensione  della  sentenza
 appellata"   (mentre  nella  versione  originaria  del  d.-l.  questa
 facolta'  era  prevista  soltanto  nel  caso  in  cui  il   Tribunale
 amministrativo   regionale   avesse   accertato  l'irricevibilita'  o
 l'inammissibilita' o l'infondatezza del ricorso);  da  parte  sua  il
 comma  3  dispone che "tutti i termini processuali sono ridotti della
 meta' ed il dispositivo della  sentenza  e'  pubblicato  entro  sette
 giorni dalla data dell'udienza con deposito in cancelleria".
   Tali  disposizioni normative, consentendo al giudice amministrativo
 di superare la richiesta fase cautelare con una pronuncia sul  merito
 attraverso una procedura sommaria, consistente anche nel dimezzamento
 di  tutti  i  termini  processuali  (pure nel grado d'appello), fanno
 sorgere al Collegio, in sede applicativa delle stesse, seri dubbi  di
 legittimita'  costituzionale  con  riferimento agli artt. 3, 24, 103,
 primo comma, 113 e 125, secondo comma, Cost.
   2.  -  Il  Collegio  ritiene  in  primo  luogo  non  manifestamente
 infondata la questione di costituzionalita', che sollevasi d'ufficio,
 per  contrasto  con  le citate disposizioni costituzionali, dell'art.
 19, comma 1 e 3,  del  decreto  legislativo  n.  67  del  1997,  come
 modificato con la legge di conversione 23 maggio 1997, n. 135 in base
 al   quale,   come   si  e'  piu'  sopra  evidenziato,  il  Tribunale
 amministrativo  regionale,  chiamato  a  pronunciarsi,   come   nella
 fattispecie,  sulla  domanda di sospensione dell'atto impugnato, puo'
 passare direttamente alla  decisione  di  merito,  saltando  la  fase
 cautelare,  senza una specifica concorde richiesta delle parti in tal
 senso.
    Nessun  dubbio  sussiste,  poi, sulla rilevanza della questione di
 legittimita' costituzionale di cui trattasi, dato che la pronuncia in
 ordine  alla  stessa  incidera'   in   maniera   determinante   sulla
 possibilita' o meno da parte di questo giudice di assumere l'indicata
 pronuncia nell'attuale fase processuale.
   Con  particolare  riguardo  al  comma  2,  il Collegio non puo' non
 rilevare che una siffatta facolta' attribuita al giudice al di  fuori
 ed  indipendentemente  da  una  previa  e  specifica fissazione della
 udienza di discussione  nel  merito  del  ricorso  (essendo  soltanto
 fissata  la  camera  di  consiglio  per la discussione e la decisione
 della istanza di sospensione) appare lesiva del  diritto  di  difesa,
 garantito  dagli  artt. 3, 24 e 113 Cost.  e si risolve, altresi', in
 una illegittima limitazione della facolta' di richiedere ed  ottenere
 un provvedimento cautelare.
   Il carattere essenziale ed ineliminabile del procedimento cautelare
 e la sua intima compenetrazione con il processo di merito nell'ambito
 del   sistema   di  giustizia  amministrativa  e'  stato  piu'  volte
 evidenziato  dalla  Corte  costituzionale  (sentenze  nn.   284/1974;
 227/1975; 8/1982; 190/1985; 249/1996), la quale ha anche sottolineato
 la  illegittimita'  della  esclusione  o della limitazione del potere
 cautelare con riguardo a determinate categorie di atti o al  tipo  di
 vizio   denunciato   e  la  necessita',  alla  stregua  dei  principi
 costituzionali, del procedimento cautelare anche in sede  di  appello
 (sent.  n.  8/1982  citata),  giudizio  questo  che risulta del tutto
 soppresso nel grado d'appello alla luce del secondo periodo contenuto
 nel comma 2 in esame il quale prevede che "le  medesime  disposizioni
 si  applicano  davanti  al  Consiglio  di Stato in caso di domanda di
 sospensione della sentenza appellata".
   In ogni caso va ribadito che nel giudizio di primo grado, rilevante
 nel caso di specie, il ricorrente, ove si determini, nella materia di
 cui trattasi, a richiedere un provvedimento cautelare, potra'  vedere
 convertita,  ad  esclusiva  opera  del  giudice  e  quindi  in aperto
 contrasto con il generale principio dell'impulso di parte proprio del
 processo amministrativo, la sua istanza cautelare in una  (richiesta)
 di trattazione e decisione immediata nel merito del ricorso, peraltro
 con procedura sommaria.
   In  altre  parole,  il  legislatore  ha  previsto  che,  ai fini di
 celerita' del processo amministrativo nella materia in questione,  il
 giudice  abbia  la  facolta'  di  sopprimere  la  fase cautelare e di
 definire il giudizio nel merito ed ha  attribuito  tale  facolta'  di
 scelta  senza  individuare  modalita'  e  presupposti in presenza dei
 quali il giudice stesso possa legittimamente esercitarla. Si  tratta,
 quindi,  di  una  illegittima  soppressione  dell'essenziale giudizio
 cautelare  o  quanto  meno   di   una   sua   grave   compromissione,
 inaccettabile  anche  alla  luce  della  direttiva comunitaria 665/89
 (c.d. direttiva ricorsi),  in  base  alla  quale  "gli  Stati  membri
 prendono  i  provvedimenti  necessari  per  garantire che, per quanto
 riguarda  le  procedure  di  aggiudicazione  degli  appalti  pubblici
 disciplinati  dalle  direttive  71/305/CEE  e 76/62/CEE, le decisioni
 prese dalle autorita' aggiudicatrici possano  essere  oggetto  di  un
 ricorso efficace e, in particolare, quanto piu' rapido possibile...".
 Con siffatta direttiva, infatti, si intende perseguire la "efficacia"
 mediante  la  attuazione  delle  disposizioni contenute nell'art. 2.1
 della stessa direttiva 665/89 e quindi mediante la  adozione  con  la
 massima  sollecitudine  e  con procedura di urgenza di "provvedimenti
 provvisori intesi a riparare la violazione o impedire che altri danni
 siano causati agli  interessi  coinvolti,  compresi  i  provvedimenti
 intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione
 pubblica  di  un  appalto o l'esecuzione di qualsiasi decisione presa
 dalle   autorita'   aggiudicatrici"   (lettera   a));   provvedimenti
 provvisori,  quindi,  da prevedersi necessariamente negli ordinamenti
 giuridici degli Stati membri.
   Per contro, nel  sistema  emergente  dall'art.  19,  comma  2,  del
 decreto  legislativo n. 67 del 1997 (e della legge di conversione) al
 ricorrente che intenda avere, come e' suo  diritto,  un  p"ocedimento
 ordinario   non   resta   altra   alternativa   che  rinunciare  alla
 proposizione dell'istanza  di  provvedimento  cautelare  al  fine  di
 impedire  al giudice di convertirla in richiesta meritale a carattere
 sommario: in  tal  modo  il  ricorrente  viene  anche  posto  in  una
 posizione     processuale     deteriore     rispetto     a     quella
 dell'amministrazione e del controinteressato, con palese  violazione,
 dell'art. 3 in relazioine all'art. 24 Cost.
   D'altra  parte,  una  rinuncia (obbligata) alla fase cautelare (per
 ottenere un normale giudizio di merito nel quale esplicare appieno il
 diritto di difesa) puo' comportare la definitiva compromissione della
 posizione giuridica del ricorrente, senza che  sia  sempre  possibile
 una  reintegrazione della stessa attraverso il risarcimento del danno
 subi'to  (reintegrazione  che  comunque  non  puo'  mai  porsi  sopra
 illustrata  direttiva  comunitaria).  Il  risarcimento  del danno, in
 materia di appalti pubblici di lavori o di  forniture,  e',  infatti,
 previsto  solo  in  relazione  a  lesioni causate da atti compiuti in
 violazione  del  diritto  comunitario  o  delle  relative  norme   di
 recepimento  (art.    13,  legge  19  febbraio  1992, n. 142), mentre
 l'analoga previsione, contenuta originariamente nell'art.  32,  legge
 n.  109  del 1994 (e relativa alle lesioni derivanti da atti compiuti
 in violazione della stessa legge e del relativo regolamento) e' stata
 eliminata ad opera dell'art. 9-bis del decreto legislativo n. 101 del
 1995.
   La rinuncia obbligata alla fase cautelare per ottenere un ordinario
 giudizio di merito nel quale esplicare appieno il diritto di  difesa,
 nel  senso sopra illustrato, non e' stata mai, del resto, prevista in
 precedenza: tanto e' vero che la Corte costituzionale con la sentenza
 16 luglio 1996, n.  249  ha  dichiarato  infondata  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 31-bis della legge n. 109 del
 1994  (come  introdotto  dall'art.  9  del  decreto  legislativo   n.
 101/1995,  convertito  in legge n. 216/1995) in quanto tale norma, al
 comma 3, attribuendo all'amministrazione ed al  controinteressato  la
 facolta'  di  chiedere la trattazione urgente del merito, non esclude
 comunque che il giudice sia tenuto a pronunciarsi  sulla  domanda  di
 sospensione del provvedimento impugnato.
   3.  -  La  sollevata eccezione di tardivita' del ricorso, in quanto
 notificato il 17 e il 18 dicembre 1997 e quindi oltre il  termine  di
 trenta  giorni  (previsto  dall'art.  19, comma 2, del d.-l. 25 marzo
 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, in legge 23 maggio  1997,
 n.  135)  dalla  piena  conoscenza  dell'atto  impugnato,  induce  il
 Collegio  a  sollevare  d'ufficio,  la  questione   di   legittimita'
 costituzionale,  per  contrasto  con  gli  artt.  3,  24 e 113 Cost.,
 dell'art. 19 citato, nella parte in cui  dispone  la  riduzione  alla
 meta'  di  tutti  i  temini processuali ivi compreso anche il termine
 decadenziale per la proposizione del ricorso previsto  dall'art.  21,
 legge  6 dicembre 1971, n. 1034, questione senz'altro rilevante e non
 manifestamente infondata.
   Si  e'  gia'  sottolineato  come  nella  versione  originaria   del
 decreto-legge  in  parola  era  prevista al comma 3 la riduzione alla
 meta'  dei  "termini  processuali"  nei  giudizi  aventi  ad  oggetto
 provvedimenti  di  aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere
 pubbliche o di  pubblica  utilita',  ivi  comprese  le  procedure  di
 occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate.
   La  legge  di  conversione  n.  135 del 23 maggio 1997, ha, invece,
 ampliato la portata del comma 3, precisando, che  la  riduzione  alla
 meta' riguarda "tutti" i termini processuali.
   Tanto premesso, non sembra possa dubitarsi che la riduzione a meta'
 dei  suddetti  termini  debba  riguardare  anche  i  sessanta  giorni
 previsti dall'art. 21, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 per la notifica
 del    ricorso    giurisdizionale    all'Amministrazione     e     ai
 controinteressati,  tanto piu' che il comma 6 prevede la riduzione da
 sessanta  a  trenta  giorni,  decorrenti  dalla  notificazione  della
 sentenza, del termine per la proposizione dei motivi di appello.
   Siffatta  giurisdizionale  e',  pero',  idonea a frapporre un serio
 ostacolo alla instaurazione del processo, in ragione  della  brevita'
 del  termine medesimo, ed e' quindi lesiva in concreto del diritto di
 difesa garantito dagli artt. 24, 103, primo comma, 113 e 125, secondo
 comma, Cost.;  e  tale  dimidiazione  del  (gia'  contenuto)  termine
 decadenziale  e'  posta  solo  a  carico  di determinate categorie di
 soggetti (fra  cui  i  partecipanti  a  gare  d'appalto  e  cittadini
 espropriati),   con   violazione   quindi   dell'art.   3   Cost.  La
 dimidiazione, inoltre, ed e' cio' che piu' conta ai fini del rilevato
 contrasto con le  indicate  norme  costituzionali,  e'  prevista  per
 l'impugnativa   di   provvedimenti   conclusivi  soltanto  di  taluni
 procedimenti (come  quelli  relativi  a  gare  di  appalto  e  quelli
 espropriativi),   procedimenti  che,  proprio  per  la  complessita',
 eterogeneita' e quantita' degli atti che  intervengono  nel  relativo
 iter,  richiedono  un  tempo  notevole  perche'  si possa valutare la
 eventuale illegittimita' dell'atto che  li  conclude,  con  ulteriore
 violazione delle richiamate norme costituzionali.
   Oltre  tutto  la  individuazione di termini per la proposizione del
 ricorso e di altri termini decadenziali, talmente ridotti da  rendere
 irragionevolmente  difficoltosa  per  i  concorrenti  ad  una gara la
 tutela giurisdizionale, si pone obiettivamente come limitativa  della
 concorrenza e quindi in contrasto con la citata direttiva comunitaria
 n.   665/1989   la  quale,  proprio  per  promuovere  la  piu'  ampia
 partecipazione alle gare di appalto, ha individuato  i  principi  per
 assicurare la pienezza e l'effettivita' della tutela giurisdizionale.
   La  evidenziati  incongruita'  del  termine per la proposizione del
 ricorso principale sotto il profilo delle idoneita' a garantire,  nel
 rispetto  dei richiamati articoli della Costituzione, la pienezza del
 diritto di difesa e la completezza del contraddittorio, si  ripropone
 con tutta la sua palmare evidenza in relazione agli altri termini.
   Basti citare, a titolo meramente esemplificativo: 1) il termine per
 il   deposito,   ridotto  a  15  giorni,  fermi  restando  gli  altri
 adempimenti previsti per la  parte  ricorrente  dall'art.  21;  2)  i
 termini  previsti  dall'art. 36 del regio decreto n. 642 del 1907 per
 la  fissazione  della  istanza  cautelare,  ridotti  a 5 giorni dalla
 notifica; 3) i termini per proporre ricorso incidentale che sono sora
 di 15 giorni e di 5 per il deposito; 4) i termini per la costituzione
 dell'organo che ha  emesso  l'atto  impugnato  e  delle  altre  parti
 interessate  ridotti  a  10,  termine,  peraltro,  ordinatorio; 5) il
 termine per il deposito del notificato intervento che e' di 10 giorni
 (art. 22, comma 2) e si riduce ad  un  solo  giorno  nell'ipotesi  di
 intervento  solo in grado d'appello (art. 38 del regio decreto n. 642
 del 1907); 6) il termine per evitare la perenzione ridotto ad un anno
 (piu' i termini feriali); 7) i temini per il  deposito  di  documenti
 che  e' di 10 giorni liberi e per le memorie di 5 giorni liberi prima
 dell'udienza di merito; 8) nell'ipotesi di interruzione del processo,
 i termini per la riassunzione ridotti della meta' e, quindi, a 3 mesi
 della conoscenza legale dell'evento interruttivo; 9)  i  termini  per
 l'appello e per la revocazione ridotti della meta'.
   Peraltro, la riduzione alla meta' prevista dalla norma in esame non
 riguarda  il  termine  (non  processuale) di 120 giorni stabiliti per
 proporre ricorso straordinario al  Presidente  della  Repubblica  (ex
 art.  9  d.P.R.  24  novembre  1971,  n. 1199) ne' quello di sessanta
 giorni, anch'esso non "processuale", assegnato ai controinteressati a
 all'amministrazione (art. 10  citato  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  n. 1199 el 1971 e Corte costituzionale 29 luglio 1982, n.
 148) per chiedere la trasposizione in sede  giurisdizionale.  Con  il
 che,  considerato  che  e'  pacificamente  affermata dal Consiglio di
 Stato in  sede  consultiva  (Commissione  speciale  per  il  pubblico
 impiego  n. 16 del 3 maggio 1991 e sez. III, 5 marzo 1996, n. 253) la
 proponibilita' della  domanda  di  sospensione  in  sede  di  ricorso
 straordinario  al Capo dello Stato, le disposizioni sospettate specie
 nel caso di trasposizione risultano facilmente  eludibili,  e  quindi
 sono  chiaramente  vanificate  le stesse finalita', perseguite con il
 decreto-legge n. 67 del 1997, di accelerazione della esecuzione delle
 opere pubbliche o di pubblica utilita', ed emerge, con piu' forza, la
 denunciata  lesione  al  diritto  di  difesa  nella  fase  di  tutela
 giurisdizionale  recata  dalla  dimidiazione  prevista dalla suddetta
 disposizione legislativa.
   4. - Appare quindi evidente che le riportate prescrizioni normative
 dell'art. 19 del decreto-legge n. 67 del 1997 (con la relativa  legge
 di  conversione),  introducendo  una  procedura  sommaria  del  tutto
 anomala, vengono a ledere il fondamentale principio  delle  difesa  e
 della  piu' ampia tutela giurisdizionale, con peculiare riguardo alla
 fase cautelare:  e cio' anche in riferimento ai  termini  processuali
 (la  cui  natura  e'  tendenzialmente  decadenziale),  non  potendosi
 disconoscere la stretta correlazione fra i comma 2 e 3  della  citata
 norma.  Risulta  cosi' palese il contrasto fra tali prescrizioni e la
 portata generale del giudizio cautelare cosi' come fissato  dall'art.
 21,  ultimo  comma,  della  legge  6  dicembre  1971,  n.  1034,  con
 conseguente violazione, per l'ingiustificata ed irrazionale procedura
 (soppressiva) introdotta in materia,  delle  sopra  richiamate  norme
 costituzionali.
   Alla  luce  delle  considerazioni  esposte, il Collegio ritiene non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 19, comma 2 e 3, del d.-l. 25 marzo 1997, n. 67 (convertito
 con la legge 23 maggio 1997, n. 135) innegabile essendo d'altra parte
 la  sua  rilevanza  ai  fini  della decisione, in via cautelare o nel
 merito, del ricorso in epigrafe.
                                P. Q. M.
   Il Tribunale amministrativo regionale del Trentino-Alto Adige, sede
 di Trento, visti gli  artt.  134  Cost.;  1  legge  costituzionale  9
 febbraio  1948, n. 1; 23 e segg, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara
 rilevanti e non manifestamente infondata - con riferimento agli artt.
 3, 24, 103, primo comma,  113  e  125,  secondo  comma,  Cost.  -  le
 questioni  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 19 del d.-l. 25
 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio
 1997,  n.    135  nella  parte  in  cui  prevede  che  il   Tribunale
 amministrativo  regionale,  chiamato  a pronunciarsi sulla istanza di
 sospensione, puo' definire immediatamente il giudizio nel merito  con
 motivazione  in  forma  abbreviata  (comma  2)  e  nella parte in cui
 prevede  la  dimidiazione  anche  del  termine  decadenziale  per  la
 proposizione del ricorso giurisdizionale (comma 3).
   Sospende  il  giudizio in corso ed ordina la immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale.
   Ordina alla segreteria  di  questo  tribunale  di  provvedere  alla
 notifica   della  presente  ordinanza  alle  parti  in  cauda  ed  al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri,  nonche'  alla  comunicazione
 della stessa al Presidente delal Camera dei deputati ed al Presidente
 del Senato della Repubblica.
   Cosi'  deciso  in  Trento, nella Camera di Consiglio dell'8 gennaio
 1998.
                         Il presidente: Marzano
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