N. 187 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 gennaio 1998
N. 187 Ordinanza emessa l'8 gennaio 1998 dal tribunale amministrativo regionale di Trento sul ricorso proposto dall'Impresa costruzioni f.lli Azzolini s.r.l. contro la provincia autonoma di Trento ed altre Giustizia amministrativa - Giudizi dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato aventi ad oggetto provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilita', ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad essa destinate - Pronuncia sull'istanza di sospensione - Previsione della possibilita' di definizione immediata del giudizio nel merito con motivazione abbreviata - Riduzione a meta' di tutti i termini processuali e, in particolare, di quello di decadenza per la proposizione del ricorso - Deteriore trattamento del ricorrente rispetto alla pubblica amministrazione e al controinteressato - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio della tutela giurisdizionale. (D.-L. 25 marzo 1997, n. 67, art. 19, convertito, con modifiche, nella legge 23 maggio 1997, n. 135). (Cost., artt. 3, 24, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma).(GU n.13 del 1-4-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 555 del 1997 proposto dall'Impresa costruzioni f.lli Azzolini s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Mario Maccaferri ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Trento, via Grazioli n. 31; contro la provincia autonoma di Trento, in persona del presidente in carica della Giunta provinciale, rappresentata e difesa dagli avvocati Damiano Florenzano, Nicolo' Pedrazzoli e Fernando Spinelli ed elettivamente domiciliata in Trento presso il servizio legale per gli affari contenziosi della provincia autonoma di Trento, via Romagnosi n. 9; e nei confronti dell'Impresa Chini costruzioni s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Giulio Giovannini ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Trento, via Serafini n. 9 e delle Imprese I.R.E.S. s.r.l. e A.T.I. Iobstraibizer Marcello C. e Sabbia Ghiaia Calcestruzzi s.n.c., non costituitesi in giudizio; per l'annullamento, previa sospensione, del verbale di licitazione n. di rep. 21208 del 23 ottobre 1997 relativo alla gara di appalto mediante licitazione privata per i lavori di recupero di Palazzo Tambosi, p. ed, 962 C.C. Trento (II e III stralcio unificato esecutivo) con cui la commissione giudicatrice nominata dalla provincia autonoma di Trento ha dichiarato aggiudicataria dei lavori l'Impresa Chini costruzioni s.p.a., nonche' di tutti gli atti presupposti e/o conseguenti al provvedimento impugnato, in particolare dei verbali della Commissione preposta alla gara. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della provincia autonoma di Trento e della ditta controinteressata e le annesse produzioni; Visti gli atti tutti della causa; Uditi sulla domanda incidentale di sospensione nella Camera di consiglio dell'8 gennaio 1998, relatore il consigliere Luigi Antonini, l'avv. Mario Maccaferri per la societa' ricorrente, l'avv. Damiano Florenzano per l'amministrazione resistente, l'avv. Giulio Giovannini per la controinteressata; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso notificato il 17 e il 18 dicembre e depositato il 24 dicembre 1997 la ricorrente societa' costruzioni f.lli Azzolini s.r.l. ha impugnato il verbale 23 ottobre 1997 con il quale la commissione giudicatrice della licitazione privata per l'affidamento dei lavori di recupero di Palazzo Tambosi ha aggiudicato l'appalto all'impresa Chini costruzioni s.p.a., chiedendone l'annullamento previa sospensione. Con unico motivo di ricorso, la ricorrente sostiene la irregolarita' delle offerte della aggiudicataria, del raggruppamento Iobstraibizer s.n.c. e Sabbia Ghiaia Calcestruzzi s.n.c. nonche' della I.R.E.S. s.r.l., rilevando come la esclusione anche di una sola delle offerte delle tre ditte farebbe decadere la vincitrice Chini a vantaggio della ricorrente che risulterebbe cosi' aggiudicataria. Si e' costituita in giudizio la provincia intimata che, dopo aver sollevato eccezione di irricevibilita' del ricorso notificato oltre i 30 giorni previsti dall'art. 19, comma 2, del d.-l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni in legge 23 maggio 1997, n. 135, ne ha chiesto il rigetto per infondatezza. Anche la aggiudicataria si e' costituita in giudizio, eccependo la tardivita' del ricorso e chiedendone comunque la reiezione nel merito. Alla camera di consiglio dell'8 gennaio 1998, fissata per la discussione della istanza di sospensione del provvedimento impugnato, le parti hanno insistito nelle rispettive tesi; il difensore di parte ricorrente ha dato atto che la provincia autonoma di Trento ha depositato in giudizio tutti gli atti necessari ai fini del decidere. La causa e' stata quindi tattenuta in decisione. D i r i t t o 1. - Il ricorso in esame e' rivolto all'annullamento, previa sospensione, di un provvedimento di aggiudicazione di opera pubblica e ricade quindi sotto la disciplina dell'art. 19 del d.-l. 25 marzo 1997, n. 67 (contenente "Disposizioni urgenti per favorire l'occupazione"), convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 1997, n. 135. Ora, il comma 2 del citato art. 19 (recante "Norme sul processo amministrativo") dispone che "il Tribunale amministrativo regionale, chiamato a pronunciarsi sulla domanda di sospensione, puo' definire immediatamente il giudizio nel merito, con motivazione in forma abbreviata. Le medesime disposizioni si applicano davanti al Consiglio di Stato in caso di domanda di sospensione della sentenza appellata" (mentre nella versione originaria del d.-l. questa facolta' era prevista soltanto nel caso in cui il Tribunale amministrativo regionale avesse accertato l'irricevibilita' o l'inammissibilita' o l'infondatezza del ricorso); da parte sua il comma 3 dispone che "tutti i termini processuali sono ridotti della meta' ed il dispositivo della sentenza e' pubblicato entro sette giorni dalla data dell'udienza con deposito in cancelleria". Tali disposizioni normative, consentendo al giudice amministrativo di superare la richiesta fase cautelare con una pronuncia sul merito attraverso una procedura sommaria, consistente anche nel dimezzamento di tutti i termini processuali (pure nel grado d'appello), fanno sorgere al Collegio, in sede applicativa delle stesse, seri dubbi di legittimita' costituzionale con riferimento agli artt. 3, 24, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, Cost. 2. - Il Collegio ritiene in primo luogo non manifestamente infondata la questione di costituzionalita', che sollevasi d'ufficio, per contrasto con le citate disposizioni costituzionali, dell'art. 19, comma 1 e 3, del decreto legislativo n. 67 del 1997, come modificato con la legge di conversione 23 maggio 1997, n. 135 in base al quale, come si e' piu' sopra evidenziato, il Tribunale amministrativo regionale, chiamato a pronunciarsi, come nella fattispecie, sulla domanda di sospensione dell'atto impugnato, puo' passare direttamente alla decisione di merito, saltando la fase cautelare, senza una specifica concorde richiesta delle parti in tal senso. Nessun dubbio sussiste, poi, sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale di cui trattasi, dato che la pronuncia in ordine alla stessa incidera' in maniera determinante sulla possibilita' o meno da parte di questo giudice di assumere l'indicata pronuncia nell'attuale fase processuale. Con particolare riguardo al comma 2, il Collegio non puo' non rilevare che una siffatta facolta' attribuita al giudice al di fuori ed indipendentemente da una previa e specifica fissazione della udienza di discussione nel merito del ricorso (essendo soltanto fissata la camera di consiglio per la discussione e la decisione della istanza di sospensione) appare lesiva del diritto di difesa, garantito dagli artt. 3, 24 e 113 Cost. e si risolve, altresi', in una illegittima limitazione della facolta' di richiedere ed ottenere un provvedimento cautelare. Il carattere essenziale ed ineliminabile del procedimento cautelare e la sua intima compenetrazione con il processo di merito nell'ambito del sistema di giustizia amministrativa e' stato piu' volte evidenziato dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 284/1974; 227/1975; 8/1982; 190/1985; 249/1996), la quale ha anche sottolineato la illegittimita' della esclusione o della limitazione del potere cautelare con riguardo a determinate categorie di atti o al tipo di vizio denunciato e la necessita', alla stregua dei principi costituzionali, del procedimento cautelare anche in sede di appello (sent. n. 8/1982 citata), giudizio questo che risulta del tutto soppresso nel grado d'appello alla luce del secondo periodo contenuto nel comma 2 in esame il quale prevede che "le medesime disposizioni si applicano davanti al Consiglio di Stato in caso di domanda di sospensione della sentenza appellata". In ogni caso va ribadito che nel giudizio di primo grado, rilevante nel caso di specie, il ricorrente, ove si determini, nella materia di cui trattasi, a richiedere un provvedimento cautelare, potra' vedere convertita, ad esclusiva opera del giudice e quindi in aperto contrasto con il generale principio dell'impulso di parte proprio del processo amministrativo, la sua istanza cautelare in una (richiesta) di trattazione e decisione immediata nel merito del ricorso, peraltro con procedura sommaria. In altre parole, il legislatore ha previsto che, ai fini di celerita' del processo amministrativo nella materia in questione, il giudice abbia la facolta' di sopprimere la fase cautelare e di definire il giudizio nel merito ed ha attribuito tale facolta' di scelta senza individuare modalita' e presupposti in presenza dei quali il giudice stesso possa legittimamente esercitarla. Si tratta, quindi, di una illegittima soppressione dell'essenziale giudizio cautelare o quanto meno di una sua grave compromissione, inaccettabile anche alla luce della direttiva comunitaria 665/89 (c.d. direttiva ricorsi), in base alla quale "gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive 71/305/CEE e 76/62/CEE, le decisioni prese dalle autorita' aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto piu' rapido possibile...". Con siffatta direttiva, infatti, si intende perseguire la "efficacia" mediante la attuazione delle disposizioni contenute nell'art. 2.1 della stessa direttiva 665/89 e quindi mediante la adozione con la massima sollecitudine e con procedura di urgenza di "provvedimenti provvisori intesi a riparare la violazione o impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto o l'esecuzione di qualsiasi decisione presa dalle autorita' aggiudicatrici" (lettera a)); provvedimenti provvisori, quindi, da prevedersi necessariamente negli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Per contro, nel sistema emergente dall'art. 19, comma 2, del decreto legislativo n. 67 del 1997 (e della legge di conversione) al ricorrente che intenda avere, come e' suo diritto, un p"ocedimento ordinario non resta altra alternativa che rinunciare alla proposizione dell'istanza di provvedimento cautelare al fine di impedire al giudice di convertirla in richiesta meritale a carattere sommario: in tal modo il ricorrente viene anche posto in una posizione processuale deteriore rispetto a quella dell'amministrazione e del controinteressato, con palese violazione, dell'art. 3 in relazioine all'art. 24 Cost. D'altra parte, una rinuncia (obbligata) alla fase cautelare (per ottenere un normale giudizio di merito nel quale esplicare appieno il diritto di difesa) puo' comportare la definitiva compromissione della posizione giuridica del ricorrente, senza che sia sempre possibile una reintegrazione della stessa attraverso il risarcimento del danno subi'to (reintegrazione che comunque non puo' mai porsi sopra illustrata direttiva comunitaria). Il risarcimento del danno, in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture, e', infatti, previsto solo in relazione a lesioni causate da atti compiuti in violazione del diritto comunitario o delle relative norme di recepimento (art. 13, legge 19 febbraio 1992, n. 142), mentre l'analoga previsione, contenuta originariamente nell'art. 32, legge n. 109 del 1994 (e relativa alle lesioni derivanti da atti compiuti in violazione della stessa legge e del relativo regolamento) e' stata eliminata ad opera dell'art. 9-bis del decreto legislativo n. 101 del 1995. La rinuncia obbligata alla fase cautelare per ottenere un ordinario giudizio di merito nel quale esplicare appieno il diritto di difesa, nel senso sopra illustrato, non e' stata mai, del resto, prevista in precedenza: tanto e' vero che la Corte costituzionale con la sentenza 16 luglio 1996, n. 249 ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 31-bis della legge n. 109 del 1994 (come introdotto dall'art. 9 del decreto legislativo n. 101/1995, convertito in legge n. 216/1995) in quanto tale norma, al comma 3, attribuendo all'amministrazione ed al controinteressato la facolta' di chiedere la trattazione urgente del merito, non esclude comunque che il giudice sia tenuto a pronunciarsi sulla domanda di sospensione del provvedimento impugnato. 3. - La sollevata eccezione di tardivita' del ricorso, in quanto notificato il 17 e il 18 dicembre 1997 e quindi oltre il termine di trenta giorni (previsto dall'art. 19, comma 2, del d.-l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, in legge 23 maggio 1997, n. 135) dalla piena conoscenza dell'atto impugnato, induce il Collegio a sollevare d'ufficio, la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., dell'art. 19 citato, nella parte in cui dispone la riduzione alla meta' di tutti i temini processuali ivi compreso anche il termine decadenziale per la proposizione del ricorso previsto dall'art. 21, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, questione senz'altro rilevante e non manifestamente infondata. Si e' gia' sottolineato come nella versione originaria del decreto-legge in parola era prevista al comma 3 la riduzione alla meta' dei "termini processuali" nei giudizi aventi ad oggetto provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilita', ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate. La legge di conversione n. 135 del 23 maggio 1997, ha, invece, ampliato la portata del comma 3, precisando, che la riduzione alla meta' riguarda "tutti" i termini processuali. Tanto premesso, non sembra possa dubitarsi che la riduzione a meta' dei suddetti termini debba riguardare anche i sessanta giorni previsti dall'art. 21, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 per la notifica del ricorso giurisdizionale all'Amministrazione e ai controinteressati, tanto piu' che il comma 6 prevede la riduzione da sessanta a trenta giorni, decorrenti dalla notificazione della sentenza, del termine per la proposizione dei motivi di appello. Siffatta giurisdizionale e', pero', idonea a frapporre un serio ostacolo alla instaurazione del processo, in ragione della brevita' del termine medesimo, ed e' quindi lesiva in concreto del diritto di difesa garantito dagli artt. 24, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, Cost.; e tale dimidiazione del (gia' contenuto) termine decadenziale e' posta solo a carico di determinate categorie di soggetti (fra cui i partecipanti a gare d'appalto e cittadini espropriati), con violazione quindi dell'art. 3 Cost. La dimidiazione, inoltre, ed e' cio' che piu' conta ai fini del rilevato contrasto con le indicate norme costituzionali, e' prevista per l'impugnativa di provvedimenti conclusivi soltanto di taluni procedimenti (come quelli relativi a gare di appalto e quelli espropriativi), procedimenti che, proprio per la complessita', eterogeneita' e quantita' degli atti che intervengono nel relativo iter, richiedono un tempo notevole perche' si possa valutare la eventuale illegittimita' dell'atto che li conclude, con ulteriore violazione delle richiamate norme costituzionali. Oltre tutto la individuazione di termini per la proposizione del ricorso e di altri termini decadenziali, talmente ridotti da rendere irragionevolmente difficoltosa per i concorrenti ad una gara la tutela giurisdizionale, si pone obiettivamente come limitativa della concorrenza e quindi in contrasto con la citata direttiva comunitaria n. 665/1989 la quale, proprio per promuovere la piu' ampia partecipazione alle gare di appalto, ha individuato i principi per assicurare la pienezza e l'effettivita' della tutela giurisdizionale. La evidenziati incongruita' del termine per la proposizione del ricorso principale sotto il profilo delle idoneita' a garantire, nel rispetto dei richiamati articoli della Costituzione, la pienezza del diritto di difesa e la completezza del contraddittorio, si ripropone con tutta la sua palmare evidenza in relazione agli altri termini. Basti citare, a titolo meramente esemplificativo: 1) il termine per il deposito, ridotto a 15 giorni, fermi restando gli altri adempimenti previsti per la parte ricorrente dall'art. 21; 2) i termini previsti dall'art. 36 del regio decreto n. 642 del 1907 per la fissazione della istanza cautelare, ridotti a 5 giorni dalla notifica; 3) i termini per proporre ricorso incidentale che sono sora di 15 giorni e di 5 per il deposito; 4) i termini per la costituzione dell'organo che ha emesso l'atto impugnato e delle altre parti interessate ridotti a 10, termine, peraltro, ordinatorio; 5) il termine per il deposito del notificato intervento che e' di 10 giorni (art. 22, comma 2) e si riduce ad un solo giorno nell'ipotesi di intervento solo in grado d'appello (art. 38 del regio decreto n. 642 del 1907); 6) il termine per evitare la perenzione ridotto ad un anno (piu' i termini feriali); 7) i temini per il deposito di documenti che e' di 10 giorni liberi e per le memorie di 5 giorni liberi prima dell'udienza di merito; 8) nell'ipotesi di interruzione del processo, i termini per la riassunzione ridotti della meta' e, quindi, a 3 mesi della conoscenza legale dell'evento interruttivo; 9) i termini per l'appello e per la revocazione ridotti della meta'. Peraltro, la riduzione alla meta' prevista dalla norma in esame non riguarda il termine (non processuale) di 120 giorni stabiliti per proporre ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (ex art. 9 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199) ne' quello di sessanta giorni, anch'esso non "processuale", assegnato ai controinteressati a all'amministrazione (art. 10 citato decreto del Presidente della Repubblica n. 1199 el 1971 e Corte costituzionale 29 luglio 1982, n. 148) per chiedere la trasposizione in sede giurisdizionale. Con il che, considerato che e' pacificamente affermata dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Commissione speciale per il pubblico impiego n. 16 del 3 maggio 1991 e sez. III, 5 marzo 1996, n. 253) la proponibilita' della domanda di sospensione in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, le disposizioni sospettate specie nel caso di trasposizione risultano facilmente eludibili, e quindi sono chiaramente vanificate le stesse finalita', perseguite con il decreto-legge n. 67 del 1997, di accelerazione della esecuzione delle opere pubbliche o di pubblica utilita', ed emerge, con piu' forza, la denunciata lesione al diritto di difesa nella fase di tutela giurisdizionale recata dalla dimidiazione prevista dalla suddetta disposizione legislativa. 4. - Appare quindi evidente che le riportate prescrizioni normative dell'art. 19 del decreto-legge n. 67 del 1997 (con la relativa legge di conversione), introducendo una procedura sommaria del tutto anomala, vengono a ledere il fondamentale principio delle difesa e della piu' ampia tutela giurisdizionale, con peculiare riguardo alla fase cautelare: e cio' anche in riferimento ai termini processuali (la cui natura e' tendenzialmente decadenziale), non potendosi disconoscere la stretta correlazione fra i comma 2 e 3 della citata norma. Risulta cosi' palese il contrasto fra tali prescrizioni e la portata generale del giudizio cautelare cosi' come fissato dall'art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, con conseguente violazione, per l'ingiustificata ed irrazionale procedura (soppressiva) introdotta in materia, delle sopra richiamate norme costituzionali. Alla luce delle considerazioni esposte, il Collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2 e 3, del d.-l. 25 marzo 1997, n. 67 (convertito con la legge 23 maggio 1997, n. 135) innegabile essendo d'altra parte la sua rilevanza ai fini della decisione, in via cautelare o nel merito, del ricorso in epigrafe.
P. Q. M. Il Tribunale amministrativo regionale del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, visti gli artt. 134 Cost.; 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 e segg, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevanti e non manifestamente infondata - con riferimento agli artt. 3, 24, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, Cost. - le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 19 del d.-l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 1997, n. 135 nella parte in cui prevede che il Tribunale amministrativo regionale, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di sospensione, puo' definire immediatamente il giudizio nel merito con motivazione in forma abbreviata (comma 2) e nella parte in cui prevede la dimidiazione anche del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale (comma 3). Sospende il giudizio in corso ed ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina alla segreteria di questo tribunale di provvedere alla notifica della presente ordinanza alle parti in cauda ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' alla comunicazione della stessa al Presidente delal Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Trento, nella Camera di Consiglio dell'8 gennaio 1998. Il presidente: Marzano 98C0290