N. 103 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 dicembre 1998

                                N.  103
  Ordinanza emessa il 2 dicembre 1998 dal tribunale di sorveglianza di
 Roma nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Caruso Luigi
 Ordinamento  penitenziario  - Provvedimenti relativi ai collaboratori
    di  giustizia  ammessi  a  speciale  programma  di  protezione   -
    Competenza territoriale - Lamentata attribuzione in via esclusiva,
    secondo  l'interpretazione della Corte di cassazione, al Tribunale
    di  sorveglianza  di  Roma  -  Irragionevolezza  -  Disparita'  di
    trattamento tra condannati - Violazione dei principi  del  giudice
    naturale  precostituito  per  legge,  della  finalita' rieducativa
    della pena e del divieto di istituzione di giudici straordinari.
 (D.-L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 13-ter, comma 3,  convertito,  con
    modificazioni,  nella  legge  15  marzo  1991, n. 82, aggiunto dal
    d.-l.  8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella
    legge 7 agosto 1992, n. 356).
 (Cost., artt. 3, 25, secondo comma, 27, terzo  comma,  102,  primo  e
    secondo comma).
(GU n.10 del 10-3-1999 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza  nel  procedimento  di
 sorveglianza  chiamato  all'udienza  del  giorno  2  dicembre   1998,
 relativo  a  Caruso  Luigi  nato a Noto il 10 febbraio 1973, detenuto
 nella  C.R.  Alessandria,  domiciliato  presso  il   Serv.   Centrale
 Protezione ed instaurato ai sensi degli artt. 666, 678 C.P.P., 47, 47
 ter,   54  L.  354/1975,  13  ter  L.  82/1991  (Oggetto:  detenzione
 domiciliare, affidamento in prova e liberazione anticipata);
   Titolo in espiazione: sentenza  Corte  Appello  Catania  28  aprile
 1997;
   Dec.  pena:  26  gennaio  1995; Fine pena: 26 gennaio 2004; Fatto e
 diritto
   Caruso Luigi, titolare di speciale programma di protezione ai sensi
 della  legge  n.  82/1991,  ha   proposto   istanze   di   detenzione
 domiciliare,  affidamento  in  prova  e  liberazione  anticipata  con
 riferimento  al  titolo  riportato  in  epigrafe  mentre  si  trovava
 ristretto nella C.R.  Alessandria, ove e' ancora detenuto.
   Pregiudiziale,  ad  avviso  del  collegio,  e'  la  verifica  della
 sussistenza  della  competenza  territoriale  di   questo   tribunale
 relativamente alle domande per cui e' procedimento.
   Gia'  con ordinanza 18 marzo 1998 questo stesso tribunale, premessa
 un'ampia  ricognizione  in  merito  alla  evoluzione  storica   della
 normativa   riguardante  la  materia  in  oggetto,  ha  rilevato  con
 indicazione condivisa  pienamente  da  questo  collegio  come  -  per
 effetto  di  un  consolidato  orientamento  della  Suprema  Corte  di
 Cassazione - si debba reputare diritto vivente l'interpretazione  che
 attribuisce  in via esclusiva al tribunale di sorveglianza di Roma la
 cognizione nella materia in  esame.  Con  la  medesima  ordinanza  di
 rimessione  degli atti alla Corte costituzionale del 18 marzo 1998 si
 e' osservato, peraltro:
   "La norma in esame, come cristallizzata in una competenza esclusiva
 per tutto il territorio nazionale di un solo tribunale e  giudice  di
 sorveglianza,  in  una  certa  misura ratione materiae ma soprattutto
 ratione personae sulla base dei soggetti  giudicabili,  si  configura
 come norma eccezionale come nessun'altra; sotto l'aspetto strutturale
 e  tecnico-giuridico  assolutamente anomala e di rottura del sistema;
 priva di un fondamento di ragionevolezza; clamorosamente al di  fuori
 in    modo    singolare   dalle   previsioni   e   dalla   disciplina
 dell'ordinamento giudiziario che regola numero,  sedi  circoscrizioni
 territoriali   degli  uffici  giudiziari  e  cosi'  dei  tribunali  e
 magistrati  di   sorveglianza;   introduttiva   di   una   competenza
 suscettibile di essere modificata da atto non legislativo.
   Sono   le   ragioni   del   contrasto   con   precetti  e  principi
 costituzionali.
   L'esaminata competenza territoriale esclusiva del tribunale  e  del
 magistrato di sorveglianza di Roma costituisce una previsione unica e
 senza precedenti nel nostro ordinamento.
   Un  giudice  di merito di primo grado - salvo rari casi d'appello -
 in materia penale, regolarmente inserito dall'ordinamento giudiziario
 in una distribuzione territoriale su base distrettuale (tribunale)  e
 circondariale  o  pluricircondariale (magistrato di sorveglianza) per
 la trattazione di misure attinenti all'esecuzione della  pena,  delle
 misure   di   sicurezza   e   altro,   previste  dal  codice  penale,
 dall'ordinamento penitenziario e da altre leggi, e preminentemente di
 misure trattamentali e alternative alla detenzione previste dal  capo
 VI  titolo  1  dell'O.P.,  che  diviene,  nell'applicazione di queste
 stesse misure nei confronti di una determinata categoria  di  persone
 giudicabili  un  giudice  unico  ed esclusivo per tutto il territorio
 nazionale. Cio' contrasta con piu' norme della Costituzione.
   Sotto un primo profilo, con l'art. 102, comma  1,  che  attribuisce
 l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  a  magistrati ordinari
 istituiti e regolati dalle norme  dell'ordinamento  giudiziario,  che
 stabilisce  sedi  e circoscrizioni territoriali di ogni ufficio (art.
 5, in relaz. art. 1 ord. giud.)
   E l'art. 102 della Costituzione non fa richiamo semplicemente  alla
 legge   ordinaria,   ma   nella   sua   prima  norma  sulla  funzione
 giurisdizionale, anche di una certa solennita', fa richiamo specifico
 all'ordinamento giudiziario (richiamato ancora  dai  successivi  art.
 105,  106, 107 e 108 della Costituzione) quale legge fondamentale che
 regola la struttura organica e l'articolazione dei giudici,  operante
 a  mezzo  del  Consiglio  Superiore  della  Magistratura,  organo  di
 rilevanza costituzionale, che ne assicura l'applicazione nel rispetto
 delle finalita' di giustizia, di indipendenza, di corretto  esercizio
 della  giurisdizione, di efficienza.  ordinamento giudiziario che non
 e' stato modificato.
   Un giudice unico nel territorio che ha competenza esclusiva  per  i
 procedimenti  riguardanti  una  certa  categoria  di  giudicabili,  i
 collaboratori  di  giustizia  titolari  di  speciale   programma   di
 protezione,   si   configura   per   cio'   stesso   quale   "giudice
 straordinario", la cui istituzione e'  espressamente  vietata  dal  2
 comma dell'art. 102 della Costituzione.
   Il carattere di straordinarieta' e' rafforzato ove si consideri che
 accanto  alla  competenza  ratione  personae c'e' anche una, sia pure
 sfumata,  competenza  per  materia,  non   essendo   dubitabile   che
 l'applicazione  delle  misure  alternative  e  trattamentali  a detti
 collaboratori  si  caratterizza  per  una  specifica  carenza  e  una
 diversita'  di  elementi sostanziali; per la deroga ai limiti di pena
 (illimitata);  la  deroga  a   carattere   generale   alle   "vigenti
 disposizioni"   relative  ai  requisiti  e  ad  ogni  altro  elemento
 ordinariamente richiesto per la concedibilita' della misura;  per  la
 stessa  condizione del soggetto giudicabile di collaborante esposto a
 rischio e con protezione speciale che qualifica in  modo  particolare
 il  giudizio;  per  l'intervento di merito della commissione centrale
 attraverso il previsto parere  obbligatorio  e  altre  indicazioni  e
 determinazioni che puo' inviare al giudice.
   Sotto  certi  profili  un  siffatto giudice puo' qualificarsi anche
 "giudice speciale" essendo spesso il confine molto tenue ed  incerto,
 come  evidenziato  dalla  maggiore  dottrina: giudice speciale la cui
 istituzione  e'  parimenti  vietata  dall'art.  102  2  comma   della
 Costituzione,  che  riconosce  soltanto  quelli  gia' esistenti per i
 quali la VI disposizione transitoria della Costituzione prevedeva una
 revisione, salvo quelli contemplati dalla stessa Costituzione. Ed  in
 effetti   v'e'  stata  tutta  una  serie  di  decisioni  della  Corte
 costituzionale che ha fatto cadere molte giurisdizioni speciali.
   Il divieto di istituzione di giudici  straordinari  -  al  pari  di
 quelli   speciali   -  ha  carattere  assoluto,  in  quanto  viene  a
 contraddire - assieme allo  specifico  precetto  costituzionale  -  i
 principi  basilari  della  nostra  civilta'  giuridica,  dal generale
 divieto di discriminazioni alle regole proprie del "processo giusto",
 al rispetto dell'unita' della giurisdizione.
   Non e'  peraltro  ipotizzabile  che  trattasi  non  di  un  giudice
 straordinario  o  speciale  ma  di  una sezione specializzata per una
 determinata materia, la cui istituzione presso gli organi  giudiziari
 ordinari  e' consentita dal 2 comma dell'art. 102 della Costituzione.
 Non occorrono molte parole per evidenziare l'assoluta diversita'  sia
 per ragioni strutturali e ordinamentali che per quelle attinenti alla
 materia.
   Le  sezioni  specializzate  che  hanno  previsione legislativa sono
 proprie del ramo civile, inserite in un maggiore e ordinario  ufficio
 giudiziario,  generalmente  prive di una normativa che le disciplina,
 costituite da giudici  di  quell'ufficio  per  la  trattazione  della
 specifica  materia, e non danno luogo a questioni di competenza ma al
 piu' a questioni di composizione di carattere tabellare.
   In materia penale, l'unica sezione  specializzata  puo'  ravvisarsi
 nelle  sezioni  per  i  reati  ministeriali,  con  sede  distrettuale
 previste dalla legge costituzionale 16 gennaio 1995 n. 1.
   Quanto al tribunale e magistrato di sorveglianza non sussistono gli
 elementi strutturali, - organizzativi ne una specialita' di "materia"
 perche' si  possa  configurare  come  una  sezione  specializzata.  I
 procedimenti   nei   confronti  dei  collaboratori,  pur  con  alcuni
 menzionati  elementi  di  diversita',  non   si   differenziano   dai
 procedimenti  per le stesse misure nei confronti degli altri soggetti
 giudicabili; tant'e' che non sono previsti appositi collegi o giudici
 ne' dalla legge ne' in sede tabellare non  richiedendo  tali  giudizi
 una  particolare  specializzazione.    E  sarebbe  davvero  singolare
 configurare un  tribunale  come  sezione  specializzata  per  materia
 soltanto   in  funzione  di  una  competenza  allargata  a  tutto  il
 territorio nei confronti di determinati soggetti giudicabili.
   Contrasto della norma  col  principio  della  ragionevolezza  della
 scelta legislativa.
   La  Corte  costituzionale  ha  ampiamente  sviluppato il tema della
 incompatibilita' di una norma con i principi costituzionali quando la
 scelta del  legislatore  sia  priva  di  ragionevolezza  e  contrasti
 percio'  con  la buona tutela dell'interesse protetto, in questo caso
 con il buon andamento della giustizia.
   Nella scelta che ci occupa non e' ravvisabile  alcuna  ragione  che
 giustifichi  una  deroga  cosi'  rivoluzionante  e  totalizzante agli
 ordinari   criteri   di   competenza   e   agli   assetti    previsti
 dall'ordinamento giudiziario.
   Esponendo  in  sintesi,  manca  una  particolare  specificita'  dei
 giudici di sorveglianza di Roma perche' sia demandato soltanto a loro
 il giudizio sulle misure da irrogare ai collaboratori.
   Il restringere la cognizione di tali giudizi  ad  un  solo  giudice
 limita  l'evolversi  della giurisprudenza ed elimina i pur produttivi
 contrasti, con danno  all'elaborazione  del  diritto  e  quindi  alla
 giustizia,  cui  si  accompagna il rischio di sclerotizzare le prassi
 procedimentali.
   Puo' determinare, piu' o meno inconsapevolmente  e  indirettamente,
 un  particolare  centro  di  potere e di rapporti con altre autorita'
 centrali, con potenziale lesione della indipendenza  e  dell'immagine
 del giudice.
   Non  realizza  una  maggiore protezione del collaboratore a rischio
 rispetto  ad  altre  possibili   soluzioni,   neppure   determinando,
 attraverso  la  designazione  di  un  solo  giudice  competente,  una
 apprezzabile maggiore difficolta' di  individuare  il  luogo  ove  il
 collaboratore  vive  ed e' tenuto. A parte il fatto che ormai e' dato
 verificare  che  molti  collaboratori  protetti  conducono  una  vita
 regolare  e  aperta,  in  regime  di  misura alternativa o non, nella
 localita' di origine o dove sono stati trasferiti; cosi'  come  molti
 altri  sono  ristretti  in istituti carcerari quand'anche titolari di
 programmi di protezione.
   E' allora esigibile che, tra le tante possibili,  venisse  adottata
 una scelta adeguata al fine da realizzare, senza intaccare i principi
 fondamentali dell'ordinamento.
   Degli  elementi  sopra  indicati, e tanto piu' dal loro combinarsi,
 derivano o possono attendibilmente  derivare  da  parte  dei  giudici
 diversita'  di  soluzioni  e  quindi  di  trattamento  nei  giudizi e
 nell'applicazione delle misure  rispetto  ai  giudizi  svolti  in  un
 assetto  non  "turbato"  dalla  competenza esclusiva, e rispetto alle
 soluzioni adottate senza turbative dagli altri tribunali e giudici di
 sorveglianza. E cio' sia nei confronti dei  collaboratori  che  degli
 altri condannati.
   Cosa che comporta disparita' di trattamento in violazione dell'art.
 3 della Costituzione.
   Una   ulteriore  situazione  anomala,  collegabile  al  tema  della
 ragionevolezza e della congruita', e' l'orientamento da qualche tempo
 adottato dalla commissione centrale e in progressiva accentuazione di
 fare  espiare  in  carcere  consistenti  periodi  di  pena  anche  ai
 collaboratori con programma di protezione.
   E  cio'  anche in correlazione al noto dibattito che c'e' stato nel
 Paese a seguito di eclatanti inammissibili  comportamenti  tenuti  da
 alcuni   pentiti,   e   sui   trattamenti   "d'oro"   fatti  a  tanti
 collaboratori.  Ne consegue che, sempre di piu', le misure  richieste
 e  adottate da questo tribunale e magistrato riguardano collaboratori
 con programma in stato di detenzione carceraria.
   Anche il presente procedimento per l'applicazione della  detenzione
 domiciliare  attiene  a  un  collaboratore  detenuto  nel  carcere di
 Alessandria.
   Viene allora da considerare che senso ha che questo tribunale debba
 avere competenza a giudicare i detenuti che trovansi  in  un  carcere
 del  Piemonte,  delle  Venezie, delle Puglie, quando non sussiste una
 ragione di segretezza sul luogo in cui il collaboratore si trova, ne'
 alcuna altra ragione che giustifichi una deroga agli ordinari criteri
 di competenza; ed una deroga al criterio fondamentale che il detenuto
 va  giudicato  dal  magistrato  che  ha  giurisdizione  e esercita la
 sorveglianza sull'istituto carcerario in cui egli si trova, che  puo'
 seguirne    l'osservazione   della   personalita'   e   i   progressi
 trattamentali, che spesso ne ha conoscenza  personale  e  intrattiene
 con  lui  colloqui,  e  quanto altro attiene all'opera sostanziale di
 trattamento  e  risocializzazione.    Elementi  sui  quali  la  Corte
 costituzionale  si  e'  sempre  pronunziata per la loro essenzialita'
 nella funzione rieducativa della pena, dando con le sue pronunzie  un
 indirizzo di continua maggiore evoluzione in questo senso.
   Tutto  cio'  viene  irrazionalmente  tralasciato  e "tradito" dalla
 norma in esame; la quale poteva quanto meno essere congegnata in modo
 da escludere dalla competenza territoriale di questo giudice di  Roma
 coloro che fossero detenuti al di fuori della sua giurisdizione, e in
 modo  che  non  fossero  "distolti"  dalla  ordinaria  competenza del
 giudice del luogo di detenzione,  che  e'  il  suo  giudice  naturale
 precostituito per legge.
   Ne   consegue,   per   questa   parte,   un  ulteriore  profilo  di
 incostituzionalita' per violazione degli artt. 25, secondo  comma,  e
 27, terzo comma della Costituzione.
   Infine,  un  rilievo  di  grande  importanza  che inverte ancora il
 precetto del giudice naturale precostituito per legge. L'art, 13-ter,
 terzo   comma,   come   interpretato,   attribuisce   la   competenza
 territoriale nei confronti dei collaboratori titolari di programma di
 protezione  al  giudice  di  sorveglianza  del  luogo  ove ha sede la
 commissione centrale.
   Tale norma, con la sua formulazione,  e'  di  per  se'  inidonea  a
 determinare  la  precostituzione di un giudice "per legge" e soltanto
 attraverso la legge.
   La legge, invero, non indica il luogo ove ha sede  la  Commissione,
 ne'  tale  luogo  e'  desumibile  da altre disposizioni di legge; ne'
 ancora alcuna disposizione di legge dispone che tale sede  non  possa
 essere cambiata e trasferita altrove.
   Sicche'  la  legge  non  indica  quale  sia  il giudice stabilmente
 competente per territorio.
   La commissione centrale attualmente ha di fatto  sede  a  Roma;  di
 fatto siede presso il Ministero dell'interno.
   Nulla  esclude che di fatto, o per atto amministrativo, trasferisca
 altrove la sua sede, per le piu' svariate ragioni che non spetta  qui
 esaminare.
   In   tal  caso,  il  giudice  fornito  di  competenza  territoriale
 esclusiva nei confronti dei collaboratori  cesserebbe  di  essere  il
 giudice di Roma passando tale competenza al giudice della nuova sede,
 in ipotesi Firenze, Perugia, e cosi' via.
   Sussiste allora violazione della riserva di legge in materia, e del
 dettato del giudice naturale precostituito per legge.
   E  il  criterio  di  collegamento  attraverso  cui  si determina la
 competenza e' inidoneo in quanto non contiene collegamento su un dato
 stabile, ma su un dato variabile.
   Peraltro, che la commissione centrale  possa  mutare  sede  non  e'
 un'astrazione;  e'  un  accadimento  umano  del tutto possibile. E le
 ragioni organizzative, gestionali, di scelta  politica  per  le  piu'
 svariate  ragioni,  come  per  le  ragioni  dirette  a volere proprio
 trasferire la competenza da un  giudice  ad  altro,  sono  tutte  qui
 irrilevanti.
   Rileva solo che la norma di cui all'art. 13 ter, comma 3 si pone in
 contrasto  con  il  principio  del giudice naturale precostituito per
 legge sancito dall'art. 25 della Costituzione.
   A tali articolate motivazioni  questo  collegio  ritiene  d'aderire
 pienamente, facendole proprie.
   Per  queste  ragioni  il  tribunale  solleva d'ufficio questione di
 legittimita' costituzionale come in dispositivo.
                               P. Q. M.
   Dichiara di ufficio, rilevante e non manifestamente  infondata,  in
 riferimento  all'art.  102  primo  e  secondo  comma, art. 3, art. 25
 secondo comma, art. 27 terzo  comma  della  Costituzione  nonche'  al
 principio costituzionale della ragionevolezza e non illogicita' della
 norma di legge, la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 13-ter  comma terzo della legge 15 marzo 1991, n. 82, come modificata
 dalla legge 7 agosto 1992 n. 356. In via  gradata,  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 13-ter terzo comma in relazione
 alla  competenza territoriale di questo tribunale di sorveglianza nei
 confronti  di  soggetti  collaboratori  di  giustizia,  titolari   di
 speciale programma di protezione ai sensi dell'art. 10, comma 1 legge
 15  marzo  1991  n.  82,  che siano detenuti in istituti penitenziari
 fuori del distretto della Corte di Appello  di  Roma  su  cui  questo
 tribunale ha giurisdizione;
   Sospende il presente giudizio;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Manda   alla   Cancelleria  di  notificare  la  presente  ordinanza
 all'interessato e al suo difensore, al Procuratore generale di  Roma,
 alla Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e
 di  comunicare  la  stessa  al  Presidente del Senato e al Presidente
 della Camera dei deputati.
   Cosi' deciso in Roma, il 2 dicembre 1998
                          Il presidente: Longo
                                          Il giudice estensore: Poscia
 99C0151