N. 105 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 1998

                                N. 105
  Ordinanza  emessa  il  5 novembre 1998 dalla Corte di cassazione sul
 ricorso proposto da Grazioli Adriano
 Reato in genere - Reato di vilipendio della religione dello  Stato  -
    Trattamento   penale   differenziato   della  religione  cattolica
    rispetto agli altri  culti  -  Lesione  del  principio  di  eguale
    liberta' delle confessioni religiose.
 (C.P., art. 402).
 (Cost., artt. 3, primo comma e 8, primo comma).
(GU n.10 del 10-3-1999 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto da
 Grazioli Adriano, nato a Reggio Emilia il 2 dicembre 1929, avverso la
 sentenza 6 febbraio 1998 della Corte di Appello di Perugia;
   Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
   Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere  dott.
 Aldo Fiale;
   Udito  il  pubblico  ministero  in  persona  del dott. Vladimiro De
 Nunzio, che ha concluso la rimessione alla Corte Costituzionale della
 questione di legittimita' dell'art. 402 cost.  pen.,  per  violazione
 dell'art.  3 della Costituzione;
   Udito  il  difensore,  avv.  Mario  Tedesco,  il  quale ha concluso
 chiedendo l'accoglimento del ricorso;
                           Ritenuto in fatto
   Grazioli Adriano veniva tratto a giudizio del pretore di Perugia  -
 Sezione  distaccata  di Assisi per rispondere (fra l'altro) del reato
 di cui:
    agli artt 81 cpv. e 402 cod. pen.,  per  avere,  con  piu'  azioni
 esecutive di un medesimo disegno criminoso, pubblicamente vilipeso la
 religione  dello  Stato,  esponendo  in  piazza,  in  occasione dello
 svolgimento della processione  del  "Corpus  Domini",  due  cartelli,
 recanti le seguenti frasi, scritte a pennarello:
   "La  religione  -  Il giorno in cui e' apparso il primo stregone e'
 nata  la  religione.  Ambrogio  Rossini  (ordinario  di  storia   del
 Cristianesimo   all'Universita'   di   Roma.   Dio  perfettissimo  ed
 amorevolissimo. Per il religioso Dio ha fatto solo un  capolavoro  ed
 ha creato una terra che non poteva essere piu' bella. Ci ha dato pure
 i  vulcani, i terremoti e gli uragani. Ma che volevano di piu' questi
 cristiani?"; "Chi ama la pace non crede in Dio. Credere in Dio, oltre
 a farci sprecare i giorni, crea religioni nei nostri dintorni. Ma  le
 religioni  scatenano  lotte  sulla terra, quindi e' meglio fare senza
 Dio, se si vuole eliminare una causa di guerra. L'evangelizzazione di
 un'altra nazione, anche la Jugoslavia e' tutta per aria perche' fuori
 sono usciti i gladiatori.  Come gia' l'Italia, capitalismo  e  Chiesa
 dominera'  la  Jugoslavia,  allo  scopo di ridurre il Paese a ferro e
 fuoco e tra dolori e distruzioni fara' ignoranti  i  creduloni.  Poi,
 drogando la gente, dominera' tranquillamente";
   "Battezzare  un  bambino  significa  usargli  violenza all'ennesima
 potenza. Si parla tanto di violenza ai minorenni, ma non della Chiesa
 che la fa da millenni. Non credere a quello che dice  il  prete.  Non
 credere  a quello che dice il Papa. Le storie che raccontano entrambi
 nessuno le ha mai provate, durante la processione in occasione  della
 festa del Corpus Domini" - in Assisi, il 21 giugno 1992.
   Il  pretore, con sentenza 16 novembre 1993 assolveva l'imputato dal
 contestato delitto;  "perche'  il  fatto  non  costituisce  reato"  e
 rilevava,  in  proposito,  che  - a seguito del radicale mutamento di
 disciplina conseguente all'approvazione della legge 25 marzo 1985, n.
 121,  esecutiva  dell'accordo  di modifiche al Concordato lateranense
 del 18 febbraio 1984 - non essendo piu' in vigore il principio  della
 religione cattolica come sola religione dello Stato italiano, si pone
 il problema dell'attuale vigenza, nel nostro ordinamento, della norma
 incriminatrice di cui all'art. 402 cod. pen.
   Non si soffermava, pero', ad analizzare tale questione ed affermava
 l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato.
   Sul  gravame del p.m., la Corte di Appello di Perugia, con sentenza
 6 febbraio 1998, affermava la responsabilita' dell'imputato in ordine
 al delitto di cui all'art. 402 cod. pen. e lo  condannava  alla  pena
 ritenuta di giustizia.
   A giudizio della Corte territoriale:
    l'art.  1  del Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n.
 121, nel rimuovere la qualificazione della religione  cattolica  come
 religione  dello Stato, non ha avuto alcuna incidenza sulla validita'
 della norma incriminatrice di cui all'art. 402 cod. pen. ed in questa
 l'espressione "religione dello Stato" va intesa  in  senso  meramente
 descrittivo,  come  equivalente  a  quella  di  religione  o di culto
 cattolico;
    deve essere rimeditato il problema della diversita' di trattamento
 riservata alla religione  cattolica  nell'ordinamento  penale,  e  la
 Corte   Costituzionale   ha   gia'  avvertito  il  legislatore  della
 necessita' di addivenire ad una revisione normativa  che  elimini  la
 disparita'   di   disciplina   tra   le   varie  religioni,  ma  tale
 prospettazione  de  iure  condendo  non  puo'  legittimare  la   tesi
 dell'abolito criminis;
    nella fattispecie concreta il contenuto dei due cartelli collocati
 sul  suolo  pubblico  supera  ampiamente  il  limite  della  "critica
 consentita", correlato alla liberta' di manifestazione del  pensiero,
 ed appare consapevolmente e volontariamente rivolto ad evidenziare il
 disprezzo  dell'imputato  verso la religione cattolica, attraverso la
 formulazione di giudizi irriguardosi ed immotivati con i  quali  egli
 ha  inteso  dimostrare  "di tenere a vile la religione cattolica ed i
 suoi massimi rappresentanti".
   Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il  Grazioli,  il  quale,
 sotto il profilo della violazione di legge, ha eccepito tra l'altro:
     a)  l'abolitio  criminis della fattispecie prevista dall'art. 402
 cod.  pen.,  in  seguito  all'entrata  in  vigore  dell'art.  1   del
 Protocollo addizionale alla legge n. 121/1985;
     b)  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma incriminatrice
 applicata, per violazione del principio secondo il quale "siamo tutti
 uguali davanti alla legge, senza distinzione di religione".
                              Considerato
   1. - L'anzidetta eccezione  di  incostituzionalita'  dell'art.  402
 cod.  pen. - sollevata, con riferimento agli artt. 3, primo comma, ed
 8, primo comma, della Costituzione, sotto i profili della  violazione
 del  prncipio  di  uguaglianza  senza  distinzione di religione e del
 principio  di  uguale  liberta'  davanti  alla  legge  di  tutte   le
 confessioni religiose - e' senz'altro rilevante, ai fini del decidere
 nel presente processo, ove viene contestata all'imputato proprio tale
 norma incriminatrice.
   2.  -  L'eccezione  medesima  appare  altresi'  non  manifestamente
 infondata per le seguenti essenziali considerazioni:
     a) La Corte costituzionale, con la sentenza n. 39 del 1965 si  e'
 pronunciata  nel  senso  della  non  fondatezza  della  questione  di
 costituzionalita' dell' art. 402 cod. pen.  -  con  riferimento  agli
 artt. 3, 8, 19 e 20 della Costituzione - affermando, tra l'altro, che
 la   tutela   penale   rafforzata  della  religione  cattolica  trova
 giustificazione in relazione alla  maggiore  ampiezza  ed  intensita'
 delle  reazioni  sociali  alle  offese  della  religione medesima, in
 quanto professata dalla maggioranza dei cittadini;
     b)  La  disposizione  incriminatrice  in  oggetto   fa   testuale
 riferimento al vilipendio della "religione dello Stato".
   Tale  nozione  -  enunciata  nell'art.  1  dello Statuto Albertino,
 ribadita nell'art. 1 del Trattato  del  1929  tra  la  Santa  Sede  e
 l'Italia  e  largamente  utilizzata  dal  codice  penale vigente - e'
 incompatibile  con  il  principio  costituzionale   fondamentale   di
 laicita' dello Stato (come ritenuto dalla stessa Corte costituzionale
 con  le  decisioni  nn.  203  del  1989  e  149 del 1995) ed e' stata
 definitivamente  superata  con  la  formulazione  del  punto  1   del
 Protocollo   addizionale   all'Accordo  di  modifica  del  Concordato
 lateranense, recepito nell'ordinamento italiano con la legge 25 marzo
 1985, n. 121, a norma del quale "Si considera non piu' in  vigore  il
 principio,  originariamente  richiamato  dai Patti lateranensi, della
 religione cattolica come sola religione dello Stato italiano".
     c) La Corte costituzionale - con le sentenze n. 925 del 1988 e n.
 440 del 1995  -  ha  affermato  che  l'espressione  "religione  dello
 Stato", generale nelle fattispecie dei reati attinenti alla religione
 previsti  dal  codice  penale,  costituisce "semplicemente il tramite
 linguistico per mezzo del quale, ora come allora, viene  indicata  la
 religione cattolica".
     d) La stessa Consulta - con le sentenze n. 440 del 1995 e n.  329
 del 1997 - ha posto in rilievo che:
   "Secondo  la  visione nella quale si mosse il legislatore del 1930,
 alla Chiesa ed alla religione cattoliche era riconosciuto  un  valore
 politico, quale fattore di unita' morale della nazione. Tale visione,
 oltre  a  trovare riscontro nell'espressione "religione dello Stato",
 stava alla base delle  numerose  norme  che,  anche  al  di  la'  dei
 contenuti  e  degli  obblighi  concordatari,  dettavano discipline di
 favore a tutela della religione cattolica, rispetto  alla  disciplina
 delle  altre confessioni religiose, ammesse nello Stato. Questa ratio
 differenziatrice  certamente  non   vale   piu'   oggi,   quando   la
 Costituzione  esclude che la religione possa considerarsi strumentale
 rispetto alle finalita' dello Stato e viceversa (sentenze nn. 334 del
 1996 e 85 del 1963, nonche' n.  203 del 1989)";
   La giurisprudenza del giudice delle leggi ha abbandonato  da  tempo
 il   criterio   (c.d.  quantitativo)  secondo  il  quale  una  tutela
 privilegiata della religione  cattolica  avrebbe  trovato  fondamento
 sulla  speciale preminenza della stessa rispetto alle altre religioni
 in quanto essa "e', per antica  ed  ininterrotta  tradizione,  quella
 professata dalla quasi totalita' dei cittadini" (sentenze nn. 125 del
 1957,  79  del 1958 e 14 del 1973) e, nella sentenza n. 925 del 1988,
 e' stato affermato che deve considerarsi  "ormai  inaccettabile  ogni
 tipo  di discriminazione (che si basi) soltanto sul maggiore o minore
 numero degli appartenenti alle varie confessioni  religiose"  mentre,
 nella sentenza n. 440 del 1995, e' stato specificato che "l'abbandono
 del criterio quantitativo significa che, in materia di religione, non
 valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza
 di  ciascuna  persona  che si riconosce in una fede, quale che sia la
 confessione religiosa di appartenenza";
   Con  la  sentenza  n.  329  del  1997,  infine,  ancora  la   Corte
 costituzionale   ha  precisato  che  "la  protezione  del  sentimento
 religioso e' venuta ad assumere il significato di un  corollario  del
 diritto  costituzionale  di  liberta'  di  religione, corollario che,
 naturalmente,  deve  abbracciare  allo   stesso   modo   l'esperienza
 religiosa  di  tutti  coloro  che  la  vivono,  nella  sua dimensione
 individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di
 fede, delle diverse confessioni.  Il  superamento  di  questa  soglia
 attraverso  valutazioni  e  apprezzamenti legislativi differenziati e
 differenziatori, con  conseguenze  circa  la  diversa  intensita'  di
 tutela,  infatti,  inciderebbe sulla pari dignita' della persona e si
 porrebbe in contrasto col principio costituzionale della  laicita'  o
 non-confessionalita'  dello  Stato...:  principio che, come si ricava
 dalle disposizioni che  la  Costituzione  dedica  alla  materia,  non
 significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa ma comporta
 equidistanza  e  imparzialita' della legislazione rispetto a tutte le
 confessioni religiose".
   3. - Alla luce delle anzidette considerazioni, ritenuto che:
     la privazione, per la confessione  cattolica,  del  carattere  di
 religione  di  Stato,  operata dal punto 1 del Protocollo addizionale
 dell'Accordo del 1984, ha riportato la  stessa  nell'alveo,  definito
 dall'art. 3 della Costituzione, di una pari dignita' nei confronti di
 ogni altra istanza religiosa;
     la   Corte   costituzionale  in  piu'  occasioni  ha  rivolto  al
 legislatore l'invito a  rimuovere  la  ingiustificata  differenza  di
 tutela penale della religione cattolica e degli altri culti;
     il  reato  di  vilipendio  alla religione dello Stato implica una
 effettiva discriminazione fra confessioni religiose e, quindi, tra le
 diverse espressioni del sentimento religioso, si impone  un  giudizio
 di  legittimita'  dell'art.  402  cod.  pen.,  da  parte  della Corte
 costituzionale, alla quale vanno  immediatamente  rimessi  gli  atti,
 previa  sospensione  del  giudizio  in  corso, secondo quanto dispone
 l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  con  le  ulteriori
 incombenze di legge.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 134 Cost., e 23 e seguenti della legge n. 87/1953;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 402 cod.  pen.,  per  contrasto
 con gli artt. 3, primo comma, e 8, primo comma, della Costituzione;
   Dispone la sospensione del giudizio ed ordina la trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio dei Ministri nonche' comunicata  ai  Presidenti  delle  due
 Camere del Parlamento della Repubblica.
     Roma, addi' 5 novembre 1998
                         Il presidente: Tonini
                                            Il consigliere rel.: Fiale
 99C0153