N. 50 SENTENZA 24 febbraio - 4 marzo 1999

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 Costituzione  della  Repubblica italiana - G.I.P. presso il tribunale
 di Roma e Senato della Repubblica - Procedimento penale a carico  del
 sen. Giuseppe Arlacchi - Insindacabilita' delle opinioni espresse dal
 senatore  nei  confronti  di Corrado Carnevale - Mancato rispetto del
 termine perentorio per il deposito del ricorso - Improcedibilita' del
 conflitto.
 
(GU n.10 del 10-3-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  del  giudice  per  le indagini
 preliminari presso il tribunale di  Roma,  notificato  il  15  luglio
 1998,  depositato  in Cancelleria il 16 settembre 1998, per conflitto
 di attribuzione sorto a  seguito  della  delibera  del  Senato  della
 Repubblica  con la quale e' stata dichiarata l'insindacabilita' delle
 opinioni espresse dal sen. Giuseppe Arlacchi nei confronti di Corrado
 Carnevale ed iscritto al n. 27 del registro conflitti 1998.
   Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;
   Udito nella camera di consiglio del  13  gennaio  1999  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel  corso di un procedimento penale a carico del senatore
 Giuseppe Arlacchi, il giudice per le indagini preliminari  presso  il
 tribunale  di  Roma, con ordinanza del 16 febbraio 1998, ha sollevato
 conflitto di attribuzione nei confronti del Senato  della  Repubblica
 in  relazione  alla  deliberazione del 2 luglio 1997, che ha ritenuto
 che il fatto, per il quale e' in  corso  detto  procedimento  penale,
 concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio
 delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma, della
 Costituzione.
   Il giudice ricorrente espone che il senatore Arlacchi  e'  imputato
 del  delitto di cui agli articoli 595, commi 1 e 3, del codice penale
 e 13 della legge 8 febbraio 1948, n 47 (Disposizioni  sulla  stampa),
 per  avere offeso la reputazione del dottor Corrado Carnevale sia nel
 contesto di un articolo apparso nell'edizione del 14 maggio 1995  del
 quotidiano  La  Repubblica,  sia nel commento che lo stesso giornale,
 nell'edizione del successivo 17 maggio, ha pubblicato  unitamente  ad
 una  lettera  di smentita inviata dallo stesso dottor Carnevale.  Nel
 corso  del  procedimento,  ritenendo   di   non   potere   accogliere
 l'eccezione  sollevata  dall'imputato,  ai  sensi dell'allora vigente
 decreto-legge 10  maggio  1996,  n.  253  (Disposizioni  urgenti  per
 l'attuazione  dell'art.    68  della  Costituzione),  il  giudice  ha
 trasmesso gli atti al Senato della Repubblica.
   Il Senato, nella seduta del 2 luglio 1997,  ha  deliberato  che  il
 fatto  per  il  quale  e'  in corso il procedimento concerne opinioni
 espresse  da  un  membro  del  parlamento  nell'esercizio  delle  sue
 funzioni,  e  ricade  pertanto nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo
 comma della Costituzione. Ed e' appunto contro questa delibera che il
 giudice per le indagini preliminari presso il tribunale  di  Roma  ha
 sollevato   conflitto   di   attribuzione,  chiedendo  che  la  Corte
 costituzionale  stabilisca  che  non  spetta  al  Senato  "dichiarare
 l'insindacabilita'  dei  fatti  ascritti  al  Senatore  Arlacchi  ...
 poiche' essi non ricadono nella ipotesi prevista dall'art.  68  primo
 comma  della  Costituzione".    Il  giudice  premette che, secondo la
 giurisprudenza  costituzionale,  la  riferibilita'   dell'atto   alle
 funzioni  parlamentari  costituisce il discrimine fra l'insieme delle
 dichiarazioni, giudizi e critiche ricorrenti nell'attivita'  politica
 dei   parlamentari   e  le  opinioni  che  godono  della  prerogativa
 attribuita  dall'art.  68  della  Costituzione,  e  che  la  funzione
 parlamentare,  pur  svolgendosi per sua natura in forma anche libera,
 non puo' coincidere con l'intera attivita' politica del membro  delle
 Camere.   Sulla  base  di  detti  principi  eccepisce  che  "i  fatti
 contestati all'imputato non possono in alcun modo essere  qualificati
 come  opinioni  espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari",
 dato che, nel caso di specie, il sen. Arlacchi "ha  espresso  giudizi
 circoscritti  ad  una persona, con attribuzione di fatti determinati,
 oggettivamente non riferibili  ad  alcun  atto  parlamentare  neppure
 nell'accezione piu' ampia".
   Secondo   il  ricorrente,  infatti,  le  dichiarazioni  incriminate
 costituiscono puramente la replica ad  un'intervista  rilasciata  dal
 dottor  Carnevale al quotidiano La Repubblica, con la conseguenza che
 il senatore Arlacchi avrebbe soltanto inteso "reagire ad  una  altrui
 condotta  ritenuta  diffamatoria  e  non compiere un atto esplicativo
 delle  proprie  funzioni".    Trattandosi  quindi  di  una   polemica
 strettamente   personale,   conclude   il  giudice  per  le  indagini
 preliminari,   elevarla   "alla  dignita'  di  fatto  strumentalmente
 collegato   alle   funzioni   parlamentari   appare    un    evidente
 travalicamento dei confini segnati dall'art. 68 della Costituzione".
   2. - La Corte, con ordinanza n. 250 del 30 giugno 1998, ha ritenuto
 ammissibile  il conflitto, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo
 1953, n. 87, in relazione alla predetta deliberazione del Senato  del
 2  luglio  1997, fissando per la notificazione del ricorso il termine
 di sessanta giorni dalla comunicazione.
   Il ricorso e' stato notificato  al  Senato  il  15  luglio  1998  e
 depositato  presso  la  cancelleria  della Corte costituzionale il 16
 settembre successivo.
   3. - Si e' costituito il Senato della Repubblica, chiedendo che  il
 ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.
   Ad   avviso  della  parte  resistente  difetta,  sotto  il  profilo
 oggettivo, la materia del conflitto, in quanto la prerogativa di  cui
 all'art.    68  non  puo'  non  implicare  "un  esclusivo  potere  di
 accertamento della sussistenza dei presupposti di insindacabilita' da
 parte dell'organo a tutela del quale la prerogativa e' disposta", con
 la conseguenza che  "l'esercizio  della  competenza  da  parte  della
 camera  di appartenenza esclude la sussistenza di una titolarita' del
 giudice  all'esercizio  della  funzione  giurisdizionale".   Inoltre,
 neppure   puo'   sostenersi   che  le  valutazioni  del  Senato  sono
 arbitrarie, poiche' ambedue gli  articoli,  oggetto  dell'imputazione
 penale, richiamano il contenuto di atti processuali depositati presso
 la  Commissione  parlamentare  antimafia, di cui il senatore Arlacchi
 era all'epoca vice presidente.  Il collegamento tra le  dichiarazioni
 riportate   nei   due   articoli  e  l'esercizio  delle  funzioni  di
 parlamentare  e'  quindi,  secondo  il  resistente,  "agevole  e  non
 arbitrario",  proprio perche' dette dichiarazioni sono state rese dal
 senatore Arlacchi non per motivi di carattere personale, "bensi'  per
 reagire,  nella propria qualita' di vice presidente della Commissione
 antimafia ad attacchi e critiche formulate  da  soggetti  interessati
 dall'indagine parlamentare".
   La  dichiarazione  di  insindacabilita',  conclude  la  difesa  del
 Senato, "costituisce, nel caso di  specie,  un  tipico  strumento  di
 difesa  della  liberta'  di  giudizio  ed  azione investigativa di un
 membro della Commissione antimafia,  in  una  fase  delicatissima  di
 accertamento  delle  responsabilita'  in  quel settore particolare di
 criminalita'".
                        Considerato in diritto
   1. -  E' stato sollevato conflitto di attribuzione,  da  parte  del
 giudice  per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, nei
 confronti del Senato della Repubblica in  ordine  alla  deliberazione
 con  cui  il  Senato  ha  ritenuto  che  le opinioni, per le quali il
 senatore Giuseppe Arlacchi e' stato sottoposto a procedimento penale,
 costituiscono esercizio delle funzioni di parlamentare e sono  quindi
 insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
 Secondo  il  giudice  ricorrente,  con  la  predetta deliberazione il
 Senato  ha   ricondotto   nella   sfera   delle   opinioni   espresse
 nell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari  una condotta che e' ad
 esse  estranea,  in  quanto  aspetto  di  una  polemica  strettamente
 personale,   ed   operando   in  tal  modo  ha  leso  le  prerogative
 dell'autorita' giudiziaria.
   2. - Preliminarmente va rilevata l'improcedibilita' del giudizio.
   Le  due  fasi  nelle quali si articola il giudizio per conflitto di
 attribuzione  sono  entrambe  rimesse  all'iniziativa   della   parte
 interessata.   Nel caso di specie, all'esito della prima fase, che ha
 ad oggetto la sommaria delibazione sull'ammissibilita' del conflitto,
 l'autorita' giudiziaria ricorrente ha notificato  tempestivamente  il
 15  luglio  1998  al  Senato  della  Repubblica il ricorso unitamente
 all'ordinanza che lo ha  dichiarato  ammissibile,  ma  ha  depositato
 presso  la  cancelleria di questa Corte il ricorso e l'ordinanza, con
 la prova della  eseguita  notificazione,  soltanto  il  16  settembre
 successivo.  Il  deposito  e' stato quindi effettuato quando era gia'
 scaduto il termine fissato dall'art. 26,  terzo  comma,  delle  Norme
 integrative  per  i  giudizi davanti alla Corte costituzionale, ossia
 quello di venti giorni dall'ultima notificazione.
   Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte,   data
 l'autonomia  delle due fasi del giudizio, il deposito del ricorso nel
 termine da ultimo  indicato  costituisce  un  adempimento  necessario
 perche'  si possa aprire la seconda fase del conflitto, relativa alla
 decisione nel merito. In questo quadro, tale  termine  e',  pertanto,
 considerato  perentorio,  in  quanto  da esso decorre l'intera catena
 degli ulteriori termini fissati per la prosecuzione del giudizio  (ex
 plurimis  sentenze n. 35 del 1999, n. 342 e n. 274 del 1998; sent. n.
 449 del 1997) e ad esso non e'  neppure  applicabile  la  sospensione
 feriale  ex  art.    1  della  legge  7 ottobre 1969, n. 742, poiche'
 quest'ultima non opera in riferimento ai  giudizi  davanti  la  Corte
 costituzionale  (ord. n.  126 del 1997; ord. n. 386 del 1985; ord. n.
 109 del 1975).
   Non essendo stato rispettato il termine perentorio per il deposito,
 difetta dunque un adempimento necessario perche'  il  giudizio  possa
 proseguire.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  improcedibile  il  conflitto  di  attribuzione tra poteri
 dello Stato proposto dal giudice per le indagine  preliminari  presso
 il tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica con il
 ricorso indicato in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 marzo 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0189