N. 57 ORDINANZA 24 febbraio - 4 marzo 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Limitazioni all'utilizzabilita' delle dichiarazioni
 rese  dall'imputato  in  procedimento  connesso  e che si avvalga, in
 dibattimento, della facolta' di non  rispondere  -  Riferimento  alle
 sentenze  della Corte nn. 254 e 255/1992 e 361/1998 - Esigenza di una
 nuova valutazione da parte del  giudice  a  quo  circa  la  rilevanza
 attuale  della questione a seguito sentenza della Corte n. 361/1998 -
 Manifesta inammissibilita'  -  Restituzione  degli  atti  al  giudice
 rimettente.
 
 (C.P.P., art. 513, primo e secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 111 e 112).
 
(GU n.10 del 10-3-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 513 del codice
 di procedura penale, come modificato dalla legge 7  agosto  1997,  n.
 267  (Modifica  delle  disposizioni del codice di procedura penale in
 tema di valutazione delle prove), promosso con ordinanza emessa il 16
 dicembre 1997 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di
 L. S. ed altri, iscritta al n. 108  del  registro  ordinanze  1998  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica, n. 9, prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 27 gennaio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che il pretore di Roma ha sollevato, in  riferimento  agli
 artt.  3, 24, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 513 del codice  di  procedura  penale,  come
 modificato  dalla  legge  7  agosto  1997,  n.  267  (Modifica  delle
 disposizioni del codice di procedura penale in  tema  di  valutazione
 delle  prove),  nella  parte  in cui limita l'utilizzabilita' ai fini
 della decisione delle dichiarazioni rese da coimputati o imputati  in
 procedimento connesso che in dibattimento si avvalgono della facolta'
 di non rispondere;
     che  la questione e' stata sollevata nel corso di un procedimento
 a carico di tre imputati, uno dei quali, citato per la prima volta  a
 comparire  dopo l'entrata in vigore della legge per essere sottoposto
 ad esame, si era  avvalso  in  dibattimento  della  facolta'  di  non
 rispondere;
     che,  ai  fini  della  rilevanza, nell'ordinanza si precisa che a
 seguito dell'esercizio della facolta' di non  rispondere  sono  state
 acquisite  le  dichiarazioni  rese  da  tale soggetto nel corso delle
 indagini  al  pubblico  ministero  e  al  giudice  per  le   indagini
 preliminari,  le  quali  tuttavia non sono utilizzabili nei confronti
 degli altri coimputati in mancanza del loro consenso;
     che il rimettente, svolgendo  argomentazioni  relative  sia  alla
 posizione  del  coimputato sia a quella dell'imputato in procedimento
 connesso, lamenta che la norma impugnata introduce "regole legali  di
 valutazione della prova che si pongono in contrasto con i principi di
 verita'  storica e di "non dispersione" dei mezzi di prova" affermati
 da questa Corte con le sentenze nn. 254 e 255 del 1992;
     che ad avviso del giudice  a  quo  tale  disciplina  si  pone  in
 contrasto  con  gli artt. 24, 111 e 112 della Costituzione, in quanto
 non consente al giudice di conoscere fatti rilevanti  ai  fini  della
 decisione,  precludendo  cosi'  allo  stesso  di  "supportare con una
 corretta e adeguata motivazione la decisione medesima" e fa dipendere
 il concreto esercizio dell'azione penale da scelte di  convenienza  o
 da accordi piu' o meno espliciti delle parti;
     che il rimettente ravvisa inoltre la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione  sotto  il  profilo  della  irragionevole  diversita' di
 disciplina  riservata  alle  dichiarazioni  rese   da   imputati   in
 procedimenti  connessi rispetto a quella dettata per gli "altri mezzi
 di prova";
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, riportandosi integralmente, stante l'analogia delle questioni,
 al  contenuto  dell'atto  di  intervento  relativo  al  giudizio   di
 costituzionalita'   promosso   con   l'ordinanza   del  Tribunale  di
 Pordenone, iscritta al n. 32 del r.o. del 1998, il quale a sua  volta
 rinvia    all'atto    di    intervento   relativo   ai   giudizi   di
 costituzionalita' promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787
 del r.o. del 1997, gia' decisi con sentenza n. 361 del 1998.
   Considerato che il rimettente impugna genericamente l'art. 513  del
 codice  di  procedura  penale,  come  modificato dalla legge 7 agosto
 1997, n. 267, formulando censure al  regime  di  utilizzazione  delle
 dichiarazioni   in   precedenza  rese  dal  coimputato  (comma  1)  e
 dall'imputato in procedimento connesso (comma 2);
     che, tuttavia, l'unica posizione rilevante  nel  giudizio  a  quo
 risulta  essere quella del coimputato, disciplinata dal comma 1 della
 norma impugnata;
     che  pertanto  la  questione  prospettata  in  riferimento   alla
 posizione  dell'imputato in procedimento connesso, regolata dal comma
 2  dell'art.     513  cod.  proc.  pen.,   deve   essere   dichiarata
 manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;
     che,  per  quanto  concerne  la  disciplina contenuta nel comma 1
 della norma impugnata, successivamente alla emissione  dell'ordinanza
 di  rimessione, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso
 sul quadro normativo  risultante  dalle  modifiche  introdotte  dalla
 legge  n.  267 del 1997, dichiarando la illegittimita' costituzionale
 in parte qua tra l'altro, degli artt. 513, comma 2, ultimo periodo  e
 210 del codice di procedura penale;
     che,  per  effetto di detta pronuncia, qualora il coimputato, che
 abbia in  precedenza  reso  dichiarazioni  su  fatti  concernenti  la
 responsabilita'  di  altri, in dibattimento rifiuti o comunque ometta
 in tutto o in parte di  rispondere  su  tali  fatti,  si  applica  la
 disciplina  degli artt. 210 e 513, comma 2, cod. proc. pen., nonche',
 in  mancanza  dell'accordo   delle   parti,   il   meccanismo   delle
 contestazioni  previsto  dall'art.   500, commi 2-bis e 4, cod. proc.
 pen;
     che pertanto occorre restituire gli atti  al  giudice  rimettente
 affinche'  verifichi se, alla luce della nuova disciplina applicabile
 a seguito della sentenza n. 361 del 1998, la questione sollevata  sia
 tuttora rilevante.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 513, comma  2,  del  codice  di
 procedura  penale  sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e
 112 Cost., dal pretore di Roma con l'ordinanza in epigrafe;
   Ordina la restituzione degli atti al pretore di Roma  in  relazione
 alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513, comma 1,
 del codice di procedura penale.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                      Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 marzo 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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