N. 84 ORDINANZA 11 - 18 marzo 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  - Imputato in procedimento connesso - Prosecuzione
 in  modo  separato  -  Dichiarazioni  in  precedenza  rese  su  fatti
 concernenti  la  responsabilita' di terzi - Possibilita' di avvalersi
 nel dibattimento a carico di quei soggetti,  della  facolta'  di  non
 rispondere  -  Riferimento  alla  sentenza  della Corte n. 361/1998 -
 Esigenza di nuova valutazione da parte del giudice  rimettente  circa
 la  rilevanza  della  questione  a seguito della intervenuta sentenza
 della Corte - Possibilita' di recuperare mediante  il  sistema  delle
 contestazioni  i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese
 in precedenza - Restituzione degli atti al giudice a quo.
 
 (C.P.P.,  artt. 197, 208, 210, 372 e 513; legge  7  agosto  1997,  n.
 267, art. 6).
 
(GU n.12 del 24-3-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Renato GRANATA;
 Giudici: prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 197, 208, 210
 e 513 del codice di procedura penale, dell'art. 372 del codice penale
 e dell'art. 6 della legge 7  agosto  1997,  n.  267  (Modifica  delle
 disposizioni  del  codice  di procedura penale in tema di valutazione
 delle prove), promossi con ordinanze emesse il 1  dicembre  1997  dal
 Tribunale  di Lecco, il 17 dicembre 1997 dal Tribunale di Venezia, il
 2 dicembre 1997 dal Tribunale di Trani,  il  5  dicembre  1997  dalla
 Corte  d'appello  di  Bologna,  il  5  febbraio 1998 dal Tribunale di
 Grosseto, il 24 ed il 28 ottobre 1997 dal Tribunale di Milano e il 10
 marzo 1998 dal Tribunale di Palermo, rispettivamente iscritte ai  nn.
 112, 134, 146, 220, 325, 341, 342 e 378 del registro ordinanze 1998 e
 pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 11, 14,
 19, 20 e 22, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto che con otto ordinanze il Tribunale di Lecco (r.o. n.  112
 del 1998), il Tribunale  di  Venezia  (r.o.  n.  134  del  1998),  il
 Tribunale  di  Trani  (r.o.  n. 146 del 1998), la Corte di appello di
 Bologna (r.o. n. 220 del 1998), il Tribunale  di  Grosseto  (r.o.  n.
 325 del 1998), il Tribunale di Milano (r.o. nn. 341 e 342 del 1998) e
 il  Tribunale  di  Palermo (r.o. n. 378 del 1998) hanno sollevato, in
 riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 102, 111  e  112  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  210
 del codice di procedura penale;
     che  tutte  le  questioni  sono  state  sollevate  nel  corso  di
 dibattimenti nei quali i soggetti  che  avevano  reso  in  precedenza
 dichiarazioni  erga  alios,  citati ai sensi dell'art. 210 cod. proc.
 pen., si sono avvalsi della facolta' di  non  rispondere  e  che  gli
 imputati  non  hanno  prestato  il  consenso alla utilizzazione delle
 precedenti dichiarazioni;
     che tutti i rimettenti, ad eccezione del Tribunale  di  Grosseto,
 censurano  l'art.  210,  comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui
 prevede che l'imputato in procedimento  connesso,  per  il  quale  si
 procede  o  si  e'  proceduto separatamente e che abbia in precedenza
 reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilita' di  terzi,
 possa  avvalersi,  nel  dibattimento a carico di quei soggetti, della
 facolta' di non rispondere;
     che l'art. 210 cod. proc. pen. e' impugnato  unitamente  all'art.
 513,  comma 2, cod. proc. pen., per i riflessi che l'eliminazione del
 diritto al silenzio produrrebbe sulla disciplina  delle  letture  nel
 caso  in  cui i soggetti indicati nell'art. 210, comma 1, cod.  proc.
 pen. rifiutino di rispondere in dibattimento;
     che secondo i giudici a quibus  l'art.  210  cod.  proc.  pen.  e
 l'art.   513, comma 2, cod. proc. pen., subordinando alla volonta' di
 un soggetto estraneo al processo, quale e' l'imputato in procedimento
 connesso, e all'accordo delle parti l'utilizzabilita' ai  fini  della
 decisione delle dichiarazioni rese in precedenza sul fatto altrui, si
 pongono   in  contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la
 irragionevole diversita' di tale disciplina rispetto a quella dettata
 nell'art.  513, comma 2, secondo periodo,  cod.  proc.  pen.  per  le
 stesse dichiarazioni quando per fatti o circostanze imprevedibili non
 sia  possibile  ottenere  la  presenza  del  soggetto citato ai sensi
 dell'art. 210 cod. proc.  pen., nonche' a quella  prevista  nell'art.
 500,  commi  2-bis  4  e  5,  cod.  proc.  pen.  per le dichiarazioni
 testimoniali rese nel corso delle indagini preliminari (r.o. nn. 112,
 146, 341, 342 e 378 del 1998);
     che  i  rimettenti  lamentano  inoltre che tale disciplina deroga
 irragionevolmente al principio  di  non  dispersione  della  prova  e
 impedisce  al  giudice la piena conoscenza dei fatti del giudizio, in
 contrasto  con  i  principi  di  uguaglianza,  legalita',   esercizio
 dell'azione    penale,    funzione   conoscitiva   del   processo   e
 indefettibilita' della giurisdizione (in riferimento rispettivamente:
 r.o. n. 112 del 1998 agli artt.  3, 24, secondo comma,  101,  secondo
 comma,  112  Cost; r.o. n. 134 del 1998 agli artt. 3, 24, 25, secondo
 comma, 101 e 112 Cost; r.o. n.  146 agli artt. 97 e  112  Cost;  r.o.
 nn. 341, 342 agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101,
 102,  primo  comma,  111  e  112  Cost., nonche' all'art. 24, secondo
 comma, della Costituzione sotto il profilo della lesione del  diritto
 di difesa della parte civile e degli altri imputati; r.o. n. 378 agli
 artt. 24, 101, 111 e 112 Cost.);
     che,  in  particolare,  il  Tribunale  di Lecco impugna gli artt.
 210, commi 4 e 6, e 513, commi 1 e 2, cod. proc. pen.,  singolarmente
 e  "in  combinato  disposto"  con gli artt. 197, lettere a) e b), 208
 cod. proc. pen. e  372  cod.  pen.,  censurando  complessivamente  la
 disciplina   che,   distinguendo   sotto  il  profilo  processuale  e
 sostanziale la figura del testimone rispetto a  quella  dell'imputato
 in  procedimento  connesso,  subordina al consenso di quest'ultimo la
 possibilita' di procedere all'esame  dibattimentale  anche  su  fatti
 concernenti  la responsabilita' di altri, in relazione ai quali abbia
 in precedenza reso dichiarazioni;
     che  a  parere  del   rimettente   consentire   all'imputato   in
 procedimento  connesso  di  non  sottoporsi  all'esame dibattimentale
 determina la violazione degli artt. 2, 3, 24 e  101,  secondo  comma,
 della  Costituzione  perche'  viene  irragionevolmente sacrificato il
 principio della indefettibilita' della giurisdizione che ha come fine
 primario l'accertamento del reato, a cui tale soggetto  e'  tenuto  a
 concorrere  in  adempimento  dei  doveri inderogabili di solidarieta'
 sociale, nonche' il diritto al contraddittorio dell'imputato chiamato
 a  difendersi  in  dibattimento  nei  confronti  delle  dichiarazioni
 eteroindizianti  rese  in  precedenza  dall'imputato  in procedimento
 connesso;
     che l'art. 210 cod. proc. pen. viene censurato dal  Tribunale  di
 Grosseto in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 112 Cost.,
 nella  parte  (comma  1)  in cui equipara il "coimputato nel medesimo
 reato la cui posizione sia stata definita con sentenza irretrattabile
 ex  art.  444  cod.  proc.  pen."  alle  "persone  imputate   in   un
 procedimento  connesso  a  norma  dell'art.  12  cod. proc. pen., nei
 confronti delle quali si procede o  si  e'  proceduto  separatamente,
 estendendogli la facolta' di non rispondere";
     che  ad avviso del rimettente la disposizione impugnata detta, in
 violazione dell'art. 3 Cost., un'identica disciplina  per  situazioni
 difformi  (quella  dell'imputato nei confronti del quale si procede o
 si e' proceduto separatamente, che puo' subire  un  pregiudizio,  nel
 proprio  procedimento  non ancora definito con sentenza irrevocabile,
 dalle dichiarazioni  che  e'  chiamato  a  rendere  nel  procedimento
 connesso  o  collegato,  e  quella  dell'imputato  la  cui  posizione
 processuale e' ormai definita e  per  il  quale  nessuna  conseguenza
 sfavorevole  potra'  mai scaturire da qualsivoglia dichiarazione resa
 nel procedimento connesso o collegato) e si pone in contrasto con gli
 artt.  24,  secondo  comma, e 112 della Costituzione sotto il profilo
 della lesione del  diritto  di  difesa  dell'imputato  attinto  dalle
 dichiarazioni  indizianti  e  del  diritto  alla  prova  del pubblico
 ministero;
     che la Corte di appello di Bologna impugna l'art. 210 cod.  proc.
 pen.  unitamente all'art. 197 dello stesso codice, nonche' l'art.  6,
 commi 3 e 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267, nella  parte  in  cui
 prevede  che  nei giudizi di appello in corso alla data di entrata in
 vigore della novella la rinnovazione parziale del dibattimento  -  in
 vista  della utilizzazione delle dichiarazioni delle persone indicate
 nell'art. 513 cod. proc. pen. e al fine di ottenere la  citazione  di
 coloro  che  avevano reso tali dichiarazioni - venga disposta "ove la
 parte interessata lo richieda"  (comma  3),  e  nella  parte  in  cui
 dispone  che  se  tali  soggetti  si  avvalgono  ulteriormente  della
 facolta' di non  rispondere,  le  dichiarazioni  rese  in  precedenza
 possono  essere  valutate come prova dei fatti in esse affermati solo
 se la loro attendibilita' sia confermata da altri elementi di  prova,
 non  desunti  da  dichiarazioni  rese  al  pubblico  ministero o alla
 polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel  corso  delle
 indagini preliminari di cui sia stata data lettura ai sensi dell'art.
 513 cod. proc. pen. previgente (comma 5);
     che    il   collegio   rimettente   dubita   della   legittimita'
 costituzionale degli artt. 197 e 210 cod. proc. pen., in  riferimento
 agli  artt.    3 e 24, primo e secondo comma, Cost., ravvisando nella
 disciplina una violazione del principio  di  uguaglianza  e  di  pari
 dignita',  in quanto fa "discendere il diritto/dovere di testimoniare
 in giudizio da condizioni personali e sociali, anche  se  limitate  a
 quelle che si assumono nel processo" con conseguente sacrificio anche
 del diritto di difesa;
     che,  con riferimento alle disposizioni transitorie contenute nei
 commi 3 e 5 dell'art. 6 della legge n. 267 del  1997,  il  rimettente
 denuncia  per  irragionevolezza,  con  conseguenti  ricadute anche in
 termini di disparita' di trattamento tra imputati, la disciplina  che
 condiziona alla richiesta delle parti la nuova citazione nel giudizio
 di  appello delle persone indicate nell'art. 513 cod. proc.  pen., in
 quanto il giudice puo' utilizzare le dichiarazioni rese in precedenza
 solo nei limiti del comma 5 dell'art. 6 della legge n. 267 del  1997,
 mentre,  se  le  parti non ne chiedono la citazione, le dichiarazioni
 gia' acquisite nel dibattimento di primo grado a seguito del  rifiuto
 di   rispondere   sono  integralmente  utilizzabili,  assumendone  il
 contrasto anche con gli artt. 25, 101, secondo comma, e 112 Cost;
     che  ulteriori  censure  alla  disciplina  transitoria  contenuta
 nell'art.    6 da ultimo indicato sono formulate, in riferimento agli
 artt. 3, 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost., dal Tribunale di  Venezia
 (che impugna l'art. 513 cod. proc. pen. "con riferimento" all'art. 6,
 commi  1  e 5, della legge n. 267 del 1997), dal Tribunale di Trani e
 dal Tribunale di Milano: a) nella parte in cui (commi 2  e  5)  rende
 immediatamente  applicabile  la  nuova  disciplina dell'art. 513 cod.
 proc. pen. ai procedimenti in corso, nei quali alla data  di  entrata
 in  vigore  della  legge  non  sia  stata  disposta  la lettura delle
 dichiarazioni rese dai soggetti indicati  nell'art.  513  cod.  proc.
 pen. (r.o. nn.  134 e 146 del 1998); b) nella parte in cui esclude al
 comma 5 che elementi di prova utili alla conferma dell'attendibilita'
 di  dichiarazioni  acquisite al fascicolo per il dibattimento ex art.
 513 cod. proc.   pen. previgente  siano  desumibili  anche  da  altre
 dichiarazioni dello stesso tipo (r.o. n. 341 del 1998);
     che  nei  giudizi  promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 112,
 134, 146, 220, 325, 341 e 342 del r.o. del  1998  e'  intervenuto  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  riportandosi  integralmente,
 stante   l'analogia   delle  questioni,  al  contenuto  dell'atto  di
 intervento relativo ai giudizi di costituzionalita' promossi  con  le
 ordinanze  iscritte  ai  nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, gia' decisi
 con sentenza n. 361 del 1998.
   Considerato che tutte le ordinanze  di  rimessione  sottopongono  a
 censura  la  facolta',  riconosciuta  alle persone indicate dall'art.
 210, comma 1, cod. proc. pen., di avvalersi, a norma del comma 4  del
 medesimo articolo, della facolta' di non rispondere;
     che l'esercizio di tale facolta' viene denunciato in relazione al
 regime  di  inutilizzabilita'  ai  fini  della decisione, in mancanza
 dell'accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella  fase  delle
 indagini  preliminari  dall'imputato  in  procedimento connesso, alla
 stregua delle modifiche introdotte nell'art. 513, comma 2, cod. proc.
 pen., dalla legge n. 267 del 1997, anch'esso sottoposto  a  scrutinio
 di legittimita' costituzionale;
     che, attesa la sostanziale identita' delle questioni, deve essere
 disposta la riunione dei relativi giudizi;
     che,  in  particolare,  nell'ordinanza  del Tribunale di Grosseto
 (r.o. n. 325 del 1998) la facolta' di non rispondere viene  censurata
 in  riferimento  alla  posizione  di  imputati di reato connesso gia'
 condannati con sentenza divenuta irrevocabile;
     che, successivamente all'emissione delle ordinanze, questa Corte,
 con sentenza  n.  361  del  1998,  ha  inciso  sul  quadro  normativo
 risultante dal disposto degli artt. 210 e 513 cod. proc. pen;
     che  in  tale  sentenza  la  Corte,  da  un  lato,  ha dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 513, comma  2,  cod.  proc.
 pen.  "nella  parte  in  cui  non prevede che, qualora il dichiarante
 rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su  fatti
 concernenti  la  responsabilita'  di  altri  gia'  oggetto  delle sue
 precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle  parti  alla
 lettura  si  applica  l'art.    500,  commi  2-bis e 4, del codice di
 procedura penale", dall'altro, ha rigettato  le  eccezioni  sollevate
 nei  confronti dell'art. 210, comma 4, cod. proc. pen., rilevando che
 l'attuale qualificazione come imputati dei soggetti indicati in  tale
 norma  rende coerente la scelta del legislatore di attribuire loro la
 facolta' di non rispondere ed individuando gli  strumenti  per  porre
 rimedio  alle censure di illegittimita', gia' allora rivolte all'art.
 210 cod.  proc.  pen.,  nell'estensione  all'esame  dell'imputato  in
 procedimento  connesso  su  fatti  concernenti  la responsabilita' di
 altri della disciplina delle contestazioni prevista per  i  testimoni
 dall'art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc.  pen;
     che,  con  riferimento  alle  questioni sollevate con l'ordinanza
 iscritta al n. 112 del r.o. del 1998, ove l'art. 210, commi  4  e  6,
 cod.  proc.  pen.  risulta  impugnato "in combinato disposto" con gli
 artt. 197, lettere a) e b), 208 cod. proc. pen. e 372  cod.  pen.,  e
 con l'ordinanza iscritta al n. 220 del r.o. del 1998, ove l'art.  210
 cod.  proc.  pen.  e'  impugnato  unitamente  all'art. 197 cod. proc.
 pen.,  questa Corte, con la gia' richiamata sentenza n. 361 del 1998,
 da  un  lato  ha  esteso  l'obbligo  di  presentarsi  al  giudice   e
 l'eventuale  accompagnamento  coattivo, previsti dall'art. 210, comma
 2, cod. proc.  pen., all'imputato del medesimo procedimento  chiamato
 a  rendere  dichiarazioni  su fatti concernenti la responsabilita' di
 altri, dall'altro ha sottoposto i soggetti  indicati  nell'art.  210,
 comma  1,  cod.  proc.  pen.,  che si avvalgano in dibattimento della
 facolta' di non  rispondere,  alla  disciplina  processuale  prevista
 dall'art.  500, commi 2-bis e 4, cod.  proc. pen., fermo restando che
 alla Corte sarebbe comunque  precluso  estendere  a  carico  di  tali
 soggetti  la responsabilita' penale stabilita per i testimoni in caso
 di  rifiuto  di  rispondere,  incidendo  sulla  loro   qualificazione
 sostanziale;
     che,   con   riguardo  alle  ordinanze  che  investono  anche  la
 disciplina transitoria (r.o. nn. 134, 146, 220 e 341  del  1998),  la
 citata  sentenza  n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli
 atti relativi a questioni che avevano impugnato l'art. 6 della  legge
 n.  267  del  1997,  ha  affermato  che  doveva  essere  valutato dai
 rimettenti se le questioni potessero considerarsi superate a  seguito
 della  modifica  della  disciplina  a  regime,  "che  ora permette di
 recuperare  mediante  il  sistema  delle  contestazioni   i   singoli
 contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";
     che  pertanto  occorre  restituire gli atti ai giudici rimettenti
 affinche'  verifichino  se,  alla   luce   della   nuova   disciplina
 applicabile  a  seguito  della sentenza n. 361 del 1998, le questioni
 sollevate siano tuttora rilevanti.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti  al  Tribunale
 di  Lecco, al Tribunale di Venezia, al Tribunale di Trani, alla Corte
 di appello di Bologna, al Tribunale  di  Grosseto,  al  Tribunale  di
 Milano e al Tribunale di Palermo.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 marzo 1999.
 Il Presidente: Granata
 Il redattore: Neppi Modona
 Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.
 Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0281