N. 336 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 novembre 1998
N. 336 Ordinanza emessa il 13 novembre 1998 dal tribunale, sezione per il riesame di Napoli nel procedimento penale a carico di Alfiero Vincenzo ed altri Processo penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare in carcere - Durata massima - Limite complessivo e limite di fase - Ipotesi di decorrenza ex novo dei termini in seguito a regressione del procedimento o rinvio ad altro giudice - Perdita di efficacia della misura solo nel caso di superamento del termine di durata complessivo e non anche nel caso di superamento del doppio del termine di fase - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina dei casi di sospensione dei termini di custodia di cui all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen. (C.P.P. 1988, art. 303, comma 4). (Cost., art. 3).(GU n.24 del 16-6-1999 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza su appello proposto nell'interesse di Alfiero Vincenzo, Compagnone Francesco, Cacciapuoti Alfonso, Venosa Luigi, Venosa Salvatore, Venosa Umberto, Venosa Raffaele, Carannante Francesco avverso ordinanza 7 agosto 1998 della Corte di assise di S. Maria C. V., sezione feriale, con la quale veniva rigettata istanza di scarcerazione per scadenza, nella fase delle indagini preliminari, del termine massimo della custodia cautelare; O s s e r v a 1. - Come risulta dagli atti trasmessi dall'a.g. procedente e dalle "posizioni giuridiche" successivamente acquisite, Alfiero Vincenzo, Compagnone Francesco, Cacciapuoti Alfonso, Venosa Luigi, Venosa Salvatore, Venosa Umberto, Venosa Raffaele, Carannante Francesco sono sottoposti a custodia cautelare in carcere per reato di associazione mafiosa in forza di ordinanza coercitiva emessa dal g.i.p. del tribunale di Napoli nell'ambito del procedimento c.d. Spartacus (Alfiero, Compagnone, Venosa Umberto, Venosa Raffaele e Carannante dal 5 dicembre 1995, Venosa Luigi e Venosa Salvatore dal 6 dicembre 1995, Cacciapuoti dal 22 maggio 1996. Gli appellanti furono rinviati a giudizio avanti alla Corte di assise di Napoli, la quale, pero', con sentenza 22 ottobre 1997, dichiaro' la propria incompetenza per territorio e rimise gli atti al p.m. della D.D.A. di Napoli perche' promuovesse l'azione penale avanti alla Corte di assise di S. Maria C.V. - A tanto il p.m. ha poi provveduto e in data 4 aprile 1998 e' stato emesso dal g.i.p. nuovo decreto di rinvio a giudizio. La difesa ha formulato istanza di scarcerazione invocando l'applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 292/1998 e, con l'appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p. avverso il provvedimento di rigetto della Corte di assise di S. Maria C.V., deduce: "Ebbene si deve osservare che le motivazioni addotte dalla Corte sono apertamente in contrasto con le norme che regolano i termini di custodia cautelare e una diversa interpretazione comportano la illegittimita' costituzionale delle stesse per contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 76 c.p.p. Deve comunque rilevarsi, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di assise, che le ''sentenze interpretative di rigetto'' da parte della Corte costituzionale, cioe' quelle con le quali la Corte reinterpreta le disposizioni di legge ordinarie sottoposte al suo esame, un obbligo per i giudici comunque si determini in conseguenza di quelle interpretative di rigetto, e sia propriamente quello di non fare applicazione delle disposizioni che ne hanno formato oggetto, interpretandole in senso diverso senza prima aver sollevato questione di costituzionalita' (ved. Gallo, Scuola positiva 56, 548; Elia G., Cost. 1966, 1179). Completamente errata e contraria alla ratio legis e' la interpretazione fatta dalla Corte in ordine alle modalita' del decorso dei termini della custodia cautelare nello specifico caso della regressione del processo. V'e' da premettere che il caso deciso dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza interpretativa di rigetto n. 292/1998 riguardava un caso analogo a quello sottoposto all'esame della Corte di assise e cioe' l'ipotesi della regressione del processo. La Corte costituzionale anche attraverso l'esame della evoluzione storica dell'istituto concludeva che l'unica interpretazione possibile che metteva la stessa al riparo da una palese illegittimita' costituzionale era la esistenza di un ''limite massimo'' anche per i termini di fase corrispondente al doppio dei termini previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3 c.p.p. Ebbene secondo la corretta interpretazione tale termine non consente sforamenti se non nei casi specificamente previsti dall'art. 304, comma 7 c.p.p. e cioe' nei casi di sospensione dei termini di cui all'art. 304, comma 1, lett. b) del c.p.p. Ed infatti il superamento del limite massimo di fase e' consentito solo nel caso in cui il dibattimento risulta sospeso o rinviato a causa della astensione dei difensori. Tutte le altre evenienze riguardanti lo svolgimento del processo e quindi anche la regressione risultano ricomprese nel limite massimo di fase. La riprova della validita' di tale unica interpretazione si ricava dall'esame della norma dell'art. 304, comma 6 c.p.p. che richiama non solo la ipotesi di computo dei termini di cui all'art. 303, comma l c.p.p. ma anche e soprattutto con il richiamo ai commi 2 e 3 dell'art 303, c.p.p. che riguardano non la disciplina della ''durata'' della custodia cautelare ma alla decorrenza ex novo dei termini nella ipotesi di regressione del processo o di evasione. In tale ipotesi l'unico senso possibile da attribuire alla norma e' che il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione determina la perdita di efficacia della custodia anche se quei termini sono stati sospesi, prorogati o sono cominciati a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo. Secondo il ragionamento operato dalla Corte di assise il superamento della fase comporterebbe che ai fini del calcolo del termine massimo di fase non si dovrebbe tener conto di tale periodo nonostante il conseguente ritorno indietro del processo non dovuto a colpa dell'imputato. In definitiva l'errore ricadrebbe i suoi effetti negativi sull'imputato il quale, comunque, non vi ha dato in alcun modo corso o causa. Se pero' il legislatore ha stabilito che il termine massimo di fase possa subire deroghe esclusivamente nell'ipotesi di cui all'art. 304, comma 1, lett. b) cio' sta a significare che tutte le altre evenienze in cui dovesse incappare il processo sono ricomprese in tale termine e che il legislatore ha ritenuto che il sacrificio della liberta' personale, ai sensi dell'art. 13 Cost., deve essere ridotto al minimo. Il sistema di calcolo individuato dalla Corte di assise di S. Maria C.V. non sembra in alcun modo corrispondere all'unica interpretazione possibile elaborata dalla Corte ed ai principi dell'art. 13 della Carta costituzionale". 2. - Va subito rilevato che l'appello relativamente alla posizione di Cacciapuoti e' palesemente infondato in quanto per esso la durata della custodia cautelare nella fase delle indagini, pur computata secondo la prospettazione difensiva - vale a dire dall'esecuzione del provvedimento coercitivo (22 maggio 1996) alla data del rinvio a giudizio avanti alla Corte di assise di S. Maria C. V. (4 aprile 1998) - non ha comunque superato i due anni, cioe' il preteso "limite finale" pari al doppio del termine di fase. Al rigetto dell'appello consegue la condanna del Cacciapuoti al pagamento delle spese della procedura incidentale. Passando all'esame della posizione degli altri appellanti, va osservato che non e' dubbio che nella specie, a seguito della sentenza di incompetenza pronunciata dalla Corte di assise di Napoli, si e' verificata la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari e la nuova decorrenza del termine della custodia cautelare relativo a tale fase, secondo quanto previsto dall'art. 303/2 c.p.p. La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento".
Il seguito del testo dell'ordinanza e' perfettamente uguale a quello dell'ordinanza pubblicata in precedenza (Reg. ord. n. 335/1999). 99C0580