N. 337 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 1999

                                N. 337
  Ordinanza emessa il 25 marzo 1999 dal  Tribunale  dei  minorenni  di
 L'Aquila nel procedimento relativo al minore P.R.
 Filiazione  naturale  -  Riconoscimento  di minore - Impugnazione per
    difetto di veridicita' - Dedotta attribuzione della competenza  al
    tribunale  ordinario  anziche'  al  tribunale  per  i  minorenni -
    Lamentata  possibilita'  per  il  tribunale  per  i  minorenni  di
    compiere  altri accertamenti o di adottare provvedimenti urgenti a
    tutela del minore soltanto dopo  l'accertamento  definitivo  della
    falsita' in sede civile o penale - Lesione dei diritti inviolabili
    dell'uomo - Contrasto con i principi a tutela della famiglia e dei
    minori.
 (Legge,  4  maggio  1983, n. 184, artt. 71, primo comma, comb. disp.,
    terzo e quinto comma, 74, primo e secondo comma, in  relazione  al
    c.c., 264, secondo comma c.p.c., 295 e 28; c.p., art. 567).
 (Cost., artt. 2, 3, 30 e 31).
(GU n.24 del 16-6-1999 )
                     IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza;  nel  procedimento relativo al
 minore P.R., nato il 12 aprile 1996 in Barcellona (Venezuela).  Letti
 gli atti;
                       Osserva in fatto e diritto
   Il  12  aprile  1996  nasceva  nell'ospedale  centrale  "dott. Luis
 Razetti" di Barcellona - Stato Anzoa'tegui  (Venezuela)  -  un  bimbo
 (non  riconosciuto  dalla  madre),  che  il  15  maggio  1996  veniva
 riconosciuto quale figlio naturale da P.F., nato ad Abbasanta (OR) il
 27 gennaio 1953, il quale imponeva al neonato il nome di P.R. e se lo
 portava in Italia, inserendolo nella  sua  famiglia  legittima  senza
 l'autorizzazione prevista dall'art.  252 c.c.
   Poiche'   il  P.  incontrava  difficolta'  nella  trascrizione  del
 riconoscimento nei registri dello stato  civile  del  comune  di  sua
 residenza  (Pratola  Peligna), lo stesso ritornava nel Venezuela l'11
 dicembre 1997 e davanti al Console  Generale  d'Italia  in  Venezuela
 dott.  Giorgio  Trabattoni prestava l'assenso, ai sensi dell'art. 250
 c.c., al riconoscimento del minore anche da  parte  della  madre,  la
 quale  restava  in Venezuela disinteressandosi totalmente del figlio,
 con il quale non manteneva alcun rapporto.
   Su segnalazione  dell'ufficiale  di  stato  civile  del  comune  di
 Pratola  Peligna, questo tribunale, all'esito delle indagini previste
 dall'art.   74 legge n. 184/1983,  ritenendo  il  riconoscimento  del
 minore  operato  dal P. (coniugato con D'A. P., dalla quale non aveva
 avuto figli, onde i coniugi avevano presentato domanda di adozione  a
 questo  tribunale)  non  veridico,  con  decreto  del 21 gennaio 1998
 disponeva l'allontanamento del minore dall'abitazione dei coniugi  P.
 ed  il ricovero in idoneo Istituto; la sospensione della potesta' del
 P. sul minore R.; la nomina al  minore  d'un  curatore  speciale  per
 l'impugnazione  del  riconoscimento  per  difetto di veridicita' e la
 trasmissione degli atti al procuratore  della  Repubblica  presso  il
 tribunale  di  Sulmona per l'esercizio dell'azione penale ex artt. 9,
 primo comma, e 567 comma 2 cod. pen.
   Avverso tale decreto il P. proponeva reclamo alla sezione minorenni
 della Corte d'appello di L'Aquila, la quale con decreto 5 maggio 1998
 rigettava l'impugnazione, essendosi il P. rifiutato anche  in  quella
 sede  di  sottoporsi  a  prove  ematologiche per l'accertamento della
 paternita'.
   Con istanza del 16 febbraio 1998 i coniugi P. chiedevano  a  questo
 tribunale  di  essere  autorizzati ad avere contatti con il bimbo; ma
 tale  richiesta  veniva  rigettata  con  decreto  25  febbraio  1998.
 Proposto  reclamo  anche  contro  tale  decreto,  la  locale  sezione
 minorenni, con  decreto  in  data  9  febbraio  1999,  accoglieva  il
 gravame,   rilevando  che  questo  tribunale  aveva  fondato  la  sua
 decisione  "sia  su  rilevanti  elementi di giudizio che deponevano e
 depongono per la non veridicita'  del  riconoscimento  di  paternita'
 naturale  del  P. nei confronti del suddetto minore, sia sull'essersi
 lo stesso rifiutato di  sottoporsi  alle  prove  ematologiche  o  del
 D.N.A."   per   accertare   la  paternita'  del  bimbo;  ma  che  era
 "sopravvenuto il fatto nuovo intentificantesi  nell'avere  il  P.  F.
 dichiarato di volersi sottoporre alle prove ematologiche o del D.N.A.
 e  che, quindi, il quadro logico-probatorio era tale da far permanere
 dubbi sulla reale situazione, dubbi  che  potranno  essere  dissipati
 solo  in  sede  di  giudizio  di  impugnativa  della  veridicita' del
 riconoscimento; che, percio', l'ordine di allontanamento  del  minore
 non  puo'  essere  mantenuto,  essendo  nel  preminente interesse del
 minore stesso il ripristino  dei  rapporti  con  il  (preteso)  padre
 naturale,  interesse  che verrebbe senz'altro a rimanere pregiudicato
 ove l'attuale situazione  si  protraesse  per  tutta  la  durata  del
 giudizio  di impugnativa", onde il minore doveva essere riaffidato al
 sedicente padre.
   Con decreto in data 15 febbraio 1999,  provvisoriamente  esecutivo,
 questo  tribunale,  preso  atto,  da  un  lato, del decreto in data 9
 febbraio  1999  della  corte  (munito  di  formula  esecutiva),   ma,
 dall'altro, del fatto nuovo, emerso in data 10 febbraio 1999 (dopo la
 decisione   della   sezione   minorile),   che   -   come  comunicato
 dall'Interpol venezuelana - la madre del minore non era mai venuta in
 Italia (mentre il P.  aveva asserito di aver concepito il figlio e di
 avere avuto 5 - 6 rapporti sessuali con la predetta madre del minore,
 signora A. R.  M., in auto, alla  periferia  di  Sulmona),  ritenendo
 raggiunta  la  prova  della  falsita' del riconoscimento (che rendeva
 superflua  anche  la  prova  ematologica,  secondo   il   consolidato
 orientamento   della   Suprema   Corte)  disponeva  l'apertura  della
 procedura di adottabilita'; confermava l'allontanamento del bimbo dai
 coniugi P. e l'affidamento provvisorio dello  stesso  ai  coniugi  ai
 quali  era  gia'  stato affidato il 25 maggio 1998 in vista di futura
 adozione ai sensi degli artt.  333  c.c.  e  10  legge  n.  184/1983;
 confermava  la  sospensione del P. dalla potesta' e disponeva analoga
 sospensione della potesta' da parte della  madre  nonche'  consulenza
 immunoematologica,  fissando la comparizione del C.T.U. per l'udienza
 dell'8 marzo 1999.
   Proposto reclamo il 18 febbraio 1999 dal P. avverso  tale  decreto,
 il presidente della locale Corte d'appello, con provvedimento in data
 2  marzo  1999  (munito  della  formula  esecutiva  il 3 marzo 1999),
 "ritenuta l'opportunita' e la particolare urgenza dell'adozione di un
 provvedimento di sospensione della esecutivita'  e/o  esecuzione  del
 provvedimento impugnato, anche onde evitare che presso quel tribunale
 si  compiano  attivita'  istruttorie  che  potrebbero  poi  rivelarsi
 inutili, posto che  per  l'accertamento  della  non  veridicita'  del
 riconoscimento  operato  dal  P. F. bisognera' attendere la decisione
 del giudice del contenzioso (o del giudice penale); letto  il  parere
 difforme  del  Procuratore  generale;  ritenuto poi, di dover fissare
 l'udienza  camerale  per  la  decisione  sul  merito  del   reclamo";
 sospendeva  l'esecutorieta'  e  l'esecuzione  del provvedimento 15/16
 febbraio 1999 di questo tribunale per i minorenni e  fissava  per  la
 comparizione  delle  parti l'udienza del 26 ottobre 1999 davanti alla
 Corte d'appello in camera di consiglio.   Disponeva  la  trasmissione
 degli atti al P.M. sede.
   Con  istanza in data 4 marzo 1999 il P. chiedeva a questo tribunale
 di eseguire l'immediato ripristino dei rapporti tra lui ed il  minore
 R.
   Acquisito il 6 marzo 1999 il parere del P.M.M., questo tribunale il
 9  marzo  1999 disponeva consulenza di ufficio per dare esecuzione al
 predetto decreto del presidente della Corte d'appello senza  arrecare
 traumi  al minore. All'udienza del 16 marzo 1999 (alla quale la causa
 veniva rinviata per l'impedimento del C.T.U.  dott.ssa  Paraguai)  il
 difensore  del  P.  sollevava contestazione sull'ammissibilita' della
 consulenza, onde il presidente si  riservava  di  far  decidere  tale
 questione  dal  collegio,  previa  acquisizione del parere del P.M.M.
 ricevuto tale parere, questo tribunale  deliberava  nella  camera  di
 consiglio  del  25  marzo  1999,  nella  quale sollevava, di ufficio,
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  74,  primo  e
 secondo  comma  della  legge  n.  184/1983,  nella  parte in cui tali
 disposizioni limitano il potere del tribunale per  i  minorenni  alla
 nomina  del  curatore  speciale per l'impugnazione del riconoscimento
 per difetto di veridicita' e non prevedono che il T.M. possa compiere
 qualsiasi accertamento  e  disporre  tempestivamente  ogni  opportuno
 provvedimento a tutela del minore (se non all'esito dell'accertamento
 definitivo  della  falsita'  del  riconoscimento  in  sede  civile  e
 penale); nonche' dell'art. 71, primo, terzo e quinto comma, legge  n.
 184/1983,  nella  parte  in cui tali disposizioni sembrano vietare al
 tribunale per i minorenni l'apertura della procedura di adottabilita'
 sino alla condanna del genitore per  l'illecito  affidamento  nonche'
 l'adozione di provvedimenti provvisori ed urgenti a tutela del minore
 ed  altresi'  la  rapida  definizione  del  procedimento  adozionale,
 frustrando l'interesse del minore al pronto inserimento in  un'idonea
 famiglia  sostitutiva  o  degli  affetti  scelta  dal tribunale per i
 minorenni  e  vanificando  la  lotta  ai  falsi  riconoscimenti   per
 l'asserita  impossibilita'  per  il  tribunale  per  i  minorenni  di
 adottare misure di contrasto del falso riconoscimento per la ritenuta
 necessaria  pregiudizialita'  dell'accertamento  della  falsita'  del
 riconoscimento    e    della   conseguente   necessaria   sospensione
 dell'intervento  del  tribunale  per  i  minorenni   sino   all'esito
 definitivo   del   giudizio   civile   relativo   alla  falsita'  del
 riconoscimento stesso.
   Ritiene il  collegio  di  dovere,  anzitutto,  evidenziare  che  il
 provvedimento  del  presidente  della  Corte  d'appello  aquilana  ha
 paralizzato  qualsiasi  intervento  di  questo  tribunale,   perche',
 sospendendo  la nomina del C.T.U., ha consentito al P. di sottrarsi a
 tale  incombente  (il  P.,  infatti,  non  e'  comparso   all'udienza
 stabilita)  e  sospendendo,  altresi',  in  toto,  il  decreto del 15
 febbraio 1999 di questo tribunale, ha, altresi',  sospeso  l'apertura
 della procedura di adottabilita' (che, per la verita', quale doveroso
 atto  di  mero  impulso  processuale, non poteva essere sospeso, come
 esattamente rilevato dal P.M.M).
   Cio'  premesso,  rileva  il  collegio  che  costituiscono  principi
 pacifici,  ripetutamente  affermati  e  comunemente  accolti,  quelli
 secondo i quali ogni minore ha diritto al nome  (prenome  e  cognome:
 art.  6 c.c.) come segno distintivo della propria persona (prenome) e
 di appartenenza ad una propria famiglia  (cognome).  Il  nome  e'  un
 diritto assoluto ed inviolabile di ogni persona (l'art. 22 Cost. dice
 che  nessuno  puo'  essere privato ... del nome per motivi politici),
 perche'  e'  un elemento essenziale della propria personalita', della
 propria identita' personale (senza la quale nessuno puo' intrattenere
 relazioni personali e sociali) e  dell'appartenenza  ad  una  propria
 famiglia,  strumento  essenziale  dello  sviluppo della personalita'.
 L'art.  2  Cost.   sancisce   espressamente   che   la   personalita'
 dell'individuo  si  sviluppa  e  svolge in una formazione sociale (e,
 anzitutto, nella  propria  famiglia),  poiche'  l'uomo  (secondo  una
 celebre  definizione)  e'  un  animale  politico,  e  cioe' un essere
 socievole, che vive e si sviluppa non da  solo,  ma  integrato  nella
 comunita' familiare e sociale.
   Ogni  uomo appartiene ad una famiglia ed ha il diritto di conoscere
 le sue "radici", i suoi  legami  con  la  famiglia  biologica  (o  di
 sangue),  le  persone  dalle  quali  ha  ricevuto la vita (e' noto il
 problema, molto controverso e non ancora risolto, del diritto o  meno
 del minore adottato a conoscere le sue "radici").
   E'  pure  affermazione  pacifica  che  ogni minore ha il diritto di
 vivere  nell'ambito  della  propria  famiglia.  A  tal  riguardo   va
 ricordato  che  l'art.  1  della  legge  n.  184/1983 ha solennemente
 proclamato tale diritto, affermando: "Il minore ha diritto di  essere
 educato  nell'ambito della propria famiglia". E' stato opportunamente
 rilevato che, mentre prima della legge n. 184/1983 non  esisteva  nel
 nostro  ordinamento  un vero diritto del minore di essere educato dai
 genitori, in quanto l'art.  147  c.c.  prevedeva  l'obbligazione  dei
 genitori  di  allevare i figli, invece con la legge n. 184/1983 vi e'
 stato un capovolgimento  di  prospettiva,  nel  senso  che  e'  stato
 riconosciuto un vero diritto soggettivo perfetto del minore ad essere
 educato  nell'ambito della propria famiglia. Si e' detto che l'art. 1
 cit. riconosce al  minore  due  diritti:  il  diritto  all'educazione
 (intesa  non nel ristretto senso di ammaestramento, ma nell'accezione
 piu' ampia di  complesso  di  condizioni  che  favoriscano  il  pieno
 sviluppo  della  personalita') ed il diritto ad una propria famiglia,
 ossia  ad  un  ambiente  sereno  ed  accogliente  (foyer  stable   et
 harmonieux) che favorisca il pieno sviluppo della sua personalita'.
   E'   pure   affermazione   ricorrente  che  i  diritti  del  minore
 all'educazione e ad una propria famiglia  sono  diritti  assoluti  ed
 inviolabili,  che  trovano  il fondamento e la matrice in varie norme
 della Costituzione (artt. 2, 3, 29, 30, 31 Cost.)  (cfr.  Corte  app.
 Torino  20  luglio  1979, in Dir. fam. 1980, 731), in quanto il pieno
 sviluppo  della  persona  umana  (art.  3,  secondo   comma,   Cost.)
 costituisce  un  diritto inviolabile dell'uomo, sia come singolo, sia
 nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalita'  (art.  2
 Cost.).
   Si e' osservato che gli artt. 29 e 30 Cost. considerano la famiglia
 come  luogo privilegiato di formazione della personalita' del minore;
 e che nel nostro ordinamento giuridico la famiglia biologica continua
 ad avere una considerazione preferenziale  in  ordine  all'educazione
 della  prole per la presunzione che i diritti del minore ricevano una
 migliore attuazione  nell'ambito  della  famiglia  di  origine  (cfr.
 Cass.,  3420/1974;  3425/1974).  Ma  si  e'  anche  precisato  che la
 famiglia e' tutelata non in se', ma quale  strumento  dello  sviluppo
 della  personalita'  dei suoi membri e che tale tutela e' indiretta e
 mediata, mentre la tutela diretta  e'  accordata  al  pieno  sviluppo
 della  personalita' dei suoi membri, con la conseguenza che la tutela
 riconosciuta  alla  famiglia  deve  cessare  quando  la  stessa   non
 garantisca o promuova lo sviluppo della personalita' dei suoi membri.
 L'art.  30 Cost., infatti, dispone: "E' dovere e diritto dei genitori
 mantenere, istruire ed educare i  figli,  anche  se  nati  fuori  del
 matrimonio. Nei casi di incapacita' dei genitori, la legge provvede a
 che  siano  assolti  i  loro  compiti".  I  "diritti" dei genitori di
 educare i  figli  non  sono  veri  diritti  soggettivi  perfetti,  ma
 potesta' (poteri-doveri), che trovano la propria fonte esclusivamente
 nell'adempimento  dei relativi doveri (cfr. Cass. 8 novembre 1974, n.
 3420: "Alla  stregua  del  fondamentale  principio  di  tutela  della
 persona  umana  e  dei suoi diritti inviolabili, il nucleo familiare,
 fondato o meno sul sangue, viene tutelato dall'ordinamento  giuridico
 nella misura in cui appare rispondente alla sua fondamentale funzione
 di  assicurare  lo sviluppo della personalita'"). Pertanto, mentre va
 ricordato che la Suprema Corte (cfr. Cass., 7 novembre 1983, n. 6564;
 Cass., 15 novembre 1985, n. 5607; Cass., 29 novembre 1985,  n.  5952;
 Cass., 2 aprile 1986, n. 2234; Cass., 20 giugno 1986, n. 4110; Cass.,
 16 settembre 1986, n. 5619; Cass., 3 ottobre 1986, n. 5852; Cass., 13
 gennaio  1988,  n.  180;  Cass.,  9  aprile  1988, n. 2811 e numerose
 conformi) ha  ribadito  che  nella  nuova  disciplina  dell'adozione,
 mentre  resta  fermo il principio della netta prevalenza da accordare
 all'interesse del minore, viene accentuata l'esigenza di assicurarne,
 in difetto di specifiche ragioni ostative, la crescita e lo  sviluppo
 nella  famiglia  di  origine,  considerata quale ambiente naturale, e
 almeno tendenzialmente, come migliore ambiente di crescita del minore
 stesso; non va dimenticato che l'interesse  del  minore  e'  definito
 prioritario  ed  esclusivo  dalla  legge  e che esso e' prevalente su
 qualsiasi  altro  interesse  con   lo   stesso   contrastante   (come
 riconosciuto  dalle  stesse sentenze prima citate nonche' da Cass., 8
 maggio  1980  n.  3035,  in  Arch.  civ.  1980,  947:  "In  tema   di
 dichiarazione  dello  stato  di adottabilita', il desiderio legittimo
 del genitore di ricevere affetto da parte del figlio, in  tanto  puo'
 essere  preso  in  considerazione,  in  quanto  da parte del genitore
 stesso vi sia un effettivo impegno a prendersi cura del bambino,  dal
 momento  che l'interesse dei genitori non e' ignorato dalla legge, ma
 dev'essere sacrificato  qualora  sia  in  contrasto  con  quello  del
 minore".   Nello  stesso  senso  cfr.  Cass.,  3066/1977;  4882/1977;
 5051/1977;   2047/1978;   2788/1980   ecc.).   Puo'   conclusivamente
 affermarsi  che  non  vi sono diritti inviolabili o intangibili della
 famiglia a crescere i figli (cfr. Cass., 3420/1974, 11/1972), ma  che
 l'unico   diritto  assoluto  ed  inviolabile  e'  quello  del  minore
 all'educazione in una propria idonea famiglia, che  gli  assicuri  il
 pieno  sviluppo  della personalita'; onde, in caso di incapacita' dei
 genitori (art. 30 Cost.), il minore ha il diritto inviolabile ad  una
 propria  idonea  famiglia sostitutiva, che gli assicuri un'effettiva,
 adeguata educazione. Il  minore  va,  quindi,  educato,  anzitutto  e
 preferibilmente,  nella  propria  famiglia  biologica;  e, in caso di
 incapacita' o inidoneita' dei genitori, in un'idonea  famiglia  degli
 affetti.
   Costituisce   pure   ius  receptum  che  il  minore  che  versa  in
 un'oggettiva situazione di abbandono o di mancanza di  adeguate  cure
 parentali  deve  essere  prontamente  inserito  in un'idonea famiglia
 degli affetti scelta dal tribunale per i minorenni; che il  tribunale
 per  i  minorenni  deve  adottare  ogni  provvedimento provvisorio ed
 urgente per porre fine alla pregiudizievole situazione  di  abbandono
 (Cass.,  4  agosto  1977,  n.  3464);  che  la  posizione  del minore
 abbandonato va accertata con tempestiva chiarezza e certezza  (Cass.,
 22  giugno  1981, n. 4068); che il tribunale, quando e' configurabile
 una situazione di  abbandono,  deve  subito  aprire  la  procedura  e
 dichiarare  l'adottabilita',  non  avendo  alcun potere discrezionale
 (cfr. Cass., 13 maggio 1983, n.  3298); che la  procedura  adozionale
 deve  essere  sollecitamente  definita,  in  quanto "tutto il sistema
 dell'adozione speciale si ispira alla finalita'  di  raggiungere  nel
 piu' breve tempo la certezza del nuovo status del minore, inserendolo
 definitivamente,   per   il  suo  esclusivo  interesse,  nella  nuova
 famiglia" (cosi' Cass., 22 luglio 1980, n.  4787); che  il  tribunale
 per i minorenni ha la competenza esclusiva a scegliere, per il minore
 in  stato  di  abbandono,  la famigli piu' idonea a soddisfare le sue
 esigenze (cfr. trib. min. Ancona, 17 giugno 1973,   in  Giur.  merito
 1975,  n.  369:  "Qualora il minore non riceva un'adeguata educazione
 ne' dai genitori ne' dai parenti  tenuti  per  legge  agli  alimenti,
 spetta  unicamente  al  tribunale per i minorenni tutelare il diritto
 all'educazione del minore collocando quest'ultimo presso una famiglia
 anche pedagogicamente idonea"; Cass., 13 gennaio  1978,  n.  156,  in
 Foro it. 1978, I, n. 306: "Quando i genitori ed i parenti tenuti agli
 alimenti non possono o non vogliono allevare personalmente il minore,
 rientra  nella  competenza    esclusiva del tribunale per i minorenni
 scegliere un'idonea famiglia, sostitutiva di quella biologica,  nella
 quale inserire il minore.
   E  nessuno  puo' sostituirsi al tribunale per i minorenni in questo
 compito a garanzia d'un fondamentale diritto della  personalita'  del
 minore");  che  l'affidamento  privato  o  negoziale e definitivo del
 minore ad estranei a scopo adottivo integra di  per  se'  l'abbandono
 (cfr.  Cass.,  7  marzo 1977, n. 941: "I genitori non sono arbitri di
 trasferire ad altri il loro potere-dovere educativo e, se  lo  fanno,
 possono  dar  luogo  ad  una situazione di abbandono; il legislatore,
 infatti, ha voluto che sia il giudice e non il  genitore  a  vagliare
 l'idoneita'  della  nuova  famiglia e che al minore sia assicurata la
 piena tranquillita' del focolare con il farlo  entrare  a  tutti  gli
 effetti  a  far  parte della nuova famiglia"; trib. min. di Venezia 7
 gennaio 1972, in Giur. it. 1973, I, 2, 93; tribunale min.  di  Milano
 22  dicembre  1972, in Giust. civ. 1972, I, 534; trib. min. di Ancona
 15 giugno 1973, in Giur. Merito 1975, I, 372; Cass., 13 gennaio 1978,
 n. 156: "L'uso distorto dal suo fine della  postesta'  parentale  non
 comporta   solo   la  decadenza  della  potesta'  medesima,  ma  piu'
 radicalmente puo' determinare l'interruzione dei  rapporti  giuridici
 fra genitore degenere e figlio, e la costituzione vicariante di nuovi
 rapporti familiari irreversibili.
    Il   genitore   non   puo'   consegnare   il  figlio  neonato  per
 l'allevamento a terzi (sia pure in vista di  un'adozione  ordinaria),
 perche'  cosi'  procedendo compie un atto che non conviene al minore,
 sottraendolo  al  circuito  dell'adozione  speciale  ed   affidandolo
 definitivamente  ad  altri,  la  cui  idoneita'  a  svolgere funzioni
 vicarianti viene a dipendere dal suo capriccio o vantaggio, mentre la
 legge vuole che sia vagliata esclusivamente dal giudice"); e che deve
 essere ritenuto moralmente inidoneo all'adozione colui che riesca  ad
 ottenere  l'affidamento  d'un  minore evitando il vaglio attitudinale
 del tribunale per i minorenni (cfr. trib. min. di Roma 1 luglio 1972,
 Pres. est. Moro, in Giur.  Merito 1973, n. 259):  "Operano  in  frode
 alla  legge,  e pertanto devono essere valutati negativamente ai fini
 del giudizio  di  idoneita'  all'adozione  speciale,  i  coniugi  che
 riescano  ad  ottenere l'affidamento di un minore senza sottostare ai
 controlli dell'autorita' giudiziaria"; trib. min. Potenza 23 febbraio
 1984, in Dir. fam. 1984, n. 651 ss.).
   Occorre  evidenziare  che  la  violazione  o  l'aggiramento   della
 disciplina dell'adozione speciale (mediante il traffico o mercato dei
 minori  o  l'affidamento  negoziale  a  terzi  o  mediante  il  falso
 riconoscimento paterno) era diventato un fenomeno tanto  diffuso  che
 il  legislatore del 1983 avverti' l'esigenza di combattere tale piaga
 (che vanificava l'intera disciplina dell'adozione) mediante  apposite
 norme  (artt.  71 e 74). Il falso riconoscimento paterno, invero, non
 solo  esautora  il  tribunale  per  i  minorenni  dei  suoi   poteri,
 impedendogli   l'effettiva   valutazione   comparativa   attitudinale
 prevista dall'art. 22, legge  n.  184/1983,  ma  danneggia  anche  le
 coppie  idonee,  che,  rispettando  la legge, attendono pazientemente
 l'affido preadottivo  d'un  minore  da  parte  del  tribunale  per  i
 minorenni;  e, soprattutto, vanifica i diritti inviolabili del minore
 ad una propria idonea famiglia; alla propria identita' personale;  al
 suo diritto inviolabile all'autenticita' e genuinita' del rapporto di
 filiazione,  e  cioe'  ad  intrattenere rapporti parentali con i suoi
 veri genitori e non con estranei, che  si  arrogano  fraudolentemente
 diritti genitoriali loro non spettanti.
   La  fondamentale importanza del diritto inviolabile del minore alla
 propria identita'  biologica,  personale,  familiare  e  sociale,  e'
 testimoniata dal fatto che tale diritto, tutelato dall'art. 2, Cost.,
 e' stato concretamente attuato dalla disciplina degli arrt. 263 e 264
 c.c.,  la  cui ratio e' quella di proteggere l'interesse del minore a
 non essere considerato figlio di colui che ne  e'  il  vero  genitore
 biologico.     E  tale  tutela  (costituzionale  ed  ordinaria)  esce
 rafforzata dalla previsione del reato di alterazione di stato,  p.  e
 p.  dall'art. 576, secondo comma, c.p., che commina la pena da cinque
 a quindici anni di reclusione a "chiunque,  nella  formazione  di  un
 atto di nascita, alteri lo stato civile di un neonato, mediante false
 certificazioni, false attestazioni o altre falsita'".
   Da  tali  premesse discende logicamente la conseguenza che l'autore
 del falso riconoscimento non dovrebbe avere  alcun  rapporto  con  il
 minore  da  lui falsamente riconosciuto come proprio figlio naturale,
 il quale dovrebbe essere allontanato subito dal sedicente padre  (per
 impedire  che  consolidi  con lo stesso profondi legami affettivi poi
 non recidibili senza traumi) ed essergli  riaffidato  solo  dopo  che
 sara' stata provata la veridicita' del  riconoscimento.
   Ed invece avviene l'opposto, perche', tranne alcune voci contrarie,
 l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza afferma che in
 caso  di  sospetto  falso riconoscimento il tribunale per i minorenni
 puo'  soltanto  nominare  al  minore  un  curatore  speciale  per  la
 proposizione  dell'azione  di  impugnazione  del  riconoscimento  per
 difetto di veridicita' (a norma dell'art. 264, secondo  comma,  c.c.)
 ma  non  puo',  dopo  tale nomina, compiere altri accertamenti (tra i
 quali le prove ematologiche o del D.N.A.) o  adottare  a  tutela  del
 minore   provvedimenti   urgenti   (apertura   della   procedura   di
 adottabilita'; provvedimenti provvisori ed urgenti ai sensi dell'art.
 10, legge n. 184/1983 ecc.), che  puo'  disporre  solo  dopo  che  la
 falsita' del riconoscimento sia stata accertata in maniera definitiva
 (onde  medio  tempore  il  minore  deve  essere affidato al sedicente
 padre), in quanto ogni altro accertamento e  provvedimento  da  parte
 del   tribunale  per  i  minorenni  dovrebbe  essere  necessariamente
 sospeso, ai sensi dell'art. 295, c.p.c., giacche' tra  l'accertamento
 definitivo  della falsita' in sede civile e penale ed i provvedimenti
 di competenza del tribunale per i minorenni vi sarebbe una necessaria
 pregiudizialita' logico-giuridica (cfr., in tal senso, Corte appello,
 Palermo 10 febbraio 1984, in Dir. fam. 1984, n. 111;  Corte  appello,
 Catania  sez.  min.  18  dicembre  1984,  ivi,  1986,  n.  555: "Sino
 all'esito definitivo del giudizio di impugnazione del riconoscimento,
 per difetto di veridicita', del figlio minore, lo  stato  del  figlio
 naturale  scaturente  dalle risultanze formali dello stato civile non
 puo' essere modificato, ne' messo in discussione, con la  conseguenza
 che  il  tribunale  per  i  minorenni,  ove  abbia  a  dubitare della
 veridicita' del riconoscimento, puo' nominare un curatore speciale al
 fine di impugnarlo, ma non puo' dichiarare lo stato di  adottabilita'
 del  minore";  Cass.,  12  ottobre  1987,  n.  7527; Pres. Vela; rel.
 Vercellone; p.m.  Lo  Cascio  (diff.):  "L'art.  74  della  legge  n.
 184/1983  attribuisce  al  tribunale  per  i  minorenni  il potere di
 nominare un curatore speciale per  impugnare  il  riconoscimento  del
 figlio  naturale  sospetto di falsita' per difetto di veridicita', ma
 non anche quello di accertare la non veridicita'  del  riconoscimento
 stesso,   essendo  tale  accertamento  di  competenza  del  tribunale
 ordinario. Non puo', pertanto, il tribunale per i minorenni pervenire
 alla  dichiarazione  di  adottabilita'  di   un   minore,   che   sia
 adeguatamente assistito da colui che l'ha riconosciuto, sulla base di
 un  proprio  accertamento  incidentale  della non veridicita' di quel
 riconoscimento").
   Tale tesi sembra non trovare conforto nella disciplina della  legge
 n. 184/1983.
   Ed  invero,  mentre  l'art.  74,  primo  comma,  della legge n. 184
 stabilisce  che  "il  tribunale  dispone  l'esecuzione  di  opportune
 indagini  per accertare la veridicita' del riconoscimento", invece il
 secondo comma dello stesso art. 74 non  sembra  far  corrispondere  a
 tale  ampio  potere  di indagini (peraltro irragionevolmente limitato
 all'ipotesi che il minore non sia stato riconosciuto  da  entrambi  i
 genitori,  perche', altrimenti, cessa anche il potere di indagini del
 tribunale per i minorenni) un altrettanto ampio potere di  interventi
 del  tribunale  per  i minorenni, in quanto esso si limita a disporre
 che, in caso di sospetto falso riconoscimento,  il  tribunale  per  i
 minorenni  "assume,  anche d'ufficio, i provvedimenti di cui all'art.
 264, secondo comma, del giudice civile".
   L'interpretazione letterale di tale norma induce  a  ritenere  che,
 accertato il falso riconoscimento, il tribunale per i minorenni debba
 limitarsi  alla  nomina  del  curatore  per  l'impugnazione del falso
 riconoscimento e  non  abbia  altri  poteri.  Tale  conclusione  esce
 rafforzata  dall'esame  dell'art.  71 della legge n. 184, che recita:
 "Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione,
 affida a terzi con carattere di definitivita' un  minore  (ovvero  lo
 avvia all'estero perche' sia definitivamente affidato), e' punito con
 la reclusione da uno a tre anni (art. 71, comma 1).
   "Se  il  fatto  e'  commesso  dal  genitore la condanna comporta la
 perdita della relativa  potesta'  e  l'apertura  della  procedura  di
 adottabilita'
  .." (art. 71, comma 3).
   "La pena stabilita nel primo comma del presente articolo si applica
 anche  a  coloro  che,  consegnando  o  promettendo  denaro  od altra
 utilita' a  terzi,  accolgono  minori  in  illecito  affidamento  con
 carattere  di  definitivita'.  La condanna comporta la inidoneita' ad
 ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacita' all'ufficio
 tutelare" (art.  71, comma 5).
   Dall'esame di tali norme (in  relazione  agli  artt.  264,  secondo
 comma,  c.c.,  295,  c.p.c.,  art.  8, legge n. 184/1983, 1, legge n.
 184, 567, c.p.) sembra dedursi che  il  tribunale  per  i  minorenni,
 nominato  il  curatore,  non  abbia  altri  poteri e non possa aprire
 neppure  la  procedura  di  adottabilita'  o  adottare  provvedimenti
 provvisori ed urgenti a tutela del minore (ex art. 10, legge n. 184),
 perche'  solo  la  condanna  del  genitore  comporta l'apertura della
 procedura di adottabilita'. Inoltre, mentre prima  della  novella  n.
 184/1983  era insegnamento pacifico che il mero affidamento negoziale
 e  definitivo  d'un  minore  a  terzi  a  scopo  adottivo   integrava
 l'abbandono  e  che colui che riusciva ad ottenere l'affidamento d'un
 minore privatamente  aggirando  la  disciplina  dell'adozione  doveva
 ritenersi  moralmente  inidoneo all'adozione, dalla lettera dell'art.
 71, comma 5, sembra dedursi che solo la condanna per tale affidamento
 (condanna che richiede la difficile o quasi impossibile  prova  della
 dazione  o  promessa  di  denaro  o  altra utilita' al genitore) puo'
 comportare  la  inidoneita'  ad  ottenere  affidamenti  familiari   o
 adottivi.
   Ma la disciplina che risulta dal combinato disposto degli artt.  71
 e  74 della legge n. 184 (che vuole combattere i falsi riconoscimenti
 paterni ed il mercato o traffico dei minori)  interpretata  in  senso
 letterale   secondo   l'orientamento   prevalente   in   dottrina   e
 giurisprudenza,  non  si  sottrae  al  sospetto   di   illegittimita'
 costituzionale  per violazione dei principi sanciti negli artt. 2, 3,
 30 e 31, Cost., rilevandosi illogica, contraddittoria  e  lesiva  dei
 diritti  assoluti  ed  inviolabili  del  minore ad una propria idonea
 famiglia; alla autenticita' e genuinita' del rapporto  di  filiazione
 ed  alla  stabilita'  delle  relazioni  familiari, nonche' lesiva del
 diritto del minore abbandonato al  pronto  inserimento  in  un'idonea
 famiglia adottiva scelta dal tribunale per i minorenni.
   Sembra  evidente  che  l'attribuzione  al tribunale per i minorenni
 d'un ampio potere di indagini -  finalizzato  all'accertamento  della
 falsita'  del  riconoscimento  (e  tale  accertamento dovrebbe essere
 esteso anche all'ipotesi che entrambi i genitori abbiano riconosciuto
 il figlio) - al quale non corrispondesse o conseguisse un altrettanto
 ampio  potere  di  interventi  del  tribunale  per  i  minorenni  per
 contrastare  subito  e  con ogni mezzo (e, in primis, allontanando il
 minore dal sedicente  padre  e  non  restituendoglielo  se  non  dopo
 l'accertamento  definitivo  della  veridicita'  del riconoscimento) i
 falsi riconoscimenti, rappresenterebbe un telum  imbelle  sine  ictu,
 poiche' il tribunale per i minorenni (se dovesse limitarsi a nominare
 soltanto  il  curatore  speciale)  non  avrebbe  mezzi per combattere
 efficacemente  i  falsi   riconoscimenti.   E',   invero,   principio
 ripetutamente affermato che la discrezionalita' del legislatore nello
 scegliere  i  criteri  di  politica legislativa dallo stesso ritenuti
 piu' opportuni non impedisce il sindacato di legittimita' da parte di
 codesta Corte quando la disciplina giuridica in concreto adottata  si
 riveli   -   come   nella   specie   -   manifestamente  illogica  ed
 irragionevole.
   Giova ribadire che, seguendo l'orientamento prevalente, la lotta ai
 falsi  riconoscimenti  diventa  illusoria,  impossibile  e  persa  in
 partenza;  che,  anzi,  tale  orientamento addirittura costituisce un
 incentivo a violare  la  legge  sull'adozione  ed  a  compiere  falsi
 riconoscimenti (in quanto l'autore del falso riconoscimento, anziche'
 essere  punito,  viene premiato facendogli conseguire il profitto del
 reato)  e  che,  soprattutto,  viene  negato  al  minore  il  diritto
 inviolabile  a  crescere  nella  sua  vera  famiglia;  a conoscere le
 proprie  "radici"  e   ad   evitare   che   estranei   si   arroghino
 maliziosamente  e  fraudolentemente diritti loro non spettanti se non
 mediante la violazione della legge.
   Seguendo l'orientamento prevalente in dottrina e  giurisprudenza  e
 l'interpretazione  letterale del combinato disposto degli artt.  71 e
 74 della legge n. 184 in relazione agli  artt.  264,  secondo  comma,
 c.c.;  295,  c.p.c.;  1  e  8  legge  n.  184/1983;  567,  c.p., tale
 disciplina si rivela illogica e contraddittoria, perche', mentre,  da
 un  lato,  essa  ha  dichiarato  intento  di voler combattere i falsi
 riconoscimenti paterni per garantire al minore il diritto inviolabile
 ad  un'idonea famiglia e l'autenticita' del rapporto  di  filiazione;
 dall'altro,  limitando,  nell'art.  74,  secondo  comma, l'azione del
 tribunale per i minorenni alla nomina d'un curatore  speciale  e  non
 prevedendo,  altresi',  il  potere  del  tribunale per i minorenni di
 compiere  qualsiasi  opportuno  accertamento  e  di   adottare   ogni
 provvedimento  provvisorio  ed  urgente a tutela del minore (ma, anzi
 prevedendo l'apertura della procedura di adottabilita' solo  dopo  la
 condanna del genitore per l'illecito affidamento), in effetti frustra
 la  lotta ai falsi riconoscimenti, sancisce una sostanziale impunita'
 di fatto per l'autore del falso  riconoscimento  (essendo  sommamente
 arduo raggiungere la prova della dazione o della promessa di denaro o
 altra  utilita'  al genitore e spesso difficile la prova del dolo nel
 reato di  cui  all'art.  567,  c.p.)  ed  agevola  e  fa  proliferare
 incontrollatamente  il  traffico  o  mercato  dei  minori  o il falso
 riconoscimento (che pure, a parole, dice  di  voler  combattere).  La
 disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 71 e 74, legge n.
 184, interpretata letteralmente nel senso propugnato dalla prevalente
 dottrina  e  giurisprudenza,  si  appalesa  vana e priva di qualsiasi
 concretezza, in quanto, se il tribunale per i  minorenni  non  avesse
 altri  poteri  (oltre  alla  nomina  del  curatore  speciale  per  la
 proposizione dell'azione di cui all'art. 264, secondo
  comma, c.c.) e non potesse compiere altri  accertamenti  o  adottare
 subito  tutti i provvedimenti urgenti a tutela del minore, ma dovesse
 attendere l'esito definitivo del giudizio sulla falsita' o  meno  del
 riconoscimento,  la  lotta  ai  falsi riconoscimenti sarebbe persa in
 partenza e le norme di cui al combinato disposto degli artt. 71 e 74,
 legge n. 184, si rivelerebbero del tutto inutili.
   E' evidente, invero, che, se per  attivare  i  doverosi  poteri  di
 intervento  del  tribunale per i minorenni dovesse attendersi l'esito
 definitivo  del  giudizio  civile  o  penale   sulla   falsita'   del
 riconoscimento,   l'accertamento   definitivo   della   falsita'  del
 riconoscimento  (intervenuto  a  distanza   di   molti   anni,   dopo
 l'esaurimento  dei tre gradi di giudizio in sede civile o penale) non
 servirebbe  a  nulla,  perche'  la  definitivita'   dell'accertamento
 (richiedendo    tempi    necessariamente   lunghi)   favorirebbe   il
 consolidamento di profondi vincoli affettivi  tra  il  minore  ed  il
 sedicente  padre  ed impedirebbe l'allontanamento del falso padre del
 minore per  non  causargli  traumi  per  il  distacco  dagli  abusivi
 affidatari,  ai  quali  verrebbe  consentito  di inserirlo per sempre
 nella loro famiglia pur non essendo figlio loro.
   La lotta  ai  falsi  riconoscimenti  sarebbe,  cosi',  frustrata  e
 vanificata  e  l'autore  del  falso  riconoscimento, anziche' punito,
 verrebbe premiato facendogli conseguire  il  profitto  del  reato  di
 alterazione  di  stato  ed  il  minore,  non  figlio dal falso padre,
 sarebbe definitivamente inserito in una famiglia che non e' la sua  e
 verrebbe  trattato  non come persona (titolare di diritti assoluti ed
 inviolabili), ma come cosa o oggetto di scambio o di mercimonio o  di
 illecite  ed  ignobili  trattative.  Percio'  la  pretesa  necessaria
 pregiudizialita' (tra il giudizio sul falso  riconoscimento  in  sede
 civile  e  penale  e  le  azioni e gli interventi del tribunale per i
 minorenni) e la sospensione necessaria degli interventi del tribunale
 per i minorenni sino all'esito del definitivo accertamento  (in  sede
 civile   e   penale)   della  falsita'  del  riconoscimento  appaiono
 logicamente assurde e moralmente riprovevoli, in quanto, in  caso  di
 sospetto   falso  riconoscimento,  dovrebbe  essere  riconosciuto  al
 tribunale per i minorenni  un  ampio  potere  di  accertamento  e  di
 interventi finalizzati ad impedire che il minore resti nella famiglia
 del  falso  padre; che metta radici in una famiglia che probabilmente
 non e' la sua; che consolidi legami affettivi con il  falso  padre  e
 che, in definitiva, resti per sempre con lui.
   La  tesi  secondo  la  quale fino all'accertamento definitivo della
 falsita' del riconoscimento,  tale  riconoscimento  non  puo'  essere
 disconosciuto   appare  illogica  dal  punto  di  vista  giuridico  e
 moralmente  inaccettabile,  perche'   attribuisce   irragionevolmente
 rilevanza   alla   mera   apparenza  della  genitura  e  finisce  con
 l'attribuire rilevanza decisiva e definitiva a tale falsa  e  formale
 apparenza,  che  consente al falso padre di tenere per sempre con se'
 il figlio anche quando, dopo molti  anni  (occorrenti  per  pervenire
 all'accertamento    definitivo    della    falsita'    o   meno   del
 riconoscimento), venga accertata la falsita' del riconoscimento.
   La paralisi dell'azione del tribunale per i minorenni (verificatasi
 anche nella specie, perche' il decreto del Presidente della Corte  ha
 sospeso  la  prova ematologica disposta dal tribunale per i minorenni
 per l'udienza del 9 marzo 1999, alla quale il P. non e' comparso,  ed
 ha  sospeso  l'apertura  della  procedura  di  adottabilita')  sembra
 contrastare anche con il  dovere  imposto  dalla  p.g.  (e  anche  al
 giudice), dagli artt. 219, c.p.p., del 1930 e 55, c.p.p. del 1988, di
 impedire  che il reato sia portato a conseguenze ulteriori; mentre la
 tattica  dilatoria  e   temporeggiatrice   accolta   dal   prevalente
 orientamento    finisce   con   consentire   all'autore   del   falso
 riconoscimento di assicurarsi
  il profitto del reato, cioe' il minore (oggetto  del  reato  di  cui
 all'art.  567,  c.p.),  trattato  alla stregua di una cosa o merce di
 scambio.
   La pretesa incompetenza del tribunale per i  minorenni  a  disporre
 accertamenti  dopo  l'inizio del giudizio civile (ex artt. 263 e 264,
 c.c.) per la ritenuta  competenza  esclusiva  del  giudice  civile  o
 penale  ad accertare la falsita' del riconoscimento non considera che
 l'accertamento del giudice civile o penale e' fatto con efficacia del
 giudicato,  mentre  l'accertamento  del  tribunale per i minorenni e'
 svolto incidenter tantum, senza efficacia di  giudicato  ed  al  solo
 fine  di  poter  adottare  provvedimenti  urgenti a tutela del minore
 contro i falsi riconoscimenti.
   Il tribunale per i minorenni dovrebbe, quindi, poter compiere tutti
 gli accertamenti ritenuti opportuni ad adottare tutti i provvedimenti
 cautelari  a  difesa  del  minore   (apertura   e   definizione   del
 procedimento di adottabilita'; adozione di provvedimenti provvisori a
 tutela del minore, ivi compresi l'allontanamento del minore dal falso
 padre,  il  suo  affido  a  coppia  idonea scelta dal tribunale per i
 minorenni, la sospensione del sedicente padre dalla  potesta'  ecc.),
 poiche'  solo  tali  provvedimenti  cautelari  ed  urgenti consentono
 un'efficace lotta ai falsi riconoscimenti ed impediscono che l'autore
 del falso riconoscimento, anziche' essere punito, venga premiato  con
 il  conseguimento  del  profitto  del reato. Soltanto riconoscendo al
 tribunale  per  i  minorenni  il   potere   di   compiere   qualsiasi
 accertamento utile e di adottare tempestivamente ogni provvedimento a
 tutela  del minore senza attendere i tempi lunghi del giudizio civile
 o penale  relativo  all'accertamento  della  paternita'  si  potrebbe
 evitare il ricorso a codesta onorevole Corte.
   Ma,  poiche'  tali  interventi sembrano preclusi al tribunale per i
 minorenni  dalle  disposizioni  censurate,  interpretate  secondo  il
 prevalente   orientamento   giurisprudenziale,  non  resta  a  questo
 collegio  che  sollevare  d'ufficio  eccezione   di   illeggittimita'
 costituzionale  delle  predette  disposizioni,  nei sensi indicati in
 motivazione. Occorre aggiungere, infine, che la  sollevata  eccezione
 di  illegittimita' costituzionale, oltre ad essere non manifestamente
 infondata, si appalesa, altresi', rilevante  nel  presente  giudizio,
 poiche', in caso di dichiarazione della illegittimita' costituzionale
 delle  norme  censurate, questo tribunale (il cui intervento e' stato
 paralizzato dal decreto del presidente della locale Corte  d'appello)
 potrebbe  compiere sollecitamente tutti gli accertamenti (compresa la
 prova tecnico-scientifica) ritenuti necessari senza attendere i tempi
 lunghi del giudizio civile di cui agli  artt.  263  e  264,  c.c.,  e
 restituire  il  bimbo (evitandogli, frattanto, una serie di infiniti,
 traumatici sballottamenti da una famiglia all'altra)  definitivamente
 al   P.  (se  questi  dovesse  risultare  esserne  il  padre)  oppure
 proseguire e definire sollecitamente la procedura adozionale.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 134, Cost.;
   Visto l'art. 23 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  solleva,  di
 ufficio,  questione  di  illegittimita'  costituzionale del combinato
 disposto degli artt. 71 (primo, terzo e quinto comma) e 74  (primo  e
 secondo comma), della legge n. 184/1983, in relazione agli artt. 264,
 comma  2,  c.c.;  295, c.p.c.; 8, della legge n. 184/1983; 567, c.p.,
 nei sensi indicati nella motivazione, per contrasto con gli artt.  2,
 3,  30  e 31 Cost., e con tutti gli altri articoli della Costituzione
 violati dalla disciplina censurata.
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso.
   Ordina  che  a  cura  della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale sia  notificata  alle  parti  in
 causa  ed  al  p.m.  in  sede nonche' al Presidente del Consiglio dei
 Ministri e comunicata  anche  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
     L'Aquila, addi' 25 marzo 1999.
                    Il presidente estensore: Manera
 99C0581