N. 337 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 1999
N. 337 Ordinanza emessa il 25 marzo 1999 dal Tribunale dei minorenni di L'Aquila nel procedimento relativo al minore P.R. Filiazione naturale - Riconoscimento di minore - Impugnazione per difetto di veridicita' - Dedotta attribuzione della competenza al tribunale ordinario anziche' al tribunale per i minorenni - Lamentata possibilita' per il tribunale per i minorenni di compiere altri accertamenti o di adottare provvedimenti urgenti a tutela del minore soltanto dopo l'accertamento definitivo della falsita' in sede civile o penale - Lesione dei diritti inviolabili dell'uomo - Contrasto con i principi a tutela della famiglia e dei minori. (Legge, 4 maggio 1983, n. 184, artt. 71, primo comma, comb. disp., terzo e quinto comma, 74, primo e secondo comma, in relazione al c.c., 264, secondo comma c.p.c., 295 e 28; c.p., art. 567). (Cost., artt. 2, 3, 30 e 31).(GU n.24 del 16-6-1999 )
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha emesso la seguente ordinanza; nel procedimento relativo al minore P.R., nato il 12 aprile 1996 in Barcellona (Venezuela). Letti gli atti; Osserva in fatto e diritto Il 12 aprile 1996 nasceva nell'ospedale centrale "dott. Luis Razetti" di Barcellona - Stato Anzoa'tegui (Venezuela) - un bimbo (non riconosciuto dalla madre), che il 15 maggio 1996 veniva riconosciuto quale figlio naturale da P.F., nato ad Abbasanta (OR) il 27 gennaio 1953, il quale imponeva al neonato il nome di P.R. e se lo portava in Italia, inserendolo nella sua famiglia legittima senza l'autorizzazione prevista dall'art. 252 c.c. Poiche' il P. incontrava difficolta' nella trascrizione del riconoscimento nei registri dello stato civile del comune di sua residenza (Pratola Peligna), lo stesso ritornava nel Venezuela l'11 dicembre 1997 e davanti al Console Generale d'Italia in Venezuela dott. Giorgio Trabattoni prestava l'assenso, ai sensi dell'art. 250 c.c., al riconoscimento del minore anche da parte della madre, la quale restava in Venezuela disinteressandosi totalmente del figlio, con il quale non manteneva alcun rapporto. Su segnalazione dell'ufficiale di stato civile del comune di Pratola Peligna, questo tribunale, all'esito delle indagini previste dall'art. 74 legge n. 184/1983, ritenendo il riconoscimento del minore operato dal P. (coniugato con D'A. P., dalla quale non aveva avuto figli, onde i coniugi avevano presentato domanda di adozione a questo tribunale) non veridico, con decreto del 21 gennaio 1998 disponeva l'allontanamento del minore dall'abitazione dei coniugi P. ed il ricovero in idoneo Istituto; la sospensione della potesta' del P. sul minore R.; la nomina al minore d'un curatore speciale per l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' e la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sulmona per l'esercizio dell'azione penale ex artt. 9, primo comma, e 567 comma 2 cod. pen. Avverso tale decreto il P. proponeva reclamo alla sezione minorenni della Corte d'appello di L'Aquila, la quale con decreto 5 maggio 1998 rigettava l'impugnazione, essendosi il P. rifiutato anche in quella sede di sottoporsi a prove ematologiche per l'accertamento della paternita'. Con istanza del 16 febbraio 1998 i coniugi P. chiedevano a questo tribunale di essere autorizzati ad avere contatti con il bimbo; ma tale richiesta veniva rigettata con decreto 25 febbraio 1998. Proposto reclamo anche contro tale decreto, la locale sezione minorenni, con decreto in data 9 febbraio 1999, accoglieva il gravame, rilevando che questo tribunale aveva fondato la sua decisione "sia su rilevanti elementi di giudizio che deponevano e depongono per la non veridicita' del riconoscimento di paternita' naturale del P. nei confronti del suddetto minore, sia sull'essersi lo stesso rifiutato di sottoporsi alle prove ematologiche o del D.N.A." per accertare la paternita' del bimbo; ma che era "sopravvenuto il fatto nuovo intentificantesi nell'avere il P. F. dichiarato di volersi sottoporre alle prove ematologiche o del D.N.A. e che, quindi, il quadro logico-probatorio era tale da far permanere dubbi sulla reale situazione, dubbi che potranno essere dissipati solo in sede di giudizio di impugnativa della veridicita' del riconoscimento; che, percio', l'ordine di allontanamento del minore non puo' essere mantenuto, essendo nel preminente interesse del minore stesso il ripristino dei rapporti con il (preteso) padre naturale, interesse che verrebbe senz'altro a rimanere pregiudicato ove l'attuale situazione si protraesse per tutta la durata del giudizio di impugnativa", onde il minore doveva essere riaffidato al sedicente padre. Con decreto in data 15 febbraio 1999, provvisoriamente esecutivo, questo tribunale, preso atto, da un lato, del decreto in data 9 febbraio 1999 della corte (munito di formula esecutiva), ma, dall'altro, del fatto nuovo, emerso in data 10 febbraio 1999 (dopo la decisione della sezione minorile), che - come comunicato dall'Interpol venezuelana - la madre del minore non era mai venuta in Italia (mentre il P. aveva asserito di aver concepito il figlio e di avere avuto 5 - 6 rapporti sessuali con la predetta madre del minore, signora A. R. M., in auto, alla periferia di Sulmona), ritenendo raggiunta la prova della falsita' del riconoscimento (che rendeva superflua anche la prova ematologica, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte) disponeva l'apertura della procedura di adottabilita'; confermava l'allontanamento del bimbo dai coniugi P. e l'affidamento provvisorio dello stesso ai coniugi ai quali era gia' stato affidato il 25 maggio 1998 in vista di futura adozione ai sensi degli artt. 333 c.c. e 10 legge n. 184/1983; confermava la sospensione del P. dalla potesta' e disponeva analoga sospensione della potesta' da parte della madre nonche' consulenza immunoematologica, fissando la comparizione del C.T.U. per l'udienza dell'8 marzo 1999. Proposto reclamo il 18 febbraio 1999 dal P. avverso tale decreto, il presidente della locale Corte d'appello, con provvedimento in data 2 marzo 1999 (munito della formula esecutiva il 3 marzo 1999), "ritenuta l'opportunita' e la particolare urgenza dell'adozione di un provvedimento di sospensione della esecutivita' e/o esecuzione del provvedimento impugnato, anche onde evitare che presso quel tribunale si compiano attivita' istruttorie che potrebbero poi rivelarsi inutili, posto che per l'accertamento della non veridicita' del riconoscimento operato dal P. F. bisognera' attendere la decisione del giudice del contenzioso (o del giudice penale); letto il parere difforme del Procuratore generale; ritenuto poi, di dover fissare l'udienza camerale per la decisione sul merito del reclamo"; sospendeva l'esecutorieta' e l'esecuzione del provvedimento 15/16 febbraio 1999 di questo tribunale per i minorenni e fissava per la comparizione delle parti l'udienza del 26 ottobre 1999 davanti alla Corte d'appello in camera di consiglio. Disponeva la trasmissione degli atti al P.M. sede. Con istanza in data 4 marzo 1999 il P. chiedeva a questo tribunale di eseguire l'immediato ripristino dei rapporti tra lui ed il minore R. Acquisito il 6 marzo 1999 il parere del P.M.M., questo tribunale il 9 marzo 1999 disponeva consulenza di ufficio per dare esecuzione al predetto decreto del presidente della Corte d'appello senza arrecare traumi al minore. All'udienza del 16 marzo 1999 (alla quale la causa veniva rinviata per l'impedimento del C.T.U. dott.ssa Paraguai) il difensore del P. sollevava contestazione sull'ammissibilita' della consulenza, onde il presidente si riservava di far decidere tale questione dal collegio, previa acquisizione del parere del P.M.M. ricevuto tale parere, questo tribunale deliberava nella camera di consiglio del 25 marzo 1999, nella quale sollevava, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 74, primo e secondo comma della legge n. 184/1983, nella parte in cui tali disposizioni limitano il potere del tribunale per i minorenni alla nomina del curatore speciale per l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' e non prevedono che il T.M. possa compiere qualsiasi accertamento e disporre tempestivamente ogni opportuno provvedimento a tutela del minore (se non all'esito dell'accertamento definitivo della falsita' del riconoscimento in sede civile e penale); nonche' dell'art. 71, primo, terzo e quinto comma, legge n. 184/1983, nella parte in cui tali disposizioni sembrano vietare al tribunale per i minorenni l'apertura della procedura di adottabilita' sino alla condanna del genitore per l'illecito affidamento nonche' l'adozione di provvedimenti provvisori ed urgenti a tutela del minore ed altresi' la rapida definizione del procedimento adozionale, frustrando l'interesse del minore al pronto inserimento in un'idonea famiglia sostitutiva o degli affetti scelta dal tribunale per i minorenni e vanificando la lotta ai falsi riconoscimenti per l'asserita impossibilita' per il tribunale per i minorenni di adottare misure di contrasto del falso riconoscimento per la ritenuta necessaria pregiudizialita' dell'accertamento della falsita' del riconoscimento e della conseguente necessaria sospensione dell'intervento del tribunale per i minorenni sino all'esito definitivo del giudizio civile relativo alla falsita' del riconoscimento stesso. Ritiene il collegio di dovere, anzitutto, evidenziare che il provvedimento del presidente della Corte d'appello aquilana ha paralizzato qualsiasi intervento di questo tribunale, perche', sospendendo la nomina del C.T.U., ha consentito al P. di sottrarsi a tale incombente (il P., infatti, non e' comparso all'udienza stabilita) e sospendendo, altresi', in toto, il decreto del 15 febbraio 1999 di questo tribunale, ha, altresi', sospeso l'apertura della procedura di adottabilita' (che, per la verita', quale doveroso atto di mero impulso processuale, non poteva essere sospeso, come esattamente rilevato dal P.M.M). Cio' premesso, rileva il collegio che costituiscono principi pacifici, ripetutamente affermati e comunemente accolti, quelli secondo i quali ogni minore ha diritto al nome (prenome e cognome: art. 6 c.c.) come segno distintivo della propria persona (prenome) e di appartenenza ad una propria famiglia (cognome). Il nome e' un diritto assoluto ed inviolabile di ogni persona (l'art. 22 Cost. dice che nessuno puo' essere privato ... del nome per motivi politici), perche' e' un elemento essenziale della propria personalita', della propria identita' personale (senza la quale nessuno puo' intrattenere relazioni personali e sociali) e dell'appartenenza ad una propria famiglia, strumento essenziale dello sviluppo della personalita'. L'art. 2 Cost. sancisce espressamente che la personalita' dell'individuo si sviluppa e svolge in una formazione sociale (e, anzitutto, nella propria famiglia), poiche' l'uomo (secondo una celebre definizione) e' un animale politico, e cioe' un essere socievole, che vive e si sviluppa non da solo, ma integrato nella comunita' familiare e sociale. Ogni uomo appartiene ad una famiglia ed ha il diritto di conoscere le sue "radici", i suoi legami con la famiglia biologica (o di sangue), le persone dalle quali ha ricevuto la vita (e' noto il problema, molto controverso e non ancora risolto, del diritto o meno del minore adottato a conoscere le sue "radici"). E' pure affermazione pacifica che ogni minore ha il diritto di vivere nell'ambito della propria famiglia. A tal riguardo va ricordato che l'art. 1 della legge n. 184/1983 ha solennemente proclamato tale diritto, affermando: "Il minore ha diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia". E' stato opportunamente rilevato che, mentre prima della legge n. 184/1983 non esisteva nel nostro ordinamento un vero diritto del minore di essere educato dai genitori, in quanto l'art. 147 c.c. prevedeva l'obbligazione dei genitori di allevare i figli, invece con la legge n. 184/1983 vi e' stato un capovolgimento di prospettiva, nel senso che e' stato riconosciuto un vero diritto soggettivo perfetto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia. Si e' detto che l'art. 1 cit. riconosce al minore due diritti: il diritto all'educazione (intesa non nel ristretto senso di ammaestramento, ma nell'accezione piu' ampia di complesso di condizioni che favoriscano il pieno sviluppo della personalita') ed il diritto ad una propria famiglia, ossia ad un ambiente sereno ed accogliente (foyer stable et harmonieux) che favorisca il pieno sviluppo della sua personalita'. E' pure affermazione ricorrente che i diritti del minore all'educazione e ad una propria famiglia sono diritti assoluti ed inviolabili, che trovano il fondamento e la matrice in varie norme della Costituzione (artt. 2, 3, 29, 30, 31 Cost.) (cfr. Corte app. Torino 20 luglio 1979, in Dir. fam. 1980, 731), in quanto il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.) costituisce un diritto inviolabile dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalita' (art. 2 Cost.). Si e' osservato che gli artt. 29 e 30 Cost. considerano la famiglia come luogo privilegiato di formazione della personalita' del minore; e che nel nostro ordinamento giuridico la famiglia biologica continua ad avere una considerazione preferenziale in ordine all'educazione della prole per la presunzione che i diritti del minore ricevano una migliore attuazione nell'ambito della famiglia di origine (cfr. Cass., 3420/1974; 3425/1974). Ma si e' anche precisato che la famiglia e' tutelata non in se', ma quale strumento dello sviluppo della personalita' dei suoi membri e che tale tutela e' indiretta e mediata, mentre la tutela diretta e' accordata al pieno sviluppo della personalita' dei suoi membri, con la conseguenza che la tutela riconosciuta alla famiglia deve cessare quando la stessa non garantisca o promuova lo sviluppo della personalita' dei suoi membri. L'art. 30 Cost., infatti, dispone: "E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacita' dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti". I "diritti" dei genitori di educare i figli non sono veri diritti soggettivi perfetti, ma potesta' (poteri-doveri), che trovano la propria fonte esclusivamente nell'adempimento dei relativi doveri (cfr. Cass. 8 novembre 1974, n. 3420: "Alla stregua del fondamentale principio di tutela della persona umana e dei suoi diritti inviolabili, il nucleo familiare, fondato o meno sul sangue, viene tutelato dall'ordinamento giuridico nella misura in cui appare rispondente alla sua fondamentale funzione di assicurare lo sviluppo della personalita'"). Pertanto, mentre va ricordato che la Suprema Corte (cfr. Cass., 7 novembre 1983, n. 6564; Cass., 15 novembre 1985, n. 5607; Cass., 29 novembre 1985, n. 5952; Cass., 2 aprile 1986, n. 2234; Cass., 20 giugno 1986, n. 4110; Cass., 16 settembre 1986, n. 5619; Cass., 3 ottobre 1986, n. 5852; Cass., 13 gennaio 1988, n. 180; Cass., 9 aprile 1988, n. 2811 e numerose conformi) ha ribadito che nella nuova disciplina dell'adozione, mentre resta fermo il principio della netta prevalenza da accordare all'interesse del minore, viene accentuata l'esigenza di assicurarne, in difetto di specifiche ragioni ostative, la crescita e lo sviluppo nella famiglia di origine, considerata quale ambiente naturale, e almeno tendenzialmente, come migliore ambiente di crescita del minore stesso; non va dimenticato che l'interesse del minore e' definito prioritario ed esclusivo dalla legge e che esso e' prevalente su qualsiasi altro interesse con lo stesso contrastante (come riconosciuto dalle stesse sentenze prima citate nonche' da Cass., 8 maggio 1980 n. 3035, in Arch. civ. 1980, 947: "In tema di dichiarazione dello stato di adottabilita', il desiderio legittimo del genitore di ricevere affetto da parte del figlio, in tanto puo' essere preso in considerazione, in quanto da parte del genitore stesso vi sia un effettivo impegno a prendersi cura del bambino, dal momento che l'interesse dei genitori non e' ignorato dalla legge, ma dev'essere sacrificato qualora sia in contrasto con quello del minore". Nello stesso senso cfr. Cass., 3066/1977; 4882/1977; 5051/1977; 2047/1978; 2788/1980 ecc.). Puo' conclusivamente affermarsi che non vi sono diritti inviolabili o intangibili della famiglia a crescere i figli (cfr. Cass., 3420/1974, 11/1972), ma che l'unico diritto assoluto ed inviolabile e' quello del minore all'educazione in una propria idonea famiglia, che gli assicuri il pieno sviluppo della personalita'; onde, in caso di incapacita' dei genitori (art. 30 Cost.), il minore ha il diritto inviolabile ad una propria idonea famiglia sostitutiva, che gli assicuri un'effettiva, adeguata educazione. Il minore va, quindi, educato, anzitutto e preferibilmente, nella propria famiglia biologica; e, in caso di incapacita' o inidoneita' dei genitori, in un'idonea famiglia degli affetti. Costituisce pure ius receptum che il minore che versa in un'oggettiva situazione di abbandono o di mancanza di adeguate cure parentali deve essere prontamente inserito in un'idonea famiglia degli affetti scelta dal tribunale per i minorenni; che il tribunale per i minorenni deve adottare ogni provvedimento provvisorio ed urgente per porre fine alla pregiudizievole situazione di abbandono (Cass., 4 agosto 1977, n. 3464); che la posizione del minore abbandonato va accertata con tempestiva chiarezza e certezza (Cass., 22 giugno 1981, n. 4068); che il tribunale, quando e' configurabile una situazione di abbandono, deve subito aprire la procedura e dichiarare l'adottabilita', non avendo alcun potere discrezionale (cfr. Cass., 13 maggio 1983, n. 3298); che la procedura adozionale deve essere sollecitamente definita, in quanto "tutto il sistema dell'adozione speciale si ispira alla finalita' di raggiungere nel piu' breve tempo la certezza del nuovo status del minore, inserendolo definitivamente, per il suo esclusivo interesse, nella nuova famiglia" (cosi' Cass., 22 luglio 1980, n. 4787); che il tribunale per i minorenni ha la competenza esclusiva a scegliere, per il minore in stato di abbandono, la famigli piu' idonea a soddisfare le sue esigenze (cfr. trib. min. Ancona, 17 giugno 1973, in Giur. merito 1975, n. 369: "Qualora il minore non riceva un'adeguata educazione ne' dai genitori ne' dai parenti tenuti per legge agli alimenti, spetta unicamente al tribunale per i minorenni tutelare il diritto all'educazione del minore collocando quest'ultimo presso una famiglia anche pedagogicamente idonea"; Cass., 13 gennaio 1978, n. 156, in Foro it. 1978, I, n. 306: "Quando i genitori ed i parenti tenuti agli alimenti non possono o non vogliono allevare personalmente il minore, rientra nella competenza esclusiva del tribunale per i minorenni scegliere un'idonea famiglia, sostitutiva di quella biologica, nella quale inserire il minore. E nessuno puo' sostituirsi al tribunale per i minorenni in questo compito a garanzia d'un fondamentale diritto della personalita' del minore"); che l'affidamento privato o negoziale e definitivo del minore ad estranei a scopo adottivo integra di per se' l'abbandono (cfr. Cass., 7 marzo 1977, n. 941: "I genitori non sono arbitri di trasferire ad altri il loro potere-dovere educativo e, se lo fanno, possono dar luogo ad una situazione di abbandono; il legislatore, infatti, ha voluto che sia il giudice e non il genitore a vagliare l'idoneita' della nuova famiglia e che al minore sia assicurata la piena tranquillita' del focolare con il farlo entrare a tutti gli effetti a far parte della nuova famiglia"; trib. min. di Venezia 7 gennaio 1972, in Giur. it. 1973, I, 2, 93; tribunale min. di Milano 22 dicembre 1972, in Giust. civ. 1972, I, 534; trib. min. di Ancona 15 giugno 1973, in Giur. Merito 1975, I, 372; Cass., 13 gennaio 1978, n. 156: "L'uso distorto dal suo fine della postesta' parentale non comporta solo la decadenza della potesta' medesima, ma piu' radicalmente puo' determinare l'interruzione dei rapporti giuridici fra genitore degenere e figlio, e la costituzione vicariante di nuovi rapporti familiari irreversibili. Il genitore non puo' consegnare il figlio neonato per l'allevamento a terzi (sia pure in vista di un'adozione ordinaria), perche' cosi' procedendo compie un atto che non conviene al minore, sottraendolo al circuito dell'adozione speciale ed affidandolo definitivamente ad altri, la cui idoneita' a svolgere funzioni vicarianti viene a dipendere dal suo capriccio o vantaggio, mentre la legge vuole che sia vagliata esclusivamente dal giudice"); e che deve essere ritenuto moralmente inidoneo all'adozione colui che riesca ad ottenere l'affidamento d'un minore evitando il vaglio attitudinale del tribunale per i minorenni (cfr. trib. min. di Roma 1 luglio 1972, Pres. est. Moro, in Giur. Merito 1973, n. 259): "Operano in frode alla legge, e pertanto devono essere valutati negativamente ai fini del giudizio di idoneita' all'adozione speciale, i coniugi che riescano ad ottenere l'affidamento di un minore senza sottostare ai controlli dell'autorita' giudiziaria"; trib. min. Potenza 23 febbraio 1984, in Dir. fam. 1984, n. 651 ss.). Occorre evidenziare che la violazione o l'aggiramento della disciplina dell'adozione speciale (mediante il traffico o mercato dei minori o l'affidamento negoziale a terzi o mediante il falso riconoscimento paterno) era diventato un fenomeno tanto diffuso che il legislatore del 1983 avverti' l'esigenza di combattere tale piaga (che vanificava l'intera disciplina dell'adozione) mediante apposite norme (artt. 71 e 74). Il falso riconoscimento paterno, invero, non solo esautora il tribunale per i minorenni dei suoi poteri, impedendogli l'effettiva valutazione comparativa attitudinale prevista dall'art. 22, legge n. 184/1983, ma danneggia anche le coppie idonee, che, rispettando la legge, attendono pazientemente l'affido preadottivo d'un minore da parte del tribunale per i minorenni; e, soprattutto, vanifica i diritti inviolabili del minore ad una propria idonea famiglia; alla propria identita' personale; al suo diritto inviolabile all'autenticita' e genuinita' del rapporto di filiazione, e cioe' ad intrattenere rapporti parentali con i suoi veri genitori e non con estranei, che si arrogano fraudolentemente diritti genitoriali loro non spettanti. La fondamentale importanza del diritto inviolabile del minore alla propria identita' biologica, personale, familiare e sociale, e' testimoniata dal fatto che tale diritto, tutelato dall'art. 2, Cost., e' stato concretamente attuato dalla disciplina degli arrt. 263 e 264 c.c., la cui ratio e' quella di proteggere l'interesse del minore a non essere considerato figlio di colui che ne e' il vero genitore biologico. E tale tutela (costituzionale ed ordinaria) esce rafforzata dalla previsione del reato di alterazione di stato, p. e p. dall'art. 576, secondo comma, c.p., che commina la pena da cinque a quindici anni di reclusione a "chiunque, nella formazione di un atto di nascita, alteri lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsita'". Da tali premesse discende logicamente la conseguenza che l'autore del falso riconoscimento non dovrebbe avere alcun rapporto con il minore da lui falsamente riconosciuto come proprio figlio naturale, il quale dovrebbe essere allontanato subito dal sedicente padre (per impedire che consolidi con lo stesso profondi legami affettivi poi non recidibili senza traumi) ed essergli riaffidato solo dopo che sara' stata provata la veridicita' del riconoscimento. Ed invece avviene l'opposto, perche', tranne alcune voci contrarie, l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza afferma che in caso di sospetto falso riconoscimento il tribunale per i minorenni puo' soltanto nominare al minore un curatore speciale per la proposizione dell'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' (a norma dell'art. 264, secondo comma, c.c.) ma non puo', dopo tale nomina, compiere altri accertamenti (tra i quali le prove ematologiche o del D.N.A.) o adottare a tutela del minore provvedimenti urgenti (apertura della procedura di adottabilita'; provvedimenti provvisori ed urgenti ai sensi dell'art. 10, legge n. 184/1983 ecc.), che puo' disporre solo dopo che la falsita' del riconoscimento sia stata accertata in maniera definitiva (onde medio tempore il minore deve essere affidato al sedicente padre), in quanto ogni altro accertamento e provvedimento da parte del tribunale per i minorenni dovrebbe essere necessariamente sospeso, ai sensi dell'art. 295, c.p.c., giacche' tra l'accertamento definitivo della falsita' in sede civile e penale ed i provvedimenti di competenza del tribunale per i minorenni vi sarebbe una necessaria pregiudizialita' logico-giuridica (cfr., in tal senso, Corte appello, Palermo 10 febbraio 1984, in Dir. fam. 1984, n. 111; Corte appello, Catania sez. min. 18 dicembre 1984, ivi, 1986, n. 555: "Sino all'esito definitivo del giudizio di impugnazione del riconoscimento, per difetto di veridicita', del figlio minore, lo stato del figlio naturale scaturente dalle risultanze formali dello stato civile non puo' essere modificato, ne' messo in discussione, con la conseguenza che il tribunale per i minorenni, ove abbia a dubitare della veridicita' del riconoscimento, puo' nominare un curatore speciale al fine di impugnarlo, ma non puo' dichiarare lo stato di adottabilita' del minore"; Cass., 12 ottobre 1987, n. 7527; Pres. Vela; rel. Vercellone; p.m. Lo Cascio (diff.): "L'art. 74 della legge n. 184/1983 attribuisce al tribunale per i minorenni il potere di nominare un curatore speciale per impugnare il riconoscimento del figlio naturale sospetto di falsita' per difetto di veridicita', ma non anche quello di accertare la non veridicita' del riconoscimento stesso, essendo tale accertamento di competenza del tribunale ordinario. Non puo', pertanto, il tribunale per i minorenni pervenire alla dichiarazione di adottabilita' di un minore, che sia adeguatamente assistito da colui che l'ha riconosciuto, sulla base di un proprio accertamento incidentale della non veridicita' di quel riconoscimento"). Tale tesi sembra non trovare conforto nella disciplina della legge n. 184/1983. Ed invero, mentre l'art. 74, primo comma, della legge n. 184 stabilisce che "il tribunale dispone l'esecuzione di opportune indagini per accertare la veridicita' del riconoscimento", invece il secondo comma dello stesso art. 74 non sembra far corrispondere a tale ampio potere di indagini (peraltro irragionevolmente limitato all'ipotesi che il minore non sia stato riconosciuto da entrambi i genitori, perche', altrimenti, cessa anche il potere di indagini del tribunale per i minorenni) un altrettanto ampio potere di interventi del tribunale per i minorenni, in quanto esso si limita a disporre che, in caso di sospetto falso riconoscimento, il tribunale per i minorenni "assume, anche d'ufficio, i provvedimenti di cui all'art. 264, secondo comma, del giudice civile". L'interpretazione letterale di tale norma induce a ritenere che, accertato il falso riconoscimento, il tribunale per i minorenni debba limitarsi alla nomina del curatore per l'impugnazione del falso riconoscimento e non abbia altri poteri. Tale conclusione esce rafforzata dall'esame dell'art. 71 della legge n. 184, che recita: "Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere di definitivita' un minore (ovvero lo avvia all'estero perche' sia definitivamente affidato), e' punito con la reclusione da uno a tre anni (art. 71, comma 1). "Se il fatto e' commesso dal genitore la condanna comporta la perdita della relativa potesta' e l'apertura della procedura di adottabilita' .." (art. 71, comma 3). "La pena stabilita nel primo comma del presente articolo si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo denaro od altra utilita' a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitivita'. La condanna comporta la inidoneita' ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacita' all'ufficio tutelare" (art. 71, comma 5). Dall'esame di tali norme (in relazione agli artt. 264, secondo comma, c.c., 295, c.p.c., art. 8, legge n. 184/1983, 1, legge n. 184, 567, c.p.) sembra dedursi che il tribunale per i minorenni, nominato il curatore, non abbia altri poteri e non possa aprire neppure la procedura di adottabilita' o adottare provvedimenti provvisori ed urgenti a tutela del minore (ex art. 10, legge n. 184), perche' solo la condanna del genitore comporta l'apertura della procedura di adottabilita'. Inoltre, mentre prima della novella n. 184/1983 era insegnamento pacifico che il mero affidamento negoziale e definitivo d'un minore a terzi a scopo adottivo integrava l'abbandono e che colui che riusciva ad ottenere l'affidamento d'un minore privatamente aggirando la disciplina dell'adozione doveva ritenersi moralmente inidoneo all'adozione, dalla lettera dell'art. 71, comma 5, sembra dedursi che solo la condanna per tale affidamento (condanna che richiede la difficile o quasi impossibile prova della dazione o promessa di denaro o altra utilita' al genitore) puo' comportare la inidoneita' ad ottenere affidamenti familiari o adottivi. Ma la disciplina che risulta dal combinato disposto degli artt. 71 e 74 della legge n. 184 (che vuole combattere i falsi riconoscimenti paterni ed il mercato o traffico dei minori) interpretata in senso letterale secondo l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, non si sottrae al sospetto di illegittimita' costituzionale per violazione dei principi sanciti negli artt. 2, 3, 30 e 31, Cost., rilevandosi illogica, contraddittoria e lesiva dei diritti assoluti ed inviolabili del minore ad una propria idonea famiglia; alla autenticita' e genuinita' del rapporto di filiazione ed alla stabilita' delle relazioni familiari, nonche' lesiva del diritto del minore abbandonato al pronto inserimento in un'idonea famiglia adottiva scelta dal tribunale per i minorenni. Sembra evidente che l'attribuzione al tribunale per i minorenni d'un ampio potere di indagini - finalizzato all'accertamento della falsita' del riconoscimento (e tale accertamento dovrebbe essere esteso anche all'ipotesi che entrambi i genitori abbiano riconosciuto il figlio) - al quale non corrispondesse o conseguisse un altrettanto ampio potere di interventi del tribunale per i minorenni per contrastare subito e con ogni mezzo (e, in primis, allontanando il minore dal sedicente padre e non restituendoglielo se non dopo l'accertamento definitivo della veridicita' del riconoscimento) i falsi riconoscimenti, rappresenterebbe un telum imbelle sine ictu, poiche' il tribunale per i minorenni (se dovesse limitarsi a nominare soltanto il curatore speciale) non avrebbe mezzi per combattere efficacemente i falsi riconoscimenti. E', invero, principio ripetutamente affermato che la discrezionalita' del legislatore nello scegliere i criteri di politica legislativa dallo stesso ritenuti piu' opportuni non impedisce il sindacato di legittimita' da parte di codesta Corte quando la disciplina giuridica in concreto adottata si riveli - come nella specie - manifestamente illogica ed irragionevole. Giova ribadire che, seguendo l'orientamento prevalente, la lotta ai falsi riconoscimenti diventa illusoria, impossibile e persa in partenza; che, anzi, tale orientamento addirittura costituisce un incentivo a violare la legge sull'adozione ed a compiere falsi riconoscimenti (in quanto l'autore del falso riconoscimento, anziche' essere punito, viene premiato facendogli conseguire il profitto del reato) e che, soprattutto, viene negato al minore il diritto inviolabile a crescere nella sua vera famiglia; a conoscere le proprie "radici" e ad evitare che estranei si arroghino maliziosamente e fraudolentemente diritti loro non spettanti se non mediante la violazione della legge. Seguendo l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza e l'interpretazione letterale del combinato disposto degli artt. 71 e 74 della legge n. 184 in relazione agli artt. 264, secondo comma, c.c.; 295, c.p.c.; 1 e 8 legge n. 184/1983; 567, c.p., tale disciplina si rivela illogica e contraddittoria, perche', mentre, da un lato, essa ha dichiarato intento di voler combattere i falsi riconoscimenti paterni per garantire al minore il diritto inviolabile ad un'idonea famiglia e l'autenticita' del rapporto di filiazione; dall'altro, limitando, nell'art. 74, secondo comma, l'azione del tribunale per i minorenni alla nomina d'un curatore speciale e non prevedendo, altresi', il potere del tribunale per i minorenni di compiere qualsiasi opportuno accertamento e di adottare ogni provvedimento provvisorio ed urgente a tutela del minore (ma, anzi prevedendo l'apertura della procedura di adottabilita' solo dopo la condanna del genitore per l'illecito affidamento), in effetti frustra la lotta ai falsi riconoscimenti, sancisce una sostanziale impunita' di fatto per l'autore del falso riconoscimento (essendo sommamente arduo raggiungere la prova della dazione o della promessa di denaro o altra utilita' al genitore e spesso difficile la prova del dolo nel reato di cui all'art. 567, c.p.) ed agevola e fa proliferare incontrollatamente il traffico o mercato dei minori o il falso riconoscimento (che pure, a parole, dice di voler combattere). La disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 71 e 74, legge n. 184, interpretata letteralmente nel senso propugnato dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, si appalesa vana e priva di qualsiasi concretezza, in quanto, se il tribunale per i minorenni non avesse altri poteri (oltre alla nomina del curatore speciale per la proposizione dell'azione di cui all'art. 264, secondo comma, c.c.) e non potesse compiere altri accertamenti o adottare subito tutti i provvedimenti urgenti a tutela del minore, ma dovesse attendere l'esito definitivo del giudizio sulla falsita' o meno del riconoscimento, la lotta ai falsi riconoscimenti sarebbe persa in partenza e le norme di cui al combinato disposto degli artt. 71 e 74, legge n. 184, si rivelerebbero del tutto inutili. E' evidente, invero, che, se per attivare i doverosi poteri di intervento del tribunale per i minorenni dovesse attendersi l'esito definitivo del giudizio civile o penale sulla falsita' del riconoscimento, l'accertamento definitivo della falsita' del riconoscimento (intervenuto a distanza di molti anni, dopo l'esaurimento dei tre gradi di giudizio in sede civile o penale) non servirebbe a nulla, perche' la definitivita' dell'accertamento (richiedendo tempi necessariamente lunghi) favorirebbe il consolidamento di profondi vincoli affettivi tra il minore ed il sedicente padre ed impedirebbe l'allontanamento del falso padre del minore per non causargli traumi per il distacco dagli abusivi affidatari, ai quali verrebbe consentito di inserirlo per sempre nella loro famiglia pur non essendo figlio loro. La lotta ai falsi riconoscimenti sarebbe, cosi', frustrata e vanificata e l'autore del falso riconoscimento, anziche' punito, verrebbe premiato facendogli conseguire il profitto del reato di alterazione di stato ed il minore, non figlio dal falso padre, sarebbe definitivamente inserito in una famiglia che non e' la sua e verrebbe trattato non come persona (titolare di diritti assoluti ed inviolabili), ma come cosa o oggetto di scambio o di mercimonio o di illecite ed ignobili trattative. Percio' la pretesa necessaria pregiudizialita' (tra il giudizio sul falso riconoscimento in sede civile e penale e le azioni e gli interventi del tribunale per i minorenni) e la sospensione necessaria degli interventi del tribunale per i minorenni sino all'esito del definitivo accertamento (in sede civile e penale) della falsita' del riconoscimento appaiono logicamente assurde e moralmente riprovevoli, in quanto, in caso di sospetto falso riconoscimento, dovrebbe essere riconosciuto al tribunale per i minorenni un ampio potere di accertamento e di interventi finalizzati ad impedire che il minore resti nella famiglia del falso padre; che metta radici in una famiglia che probabilmente non e' la sua; che consolidi legami affettivi con il falso padre e che, in definitiva, resti per sempre con lui. La tesi secondo la quale fino all'accertamento definitivo della falsita' del riconoscimento, tale riconoscimento non puo' essere disconosciuto appare illogica dal punto di vista giuridico e moralmente inaccettabile, perche' attribuisce irragionevolmente rilevanza alla mera apparenza della genitura e finisce con l'attribuire rilevanza decisiva e definitiva a tale falsa e formale apparenza, che consente al falso padre di tenere per sempre con se' il figlio anche quando, dopo molti anni (occorrenti per pervenire all'accertamento definitivo della falsita' o meno del riconoscimento), venga accertata la falsita' del riconoscimento. La paralisi dell'azione del tribunale per i minorenni (verificatasi anche nella specie, perche' il decreto del Presidente della Corte ha sospeso la prova ematologica disposta dal tribunale per i minorenni per l'udienza del 9 marzo 1999, alla quale il P. non e' comparso, ed ha sospeso l'apertura della procedura di adottabilita') sembra contrastare anche con il dovere imposto dalla p.g. (e anche al giudice), dagli artt. 219, c.p.p., del 1930 e 55, c.p.p. del 1988, di impedire che il reato sia portato a conseguenze ulteriori; mentre la tattica dilatoria e temporeggiatrice accolta dal prevalente orientamento finisce con consentire all'autore del falso riconoscimento di assicurarsi il profitto del reato, cioe' il minore (oggetto del reato di cui all'art. 567, c.p.), trattato alla stregua di una cosa o merce di scambio. La pretesa incompetenza del tribunale per i minorenni a disporre accertamenti dopo l'inizio del giudizio civile (ex artt. 263 e 264, c.c.) per la ritenuta competenza esclusiva del giudice civile o penale ad accertare la falsita' del riconoscimento non considera che l'accertamento del giudice civile o penale e' fatto con efficacia del giudicato, mentre l'accertamento del tribunale per i minorenni e' svolto incidenter tantum, senza efficacia di giudicato ed al solo fine di poter adottare provvedimenti urgenti a tutela del minore contro i falsi riconoscimenti. Il tribunale per i minorenni dovrebbe, quindi, poter compiere tutti gli accertamenti ritenuti opportuni ad adottare tutti i provvedimenti cautelari a difesa del minore (apertura e definizione del procedimento di adottabilita'; adozione di provvedimenti provvisori a tutela del minore, ivi compresi l'allontanamento del minore dal falso padre, il suo affido a coppia idonea scelta dal tribunale per i minorenni, la sospensione del sedicente padre dalla potesta' ecc.), poiche' solo tali provvedimenti cautelari ed urgenti consentono un'efficace lotta ai falsi riconoscimenti ed impediscono che l'autore del falso riconoscimento, anziche' essere punito, venga premiato con il conseguimento del profitto del reato. Soltanto riconoscendo al tribunale per i minorenni il potere di compiere qualsiasi accertamento utile e di adottare tempestivamente ogni provvedimento a tutela del minore senza attendere i tempi lunghi del giudizio civile o penale relativo all'accertamento della paternita' si potrebbe evitare il ricorso a codesta onorevole Corte. Ma, poiche' tali interventi sembrano preclusi al tribunale per i minorenni dalle disposizioni censurate, interpretate secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, non resta a questo collegio che sollevare d'ufficio eccezione di illeggittimita' costituzionale delle predette disposizioni, nei sensi indicati in motivazione. Occorre aggiungere, infine, che la sollevata eccezione di illegittimita' costituzionale, oltre ad essere non manifestamente infondata, si appalesa, altresi', rilevante nel presente giudizio, poiche', in caso di dichiarazione della illegittimita' costituzionale delle norme censurate, questo tribunale (il cui intervento e' stato paralizzato dal decreto del presidente della locale Corte d'appello) potrebbe compiere sollecitamente tutti gli accertamenti (compresa la prova tecnico-scientifica) ritenuti necessari senza attendere i tempi lunghi del giudizio civile di cui agli artt. 263 e 264, c.c., e restituire il bimbo (evitandogli, frattanto, una serie di infiniti, traumatici sballottamenti da una famiglia all'altra) definitivamente al P. (se questi dovesse risultare esserne il padre) oppure proseguire e definire sollecitamente la procedura adozionale.
P. Q. M. Visto l'art. 134, Cost.; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva, di ufficio, questione di illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 71 (primo, terzo e quinto comma) e 74 (primo e secondo comma), della legge n. 184/1983, in relazione agli artt. 264, comma 2, c.c.; 295, c.p.c.; 8, della legge n. 184/1983; 567, c.p., nei sensi indicati nella motivazione, per contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., e con tutti gli altri articoli della Costituzione violati dalla disciplina censurata. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti in causa ed al p.m. in sede nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. L'Aquila, addi' 25 marzo 1999. Il presidente estensore: Manera 99C0581