N. 338 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 1999

                                N. 338
  Ordinanza  emessa  il  7  aprile 1999 dal tribunale dei minorenni di
 L'Aquila nel procedimento relativo al minore R.M.
 Filiazione naturale - Riconoscimento di  minore  -  Impugnazione  per
    difetto  di veridicita' - Dedotta attribuzione della competenza al
    tribunale ordinario  anziche'  al  tribunale  per  i  minorenni  -
    Lamentata  possibilita'  per  il  tribunale  per  i  minorenni  di
    compiere altri accertamenti o di adottare provvedimenti vigenti  a
    tutela  del  minore  soltanto dopo l'accertamento definitivo della
    falsita' in sede civile o penale - Lesione dei diritti inviolabili
    dell'uomo - Contrasto con i principi a tutela della famiglia e dei
    minori.
 (Legge, 4 maggio 1983, n. 184, artt. 71, primo  comma,  comb.  disp.,
    terzo  e  quinto comma, 74, primo e secondo comma, in relazione al
    c.c., 264, secondo comma, c.p.c., 295,  1  e  8  c.p.,  567,  c.c.
    (disposizioni di attuazione del), 38, primo comma, in relazione al
    c.c., 269, c.p.c., e 737).
 (Cost., artt. 2, 3, 30 e 31).
(GU n.24 del 16-6-1999 )
                     IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
   Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento relativo al minore
 R. M., nato il 27 maggio 1998 in Sulmona.
   Letti gli atti;
                       Osserva in fatto e diritto
   Con  decreto  in  data  27 gennaio 1999 questo tribunale, all'esito
 delle  indagini  previste  dall'art.  74,  legge  n.  184/1983,   che
 inducevano  a  ritenere  non  veridico il riconoscimento quale figlio
 naturale del minore R. M. operato  da  R.  M.,  disponeva  l'apertura
 della  procedura  di adottabilita', la sospensione della potesta' dei
 genitori; l'allontanamento del piccolo M. dall'abitazione dei coniugi
 R. ed il suo  ricovero  nell'istituto  "Madre  Ester"  di  Scerne  di
 Pineto;  nominava  al minore il curatore speciale per la proposizione
 dell'impugnazione del riconoscimento per  difetto  di  veridicita'  e
 disponeva  la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica
 presso il tribunale di Sulmona per l'esercizio dell'azione penale  ai
 sensi degli artt. 333 c.p.p. e 567 c.p.
   Con  decreto  in  data  23 febbraio 1999 questo tribunale disponeva
 l'affidamento provvisorio del minore, in vista di futura adozione,  a
 coppia idonea, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 184/1983. Avviata
 la   procedura  di  adottabilita',  nel  corso  della  stessa  veniva
 contestato l'abbandono del minore ai genitori, i  quali  negavano  di
 averlo  abbandonato  e,  a  specifica domanda, dichiaravano che erano
 disposti a sottoporsi a  prove  genetiche,  ma  soltanto  davanti  al
 giudice  civile  in  sede di impugnazione del riconoscimento ai sensi
 dell'art. 263 c.c., per l'asserita incompetenza del tribunale  per  i
 minorenni   a  compiere  accertamenti  della  paternita',  una  volta
 promosso il giudizio di cui all'art. 263 c.c.
   Con  decreto  in  data  23  marzo  1999,  pronunciato a seguito del
 reclamo proposto dai genitori del minore in data 1 e 4 febbraio 1999,
 la sezione minorenni della locale Corte d'appello, in totale  riforma
 del decreto 27 gennaio 1999, disponeva il ripristino dei rapporti tra
 il  minore  ed  il  R.  M.,  al  quale  affidava  il  bimbo in attesa
 dell'esito della impugnazione della veridicita'  del  riconoscimento,
 sull'assunto  che  nella specie trattavasi di una mera ipotesi di non
 veridicita' del riconoscimento; che non era configurabile  uno  stato
 di  abbandono  e  che  questo  tribunale  avrebbe dovuto, per logica,
 attendere l'esito del giudizio  di  impugnazione  del  riconoscimento
 prima di poter aprire la procedura di adottabilita'.
   Con istanza in data 6 aprile 1999 il R. chiedeva a questo tribunale
 di ottemperare al predetto decreto della Corte mediante la riconsegna
 immediata del minore all'istante o di indicargli le generalita' della
 famiglia  affidataria.  Chiesto  il parere del P.M.M., questi in data
 odierna chiedeva il rigetto delle istanze del R. ed  instava  perche'
 questo  tribunale  sollevasse  la  stessa questione di illegittimita'
 costituzionale sollevata  d'ufficio  in  una  procedura  analoga.  Il
 tribunale deliberava in merito nella camera di consiglio del 7 aprile
 1999,    nella    quale   sollevava   questione   di   illegittimita'
 costituzionale dei combinato disposto degli artt. 74, commi  primo  e
 secondo,  legge  n.  184/1983;  dell'art. 71, commi 1, 3 e 5 legge n.
 184/1983; e dell'art.   38, comma primo,  D.A.C.C.  (come  sostituito
 dall'art.  68, legge n.  184/1983) in relazione agli artt. 269 c.c. e
 737 ss. c.p.c., nella parte in cui tale art. 38, in maniera  illogica
 e  contraddittoria,  non  ha  attribuito al tribunale per i minorenni
 anche la competenza ad accertare la falsita' del  riconoscimento  del
 minore,  mentre  ha  attribuito  al  tribunale  per  i  minorenni  la
 competenza a dichiarare  giudizialmente  la  paternita'  in  caso  di
 minori  (e  cioe'  una vera azione di stato). Secondo il prevalente e
 quasi  pacifico   orientamento   dottrinario   e   giurisprudenziale,
 l'attribuzione  al tribunale per i minorenni della competenza in tema
 di provvedimenti ex artt. 264 c.c., come risulta anche dall'art.  74,
 secondo  comma,  legge  n.  184/1983,  e'  limitata  alla  nomina del
 curatore speciale, laddove il giudizio di impugnazione vero e proprio
 e' devoluto alla cognizione del tribunale ordinario  (cfr.  Cass.  21
 ottobre   1987,   n.   7760);  risultando,  cosi',  l'azione  de  qua
 irragionevolmente spezzata in due tronconi o  fasi,  con  conseguenze
 deleterie.
   Ritiene  il  Collegio  di  dovere,  anzitutto,  evidenziare  che il
 decreto della Corte aquilana ha paralizzato qualsiasi  intervento  di
 questo tribunale, perche', riformando totalmente il decreto di questo
 tribunale  in  data  27  gennaio  1999,  ha  sospeso l'apertura della
 procedura di adottabilita' (che, quale doveroso atto di mero  impulso
 processuale,  non  poteva essere sospeso) ed ha impedito altresi' che
 questo  tribunale  potesse  nominare  un  C.T.U.  per  l'accertamento
 incidentale   della   genitura   nel   corso   della   procedura   di
 adottabilita'. Inoltre tale  decreto  ha  dato  per  scontato  che  i
 provvedimenti  adottati  da  questo  tribunale ai sensi dell'art. 10,
 legge n. 184/1983 siano reclamabili, mentre, secondo  un  consistente
 filone   interpretativo,  tali  provvedimenti,  per  la  loro  natura
 cautelare, interinale e provvisoria, non sono reclamabili, in  quanto
 il  reclamo  al  giudice  di  secondo  grado e' ammesso solo contro i
 provvedimenti che concludono in tutto  o  in  parte  l'attivita'  del
 primo  giudice  (cfr.  artt.  278,  279 e 340 c.p.c.)   (cfr., in tal
 senso, trib. min. Roma 1 luglio 1986, in Dir. fam.  1986, 1121;  sez.
 min.  app.  Roma  20 giugno 1986, in Giust. civ. 1987, 672; sez. min.
 app. Palermo 31 ottobre 1991, in Dir. fam. 1992, 659; Cass. 7  giugno
 1985, n. 3403).
   Cio'  premesso,  rileva  il  Collegio  che  costituiscono  principi
 pacifici,  ripetutamente  affermati  e  comunemente  accolti,  quelli
 secondo  i  quali  ogni minore ha diritto al nome (prenome e cognome:
 art. 6 c.c.) come segno distintivo della propria persona (prenome)  e
 di  appartenenza  ad  una  propria  famiglia (cognome). Il nome e' un
 diritto assoluto ed inviolabile di  ogni  persona  (l'art.  22  della
 Costituzione  dice  che  nessuno puo' essere privato ... del nome per
 motivi politici), perche' e' un  elemento  essenziale  della  propria
 personalita',  della  propria  identita'  personale  (senza  la quale
 nessuno  puo'  intrattenere  relazioni   personali   e   sociali)   e
 dell'appartenenza ad una propria famiglia, strumento essenziale dello
 sviluppo  della  personalita'.   L'art. 2 della Costituzione sancisce
 espressamente che la personalita' dell'individuo si sviluppa e svolge
 in una formazione sociale (e,  anzitutto,  nella  propria  famiglia),
 poiche'  l'uomo  (secondo  una  celebre  definizione)  e'  un animale
 politico, e cioe' un essere socievole, che vive e si sviluppa non  da
 solo, ma integrato nella comunita' familiare e sociale.
   Ogni  uomo appartiene ad una famiglia ed ha il diritto di conoscere
 le sue "radici", i suoi  legami  con  la  famiglia  biologica  (o  di
 sangue),  le  persone  dalle  quali  ha  ricevuto la vita (e' noto il
 problema, molto controverso e non ancora risolto, del diritto o  meno
 del minore adottato a conoscere le sue "radici").
   E'  pure  affermazione  pacifica  che  ogni minore ha il diritto di
 vivere  nell'ambito  della  propria  famiglia.  A  tal  riguardo   va
 ricordato  che  l'art.  1  della  legge  n.  184/1983 ha solennemente
 proclamato tale diritto, affermando: "Il minore ha diritto di  essere
 educato  nell'ambito della propria famiglia". E' stato opportunamente
 rilevato che, mentre prima della legge n. 184/1983 non  esisteva  nel
 nostro  ordinamento  un vero diritto del minore di essere educato dai
 genitori, in quanto l'art.  147  c.c.  prevedeva  l'obbligazione  dei
 genitori  di allevare i figli, invece con la legge n. 184 del 1983 vi
 e' stato un capovolgimento di prospettiva, nel  senso  che  e'  stato
 conosciuto  un  vero diritto soggettivo perfetto del minore ad essere
 educato nell'ambito della propria famiglia. Si e' detto che l'art.  1
 cit.  riconosce  al  minore  due  diritti:  il diritto all'educazione
 (intesa non nel ristretto senso di ammaestramento, ma  nell'accezione
 piu'  ampia  di  complesso  di  condizioni  che  favoriscano il pieno
 sviluppo della personalita') ed il diritto ad una  propria  famiglia,
 ossia   ad  un  ambiente  sereno  ed  accogliente  (foyer  stable  et
 harmonieux) che favorisca il pieno sviluppo della sua personalita'.
   E'  pure  affermazione  ricorrente  che  i   diritti   del   minore
 all'educazione  e  ad  una  propria famiglia sono diritti assoluti ed
 inviolabili, che trovano il fondamento e la matrice  in  varie  norme
 della  Costituzione  (artt.  2, 3, 29, 30, 31 Cost.) (cfr. Corte app.
 Torino 20 luglio 1979, in Dir. fam. 1980, 731), in  quanto  il  pieno
 sviluppo  della persona umana (art. 3, comma 2, Cost.) costituisce un
 diritto inviolabile dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni
 sociali dove si svolge la sua personalita' (art. 2 Cost.).
   Si   e'  osservato  che  gli  artt.  29  e  30  della  Costituzione
 considerano la famiglia come luogo privilegiato di  formazione  della
 personalita'  del  minore;  e che nel nostro ordinamento giuridico la
 famiglia biologica continua ad avere una considerazione preferenziale
 in ordine all'educazione della prole per la presunzione che i diritti
 del  minore  ricevano  una  migliore  attuazione  nell'ambito   della
 famiglia  di  origine (cfr.   Cass. n. 3420/74; n. 3425/74). Ma si e'
 anche precisato che la famiglia e' tutelata  non  in  se',  ma  quale
 strumento  dello  sviluppo  della  personalita' dei suoi membri e che
 tale tutela e' indiretta e  mediata,  mentre  la  tutela  diretta  e'
 accordata  al  pieno sviluppo della personalita' dei suoi membri, con
 la conseguenza che la tutela riconosciuta alla famiglia deve  cessare
 quando  la  stessa  non  garantisca  o  promuova  lo  sviluppo  della
 personalita' dei suoi membri. L'art. 30 della Costituzione,  infatti,
 dispone:  "E'  dovere  e  diritto dei genitori mantenere, istruire ed
 educare i figli, anche se nati fuori  del  matrimonio.  Nei  casi  di
 incapacita'  dei  genitori,  la  legge provvede a che siano assolti i
 loro compiti".
   I "diritti" dei genitori di educare i figli non sono  veri  diritti
 soggettivi  perfetti,  ma  potesta'  (poteri-doveri),  che trovano la
 propria fonte esclusivamente  nell'adempimento  dei  relativi  doveri
 (cfr.  Cass. 8 novembre 1974, n. 3420: "Alla stregua del fondamentale
 principio  di  tutela  della  persona  umana  e  dei   suoi   diritti
 inviolabili,  il  nucleo  familiare, fondato o meno sul sangue, viene
 tutelato  dall'ordinamento  giuridico  nella  misura  in  cui  appare
 rispondente  alla sua fondamentale funzione di assicurare lo sviluppo
 della personalita'"). Pertanto, mentre va ricordato  che  la  Suprema
 Corte (cfr. Cass., 7 novembre 1983, n. 6564; Cass., 15 novembre 1985,
 n.  5607;  Cass., 29 novembre 1985, n. 5952; Cass., 2 aprile 1986, n.
 2234; Cass., 20 giugno 1986, n. 4110; Cass., 16  settembre  1986,  n.
 5619; Cass., 3 ottobre 1986, n. 5852; Cass., 13 gennalo 1988, n. 180;
 Cass.,  9  aprile 1988, n.  2811 e numerose conformi) ha ribadito che
 nella nuova disciplina dell'adozione, mentre resta fermo il principio
 della netta prevalenza da accordare all'interesse del  minore,  viene
 accentuata  l'esigenza  di  assicurarne,  in  difetto  di  specifiche
 ragioni ostative,  la  crescita  e  lo  sviluppo  nella  famiglia  di
 origine,    considerata    quale    ambiente   naturale,   e   almeno
 tendenzialmente,  come  migliore  ambiente  di  crescita  del  minore
 stesso;  non  va  dimenticato  che l'interesse del minore e' definito
 prioritario ed esclusivo dalla legge e  che  esso  e'  prevalente  su
 qualsiasi   altro   interesse   con   lo  stesso  contrastante  (come
 riconosciuto dalle stesse sentenze prima citate nonche'  da  Cass.  8
 maggio  1980,  n.  3035,  in  Arch.  civ.  1980,  947:  "In  tema  di
 dichiarazione dello stato di adottabilita',  il  desiderio  legittimo
 del  genitore  di ricevere affetto da parte del figlio, in tanto puo'
 essere preso in considerazione,  in  quanto  da  parte  del  genitore
 stesso  vi sia un effettivo impegno a prendersi cura del bambino, dal
 momento che l'interesse dei genitori non e' ignorato dalla legge,  ma
 dev'essere  sacrificato  qualora  sia  in  contrasto  con  quello del
 minore".
   Nello stesso senso cfr. Cass., n. 3066/77; n. 4882/77; n.  5051/77;
 n. 2047/78; n. 2788/1980 ecc.).
   Puo' conclusivamente affermarsi che non vi sono diritti inviolabili
 o  intangibili  della  famiglia  a  crescere  i figli (cfr. Cass., n.
 3420/74; n. 11/72), ma che l'unico diritto assoluto ed inviolabile e'
 quello del minore all'educazione in una propria idonea famiglia,  che
 gli  assicuri  il pieno sviluppo della personalita'; onde, in caso di
 incapacita' dei genitori (art. 30 Cost.), il  minore  ha  il  diritto
 inviolabile  ad  una  propria  idonea  famiglia  sostitutiva, che gli
 assicuri un'effettiva, adeguata educazione.  Il  minore  va,  quindi,
 educato,   anzitutto   e   preferibilmente,  nella  propria  famiglia
 biologica; e, in caso di incapacita' o inidoneita' dei  genitori,  in
 un'idonea famiglia degli affetti.
   Costituisce   pure   ius  receptum  che  il  minore  che  versa  in
 un'oggettiva situazione di abbandono o di mancanza di  adeguate  cure
 parentali  deve  essere  prontamente  inserito  in un'idonea famiglia
 degli affetti scelta dal tribunale per i minorenni; che il  tribunale
 per  i  minorenni  deve  adottare  ogni  provvedimento provvisorio ed
 urgente per porre fine alla pregiudizievole situazione  di  abbandono
 (Cass.,  4  agosto  1977,  n.  3464);  che  la  posizione  del minore
 abbandonato va accertata con tempestiva chiarezza e certezza  (Cass.,
 22  gingno  1981, n. 4068); che il tribunale, quando e' configurabile
 una situazione di  abbandono,  deve  subito  aprire  la  procedura  e
 dichiarare  l'adottabilita',  non  avendo  alcun potere discrezionale
 (cfr. Cass., 13 maggio 1983, n.  3298); che la  procedura  adozionale
 deve  essere  sollecitamente  definita,  in  quanto "tutto il sistema
 dell'adozione speciale si ispira alla finalita'  di  raggiungere  nel
 piu' breve tempo la certezza del nuovo status del minore, inserendolo
 definitivamente,   per   il  suo  esclusivo  interesse,  nella  nuova
 famiglia" (cosi' Cass., 22 luglio 1980, n.  4787); che  il  tribunale
 per i minorenni ha la competenza esclusiva a scegliere, per il minore
 in  stato  di  abbandono, la famiglia piu' idonea a soddisfare le sue
 esigenze (cfr. trib. min. Ancona 17  giugno  1973,  in  Giur.  merito
 1975,  369:  "Qualora il minore non riceva un'adeguata educazione ne'
 dai genitori ne' dai parenti tenuti per legge agli  alimenti,  spetta
 unicamente   al   tribunale  per  i  minorenni  tutelare  il  diritto
 all'educazione del minore collocando quest'ultimo presso una famiglia
 anche pedagogicamente idonea"; Cass. 13 gennaio 1978, n. 156 in  Foro
 it.  1978,  I,  306:  "Quando  i  genitori  ed  i parenti tenuti agli
 alimenti non possono o non vogliono allevare personalmente il minore,
 rientra nella competenza esclusiva  del  tribunale  per  i  minorenni
 scegliere  un'idonea famiglia, sostitutiva di quella biologica, nella
 quale inserire il minore.
   E nessuno puo' sostituirsi al tribunale per i minorenni  in  questo
 compito  a  garanzia d'un fondamentale diritto della personalita' del
 minore"); che l'affidamento privato  o  negoziale  e  definitivo  del
 minore  ad  estranei  a scopo adottivo integra di per se' l'abbandono
 (cfr. Cass., 7 marzo 1977, n. 941: "I genitori non  sono  arbitri  di
 trasferire  ad  altri il loro potere-dovere educativo e, se lo fanno,
 possono dar luogo ad una situazione  di  abbandono;  il  legislatore,
 infatti,  ha  voluto  che sia il giudice e non il genitore a vagliare
 l'idoneita' della nuova famiglia e che al minore  sia  assicurata  la
 piena  tranquillita'  del  focolare  con il farlo entrare a tutti gli
 effetti a far parte della nuova famiglia"; trib. min.  di  Venezia  7
 gennaio  1972,  in Giur. it. 1973, I, 2, 93; tribunale min. di Milano
 22 dicembre 1972, in Giust. civ. 1972, I, 534; trib. min.  di  Ancona
 15  giugno 1973, in Giur. merito 1975, I, 372; Cass. 13 gennaio 1978,
 n. 156: "L'uso distorto dal suo fine  della  potesta'  parentale  non
 comporta   solo   la  decadenza  dalla  potesta'  medesima,  ma  piu'
 radicalmente  puo'  determinare l'interruzione dei rapporti giuridici
 fra genitore degenere e figlio, e la costituzione vicariante di nuovi
 rapporti familiari irreversibili ... Il genitore non puo'  consegnare
 il  figlio  neonato  per  l'allevamento a terzi (sia pure in vista di
 un'adozione ordinaria), perche' cosi' procedendo compie un  atto  che
 non  conviene  al  minore,  sottraendolo  al  circuito  dell'adozione
 speciale ed affidandolo definitivamente ad altri, la cui idoneita'  a
 svolgere  funzioni  vicarianti  viene a dipendere dal suo capriccio o
 vantaggio, mentre la legge vuole che sia vagliata esclusivamente  dal
 giudice");   e   che   deve   essere   ritenuto  moralmente  inidoneo
 all'adozione colui che riesca ad ottenere l'affidamento  d'un  minore
 evitando  il  vaglio attitudinale del tribunale per i minorenni (cfr.
 trib. min. di Roma 1 luglio 1972, pres. est.  Moro, in  Giur.  merito
 1973,  259:  "Operano  in  frode alla legge, e pertanto devono essere
 valutati negativamente ai fini del giudizio di idoneita' all'adozione
 speciale, i coniugi che riescano  ad  ottenere  l'affidamento  di  un
 minore  senza  sottostare  ai  controlli dell'autorita' giudiziaria";
 trib. min. Potenza 23 febbraio 1984, in  Dir.  fam.  1984,  660:  "La
 falsita'  del  riconoscimento  evidenzia  l'inidoneita'  dei  coniugi
 all'adempimento della funzione genitoriale, apparendo essi  privi  di
 qualita'  necessarie,  quali  l'attitudine  alla  ripulsa  dei  mezzi
 illeciti, un corretto senso del giusto e dell'ingiusto, la  capacita'
 di  rispettare  le  regole  della  civile  convivenza e quindi di non
 ricorrere per la soddisfazione dei propri bisogni alla  sopraffazione
 ed  alla  frode,  un  normale  senso  civico,  senza  le quali non si
 concorrerebbe validamente alla formazione di coloro cui  la  funzione
 educatrice e' indirizzata").
   Occorre   evidenziare  che  la  violazione  o  l'aggiramento  della
 disciplina dell'adozione speciale (mediante il traffico o mercato dei
 minori  o  l'affidamento  negoziale  a  terzi  o  mediante  il  falso
 riconoscimento  paterno)  era diventato un fenomeno tanto diffuso che
 il legislatore del 1983 avverti' l'esigenza di combattere tale  piaga
 (che  vanificava l'intera disciplina dell'adozione) mediante apposite
 norme (artt.  71 e 74). Il falso riconoscimento paterno, invero,  non
 solo   esautora  il  tribunale  per  i  minorenni  dei  suoi  poteri,
 impedendogli   l'effettiva   valutazione   comparativa   attitudinale
 prevista  dall'art.  22,  legge  n.  184/1983,  ma danneggia anche le
 coppie idonee, che, rispettando  la  legge,  attendono  pazientemente
 l'affido  preadottivo  d'un  minore  da  parte  del  tribunale  per i
 minorenni; e, soprattutto, vanifica i diritti inviolabili del  minore
 ad  una propria idonea famiglia; alla propria identita' personale; al
 suo diritto inviolabile all'autenticita' e genuinita' del rapporto di
 filiazione, e cioe' ad intrattenere rapporti  parentali  con  i  suoi
 veri  genitori  e  non con estranei, che si arrogano fraudolentemente
 diritti genitoriali loro non spettanti.
   Tutti sanno che i minori in stato di abbandono  o  adottabili  sono
 molto pochi rispetto al gran numero di domande di adozione e che cio'
 favorisce il ricorso all'adozione internazionale. Ma, se i minori che
 il  tribunale  per i minorenni puo' dare in adozione sono pochi, cio'
 lo si deve  anche  alle  manovre  illecite  (tra  le  quali  i  falsi
 riconoscimenti)   con   le   quali   molte  persone  si  impossessano
 abusivamente dei minori (rifiutati dai genitori) in aperta violazione
 della normativa sull'adozione e senza alcun rispetto per  la  persona
 del  minore,  trattato  alla  stregua di un oggetto o di una merce di
 scambio.   Giustamente  il  p.m.m.  ha  evidenziato  che  la  "strada
 tracciata dalla Corte" aquilana e' dirompente dell'intera impalcatura
 della legge n. 184/1983 e costituisce un preoccupante  precedente  in
 materia,  essendo  evidente che il favorire tali manovre comporta una
 sostanziale abrogazione della  legge  sull'adozione,  perche'  ognuno
 puo'  ritenersi  autorizzato  ad  accaparrarsi liberamente e con ogni
 mezzo un minore senza osservare le pastoie poste dalla legge n. 184.
   La fondamentale importanza del diritto inviolabile del minore  alla
 propria  identita'  biologica,  personale,  familiare  e  sociale, e'
 testimoniata dal fatto che tale diritto, tutelato dall'art. 2  Cost.,
 e' stato concretamente attuato dalla disciplina degli artt. 263 e 264
 c.c.,  la  cui ratio e' quella di proteggere l'interesse del minore a
 non essere considerato figlio di colui che non ne e' il vero genitore
 biologico.  E  tale  tutela  (costituzionale   ed   ordinaria)   esce
 rafforzata  dalla  previsione del reato di alterazione di stato, p. e
 p. dall'art.  567, comma 2 c.p., che commina la pena da 5 a  15  anni
 di  reclusione  a  "chiunque, nella formazione di un atto di nascita,
 alteri lo stato civile di un neonato, mediante false  certificazioni,
 false attestazioni o altre falsita'".
   Da  tali  premesse discende logicamente la conseguenza che l'autore
 del falso riconoscimento non dovrebbe avere  alcun  rapporto  con  il
 minore  da  lui falsamente riconosciuto come proprio figlio naturale,
 il quale dovrebbe essere allontanato subito dal sedicente padre  (per
 impedire  che  consolidi  con lo stesso profondi legami affettivi poi
 non recidibili senza traumi) ed essergli  riaffidato  solo  dopo  che
 sara' stata provata la veridicita' del riconoscimento.
   Ed invece avviene l'opposto, perche', tranne alcune voci contrarie,
 l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza afferma che in
 caso  di  sospetto  falso riconoscimento il tribunale per i minorenni
 puo'  soltanto  nominare  al  minore  un  curatore  speciale  per  la
 proposizione  dell'azione  di  impugnazione  del  riconoscimento  per
 difetto di veridicita' (a norma dell'art. 264, comma 2, c.c.) ma  non
 puo',  dopo  tale nomina, compiere altri accertamenti (tra i quali le
 prove ematologiche o del D.N.A.)  o  adottare  a  tutela  del  minore
 provvedimenti urgenti
  (apertura della procedura di adottabilita'; provvedimenti provvisori
 ed  urgenti  ai sensi dell'art. 10, legge n. 184/1983 ecc.), che puo'
 disporre solo dopo che  la  falsita'  del  riconoscimento  sia  stata
 accertata  in  meniera  definitiva (onde medio tempore il minore deve
 essere  affidato  al  sedicente  padre),   in   quanto   ogni   altro
 accertamento  e  provvedimento da parte del tribunale per i minorenni
 dovrebbe essere necessariamente  sospeso,  ai  sensi  dell'art.  295,
 c.p.c., giacche' tra l'accertamento definitivo della falsita' in sede
 civile  e penale ed i provvedimenti di competenza del tribunale per i
 minorenni vi sarebbe una necessaria pregiudizialita' logico-giuridica
 (cfr., in tal senso, Corte appello Palermo 10 febbraio 1984, in  Dir.
 fam.  1984,  111;  Corte  appello Catania sez. min. 18 dicembre 1984,
 ivi,  1986,  555:  "Sino  all'esito  definitivo   del   giudizio   di
 impugnazione  del  riconoscimento,  per  difetto  di veridicita', del
 figlio  minore,  lo  stato  di  figlio  naturale   scaturente   dalle
 risultanze formali dello stato civile non puo' essere modificato, ne'
 messo  in  discussione,  con  la  conseguenza  che il tribunale per i
 minorenni, ove abbia a dubitare della veridicita' del riconoscimento,
 puo' nominare un curatore speciale al fine di impugnarlo, ma non puo'
 dichiarare  lo  stato di adottabilita' del minore"; Cass., 12 ottobre
 1987, n.  7527; Pres. Vela; rel. Vercellone; p.m. Lo Cascio  (diff.):
 "L'art.   74 della legge n. 184 del 1983 attribuisce al tribunale per
 i minorenni il potere di nominare un curatore speciale per  impugnare
 il  riconoscimento  del  figlio  naturale  sospetto  di  falsita' per
 difetto di veridicita', ma non  anche  quello  di  accertare  la  non
 vericidita'  del  riconoscimento stesso, essendo tale accertamento di
 competenza del tribunale ordinario.  Non puo', pertanto, il tribunale
 per i minorenni pervenire alla dichiarazione di adottabilita'  di  un
 minore,   che   sia   adeguatamente   assistito  da  colui  che  l'ha
 riconosciuto, sulla base di un proprio accertamento incidentale della
 non vericidita' di quel riconoscimento").
   Tale tesi sembra trovare conforto nella disciplina della  legge  n.
 184/1983.
   Ed invero, mentre l'art. 74, comma 1, della legge n. 184 stabilisce
 che  "il  tribunale  dispone  l'esecuzione  di opportune indagini per
 accertare la veridicita' del riconoscimento", invece il secondo comma
 dello stesso art. 74 non sembra far corrispondere a tale ampio potere
 di indagini (peraltro irragionevolmente limitato all'ipotesi  che  il
 minore  non  sia  stato riconosciuto da entrambi i genitori, perche',
 altrimenti, cessa anche il potere di indagini  del  tribunale  per  i
 minorenni)  un  altrettanto  ampio potere di interventi del tribunale
 per i minorenni, in quanto esso si limita a disporre che, in caso  di
 sospetto  falso riconoscimento, il tribunale per i minorenni "assume,
 anche d'ufficio, i provvedimenti di cui all'art. 264, secondo  comma,
 del codice civile".
   L'interpretazione  letterale  di  tale norma induce a ritenere che,
 accertato il falso riconoscimento, il tribunale per i minorenni debba
 limitarsi alla nomina del curatore speciale  per  l'impugnazione  del
 falso  riconoscimento e non abbia altri poteri. Tale conclusione esce
 rafforzata dall'esame dell'art. 71 della legge n.  184,  che  recita:
 "Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione,
 affida  a  terzi  con carattere di definitivita' un minore (ovvero lo
 avvia all'estero perche' sia definitivamente affidato), e' punito con
 la reclusione da 1 a 3 anni (art. 71, comma primo).
   "Se il fatto e' commesso  dal  genitore  la  condanna  comporta  la
 perdita  della  relativa  potesta'  e  l'apertura  della procedura di
 adottabilita'
  .." (art. 71, comma terzo).
   "La pena stabilita nel primo comma del presente articolo si applica
 anche a  coloro  che,  consegnando  o  promettendo  denaro  od  altra
 utilita'  a  terzi,  accolgono  minori  in  illecito  affidamento con
 carattere di definitivita'. La condanna comporta  la  inidoneita'  ad
 ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacita' all'ufficio
 tutelare" (art.  71, comma quinto).
   Dall'esame  di  tali  norme  (in  relazione  agli  artt. 264, comma
 secondo c.c., 295 c.p.c, art. 8, legge n. 184/1983, legge n. 184, 567
 c.p.)  sembra dedursi che il tribunale per i minorenni,  nominato  il
 curatore,  non  abbia  altri  poteri  e  non  possa neppure aprire la
 procedura di adottabilita' o  adottare  provvedimenti  provvisori  ed
 urgenti  a tutela del minore (ex art. 10, legge n. 184), perche' solo
 la condanna del  genitore  comporta  l'apertura  della  procedura  di
 adottabilita'.  Inoltre,  mentre  prima della novella n. 184/1983 era
 insegnamento pacifico che il mero affidamento negoziale e  definitivo
 d'un  minore  a  terzi  a  scopo adottivo integrava l'abbandono e che
 colui che riusciva ad ottenere l'affidamento d'un minore privatamente
 aggirando la disciplina  dell'adozione  doveva  ritenersi  moralmente
 inidoneo  all'adozione,  dalla  lettera dell'art. 71, comma 5, sembra
 dedursi che solo la  condanna  per  tale  affidamento  (condanna  che
 richiede  la  difficile  o  quali  impossibile  prova della dazione o
 promessa di denaro o altra utilita' al genitore) puo'  comportare  la
 Inidoneita'  ad  ottenere  affidamenti  familiari  o  adottivi. Ma la
 disciplina che risulta dal combinato disposto degli  artt.  71  e  74
 della  legge  n.  184  (che  vuole  combattere i falsi riconoscimenti
 paterni ed il mercato o traffico dei minori)  interpretata  in  senso
 letterale   secondo   l'orientamento   prevalente   in   dottrina   e
 giurisprudenza,  non  si  sottrae  al  sospetto   di   illegittimita'
 costituzionale  per violazione dei principi sanciti negli artt. 2, 3,
 30 e 31 Cost., rivelandosi illogica,  contraddittoria  e  lesiva  dei
 diritti  assoluti  ed  inviolabili  del  minore ad una propria idonea
 famiglia; alla autenticita' e genuinita' del rapporto  di  filiazione
 ed  alla  stabilita'  delle  relazioni  familiari, nonche' lesiva del
 diritto del minore abbandonato al  pronto  inserimento  in  un'idonea
 famiglia  adottiva  scelta  dal  tribunale  per  i  minorenni. Sembra
 evidente che l'attribuzione al tribunale per i minorenni  d'un  ampio
 potere  di indagini - finalizzato all'accertamento della falsita' del
 riconoscimento (e tale  accertamento  dovrebbe  essere  esteso  anche
 all'ipotesi che entrambi i genitori abbiano riconosciuto il figlio) -
 al quale non corrispondesse o conseguisse un altrettanto ampio potere
 di  interventi del tribunale per i minorenni per contrastare subito e
 con ogni mezzo (e, in primis, allontanando il  minore  dal  sedicente
 padre  e  non restituendoglielo se non dopo l'accertamento definitivo
 della  veridicita'  del  riconoscimento)  i   falsi   riconoscimenti,
 rappresenterebbe un telum imbelle sine ictu, poiche' il tribunale per
 i  minorenni  (se  dovesse  limitarsi a nominare soltanto il curatore
 speciale) non avrebbe mezzi  per  combattere  efficacemente  i  falsi
 riconoscimenti.  E', invero, principio ripetutamente affermato che la
 discrezionalita'  del  legislatore  nello  scegliere  i  criteri   di
 politica   legislativa  dallo  stesso  ritenuti  piu'  opportuni  non
 impedisce il sindacato di legittimita'  da  parte  di  codesta  Corte
 quando  la disciplina giuridica in concreto adottata si riveli - come
 nella specie - manifestamente illogica ed irragionevole.
   Giova ribadire che, seguendo l'orientamento prevalente, la lotta ai
 falsi  riconoscimenti  diventa  illusoria,  impossibile  e  persa  in
 partenza;  che,  anzi,  tale  orientamento addirittura costituisce un
 incentivo a  violare  la  legge  sull'adozine  ed  a  compiere  falsi
 riconoscimenti (in quanto l'autore del falso riconoscimento, anziche'
 essere  punito,  viene premiato facendogli conseguire il profitto del
 reato)  e  che,  soprattutto,  viene  negato  al  minore  il  diritto
 inviolabile  a  crescere  nella  sua  vera  famiglia,  a conoscere le
 proprie  "radici"  e   ad   evitare   che   estranei   si   arroghino
 maliziosamente  e  fraudolentemente diritti loro non spettanti se non
 mediante la violazione della legge.
   Seguendo l'orientamento prevalente in dottrina e  giurisprudenza  e
 l'interpretazione  letterale del combinato disposto degli artt.  71 e
 74 della legge n. 184 in relazione agli artt. 264, comma 2, c.c.; 295
 c.p.c.; 1 e 8 legge n. 184/1983; 567 c.p.;  dell'art.  38,  comma  1,
 d.a.c.c. in relazione all'art. 269 c.c. e 737 c.p.c., tale disciplina
 si  rivela  illogica  e contraddittoria, perche', mentre, da un lato,
 essa  ha  il  dichiarato  intento  di  voler   combattere   i   falsi
 riconoscimenti paterni per garantire al minore il diritto inviolabile
 ad  un'idonea  famiglia  e l'autenticita' del rapporto di filiazione;
 dall'altro, limitando, nell'art. 74, comma 2, l'azione del  tribunale
 per  i minorenni alla nomina d'un curatore speciale e non prevedendo,
 altresi', il  potere  del  tribunale  per  i  minorenni  di  compiere
 qualsiasi  opportuno  accertamento,  di  adottare  ogni provvedimento
 provvisorio ed urgente a tutela  del  minore  (ma,  anzi,  prevedendo
 l'apertura della procedura di adottabilita' solo dopo la condanna del
 genitore per l'illecito affidamento) e di accertare anche la falsita'
 o  meno  del  riconoscimento,  in  effetti  frustra la lotta ai falsi
 riconoscimenti, sancisce  una  sostanziale  impunita'  di  fatto  per
 l'autore   del   falso   riconoscimento   (essendo  sommamente  arduo
 raggiungere la prova della dazione o della promessa di denaro o altra
 utilita' al genitore e spesso difficile la prova del dolo  nel  reato
 di   cui   all'art.   567   c.p.)   ed   agevola   e  fa  proliferare
 incontrollatamente il traffico  o  mercato  dei  minori  o  il  falso
 riconoscimento  (che  pure,  a  parole, dice di voler combattere). La
 disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 71 e 74 legge  n.
 184  e  38,  comma  1, d.a.c.c., interpretata letteralmente nel senso
 propugnato dalla prevalente dottrina e  giurisprudenza,  si  appalesa
 vana e priva di qualsiasi concretezza, in quanto, se il tribunale per
 i  minorenni  non avesse altri poteri (oltre alla nomina del curatore
 speciale per la proposizione dell'azione di cui all'art.  264,  comma
 2,  c.c.) e non potesse compiere altri accertamenti o adottare subito
 tutti i  provvedimenti  urgenti  a  tutela  del  minore,  ma  dovesse
 attendere  l'esito  definitivo del giudizio sulla falsita' o meno del
 riconoscimento, la lotta ai falsi  riconoscimenti  sarebbe  persa  in
 partenza  e  le  norme di cui al combinato disposto degli artt.  71 e
 74, legge n. 184 si rivelerebbero del tutto inutili.
   E' evidente, invero, che, se per  attivare  i  doverosi  poteri  di
 intervento  del  tribunale per i minorenni dovesse attendersi l'esito
 definitivo  del  giudizio  civile  o  penale   sulla   falsita'   del
 riconoscimento,   l'accertamento   definitivo   della   falsita'  del
 riconoscimento  (intervenuto  a  distanza   di   molti   anni,   dopo
 l'esaurimento  dei tre gradi di giudizio in sede civile o penale) non
 servirebbe  a  nulla,  perche'  la  definitivita'   dell'accertamento
 (richiedendo    tempi    necessariamente   lunghi)   favorirebbe   il
 consolidamento di profondi vincoli affettivi  tra  il  minore  ed  il
 sedicente  padre  ed impedirebbe l'allontanamento dal falso padre del
 minore per  non  causargli  traumi  per  il  distacco  dagli  abusivi
 affidatari,  ai  quali  verrebbe  consentito  di inserirlo per sempre
 nella loro famiglia pur non essendo figlio loro.
   La lotta  ai  falsi  riconoscimenti  sarebbe,  cosi',  frustrata  e
 vanificata  e  l'autore  del  falso  riconoscimento, anziche' punito,
 verrebbe premiato facendogli conseguire  il  profitto  del  reato  di
 alterazione  di  stato  ed  il  minore,  non  figlio del falso padre,
 sarebbe definitivamente inserito in una famiglia che non e' la sua  e
 verrebbe  trattato  non come persona (titolare di diritti assoluti ed
 inviolabili), ma come cosa o oggetto di scambio o di mercimonio o  di
 illecite  ed  ignobili  trattative.  Percio'  la  pretesa  necessaria
 pregiudizialita' (tra il giudizio sul falso  riconoscimento  in  sede
 civile  e  penale  e  le  azioni e gli interventi del tribunale per i
 minorenni) e la sospensione necessaria degli interventi del tribunale
 per  i  minorenni sino all'esito del definitivo accertamento (in sede
 civile  e  penale)  della  falsita'   del   riconoscimento   appaiono
 logicamente  assurde  e moralmente riprovevoli, in quanto, in caso di
 sospetto  falso  riconoscimento,  dovrebbe  essere  riconosciuto   al
 tribunale  per  i  minorenni  un  ampio  potere  di accertamento e di
 interventi finalizzati ad impedire che il minore resti nella famiglia
 del falso padre; che metta radici in una famiglia  che  probabilmente
 non  e'  la  sua; che consolidi legami affettivi con il falso padre e
 che, in definitiva, resti per sempre con lui.
   La tesi secondo la quale  fino  all'accertamento  definitivo  della
 falsita'  del  riconoscimento,  tale  riconoscimento  non puo' essere
 disconosciuto  appare  illogica  dal  punto  di  vista  giuridico   e
 moralmente   inaccettabile,   perche'  attribuisce  irragionevolmente
 rilevanza  alla  mera  apparenza  della  genitura   e   finisce   con
 l'attribuire  rilevanza  decisiva e definitiva a tale falsa e formale
 apparenza, che consente al falso padre di tenere per sempre  con  se'
 il  figlio  anche  quando,  dopo molti anni (occorrenti per pervenire
 all'accertamento   definitivo   della    falsita'    o    meno    del
 riconoscimento),  venga  accertata la falsita' del riconoscimento. La
 frantumazione di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale
 ordinario (e cioe' la limitazione del tribunale per i minorenni  alla
 nomina  del  curatore  speciale e la mancata attribuzione allo stesso
 tribunale per i minorenni del potere di  accertare  la  falsita'  del
 riconoscimento) rende possibili conflitti di competenza, contrasti di
 giudicati  e  la  paralisi  totale  dell'azione  del  tribunale per i
 minorenni,  mentre  l'attribuzione   della   cognizione   dell'intero
 giudizio al tribunale per i minorenni ex artt. 263 e 264 c.c. (nomina
 del  curatore speciale e giudizio di merito relativo alla veridicita'
 o falsita' del  riconoscimento)  avrebbe  evitato  gli  inconvenienti
 lamentati  e,  soprattutto,  avrebbe  consentito  al  tribunale per i
 minorenni di accertare in tempi brevi, mediante  l'utilizzazione  del
 rito   camerale   contenzioso,   la   veridicita'   o   falsita'  del
 riconoscimento  senza  attendere  i  tempi  lunghi  del  rito  civile
 contenzioso;  senza sballottare il minore da una famiglia all'altra e
 senza permettere che  lo  stesso  minore  resti  nella  famiglia  del
 sedicente padre consolidando profondi legami affettivi con lui.
   La frantumazione dell'azione de qua in due tronconi appare illogica
 sia  in se' che, soprattutto, in relazione all'azione di cui all'art.
 269  c.c.,  attribuita,  in  caso  di  minori,  alla  competenza  del
 tribunale  per i minorenni (sia per quanto riguarda l'aminissibilita'
 dell'azione ai cui all'art. 274  c.c.  che  per  quanto  concerne  il
 giudizio di merito).
   Non si riesce a capire per qual motivo l'art. 38, comma 1, d.a.c.c.
 (come  sostituito  dall'art.  68,  legge  n. 184) abbia attribuito al
 tribunale per i minorenni la cognizione di una vera azione di  stato,
 e  cioe'  la  competenza  in  tema  di dichiarazione giudiziale della
 paternita',  in  caso  di   minori,   in   entrambe   le   sue   fasi
 (ammissibilita'  e giudizio di merito) e non abbia, invece, senza una
 plausibile  ragione,  devoluto  al  tribunale  per  i  minorenni   la
 cognizione  dell'intero  giudizio  di impugnazione del riconoscimento
 per difetto di veridicita' (pur avendo attribuito al tribunale per  i
 minorenni  penetranti  poteri  di  indagine previsti dall'art. 74, al
 quale non conseguono altrettanti ampi poteri di intervento), ma abbia
 spezzato  tale  azione in due tronconi, il primo (nomina del curatore
 ex art. 264 c.c.) attribuito alla  competenza  del  tribunale  per  i
 minorenni,  ed  il  secondo  (giudizio  di  merito  ex art. 263 c.c.)
 devoluto   alla   competenza   del   tribunale   ordinario;   laddove
 l'attribuzione  dell'intero giudizio al tribunale per i minorenni (ex
 artt. 263 e 264 c.c.) avrebbe rappresentato un'efficace e seria lotta
 ai falsi riconoscimenti; lotta che risulta indebolita e vanificata da
 tale frantumazione della competenza.
   La paralisi dell'azione del tribunale per i minorenni (verificatasi
 anche nella  specie,  perche'  il  decreto  della  Corte  ha  sospeso
 l'apertura della procedura di adottabilita') sembra contrastare anche
 con il dovere imposto alla p.g. (e anche al giudice), dagli artt. 219
 c.p.p.    del 1930 e 55 c.p.p. del 1988, di impedire che il reato sia
 portato a  conseguenze  ulteriori;  mentre  la  tattica  dilatoria  e
 temporeggiatrice  accolta  dal  prevalente  orientamento  finisce con
 consentire all'autore del  falso  riconoscimento  di  assicurarsi  il
 profitto  del  reato,  cioe'  il  minore  (oggetto  del  reato di cui
 all'art. 567 c.p.), trattato alla stregua di  una  cosa  o  merce  di
 scambio.
   La  pretesa  incompetenza  del tribunale per i minorenni a disporre
 accertamenti dopo l'inizio del giudizio civile (ex artt.  263  e  264
 c.c.)  per  la  ritenuta  competenza  esclusiva  del giudice civile o
 penale ad accertare la falsita' del riconoscimento non considera  che
 l'accertamento del giudice civile o penale e' fatto con efficacia del
 giudicato,  mentre  l'accertamento  del  tribunale per i minorenni e'
 svolto incidenter tantum, senza efficacia di  giudicato  ed  al  solo
 fine  di  poter  adottare  provvedimenti  urgenti a tutela del minore
 contro i falsi riconoscimenti.
   Il tribunale per i minorenni dovrebbe, quindi, poter compiere tutti
 gli accertamenti ritenuti opportuni ed adottare tutti i provvedimenti
 cautelari  a  difesa  del  minore   (apertura   e   definizione   del
 procedimento di adottabilita'; adozione di provvedimenti provvisori a
 tutela del minore, ivi compresi l'allontanamento del minore dal falso
 padre,  il  suo  affido  a  coppia  idonea scelta dal tribunale per i
 minorenni, la sospensione del sedicente padre dalla  potesta'  ecc.),
 poiche'  solo  tali  provvedimenti  cautelari  ed  urgenti consentono
 un'efficace lotta ai falsi riconoscimenti ed impediscono che l'autore
 del falso riconoscimento, anziche' essere punito, venga premiato  con
 il conseguimento del profitto del reato.
   Soltanto  riconoscendo  al  tribunale  per i minorenni il potere di
 compiere qualsiasi accertamento utile e di  adottare  tempestivamente
 ogni provvedimento a tutela del minore senza attendere i tempi lunghi
 del   giudizio   civile  o  penale  relativo  all'accertamento  della
 paternita' e  solo  attribuendo  al  tribunale  per  i  minorenni  la
 competenza  ad  accertare anche la falsita' o meno del riconoscimento
 ai sensi dell'art.  263 c.c. si potrebbe evitare il ricorso a codesta
 on.le Corte.
   Ma, poiche' tali interventi sembrano preclusi al  tribunale  per  i
 minorenni  dalle  disposizioni  censurate,  interpretate  secondo  il
 prevalente  orientamento  giurisprudenziale,  non  resta   a   questo
 collegio  che  sollevare  eccezione  di illegittimita' costituzionale
 delle predette  disposizioni,  nei  sensi  indicati  in  motivazione.
 Occorre   aggiungere,   infine,   che   la   sollevata  eccezione  di
 illegittimita' costituzionale, oltre  ad  essere  non  manifestamente
 infondata,  si  appalesa,  altresi', rilevante nel presente giudizio,
 poiche', in caso di dichiarazione della illegittimita' costituzionale
 delle norme censurate, questo tribunale (il cui intervento  e'  stato
 paralizzato  dal decreto del Presidente della locale Corte d'appello)
 potrebbe compiere sollecitamente tutti gli accertamenti (compresa  la
 prova tecnico-scientifica) ritenuti necessari senza attendere i tempi
 lunghi  del  giudizio  civile  di  cui  agli  artt. 263 e 264 c.c. ed
 accertare altresi' la veridicita' o meno del riconoscimento  ex  art.
 263  c.c. e restituire il bimbo (evitandogli, frattanto, una serie di
 infiniti,  traumatici  sballottamenti  da  una  famiglia   all'altra)
 definitivamente  al R. (se questi dovesse risultare esserne il padre)
 oppure proseguire e definire sollecitamente la procedura adozionale.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 134 della Costituzione;
   Visto l'art. 23 della legge  11  marzo  1953,  n.  87  solleva,  di
 ufficio,  questione  di  illegittimita'  costituzionale del combinato
 disposto degli artt. 71 (commi 1, 3, 5) e 74 (commi primo e secondo),
 della legge n. 184/1983, in relazione agli artt. 264, comma  2  c.c.;
 295 c.p.c.; 1 e 8 della legge n. 184/1983; 567 c.p.; 38, comma primo,
 d.a.c.c.  in  relazione  all'art.  269  c.c.  e 737 c.p.c., nei sensi
 indicati nella motivazione, per contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 31
 della Costituzione e con tutti gli altri articoli della  Costituzione
 violati dalla disciplina censurata;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso;
   Ordina che a cura della  cancelleria  l'ordinanza  di  trasmissione
 degli  atti  alla  Corte  costituzionale sia notificata alle parti in
 causa ed al p.m. in sede nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  comunicata  anche  ai  Presidenti  delle  due Camere del
 Parlamento.
     L'Aquila, addi' 7 aprile 1999
                    Il presidente estensore: Manera
 99C0582