N. 345 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 marzo 1999
N. 345 Ordinanza emessa il 9 marzo 1999 dal tribunale di Verona sul reclamo proposto da Gielec Malgorzata Katarzyna contro il prefetto di Verona Procedimento civile - Competenza per territorio - Regola del foro erariale inderogabile - Prevista applicazione in grado d'appello per i giudizi ad essa sottratti in primo grado - Ingiustificata disparita' di trattamento in danno dei soggetti non residenti nel luogo dove ha sede il foro erariale - Lesione del diritto di azione e di difesa Privilegio anacronistico concesso all'amministrazione - Intervenuto affievolimento delle esigenze poste a base della sentenza costituzionale n. 118/1964. (R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 7, secondo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.24 del 16-6-1999 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento camerale in fase di reclamo recante il n. 75/98 promosso da Gielec Malgorzata Katarzyna (avv. Dal Ben) nata a Radom (Polonia) il 18 febbraio 1970; Contro il prefetto di Verona (avv. Stato Bassani) ha pronunziato la seguente ordinanza; Sentito il relatore; O s s e r v a Con reclamo depositato il 7 dicembre 1998, la ricorrente impugnava l'ordinanza notificatale il 26 novembre 1998 con la quale era stato respinto il ricorso avverso il decreto di espulsione emesso dal prefetto di Verona il 6 novembre 1998. Eccepiva l'irritualita' della costituzione dell'Avvocatura dello Stato a mezzo di ispettore della questura delegato dalla prefettura. Deduceva che il provvedimento prefettizio era formalmente nullo in quanto all'interessata era stata consegnata copia non contenente la firma del prefetto, in guisa da permettere che l'originale fosse ratificato a posteriori dalla prefettura, sospetto avvalorato dalla mancanza dell'uso del modulario della prefettura e del numero di protocollo. Precisava che la contestazione si riferiva non alla conformita' all'originale ma alla correttezza del procedimento sottostante alla formazione dell'atto. Contestava inoltre la decisione pretorile in quanto espressamente limitata all'esame della legittimita' formale dell'atto di espulsione, in contrasto con la interpretazione dominante e con lo spirito della legge n. 40 del 1998. Costituendosi in giudizio, il prefetto di Verona eccepiva l'incompetenza funzionale del tribunale adito ai sensi dell'art. 25 c.p.c., trattandosi di controversia devoluta al foro erariale, essendo parte un'amministrazione dello Stato. Negava l'esistenza di illegittimita' nel procedimento che aveva condotto all'emanazione del provvedimento impugnato. Acquisito fascicolo della prima fase del giudizio e depositate memorie e note di udienza, il collegio si riservava di decidere. Giova in primo luogo ricordare che la materia dell'impugnazione avverso i provvedimenti di espulsione amministrativa adottati ai sensi dell'art. 11, legge 6 marzo 1998, n. 40 (ora art. 13, t.u. 25 luglio 1998, n. 286) e' disciplinata dal comma 9 della disposizione che prevede ricorso al pretore del luogo di residenza o dimora dello straniero, stabilendo che il pretore procede nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti dei codice di procedura civile. Superando il contrario avviso della giurisprudenza di merito (trib. Cuneo 2 maggio l998; trib. Bologna 23 aprile l998, in Diritto e Immigrazione, 1998, 57), la Suprema Corte ha di recente ritenuto che i provvedimenti pretorili in materia sono sottoponibili a reclamo ex art. 739 c.p.c., e che le decisioni del tribunale sono a loro volta ricorribili ex art. 111 della Costituzione (Cass. 9 febbraio 1999 n. 1082, Guida al diritto, 1999, 8, 57). E' quindi rilevante l'eccezione di incompetenza funzionale sollevata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale ai sensi dell'art. 25 c.p.c. la cognizione sul reclamo va devoluta al tribunale di Venezia, quale giudice del luogo dove ha sede l'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. Invero la norma che viene maggiormente in risalto e' l'art. 7 del r.d. 30 ottobre l933, n. 1611, a mente della quale le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un'amministrazione dello Stato, per i giudizi innanzi ai pretori e per altri giudizi specificamente individuati. Nel secondo comma l'art. 7 precisa tuttavia che l'appello avverso le sentenze dei pretori e dei tribunali pronunziate nei giudizi suddetti e' proposto rispettivamente innanzi al tribunale e alla Corte d'appello del luogo dove ha sede l'Avvocatura dello Stato nel cui distretto le sentenze furono pronunziate. E' noto che il carattere inderogabile della competenza cosiddetta erariale, che e' verificabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, comporta che la questione dell'incompetenza, ai sensi degli artt. 25 c.p.c. e 7 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, del giudice adito in sede di appello puo' essere proposta o rilevata d'ufficio in ogni momento del giudizio di appello, anche avverso una sentenza resa dal pretore in funzione di giudice del lavoro, non essendo a cio' di ostacolo la disciplina dell'art. 428 c.p.c., che, oltre a riferirsi al procedimento di primo grado, e' inapplicabile in considerazione dell'assoluta cogenza del foro dello stato e della sua rilevabilita' in ogni stato e grado. (Cass., 19 gennaio 1988, n. 384). Secondo il supremo Collegio tale principio manifestamente non pone le citate norme in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, trattandosi di una scelta del legislatore, giustificata da esigenze pubblicistiche, che non implica alcuna effettiva menomazione dei diritti del lavoratore, quando sia in causa contro la p.a. anziche' contro un privato. (Cass., 5 novembre 1984, n. 5584). Inoltre e' stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, in riferimento agli artt. 24 e 38 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l'appello delle sentenze del pretore, qualora sia parte in causa una amministrazione dello stato, deve essere proposto davanti al tribunale del luogo ove ha sede l'Avvocatura dello Stato nei cui confronti e' stata pronunziata la sentenza, in quanto il lavoratore non subisce alcun pregiudizio al suo diritto di difesa per effetto della devoluzione della controversia in appello ad un giudice diverso da quello che sarebbe stato competente a norma dell'art. 413 c.p.c., ne' sono pregiudicati i suoi diritti sanciti dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione (Cass. 10 gennaio 1981, n. 236, Foro it., 1981, I, 1049). Il tribunale di Verona, sebbene in una materia che coinvolge delicati interessi la giurisprudenza teste' ricordata sia pervenuta a contraria opinione, reputa che sussistano gravi dubbi di incostituzionalita' della normativa di cui si e' segnalata la rilevanza (art. 7, secondo comma r.d. cit.), per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Quanto all'art. 3 e' da osservare che risulta oggi ingiustificata la disparita' di trattamento tra i residenti in localita' che sono sede dell'avvocatura erariale e gli altri soggetti non residenti, cittadini italiani, comunitari o stranieri, decisamente sfavoriti rispetto ai primi quanto a concrete opportunita' difensive, anche per il minor carico di spese legali ovviamente gravanti su di essi. Il privilegio dello Stato traeva la sua motivazione dall'esigenza di limitare, in vista del minor costo e di un miglior svolgimento del servizio (ridondante indirettamente anche a beneficio dei singoli) gli uffici dell'Avvocatura dello Stato e di concentrare i giudizi in cui partecipa lo Stato presso un numero ristretto di sedi (cfr. Corte cost. 22 dicembre 1964, n. 118, Foro it., 1965, 1, 155). Tali esigenze risultano senz'altro affievolite nel tempo attuale, in cui la facilita' dei trasporti, l'ampiezza e la rapidita' dei mezzi di comunicazione consentono all'amministrazione di essere idoneamente rappresentata in ogni parte del territorio nazionale senza timore di intempestivita' o inefficienze. Il rafforzamento dell'apparato burocratico, peraltro sempre piu' agevolato dallo snellimento di compiti operato tramite il trasferimento di poteri e competenze alle regioni e agli altri enti locali consente all'amministrazione anche la presenza per delega in udienza mediante funzionari qualificati, in grado di valersi di scritti difensivi predisposti dall'Avvocatura e tempestivamente trasmessi per via telefonica, telematica, postacelere o corriere. Il diritto di azione e di difesa, salvaguardato dall'art. 24 della Costituzione, e' messo in scacco dal permanere di quello che pertanto si configura come un ingiusto privilegio, che costringe ben piu' facilmente i cittadini a desistere dalla domanda di tutela dei propri diritti e interessi legittimi e li induce ad astenersi dal resistere ed opporsi a provvedimenti dell'amministrazione. Sovente infatti i costi di trasferta e di domiciliazione disincentivano l'iniziativa giudiziaria, cui si rinunzia per questo solo motivo, comparabile con un modesto aggravio organizzativo della difesa dell'amministrazione qualora essa dovesse svolgersi davanti alla corte territorialmente competente secondo i principi ordinari. Ne' puo' dirsi che l'istituto del gratuito patrocinio o il diritto di ripetere le spese di giudizio dallo Stato soccombente facciano venir meno le remore all'esercizio dei poteri processuali (cosi' invece Cass. n. 236/198l). Ad oltre trent'anni dal tempo in cui la questione di costituzionalita' dell'art. 7 fu esaminata il primo istituto risulta rinsecchito, mentre i costi effettivi delle controversie superano sovente quelli ripetibili. Si consideri inoltre che la platea di coloro che sono controparte dello Stato si e' nel tempo notevolmente ampliata, vuoi per la tendenza espansiva dell'amministrazione, vuoi perche' il cittadino - "creditore" verso l'ente pubblico e non ad esso sottomesso - piu' di frequente fa valere le proprie ragioni. L'anacronismo della disposizione in esame e' massimo nella previsione di cui al secondo comma, che comporta lo spostamento di competenza per la fase d'appello, in materie che per variegate ragioni avevano indotto il legislatore a disporre la deroga alla competenza del foro erariale nel primo grado del giudizio. Ragioni che svaniscono nella fase di gravame senza alcuna eccezione, dando luogo per un verso a una ineffettivita' di tutela, per altro verso a una disarmonia del sistema, essendo di difficile comprensione il motivo per il quale il favor verso il cittadino, riconosciuto al primo comma dell'art. 7 per la prima fase del giudizio, debba svanire in grado d'appello. L'obsolescenza della normativa, rinvenuta in relazione alla menzionata evoluzione del contesto sociale (cfr. per riferimenti alla Corte cost. 23 settembre 1998, n. 345, Foro it., 1998, 1, 2601, in tema di notifica a mezzo del servizio postale), rende irragionevole la deroga alla competenza territoriale; di cio' si e' avveduto il legislatore, che, compiendo un primo passo, con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ha introdotto un ottavo e ultimo comma dell'art. 413 c.p.c., sancendo che nelle controversie in materia di lavoro nelle quali e' parte un'amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni (di analogo tenore) dell'art. 6 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. Mette conto da ultimo rilevare che anche nella fattispecie in esame il sacrificio arrecato in concreto alla parte privata e' di cospicuo rilievo, non sminuito dalla circostanza che le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo individuano solo una tutela minima dei diritti inviolabili (cosi' Cons. Stato 15 giugno 1994, Foro amm., 1995, 2300). Puo' infatti essere concretamente vanificata la garanzia giurisdizionale del reclamo apprestata dalla normativa sull'immigrazione e sulla condizione dello straniero, non senza riflessi negativi in relazione ai valori di cui all'art. 2 della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 25, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, secondo comma, 30 ottobre 1933, n. 1611, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento Verona, addi' 9 marzo 1999 Il presidente: Abate Il giudice estensore: D'Ascola 99C0589