N. 228 SENTENZA 7 - 11 giugno 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Imputato  socialmente  pericoloso  -   Accertata
 infermita'  di  mente  -  Applicazione  provvisoria  della  misura di
 sicurezza in ospedale psichiatrico in caso di richiesta da parte  del
 p.m. - Erroneita' dei presupposti interpretativi da parte del giudice
 rimettente  - Riferimento alla sentenza della Corte n. 340 del 1992 -
 Ragionevolezza -  Eventuali  correttivi  da  rimettere  unicamente  a
 scelte discrezionali del legislatore - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 312, 313; c.p., artt. 206, 222, primo comma)
 
 (Cost., artt. 3 e 13).
 
(GU n.24 del 16-6-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 206 e 222,
 primo comma, del codice penale, e degli artt. 312 e 313 del codice di
 procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 20 novembre 1997 e
 il 26 novembre 1998 dal giudice per  le  indagini  preliminari  della
 Pretura di Venezia, iscritte ai nn. 136 del registro ordinanze 1998 e
 n.  63  del  registro  ordinanze  1999  e  pubblicate  nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 11,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1998 e n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1999 .
   Visti  l'atto  di costituzione di Bordin Franco nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice  relatore
 Giuliano Vassalli;
   Udito  l'Avvocato  dello  Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente
 del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un procedimento a carico di persona indagata del
 reato di maltrattamenti nei confronti della propria madre, il giudice
 per le indagini preliminari della Pretura di Venezia  disponeva  -  a
 mezzo  di incidente probatorio - accertamento psichiatrico, all'esito
 del quale il perito concludeva nel senso della totale incapacita'  di
 intendere  e  di  volere  dell'indagato e della sua impossibilita' di
 partecipare coscientemente al processo,  evidenziandone  altresi'  la
 pericolosita' sociale.
   A  seguito  di  tale  perizia,  il  pubblico  ministero  richiedeva
 l'applicazione provvisoria, nei confronti dell'indagato, della misura
 di sicurezza dell'internamento in ospedale psichiatrico  giudiziario,
 secondo quanto previsto dall'art. 206 del codice penale, in relazione
 all'art. 222 dello stesso codice.
   Il    giudice   per   le   indagini   preliminari,   premesso   che
 l'"infungibilita'  tra  misura  di  sicurezza  e  misura   cautelare"
 determinerebbe   anche   l'impossibilita'   di   fare   ricorso  alla
 disposizione dell'art. 73 del codice di procedura penale, nonche'  di
 essere vincolato, avendo il perito accertato la pericolosita' sociale
 della  persona  sottoposta  alle  indagini,  alla  richiesta, ha, con
 ordinanza del 20 novembre 1997, sollevato, in riferimento agli  artt.
 3  e  13 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 206 e 222, primo comma, del codice penale, 312 e 313  del
 codice di procedura penale, nella parte in cui riservano "in sostanza
 alle  insindacabili  richieste  del  pubblico  ministero se applicare
 all'infermo di mente socialmente pericoloso la  misura  di  sicurezza
 provvisoria  del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario oppure
 la misura cautelare della custodia in idonea struttura  del  servizio
 psichiatrico ospedaliero". Il tutto senza che venga contemplato alcun
 dovere  di  motivazione  circa  la  scelta  in  concreto  effettuata,
 nonostante  identici  siano  i  presupposti  dell'una  e   dell'altra
 "misura",  entrambe fondate sul comune requisito della "pericolosita'
 sociale dell'indagato".
   Con  conseguente  violazione  dei  parametri  costituzionali  sopra
 indicati, sia per l'intrinseca irragionevolezza  di  un  sistema  che
 rende  infungibile  l'applicabilita'  delle  due  "misure",  peraltro
 affidate  alla  insindacabile  richiesta  del   pubblico   ministero,
 "ingiustificatamente  deteriore  per  l'indagato,  non  solo  per  la
 notoria situazione di fatiscenza e semiabbandono in cui versano"  gli
 ospedali  psichiatrici  giudiziari,  "ma  soprattutto  perche' da una
 parte  la  misura  di  sicurezza   e'   tendenzialmente   applicabile
 indefinitamente  nel  tempo, salvo il venir meno della pericolosita',
 laddove  invece  la  custodia  cautelare  in  luogo   di   cura"   e'
 assoggettata  ai  limiti  temporali di cui all'art. 303 del codice di
 procedura penale.
   2. - Si e' costituito l'indagato  con  memoria  sottoscritta  dagli
 avvocati  Francesco  Caffarelli  e  Francesco Mazzoleni, chiedendo la
 dichiarazione di inammissibilita' o di manifesta  infondatezza  della
 proposta  questione  in quanto basata sull'erroneo presupposto che il
 giudice non possa disattendere la richiesta del pubblico ministero  o
 rigettandola o applicando una misura meno grave di quella richiesta.
   3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  con
 richiesta  di  dichiarazione  di  non  fondatezza  della questione in
 quanto  avente  per  presupposto  -  ancora  una  volta   erroneo   -
 l'identita' delle condizioni per l'applicazione delle due "misure".
   La misura cautelare della custodia in idonea struttura del servizio
 psichiatrico  ospedaliero e' subordinata alla presenza delle medesime
 condizioni  stabilite  dalla  legge  per  l'adozione   delle   misure
 cautelari  e,  quindi, su un concetto di pericolosita' da individuare
 alla stregua dell'art. 274,  comma  1,  lettera  c),  del  codice  di
 procedura   penale;   la  "pericolosita'"  a  base  dell'applicazione
 provvisoria delle misure di sicurezza e',  invece,  quella  delineata
 dall'art.  203  del  codice  penale.  Dunque,  le fattispecie messe a
 confronto presentano divergenze tali da  giustificare  la  diversita'
 delle misure e della loro disciplina.
   4.  -  Un'identica questione il giudice per le indagini preliminari
 della Pretura di Venezia ha sollevato, con ordinanza del 26  novembre
 1998,  nel  procedimento  a  carico  di persona indagata del reato di
 maltrattamenti   nei   confronti   della   propria    moglie,    dopo
 l'accertamento,  a  seguito  di  incidente  probatorio,  della totale
 incapacita' di intendere e  di  volere  dello  stesso  indagato,  con
 giudizio  di  pericolosita'  sociale,  pur  in mancanza di condizioni
 impeditive della partecipazione cosciente al processo, riproducendo i
 medesimi argomenti adottati nell'altra ordinanza.
   5. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, con
 richiesta - basata su deduzioni identiche  a  quelle  utilizzate  con
 riferimento  all'ordinanza del 20 novembre 1997 - di dichiarazione di
 non fondatezza della questione.
                         Considerato in diritto
   1. -  Le ordinanze sollevano una  identica  questione.  I  relativi
 giudizi  vanno,  quindi,  riuniti  per  essere  decisi  con  un'unica
 sentenza.
   2. - Il giudice  per  le  indagini  preliminari  della  Pretura  di
 Venezia  dubita, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione,
 della legittimita' costituzionale degli artt. 206 e 222, primo comma,
 del codice penale e degli artt. 312 e 313  del  codice  di  procedura
 penale,  nella parte in cui prevedono in caso di accertata infermita'
 di  mente  dell'imputato  che  sia  anche   socialmente   pericoloso,
 l'applicazione  provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in
 ospedale psichiatrico giudiziario se il pubblico ministero ne  faccia
 richiesta.
   Piu'   in   particolare,   nella  prima  ordinanza  di  rimessione,
 pronunciata  nel  corso  delle  indagini  preliminari  promosse   nei
 confronti  di persona indagata del delitto di maltrattamenti in danno
 della propria madre, il giudice a quo, in  presenza  di  una  perizia
 eseguita nelle forme dell'incidente probatorio che aveva concluso nel
 senso  della  totale  infermita'  di  mente dell'indagato e della sua
 incapacita' di partecipare coscientemente al processo, denuncia  che,
 in  presenza  della  richiesta del pubblico ministero di applicazione
 provvisoria della  sopra  ricordata  misura  di  sicurezza,  non  sia
 consentito  al  giudice  di  esprimere  un  diverso  avviso. Cosi' da
 inferirne l'illegittimita' della normativa  in  tal  modo  denunciata
 perche'  del  tutto  irragionevole,  non potendo nella specie trovare
 applicazione, nonostante l'incapacita' dell'indagato  di  partecipare
 coscientemente  al  processo, il regime dei "provvedimenti cautelari"
 previsto dall'art. 73 del codice di procedura  penale,  vale  a  dire
 l'informativa all'autorita' competente per l'adozione del trattamento
 sanitario  per  malattie  mentali,  ai  fini  delle  necessarie  cure
 nell'ambito del servizio psichiatrico ovvero, nei casi in  cui  debba
 essere  disposta  la  custodia  cautelare, il ricovero provvisorio in
 idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero,  adottando  i
 provvedimenti  necessari  per  prevenire  il pericolo di fuga. Con in
 piu' la soggezione  del  giudice  alle  insindacabili  richieste  del
 pubblico  ministero  senza  che  sussista  un  dovere  di motivare il
 provvedimento  di  ricovero  provvisorio  in  ospedale   psichiatrico
 giudiziario  in  presenza di "specifica pericolosita' dell'indagato",
 rilevante invece ai fini delle esigenze  cautelari  di  cui  all'art.
 274,  lettera  c), del codice di procedura penale. L'irragionevolezza
 del sistema sarebbe sottolineata dalla impossibilita' di adottare una
 scelta diversa  da  quella  del  ricovero  in  ospedale  psichiatrico
 giudiziario,   ingiustificatamente   deteriore  per  l'indagato,  non
 soltanto per la notoria "situazione di fatiscenza e semiabbandono  in
 cui versano tali strutture", ma anche perche' un simile regime non e'
 assoggettato alla disciplina dei termini di custodia cautelare cui e'
 invece sottoposto il ricovero coattivo.
   Analogo   il  contenuto  della  seconda  ordinanza  di  rimessione,
 pronunciata nel corso delle indagini preliminari a carico di  persona
 indagata  di  maltrattamenti  in danno della propria moglie. Pure qui
 era  stata   disposta   perizia   psichiatrica   mediante   incidente
 probatorio,   e   pure   qui   l'accertamento   aveva   concluso  per
 l'incapacita' di intendere e di volere dell'indagato al  momento  del
 fatto  e  per  la sua pericolosita' sociale, con la sola, e certo non
 del   tutto   trascurabile,   differenza   -   almeno   seguendo   le
 argomentazioni  del  rimettente  -  che  la  persona  sottoposta alle
 indagini era stata  ritenuta  dal  perito  in  grado  di  partecipare
 coscientemente al processo.
   3. - La questione non e' fondata.
   Il  giudice  a  quo  muove  infatti,  in  entrambe le ordinanze, da
 erronei presupposti interpretativi: e cio'  sia  per  quanto  attiene
 all'ambito  dei  poteri  e  doveri  del  giudice  in  presenza di una
 richiesta di applicazione provvisoria di misura di sicurezza, sia per
 quanto attiene ai  presupposti  della  specifica  disciplina  di  cui
 all'art.  73 del codice di procedura penale, che il giudice assume di
 non essere abilitato ad applicare nei casi di specie.
   4.  -  Indubbiamente  l'applicazione  provvisoria  di   misure   di
 sicurezza  rispecchia  un  istituto datato dal sistema del codice del
 1930,  quando  tra  l'altro  esisteva  la  categoria   legale   della
 pericolosita'   presunta,   definitivamente   caduta   nel  1986  con
 l'abrogazione dell'art. 204 del codice  penale  (art.  31,  comma  1,
 della  legge  10  ottobre  1986,  n.    663) e quando per il soggetto
 incapace  d'intendere  e  di  volere  e  socialmente  pericoloso  era
 previsto  -  come  lo  e'  tuttora  con  la denominazione di ospedale
 psichiatrico giudiziario datogli dall'Ordinamento  penitenziario  per
 allinearsi  alla  terminologia della legge 18 marzo 1968, n. 431 - il
 manicomio giudiziario. E si puo' convenire che la  intera  disciplina
 potrebbe  meritare  una  attenta  revisione  (cosi'  come invocano le
 ordinanze del giudice a quo), sia alla  stregua  dei  dubbi  avanzati
 intorno  all'istituto  stesso dell'ospedale psichiatrico giudiziario,
 sia alla stregua di una valutazione relativa all'adeguatezza di  tale
 istituzione  in  relazione ai mutamenti introdotti sin dalle leggi 13
 maggio 1978, n. 180 e 23 dicembre 1978, n. 833 per il trattamento dei
 soggetti totalmente infermi di mente:  leggi  alle  quali  ha  invece
 ritenuto  nel  frattempo di avvicinarsi il codice di procedura penale
 del 1988 con la disciplina prevista nell'art. 73 per i casi in cui si
 tratti di un imputato e il suo stato di mente appaia tale da renderne
 necessaria la cura nell'ambito del servizio psichiatrico. Ma una tale
 revisione della legislazione penale (nella specie, di diritto  penale
 sostanziale) e' opera esclusivamente riservata al legislatore; e fino
 a   che   una   eventuale  riforma  non  intervenga  il  giudizio  di
 legittimita' costituzionale non puo' che fondarsi sulle norme vigenti
 e su una loro corretta interpretazione.
   Ora, il giudice a quo quando si e' ritenuto  vincolato  a  statuire
 l'internamento,  in  via  provvisoria,  in  un  ospedale psichiatrico
 giudiziario, degli imputati i cui casi si trovavano sottoposti al suo
 esame, non ha correttamente interpretato le disposizioni della  legge
 vigente.    Ed  infatti egli non era vincolato ne' ai risultati delle
 perizie (rispetto alle quali non si  assolve  certamente  al  compito
 proprio  del  giudice  quando  ci  si  limita  a  dire, come nei casi
 considerati, che esse appaiono "immuni da vizi tecnici e logici") ne'
 alla richiesta del pubblico ministero, la quale e', si',  presupposto
 inderogabile  sul  piano  processuale  per  abilitare  il  giudice  a
 disporre l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza  (art.
 312  cod.  proc.  pen.),  ma  non  obbliga  menomamente il giudice ad
 esimersi dal giudizio che a lui solo spetta secondo quanto  stabilito
 dall'art.  313.  Questa  liberta' di valutazione del giudice circa il
 ricorrere di tutti  gli  elementi  che  danno  luogo  alla  complessa
 fattispecie dell'applicazione provvisoria di misure di sicurezza (sia
 per  quanto  attiene allo stato di mente dell'imputato sia per quanto
 attiene all'esistenza di una sua generica pericolosita'  sociale)  e'
 confermata,  nel  sistema  vigente,  da  una serie di considerazioni.
 Anzitutto dal fatto che la ricordata abrogazione  dell'art.  204  del
 codice  penale  (preceduta, giova rilevarlo, da una serie di sentenze
 della Corte costituzionale  che  erano  venute  variamente  limitando
 l'estensione  dei  casi  di pericolosita' presunta) ha significato il
 rafforzamento dell'autonomia  e  della  responsabilita'  del  giudice
 nella   valutazione   della   pericolosita'   sociale  dell'imputato,
 valutazione a lui solo commessa. In secondo luogo dal  fatto  che  il
 vigente  codice di procedura penale, nel disciplinare ex novo il rito
 per  l'applicazione  provvisoria  della  misura  di   sicurezza,   ha
 sottolineato  l'importanza  e  l'autonomia  del  giudizio devoluto al
 giudice, esigendo una ordinanza munita di  tutti  i  requisiti  delle
 ordinanze  di  cui  all'art.  292 del codice di procedura penale, ivi
 compresa dunque  l'esposizione  delle  specifiche  esigenze  e  degli
 indizi  che  giustificano  in  concreto  la misura, con l'indicazione
 degli elementi di fatto e dei motivi per i quali assumono  rilevanza,
 nonche'  (a seguito di aggiunta introdotta con l'art. 9 della legge 8
 agosto 1995, n. 332) l'esposizione dei motivi per i quali sono  stati
 ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa.
   E' pertanto palesemente erroneo il presupposto interpretativo delle
 ordinanze  del  giudice  rimettente,  quando questi assume di "dovere
 applicare senz'altra scelta la misura di sicurezza richiesta": per la
 quale, tra l'altro, in uno dei due casi considerati, vi era stata  da
 parte  del  pubblico  ministero  soltanto  la  richiesta di "valutare
 l'opportunita' di emettere il provvedimento previsto dagli artt.  206
 e 222 c.p. dal momento che allo stato il soggetto non era  ricoverato
 presso alcun centro di cura".
   5.  -  Erroneo  e'  inoltre il presupposto interpretativo dal quale
 muove il giudice rimettente circa il ruolo affidato  dall'ordinamento
 all'art. 73 del codice di procedura penale.
   Al  riguardo  non  e' privo di rilievo il premettere (anche se cio'
 non e' contestato  dal  giudice  rimettente)  che,  a  seguito  della
 sentenza  n.  340 del 1992 di questa Corte, l'art. 70 cod. proc. pen.
 si applica anche ai casi nei  quali  l'infermita'  di  mente  non  e'
 sopravvenuta,  ma  risale  al  tempus  commissi delicti e perdura nel
 corso del procedimento; e  che  tale  pronuncia  riverbera  i  propri
 effetti  anche  come presupposto della disciplina contenuta nell'art.
 73, in quanto non sussistano i presupposti per un proscioglimento per
 incapacita' di intendere o di volere o in quanto l'adozione  di  tale
 formula  sia  preclusa  per lo stadio in cui il procedimento si trova
 (vedi sentenza di questa Corte n. 41 del 1993, con la quale il potere
 di pronunciare sentenza di non  luogo  a  procedere  per  difetto  di
 imputabilita' non spetta al giudice delle indagini preliminari).
   L'errore nel quale incorrono le ordinanze di rimessione a proposito
 dell'art.  73  cod.  proc.  pen.  consiste  nel denunciare "la palese
 identita' dei presupposti" dell'istituto ivi contemplato e di  quello
 dell'applicazione  provvisoria  delle  misure  di sicurezza quando la
 misura  consiste  nell'internamento  in  un   ospedale   psichiatrico
 giudiziario,  nonche'  nell'aggiungere,  testualmente,  che  esse  si
 fondano  entrambe  sul  presupposto   della   pericolosita'   sociale
 dell'imputato.  Tale  identita' di presupposti non sussiste in alcuna
 delle ipotesi dell'art. 73: non in quelle contemplate nei commi 1 e 2
 di detto articolo, dove non si esige ne' per il ricorso  all'adozione
 "delle  misure  previste dalle leggi sul trattamento sanitario per le
 malattie mentali" ne' per "il ricovero provvisorio  dell'imputato  in
 idonea   struttura  del  servizio  psichiatrico  ospedaliero"  alcuna
 pericolosita' sociale dello stesso, dovendosene valutare soltanto  lo
 stato  di mente e le connesse necessita' terapeutiche (oltre che, nel
 caso  del  ricovero,  il  pericolo  nel  ritardo);  e  non  in quelle
 contemplate nel comma 3 dello stesso articolo,  essendo  il  tipo  di
 pericolosita'  di  cui  all'art.  274  lettera  c)  cod. proc.   pen.
 (evocato - sia pure per le necessita'  del  suo  ragionamento  -  dal
 giudice  rimettente nonostante che in nessuno dei casi in esame fosse
 stata richiesta una misura di  custodia  cautelare)  ben  diverso  da
 quello  di  cui  agli  articoli  222  (e dunque anche 206) del codice
 penale e riposando la speciale misura di cui all'art. 286  non  sulla
 pericolosita'  del  soggetto  (che vi viene in considerazione in modo
 soltanto mediato, oltre che parziale) bensi' sul suo bisogno di  cura
 in  strutture adeguate. Nel codice penale la pericolosita' sociale e'
 la  pericolosita'  criminale  cosiddetta   generica,   e   cioe'   la
 probabilita'  che  la  persona  commetta  nuovi fatti preveduti dalla
 legge come reati (art. 203, primo comma, cod. pen.), mentre nell'art.
 274 cod. proc.  pen. la pericolosita' consiste nel concreto  pericolo
 che   la  persona  imputata  commetta  gravi  delitti  specificamente
 indicati dalla legge o delitti della stessa specie di quello per  cui
 si procede.
   L'articolo  73  del  codice  di  procedura  penale e l'art. 206 del
 codice penale (sia pure con riferimento all'internamento in  ospedale
 psichiatrico giudiziario) riposano dunque su presupposti diversi. Con
 la  conseguenza  che,  anche sotto questo punto di vista, le premesse
 dalle quali muove il giudice rimettente sono erronee.
   6. - In conclusione, l'ordinamento vigente puo' essere  considerato
 meritevole  di revisione e di correttivi, anche in relazione alla sua
 derivazione  da  iniziative  legislative  proprie  di   tempi   l'uno
 dall'altro  lontani  e  riferibili  a concezioni diverse, ma non puo'
 essere definito irragionevole; e agli eventuali correttivi  non  puo'
 certo  provvedere  questa Corte, essendo le diverse opzioni possibili
 rimesse unicamente a scelte discrezionali del legislatore.
   Alla stregua del vigente ordinamento il giudice rimettente  avrebbe
 potuto  considerare  non doversi applicare nei casi sottoposti al suo
 esame l'internamento provvisorio in ospedale psichiatrico giudiziario
 e avrebbe potuto ricorrere, ove  ne  avesse  ritenuto  sussistenti  i
 requisiti,  ad  una  delle  iniziative  alternativamente previste nei
 commi 1 e 2 dell'art. 73 cod. proc. pen.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondate   le   questioni   di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 206 e 222, primo comma, del
 codice penale, e degli artt.  312  e  313  del  codice  di  procedura
 penale,   sollevate,   in   riferimento  agli  artt.  3  e  13  della
 Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari  della  Pretura
 di Venezia con le ordinanze in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 giugno 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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