N. 233 ORDINANZA 7 - 11 giugno 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ambiente  (Tutela  dell')  -  Rifiuti  pericolosi  -  Smaltimento  -
 Trattamento  sanzionatorio  penale  - Giudizi pendenti - Sopravvenuta
 depenalizzazione di talune fattispecie - Difetto  di  motivazione  in
 ordine  alla  rilevanza della questione - Interpretazione della norma
 oggetto  di  censura  manifestamente  erronea  ed   irragionevole   -
 Sollevazione  di  una  questione in parte contraddittoria - Manifesta
 inammissibilita'.
 
 (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 55)
 
 (Cost., artt. 3, primo e secondo comma, e 79).
 
(GU n.24 del 16-6-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 55 del  decreto
 legislativo  5  febbraio  1997,  n.  22  (Attuazione  delle direttive
 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE
 sugli  imballaggi  e  sui  rifiuti  di  imballaggio),  promosso   con
 ordinanza  emessa  il  27  maggio  1998  dal pretore di Roma, sezione
 distaccata di Tivoli, iscritta al n. 692 del registro ordinanze  1998
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  28  aprile  1999  il  giudice
 relatore Valerio Onida.
   Ritenuto  che,  con ordinanza emessa il 27 maggio 1998, pervenuta a
 questa Corte il successivo 7 settembre, il pretore di  Roma,  sezione
 distaccata   di   Tivoli,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale, in riferimento  agli  articoli  3,  primo  e  secondo
 comma,  e 79 della Costituzione, dell'art. 55 del decreto legislativo
 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione  delle  direttive  91/156/CEE  sui
 rifiuti,   91/689/CEE   sui  rifiuti  pericolosi  e  94/62/CEE  sugli
 imballaggi e sui rifiuti di imballaggio);
     che il remittente premette di trovarsi a giudicare, fra  l'altro,
 su    un'imputazione   relativa   a   condotta   gia'   punita   come
 contravvenzione dall'art. 25, primo comma, del  d.P.R.  10  settembre
 1982,  n.  915  (Attuazione delle direttive CEE n. 75/442 relativa ai
 rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili  e
 n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi), riguardo alla quale,
 a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del  d.lgs.  n. 22 del 1997, si
 sarebbe  verificata  una  ipotesi  di  successione  di  leggi  penali
 disciplinata in generale dall'art.  2 del codice penale;
     che  peraltro,  secondo  il  giudice  a  quo  esso  dovrebbe fare
 applicazione dell'art. 55, comma 3, del predetto  d.lgs.  n.  22  del
 1997, a norma del quale "per i procedimenti penali pendenti alla data
 di entrata in vigore del presente decreto l'autorita' giudiziaria, se
 non   deve   pronunziare  decreto  di  archiviazione  o  sentenza  di
 proscioglimento,  dispone  la  trasmissione  degli  atti  agli   enti
 indicati  al  comma  1 (Provincia o comune) ai fini dell'applicazione
 delle sanzioni amministrative", disposizione che, a suo  avviso,  non
 si  applicherebbe solo ai casi di abolitio criminis ma anche a quelli
 di riformulazione della fattispecie, pur sempre penalmente rilevante,
 o di nuova determinazione della sanzione penale, come si  evincerebbe
 dal riferimento a procedimenti penali suscettibili di definizione nel
 merito con sentenza di proscioglimento, e dal fatto che altrimenti la
 norma  sarebbe  inutile, in quanto non farebbe che dichiarare effetti
 gia' desumibili dalle  norme  generali  sulla  successione  di  leggi
 penali nel tempo;
     che, ad avviso del remittente, detta disposizione, in forza della
 quale   il   giudice,   non   sussistendo   i   presupposti   per  il
 proscioglimento  o  l'archiviazione,  dovrebbe   limitarsi   ad   una
 pronuncia   di   sostanziale   non   liquet,  trasmettendo  gli  atti
 all'autorita'     amministrativa,     introdurrebbe     di     fatto,
 surrettiziamente,  una "forma sui generis di amnistia generalizzata",
 al di fuori dei presupposti di competenza e di procedimento stabiliti
 dall'art. 79 della Costituzione, che risulterebbe cosi' violato;
     che, inoltre,  sempre  ad  avviso  del  remittente,  il  richiamo
 testuale ai "procedimenti penali", interpretabile nel senso che ci si
 riferisca  solo  ai giudizi ancora pendenti nella fase delle indagini
 preliminari,   darebbe   luogo   ad   un    ulteriore    dubbio    di
 costituzionalita', per violazione dell'art. 3, primo e secondo comma,
 della  Costituzione, in quanto identiche fattispecie, anche quanto al
 tempo  di  consumazione,   riceverebbero   diverso   trattamento   in
 dipendenza del fatto casuale che si sia o meno superata la fase delle
 indagini  preliminari,  il  che  manifesterebbe  un  vizio  di palese
 arbitrarieta' e disuguaglianza  immotivata  di  trattamento  di  casi
 uguali;
     che,  a  dire  del giudice a quo la questione prospettata sarebbe
 rilevante perche' il giudice sarebbe chiamato a fare applicazione del
 citato art. 55, comma 3, sul presupposto che  esso  si  riferisca  ai
 procedimenti  penali in genere, anche dunque a quelli pervenuti nella
 fase  strettamente   processuale,   mentre,   in   diversa   ipotesi,
 l'esclusione   della   sua   applicazione   nella   fase  processuale
 costituisce proprio l'oggetto di una delle specifiche doglianze mosse
 con la proposizione della questione medesima;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 concludendo  per  l'infondatezza  della  questione,  sul  rilievo che
 l'art.  55 del d.lgs. n. 22 del 1997 fu introdotto  per  evitare  gli
 effetti   altrimenti   derivanti  dalla  depenalizzazione  di  talune
 fattispecie se non accompagnata dalla previsione  di  una  disciplina
 transitoria,  e  cioe'  per  evitare  che  le condotte depenalizzate,
 tenute nel vigore della legge precedente, non possano  essere  punite
 come illeciti amministrativi.
   Considerato  che  il  remittente  afferma di dover giudicare su una
 condotta costituente  ancora  reato,  in  ordine  alla  quale  assume
 essersi  verificata una successione di leggi penali nel tempo, ma non
 indica quale sia la  norma  sopravvenuta  (presumibilmente  contenuta
 nello  stesso decreto legislativo n. 22 del 1997) che prevede tuttora
 come reato detta condotta:  il  che  configura  gia'  un  difetto  di
 motivazione sulla rilevanza;
     che,  in  ogni  modo,  il  giudice  a quo incorre in un manifesto
 equivoco la' dove attribuisce alla disposizione impugnata  -  dettata
 nell'ambito  dell'art.  55  del  decreto  legislativo,  con chiaro ed
 univoco riferimento alle ipotesi di depenalizzazione di  condotte  in
 precedenza   costituenti   reato,  e  oggi  trasformate  in  illeciti
 amministrativi - il significato di imporre al  giudice,  qualora  non
 pervenga  ad  un  provvedimento di archiviazione o a una pronuncia di
 proscioglimento, di trasmettere gli atti all'autorita' amministrativa
 anche nelle ipotesi nelle quali il fatto contestato  non  costituisca
 oggi illecito amministrativo, ma sia tuttora previsto come reato;
     che   a   tale   interpretazione,   manifestamente   erronea   ed
 irragionevole, prospettata dal remittente non da' alcun  conforto  il
 riferimento  della norma a eventuali provvedimenti di archiviazione o
 pronunce di proscioglimento adottati dal giudice  penale,  previsione
 con  la  quale  il  legislatore  ha,  all'evidenza, voluto evitare la
 rimessione all'autorita' amministrativa di contestazioni di  illeciti
 depenalizzati  non aventi consistenza in linea di fatto, mentre negli
 altri casi  la  norma  assolve  alla  funzione  di  regolare  in  via
 transitoria la successione fra la norma penale e quella che configura
 l'illecito  amministrativo,  evitando che condotte, tenute nel vigore
 della  norma   incriminatrice,   e   successivamente   depenalizzate,
 risultino prive di ogni sanzione;
     che  pertanto  in  nessun modo si puo' sostenere l'applicabilita'
 della disposizione impugnata in ipotesi - come quella che secondo  il
 remittente  ricorrerebbe  nella  specie  -  di  successione  di norme
 entrambe incriminatrici, onde difetta palesemente la rilevanza  della
 questione sollevata;
     che, per di piu', il giudice a quo solleva una questione in parte
 contraddittoria,  perche',  da un lato, assume l'illegittimita' della
 norma impugnata per  contrasto  con  l'art.  79  della  Costituzione;
 dall'altro lato, evocando l'art. 3 della Costituzione sul presupposto
 che   il   richiamo   testuale   ai  "procedimenti  penali"  comporti
 irrragionevolmente l'applicabilita' della stessa ai soli procedimenti
 nella  fase  delle  indagini,  sembra   chiederne   l'estensione   ai
 procedimenti,  come  quello  avanti  ad esso pendente, prevenuti alla
 fase del dibattimento;
     che  dunque,  sotto  molteplici  profili,  e  principalmente  per
 difetto  assoluto  di  rilevanza,  la questione sollevata si appalesa
 manifestamente inammissibile.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 55 del  decreto  legislativo  5
 febbraio  1997,  n.  22  (Attuazione  delle  direttive 91/156/CEE sui
 rifiuti,  91/689/CEE  sui  rifiuti  pericolosi  e   94/62/CEE   sugli
 imballaggi  e  sui rifiuti di imballaggio), sollevata, in riferimento
 agli articoli 3, primo e secondo comma, e 79 della Costituzione,  dal
 pretore  di  Roma,  sezione  distaccata di Tivoli, con l'ordinanza in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1999.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 giugno 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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