N. 310 SENTENZA 7 - 16 luglio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Maternita'  (Tutela  della)  -  Lavoratrici  impiegate  in  lavori di
 utilita' collettiva - Diritto a percepire l'indennita' spettante alle
 lavoratrici per maternita' - Mancato  riconoscimento  -  Denuncia  di
 ingiustificata   disparita'   di  trattamento  e  di  violazione  del
 principio che vuole assicurato alle lavoratrici  l'adempimento  della
 loro  essenziale funzione familiare - Esaurimento degli effetti della
 legge statale denunciata, ancor prima dell'evento maternita'  di  cui
 e' causa nel giudizio a quo - Difetto di rilevanza - Inammissibilita'
 della questione.
 
 (Legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 23, comma 7).
 
 (Cost., artt. 3 e 37).
 
 Maternita'  (Tutela  della)  -  Lavoratrici  impiegate  in lavori di
 utilita'  collettiva,  assenti  obbligatoriamente  dal   lavoro   per
 maternita'  -  Diritto alla corrispondente indennita' di maternita' -
 Mancato riconoscimento - Violazione del principio  posto  a  garanzia
 dell'adempimento  da  parte della madre della essenziale sua funzione
 familiare e a particolare protezione e della madre e  del  bambino  -
 Illegittimita' costituzionale - Assorbimento di ogni altro profilo.
 
 (Legge regione siciliana 1 settembre 1993, n. 25, art. 18).
 
 (Cost., art. 37, primo comma).
 
(GU n.29 del 21-7-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof. Cesare MIRABELLI,   prof.
 Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.  Cesare  RUPERTO,
 dott.  Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Guido
 NEPPI  MODONA,      prof.  Piero  Alberto CAPOTOSTI,   prof. Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  23,  comma  7,
 della  legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del
 bilancio annuale e pluriennale dello  Stato)  e  dell'art.  18  delle
 legge  della  Regione Siciliana   1 settembre 1993, n. 25 (Interventi
 straordinari per l'occupazione produttiva in Sicilia),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  13  maggio  1997  dal  pretore  di Catania nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Bongiovanni  Giuseppina   e   il
 Ministero  del  lavoro  ed  altri,  iscritta  al  n. 914 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto l'atto di costituzione dell'INPS, nonche' l'atto d'intervento
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  24  marzo  1999  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso al pretore di Catania una lavoratrice - utilizzata
 in  qualita'  di  ragioniera  in  un  progetto  di  utilita'  sociale
 finanziato dalla Regione Siciliana, ai sensi dell'art. 23,  comma  7,
 della  legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del
 bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato) e delle sue successive
 proroghe disposte con legge regionale (in particolare con  l'art.  18
 della  legge della Regione Siciliana 1 settembre 1993, n. 25, recante
 "Interventi straordinari per l'occupazione produttiva in Sicilia")  -
 ha  convenuto  in giudizio il Ministero del lavoro, l'Assessorato del
 lavoro e della previdenza sociale della Regione Siciliana,  l'Ufficio
 provinciale  del  lavoro  di  Catania, l'INPS, nonche' la Cooperativa
 Europa 2000 s.r.l., sua datrice di lavoro, al  fine  di  ottenere  il
 riconoscimento  del diritto a percepire l'indennita' di maternita', a
 suo dire spettantele in base alla legge 30  dicembre  1971,  n.  1204
 (Tutela  delle  lavoratrici  madri)  per  essere  stata in astensione
 obbligatoria dal lavoro dal 29 agosto 1995 al 30 dicembre 1995.
   Nell'ambito di tale giudizio, il pretore di  Catania  ha  sollevato
 questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt.
 3  e 37 della Costituzione, dei citati artt. 23, comma 7, della legge
 n. 67 del 1988 e 18 della legge regionale siciliana n. 25  del  1993,
 nella  parte  in cui, esclusa la sussistenza della subordinazione nel
 rapporto di lavoro dei giovani impiegati  in  attivita'  di  utilita'
 collettiva,  non  prevedono  l'applicabilita' alle lavoratrici madri,
 impegnate in tali attivita', dell'art. 15 della  legge  n.  1204  del
 1971  (che  dispone  l'erogazione a loro favore di un'indennita' pari
 all'80% della retribuzione percepita).
   Il giudice a quo da' atto  che  analoga  questione  e'  stata  gia'
 sollevata dal pretore di Catania, sezione distaccata di Giarre, ed e'
 stata   dichiarata  inammissibile  dalla  Corte  costituzionale,  per
 difetto di rilevanza, con l'ordinanza n. 6 del 1996  (recte:  con  la
 sentenza n. 43 del 1996).
   Tuttavia,  a  suo giudizio, vi sarebbe una palese ed ingiustificata
 disparita' di  trattamento  delle  lavoratrici  madri,  impiegate  in
 progetti  di  utilita'  collettiva  ai  sensi  delle norme impugnate,
 rispetto sia alle lavoratrici subordinate ed a quelle autonome  (alle
 quali ultime e' stata estesa la tutela disposta a favore delle prime,
 con  le leggi n. 546 del 1987, n. 379 del 1990, n. 166 del 1991), sia
 alle stesse donne impiegate in progetti di utilita' sociale approvati
 dal 1 gennaio 1996  in  base  a  rapporti  instaurati  ai  sensi  dei
 decreti-legge  n.   31 del 1995, n. 105 del 1995, n. 232 del 1995, n.
 326 del 1995, n.  416 del 1995, n. 515 del 1995 e  n.  39  del  1996,
 rapporti  ai  quali  si  applicano  le  disposizioni  in  materia  di
 indennita' di mobilita', che prevedono  l'erogazione  dell'indennita'
 di maternita'.
   Inoltre  sarebbe  violato  l'art. 37 della Costituzione, poiche' il
 trattamento disposto dalle norme impugnate impedirebbe alle  predette
 lavoratrici l'adempimento delle loro essenziali funzioni familiari.
   D'altra  parte,  proprio  alla  stregua  dei  ricordati  interventi
 normativi in materia, il  pretore  ritiene  che  non  sia  consentita
 un'interpretazione  analogica  o  estensiva  delle disposizioni sopra
 richiamate, "stante l'espressa volonta' del legislatore  di  ridurne,
 seppure  irrazionalmente, l'ambito di applicazione, da un canto sotto
 il profilo delle categorie  protette,  dall'altro  sotto  il  profilo
 dell'efficacia temporale".
   2.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio,  ma fuori termine, l'INPS,
 chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o  comunque
 infondata.
   3.  - Nel giudizio e' intervenuto anche il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o
 sia comunque rigettata per infondatezza o manifesta infondatezza.
   In  una successiva memoria, depositata in prossimita' dell'udienza,
 la difesa erariale motiva tali richieste.
   L'eccezione di inammissibilita' si fonda sul fatto  che  l'art.  23
 della legge n. 67 del 1988 "ha esaurito i propri effetti nel triennio
 1988-90  e  non  era  piu'  in  vigore  allorquando  si e' verificato
 l'evento maternita' che ha dato luogo alla domanda giudiziaria (1995)
 ...   Ne consegue che la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 sollevata  puo' riferirsi razionalmente alla sola legge regionale" n.
 25 del 1993, la quale opera una qualificazione del rapporto di lavoro
 da cui non sembra derivare la violazione dei principi  costituzionali
 lamentata  dal  pretore:  violazione  che,  semmai, potrebbe derivare
 dalle   norme   previdenziali   che    definiscono    il    pagamento
 dell'indennita'  di  maternita'.  Pertanto  il  pretore  non  avrebbe
 correttamente individuato  le  norme  alle  quali  dovrebbero  essere
 riferiti  i  dubbi  di  costituzionalita' sollevati, incorrendo in un
 vizio   logico:   il   giudice   a   quo   "assume   l'illegittimita'
 costituzionale   della   causa   (l'omessa  previsione  della  natura
 subordinata  del  rapporto  di  lavoro)  in  conseguenza  di  un  suo
 specifico   effetto  (l'asserita  non  spettanza  dell'indennita'  di
 maternita'). In tali circostanze, non  sembra  dubbio  che  si  debba
 agire  sulle sole norme che disciplinano tali effetti, mentre sarebbe
 eccessivo e  sovrabbondante  incidere  sulle  cause,  che  dovrebbero
 essere  valutate  in  base  ai  diversi  parametri che attendono alla
 complessiva disciplina del rapporto di lavoro".
   Sempre in via pregiudiziale, l'Avvocatura eccepisce il  difetto  di
 motivazione  sulla  rilevanza  della  questione,  in quanto: a) se si
 ritiene che il problema proposto debba  essere  esaminato  alla  luce
 delle  concrete  modalita'  di  svolgimento  del  rapporto di lavoro,
 l'ordinanza di  rimessione  non  valuterebbe  se,  al  di  la'  della
 qualificazione  normativa,  il  rapporto  di  lavoro della ricorrente
 abbia avuto nel concreto i caratteri della subordinazione,  cosi'  da
 dar  luogo  in  ogni  caso  alla  corresponsione  dell'indennita'  di
 maternita'; b) se si ritiene che il problema vada, invece,  esaminato
 alla  luce  dell'astratta  qualificazione  normativa del rapporto, il
 pretore avrebbe omesso di considerare se il diritto all'indennita' di
 maternita' a  favore  della  ricorrente  non  possa  essere  comunque
 affermato  in  base  alla  legge  n. 546 del 1987, che ha esteso alle
 lavoratrici autonome i benefici gia'  previsti  a  favore  di  quelle
 subordinate.
   4.  -  Nel  merito,  l'Avvocatura  dello Stato ritiene che le norme
 impugnate sfuggano alle dedotte censure di costituzionalita'.
   L'art. 23 della legge n. 67 del 1988, ove precisa  che  l'attivita'
 lavorativa  ivi  prevista non comporta l'instaurazione di un rapporto
 di lavoro subordinato, sarebbe coerente con gli obiettivi della legge
 e con la natura e le  modalita'  di  espletamento  delle  prestazioni
 richieste.  Infatti, non si produrrebbe "l'inserimento del lavoratore
 ne' nell'apparato dell'impresa che formalmente assume il  compito  di
 eseguire  il progetto, ne' tantomeno nell'organizzazione del soggetto
 che propone il progetto", ma l'attivita'  socialmente  utile  sarebbe
 prestata  in regime di sostanziale autonomia, ai sensi dell'art. 2222
 del codice civile.
   Percio'  "non  puo'  invocarsi l'art. 3 Cost., perche' la posizione
 della lavoratrice assunta ai sensi dell'art. 23  della  legge  67  e'
 assimilabile  piu' a quella del giovane in cerca di prima occupazione
 che non a quella del lavoratore dipendente, come  dimostra  il  fatto
 che  il  suo  impiego  precario e la corresponsione di una indennita'
 oraria sostitutiva dell'indennita' di licenziamento sono  compatibili
 con il suo inserimento nelle liste di collocamento".
   Neppure  sarebbe  violato  l'art.  37  della  Costituzione, perche'
 l'individuazione dei beneficiari della speciale  tutela  indennitaria
 prevista  dalla  legge n. 1204 del 1971 e dalla legge n. 546 del 1987
 rientrerebbe nelle discrezionali valutazioni del  legislatore  e  non
 sarebbe  censurabile,  se  non  contrasti  con fondamentali canoni di
 razionalita'.
                         Considerato in diritto
   1. - Il pretore di Catania ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale,   per   contrasto   con   gli  artt.  3  e  37  della
 Costituzione, dell'art. 23, comma 7, della legge 11 marzo 1988, n. 67
 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
 dello  Stato)  e  dell'art.  18 delle legge della Regione Siciliana 1
 settembre 1993, n.  25  (Interventi  straordinari  per  l'occupazione
 produttiva  in  Sicilia),  nella parte in cui, esclusa la sussistenza
 della subordinazione nel rapporto di lavoro dei giovani impiegati  in
 attivita' di utilita' collettiva, non prevedono l'applicabilita' alle
 lavoratrici  madri,  impegnate  in tali attivita', dell'art. 15 della
 legge n. 1204 del 1971 (che dispone l'erogazione  a  loro  favore  di
 un'indennita' pari all'80% della retribuzione percepita).
   2.  -  Occorre  preliminarmente  esaminare  le  eccezioni sollevate
 dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale:
     a) l'art. 23 della legge n. 67 del 1988  "ha  esaurito  i  propri
 effetti  nel  triennio 198890 e non era piu' in vigore allorquando si
 e' verificato l'evento maternita' che  ha  dato  luogo  alla  domanda
 giudiziaria  (1995)",  per  cui la sollevata questione puo' riferirsi
 alla sola legge regionale n. 25 del 1993;
     b) il pretore di Catania non avrebbe correttamente individuato le
 norme cui riferire i dubbi di costituzionalita' sollevati, poiche' ha
 denunciato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'omessa  previsione
 della  natura subordinata del rapporto di lavoro socialmente utile in
 conseguenza   dell'asserita   non   spettanza   dell'indennita'    di
 maternita',  mentre  avrebbe  dovuto  impugnare  le  sole  norme  che
 disciplinano tale ultimo beneficio;
     c) la questione sarebbe inammissibile per difetto di  motivazione
 sulla  rilevanza,  dal  momento  che  l'ordinanza  di  rimessione non
 valuterebbe  se,  al  di  la'  della  qualificazione  normativa,   lo
 specifico  rapporto  di  lavoro  della  ricorrente  abbia  avuto  nel
 concreto i caratteri della subordinazione, cosi' da  dar  luogo  alla
 corresponsione  dell'indennita'  di  maternita';  anche esaminando il
 problema  alla  luce  dell'astratta  qualificazione   normativa   del
 rapporto  vi  sarebbe ugualmente difetto di motivazione, in quanto il
 pretore avrebbe omesso di considerare se il diritto all'indennita' di
 maternita' a  favore  della  ricorrente  non  possa  essere  comunque
 affermato  in  base  alla  legge  n. 546 del 1987, che ha esteso alle
 lavoratrici autonome i benefici gia'  previsti  a  favore  di  quelle
 subordinate.
   L'eccezione sub a) e' fondata. Come questa Corte ha gia' avuto modo
 di affermare, nella sentenza n. 43 del 1996 (con cui aveva dichiarato
 inammissibile   per  difetto  di  rilevanza  una  questione  analoga,
 riferita pero' al solo art. 23 della legge n. 67 del 1988), "la fonte
 del rapporto di lavoro in questione non puo' piu' essere  considerata
 la norma statale impugnata, avendo essa esaurito i propri effetti nel
 triennio  1988-1990". Ma l'odierna questione investe, oltre al citato
 art. 23, anche l'art. 18 della legge regionale siciliana n.   25  del
 1993,  in  base  al  quale  l'Assessore  regionale  al  lavoro poteva
 ammettere al finanziamento  progetti  di  utilita'  collettiva  della
 durata  di  24 mesi, a partire dal 1 gennaio 1994, aventi per oggetto
 il completamento di quelli realizzati in attuazione  della  legge  n.
 67  del 1988, ovvero progetti nuovi. La ricorrente e' stata impiegata
 in base a tale norma regionale, la  quale  e'  dunque  rilevante  nel
 giudizio    pretorile.    Pertanto,    il    presente   giudizio   di
 costituzionalita' deve essere  riferito  alla  sola  norma  regionale
 impugnata,  mentre  deve essere dichiarata inammissibile la questione
 relativa alla predetta legge statale.
   Le altre eccezioni, invece, non possono essere accolte.
   A prescindere dall'accertamento della specifica natura del rapporto
 di lavoro in questione, il giudice a quo lamenta che per questo  tipo
 di  attivita',  sino  alla  fine  del  1995,  non  fosse  prevista la
 corresponsione dell'indennita' di maternita', a differenza  -  a  suo
 dire - di tutti gli altri rapporti di lavoro (subordinato, autonomo e
 libero-professionale)  e  della medesima attivita', se intrapresa dal
 1996 in poi. Tale diverso trattamento e' chiaramente imputabile  alla
 normativa  relativa  al  lavoro  socialmente utile e non a quella che
 disciplina i benefici previsti  a  favore  delle  lavoratrici  madri.
 Inoltre,  dal  contesto dell'ordinanza di rimessione si deduce che il
 giudice a quo non ha ritenuto  di  qualificare  l'attivita'  prestata
 dalla ricorrente come lavoro subordinato, ne' come lavoro autonomo; e
 coerentemente  detta  ordinanza non denuncia, come sostiene la difesa
 dello  Stato,  l'omessa  previsione  della  natura  subordinata   del
 rapporto di lavoro, bensi' si duole della non spettanza, nell'ipotesi
 in questione, dell'indennita' di maternita'.
   3. - Nel merito la questione e' fondata.
   La  incontestabile  discrezionalita'  di cui gode il legislatore in
 materia  previdenziale  ed   assistenziale   incontra   dei   limiti,
 specialmente  riguardo a provvidenze che non hanno soltanto carattere
 patrimoniale, ma rappresentano soprattutto forme  di  tutela  di  una
 condizione  personale  (quale la maternita'), che trova una peculiare
 considerazione costituzionale.
   Questa Corte ha piu' volte affermato che  la  maternita'  non  deve
 trovare  remore  per  il  fatto  che la madre sia una lavoratrice. In
 particolare, si e' ribadito in piu' di un'occasione che  l'astensione
 obbligatoria  di  cui  all'art.  4 della legge n. 1204 del 1971 ha il
 fine di proteggere la salute della donna e,  con  cio',  l'essenziale
 funzione  che  essa esercita nei confronti del figlio. Per assicurare
 tale obiettivo occorre rimuovere quegli ostacoli di ordine  economico
 che  le  renderebbero  in concreto piu' difficile svolgere il proprio
 insostituibile ruolo di madre: non possono, pertanto, essere ritenute
 legittime quelle norme che comportino, a motivo della maternita', una
 sostanziale menomazione economica della lavoratrice (v.,  da  ultimo,
 le  sentenze  n. 270 del 1999, n. 3 del 1998, n. 423 del 1995, n. 150
 del 1994).
   4.  -  Il  rapporto  che si instaura a seguito dello svolgimento di
 lavori socialmente  utili  o  di  attivita'  di  utilita'  collettiva
 (lavori  ed  attivita'  che,  inizialmente  diversificati,  hanno poi
 ricevuto una disciplina  sempre  piu'  omogenea,  come  segnalato  da
 questa stessa Corte nella sentenza n. 271 del 1996, avente ad oggetto
 proprio  la  legge  regionale n. 25 del 1993), anche se ha origine da
 motivi assistenziali,  riguarda  pur  sempre  un  impegno  lavorativo
 certamente  precario ma a carattere continuativo e retribuito, pur se
 non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento.
   E' ben vero che detta attivita' presenta caratteri peculiari - come
 l'occupazione per non piu' di ottanta ore mensili; il compenso orario
 uguale per  tutti,  sostitutivo  dell'indennita'  di  disoccupazione,
 versato  dallo  Stato  o dalla Regione e non dal datore di lavoro; la
 limitazione delle assicurazioni obbligatorie solo a quella contro gli
 infortuni e le malattie professionali - che possono  giustificare  la
 sua  riconduzione,  da parte del legislatore, al di fuori dell'ambito
 del  rapporto  di  lavoro  tipico.  Ma  e'   altrettanto   vero   che
 l'indennita'  di  maternita' e' strettamente collegata, attraverso un
 meccanismo percentualistico, all'esistenza di una  remunerazione  per
 l'attivita'  svolta:  per  cui  non  si ravvisano sufficienti ragioni
 perche' tale indennita' non  sia  corrisposta  pure  in  questo  caso
 (mentre  a diversa conclusione si e' giunti in un'ipotesi di compenso
 avente funzione  prettamente  alimentare,  e  comunque  non  riferito
 nemmeno  alla quantita' del lavoro prestato, come quello riconosciuto
 alle volontarie in servizio civile all'estero, oggetto della sentenza
 costituzionale n. 211 del 1996).
   5. - La suddetta conclusione trova conferma nel fatto che lo stesso
 legislatore ha espressamente previsto   l'erogazione  dell'indennita'
 in  questione  nelle  piu'  recenti disposizioni in materia di lavori
 socialmente utili (dapprima nella catena  di  decreti-legge  iniziata
 con  il  n.  31 del 1995 e terminata con il n. 510 del 1996 - l'unico
 convertito, con modificazioni, in legge 28 novembre 1996, n. 608 -  e
 poi  nel  decreto  legislativo n. 468 del 1997, che ha ridisciplinato
 organicamente la materia); disposizioni in  cui  puo'  ravvisarsi  un
 carattere sostanzialmente ricognitivo del principio dianzi affermato.
   In definitiva deve precisarsi che, se il legislatore puo' escludere
 determinati   istituti   previdenziali  o  assistenziali  per  alcune
 attivita'  lavorative,  non  puo'  tuttavia  privare  le  stesse   di
 fondamentali garanzie costituzionalmente previste, anche se ha sempre
 la  facolta'  di  modulare la disciplina dei vari istituti secondo le
 caratteristiche e le esigenze di ciascuna attivita'.
   Considerata  la  regolamentazione  concretamente  data  ai   lavori
 socialmente  utili e di utilita' collettiva prima del e dopo il 1996,
 la mancata corresponsione dell'indennita' di maternita' prima di tale
 anno  viene  a  costituire  non  una  legittima   modulazione   della
 disciplina,  ma  una  vera  e  propria violazione dell'art. 37, primo
 comma,  della  Costituzione,  che  impone  di  garantire  alla  madre
 condizioni  di  lavoro  che  le  consentano  di  adempiere  alla  sua
 essenziale funzione familiare e di assicurare a lei ed al bambino una
 speciale adeguata protezione.
   6.   -   Deve,   pertanto,   essere   dichiarata   l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 18 della legge regionale siciliana n. 25 del
 1993,   nella   parte   in  cui  non  prevede  l'applicabilita'  alle
 lavoratrici madri,  impegnate  nei  lavori  socialmente  utili  e  di
 utilita'  collettiva  ivi  previsti, dell'art. 15 della legge n. 1204
 del 1971.
   Rimane   assorbito   ogni   altro   profilo    di    illegittimita'
 costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara:
     a) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18 della legge della
 Regione  Siciliana  1  settembre 1993, n. 25 (Interventi straordinari
 per l'occupazione produttiva in Sicilia),  nella  parte  in  cui  non
 prevede l'applicabilita' alle lavoratrici madri, impegnate nei lavori
 socialmente  utili  e  di utilita' collettiva ivi previsti, dell'art.
 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204  (Tutela  delle  lavoratrici
 madri);
     b)    l'inammissibilita'    della   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 23, comma 7, della legge 11 marzo  1988,  n.
 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
 dello  Stato),  sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 37 della
 Costituzione, dal pretore di  Catania  con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.
                        Il Presidente: Vassalli
                       Il redattore: Santosuosso
                       Il cancelliere: Frucella
   Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
 99C0768