N. 314 ORDINANZA 7 - 16 luglio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  sociale - Pensioni - Rivalutazione dei trattamenti minimi
 - Applicazione dei coefficienti di  cui  all'art.  9  della  legge  3
 giugno  1975,  n.  160  -  Erogazione di pensione non piu' integrata,
 superiore al trattamento minimo, a decorrere dal  1  ottobre  1983  -
 Conseguente  lamentata  sperequazione  con  indebito  vantaggio per i
 soggetti percettori di  redditi  superiori  ai  limiti  prefissati  -
 Difetto  di  motivazione sulla rilevanza - Manifesta inammissibilita'
 della questione.
 
 (D.-L. 19 settembre 1983, n. 463 (convertito  in  legge  11  novembre
 1983,  n. 638), art. 6, comma 6, in combinato disposto con i commi 1,
 4 e 5 del medesimo articolo).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
 
(GU n.29 del 21-7-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  avv.  Massimo  VARI,  dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 6,  in
 combinato  disposto con i commi 1, 4 e 5 del medesimo articolo 6, del
 decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure  urgenti  in  materia
 previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
 disposizioni  per  vari  settori  della  pubblica  amministrazione  e
 proroga di taluni termini), convertito nella legge 11 novembre  1983,
 n. 638, promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1997 dal pretore
 di  Lecce  nel  procedimento  civile  vertente tra Brizio Cattolico e
 l'INPS, iscritta al n. 823 del registro ordinanze 1997  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  48,  prima  serie
 speciale,
  dell'anno 1997.
   Visto l'atto di costituzione dell'INPS nonche' l'atto di intervento
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1999 il giudice  relatore
 Fernanda Contri;
   Uditi  l'avvocato  Carlo  De  Angelis per l'INPS e l'avvocato dello
 Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da Brizio  Cattolico
 contro  l'INPS,  il  pretore  di  Lecce,  con  ordinanza emessa il 20
 febbraio 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  38  della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 6,
 comma 6, in combinato disposto con i commi 1,  4  e  5  del  medesimo
 articolo  6,  del  d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in
 materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento  della  spesa
 pubblica,    disposizioni    per    vari   settori   della   pubblica
 amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella  legge
 11 novembre 1983, n. 638;
     che  dall'ordinanza  di  rimessione si desume avere il ricorrente
 convenuto in  giudizio  l'INPS  per  contestare  la  legittimita'  di
 trattenute  operate a carico della sua pensione d'invalidita' in base
 all'assunto che egli avesse indebitamente  percepito  un  trattamento
 superiore al dovuto;
     che il pretore rimettente precisa al riguardo che all'assicurato,
 gia'  titolare  di pensione integrata al trattamento minimo, e' stata
 riconosciuta una pensione  su  base  contributiva,  non  avendo  egli
 presentato   la   dichiarazione   dei   redditi  richiesta,  ai  fini
 dell'erogazione del trattamento minimo, dal comma  4  del  denunciato
 art.  6  e  che  la  pensione riportata a calcolo, rivalutata a norma
 dell'impugnato art. 6, comma 6, e' risultata superiore alla  pensione
 integrata al trattamento minimo;
     che l'INPS - una volta acquisita la dichiarazione di cui al comma
 4  dello  stesso  art. 6 e constatato che il ricorrente non possedeva
 redditi superiori al  doppio  dell'ammontare  annuo  del  trattamento
 minimo,  a  norma  dell'art.  6,  comma  1  - provvedeva d'ufficio ad
 erogare nuovamente  la  pensione  integrata  al  trattamento  minimo,
 applicando le trattenute contestate nel giudizio principale;
     che  nell'interpretazione  del  rimettente l'art. 6, comma 6, del
 citato d.-l. prevede che  le  pensioni  non  piu'  integrabili  siano
 ricalcolate  su  base  contributiva  con  decorrenza  dalla  data  di
 attribuzione  della   pensione,   "applicando   i   coefficienti   di
 rivalutazione  previsti  dall'art.    9 della legge 3 giugno 1975, n.
 160, che ... sono piu' favorevoli di quelli stabiliti per le pensioni
 a calcolo, prima dell'entrata in vigore del d.-l. n.  463  del  1983,
 dall'art. 19 della legge n.  153 del 1969";
     che   l'applicazione   dei   coefficienti  di  rivalutazione  dei
 trattamenti minimi di cui all'art. 9 della legge n. 160 del  1975  ha
 comportato  l'erogazione  al  ricorrente  di  una  pensione  non piu'
 integrata superiore, a decorrere dal 1 ottobre 1983,  al  trattamento
 minimo,  laddove,  secondo il giudice a quo, l'applicazione dell'art.
 19 della legge n. 153 del 1969 avrebbe comportato il  superamento  di
 tale importo solo con decorrenza dal 1 gennaio 1985;
     che  sulla  base  di  tali  premesse,  l'ordinanza  prospetta una
 violazione dell'art. 3 della Costituzione ad opera dell'art. 6, comma
 6, del d.-l. n. 463 del 1983, giacche' esso  produrrebbe  "situazioni
 di  assoluta iniquita', venendo a favorire ingiustificatamente taluni
 soggetti che, proprio perche' percettori di redditi  superiori  a  un
 prefissato  limite, non sono stati ritenuti bisognosi e meritevoli di
 particolare protezione sociale";
     che il giudice a quo dubita  anche  in  riferimento  all'art.  38
 della  Costituzione  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 6,
 comma 6, in combinato disposto con i commi 4 e 5, "nella parte in cui
 prevede  che,  per  l'assoggettamento  di  una  pensione   non   piu'
 integrabile  alla  disciplina  della  perequazione  automatica  delle
 pensioni  integrate  al  trattamento  minimo,   l'interessato   debba
 presentare  dichiarazione  attestante  il  superamento  del limite di
 reddito di cui al comma 1";
     che nel giudizio davanti a questa Corte si e' costituito  l'INPS,
 per  dedurre  l'infondatezza della questione sollevata dal pretore di
 Lecce;
     che,  rappresentato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
 spiegato   intervento   nel   presente   giudizio  costituzionale  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri per chiedere che  questa  Corte
 dichiari inammissibile o infondata la questione sollevata dal pretore
 di Lecce.
   Considerato  che  l'applicazione  dei coefficienti di rivalutazione
 dei trattamenti minimi di cui all'art. 9 della legge n. 160 del  1975
 ha comportato, secondo quanto si desume dall'ordinanza di rimessione,
 l'erogazione  al  ricorrente  di  una  pensione  non  piu'  integrata
 superiore, a decorrere dal 1 ottobre  1983,  al  trattamento  minimo,
 laddove,  secondo il giudice a quo, l'applicazione dell'art. 19 della
 legge n. 153 del 1969 avrebbe comportato - nel rispetto, a parere del
 rimettente,  dei  principi  costituzionali  -  il superamento di tale
 importo solo con decorrenza dal 1 gennaio 1985;
     che, per giurisprudenza costante di questa Corte, in assenza  del
 c.d.  diritto  vivente, il giudice a quo deve porsi il problema della
 possibilita' di una lettura conforme  a  Costituzione  alternativa  a
 quella  accolta nell'ordinanza di rimessione, e solo successivamente,
 nella constatata impossibilita' di pervenire a tale diversa  lettura,
 sollevare  la  questione  di  legittimita' costituzionale (da ultimo,
 ord. n. 147 del 1998);
     che,   nonostante    l'asserita    conformita'    ai    princi'pi
 costituzionali invocati del criterio di rivalutazione di cui all'art.
 19  della  legge n. 153 del 1969, non v'e' traccia, nell'ordinanza di
 rimessione,  del  doveroso  tentativo  di  superare  il   dubbio   di
 costituzionalita'   attraverso  l'interpretazione  adeguatrice  delle
 disposizioni denunciate, ne' un analogo tentativo risulta compiuto al
 fine di superare l'ulteriore dubbio prospettato  dal  rimettente  con
 riferimento all'art. 38 della Costituzione;
     che,   inoltre,   sotto   il  profilo  della  rilevanza,  risulta
 dall'ordinanza del pretore  di  Lecce  e  dall'atto  di  costituzione
 dell'INPS  che il reddito del ricorrente non ha mai superato i limiti
 di cui al comma 1 dell'impugnato art. 6 e che, pertanto, quest'ultimo
 ha sempre  avuto  diritto  all'integrazione  al  trattamento  minimo,
 circostanza,   quest'ultima,   che   rende  necessaria  una  adeguata
 motivazione,  assente   nell'ordinanza,   sull'applicabilita'   della
 disciplina  impugnata,  che concerne i casi di cessazione del diritto
 all'integrazione in caso di  superamento  dei  prescritti  limiti  di
 reddito;
     che l'ordinanza di rimessione non contiene alcun riferimento alla
 questione    preliminare    dell'applicabilita'    della   disciplina
 dell'indebito previdenziale di cui all'art. 52, comma 2, della  legge
 9  marzo  1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della
 previdenza sociale  e  dell'Istituto  nazionale  per  l'assicurazione
 contro gli infortuni sul lavoro), che ammette il recupero delle somme
 indebitamente percepite dall'assicurato solo in caso di dolo;
     che,  ancora  sotto il profilo della motivazione sulla rilevanza,
 dall'ordinanza di rimessione non  e'  dato  capire  come  l'eventuale
 accoglimento  della  questione  sollevata  possa  avere incidenza nel
 giudizio principale ed influire sulla sua definizione, posto che,  in
 caso  di  infondatezza della questione, il rimettente - ove non fosse
 da applicare  la  citata  disciplina  dell'indebito  previdenziale  -
 dovrebbe  rigettare  il  ricorso dell'assicurato contro le trattenute
 operate  dall'INPS,  mentre,  in  caso  di   accoglimento,   dovrebbe
 ugualmente  definire  il  giudizio  sospeso  attraverso  un  identico
 provvedimento  di  rigetto  del   ricorso   (una   volta   dichiarata
 incostituzionale    la   disciplina   impugnata,   ed   eventualmente
 introdotta, tramite la decisione costituzionale richiesta, una  sorta
 di  cristallizzazione  delle  pensioni  a  calcolo  in una misura non
 superiore all'importo del trattamento minimo, vi sarebbe  infatti  un
 motivo ulteriore per pervenire alla medesima conclusione);
   che   il  giudice  a  quo  solleva  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  con  ordinanza  nel  suo  complesso  oscura,   senza
 motivare  adeguatamente  sulla  rilevanza  della  questione medesima,
 precludendo a questa Corte il necessario controllo sulla  sussistenza
 di tale condizione di proponibilita';
     che  pertanto  la questione deve essere dichiarata manifestamente
 inammissibile.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  comma  6,  in  combinato
 disposto con i commi 1, 4 e 5 del medesimo articolo 6, del  d.-l.  12
 settembre  1983,  n.  463  (Misure urgenti in materia previdenziale e
 sanitaria e per il contenimento della  spesa  pubblica,  disposizioni
 per  vari  settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni
 termini), convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata,
 in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal  pretore  di
 Lecce con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 16 luglio 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
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