N. 356 ORDINANZA 14 - 22 luglio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Procedimento  civile - Consulenti tecnici - Liquidazione dei compensi
 - Procedimento di opposizione introdotto con ricorso dal consulente -
 Notificazione del ricorso solamente alle parti  costituite  presso  i
 loro  difensori  e  non  invece  personalmente  a  tutte le parti del
 processo, senza distinzione tra quelle costituite e quelle  contumaci
 -  Asserita  violazione  del  diritto  di difesa degli interessati al
 giudizio di opposizione - Manifesta infondatezza della questione.
 
 (Legge 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, sesto comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
 Procedimento civile -  Consulenti  tecnici  -  Compensi  -  Misura  e
 criteri  di  determinazione  -  Possibilita' di eccessiva contrazione
 degli onorari, nell'ipotesi in cui il valore dell'oggetto della causa
 (e della consulenza) superi i limiti massimi fissati  o  in  caso  di
 pluralita'  di  valutazioni  - Adeguamento del compenso alla concreta
 attivita' svolta - Mancata previsione  -  Difetto  di  rilevanza,  in
 conseguenza  della  dichiarata manifesta infondatezza della questione
 proposta come preliminare di rito - Manifesta inammissibilita'  delle
 questioni.
 
 (Legge 8 luglio 1980, n. 319, artt. 2, primo e secondo comma, e 10).
 
 (Cost., artt. 3 e 97).
 
(GU n.30 del 28-7-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  2,  commi
 primo  e secondo, 10 e 11, comma sesto, della legge 8 luglio 1980, n.
 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici,  interpreti
 e  traduttori  per  le operazioni eseguite a richiesta dell'autorita'
 giudiziaria), promosso con ordinanza emessa il 14  ottobre  1997  dal
 Tribunale  di  Roma  sul  ricorso  proposto  da  Fazzalari  Domenico,
 iscritta al n. 305 del registro ordinanze  1998  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  18, prima serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  costituzione  di  Fazzalari  Domenico,  Manfredi
 Marcella ed altre e di Vaselli Giuseppe;
   Udito  nell'udienza  pubblica del 6 luglio 1999 il giudice relatore
 Cesare Ruperto;
   Uditi gli avvocati Francesco e  Michele  Giorgianni  per  Fazzalari
 Domenico e Francesco Conte per Manfredi Marcella ed altre;
   Ritenuto  che  -  nel  corso  di  un  procedimento  di opposizione,
 instaurato  da  un  consulente  tecnico  d'ufficio  nominato  in  una
 controversia   civile,   per  dedotta  esiguita'  della  liquidazione
 dell'onorario ad opera del giudice istruttore - il Tribunale di Roma,
 con ordinanza emessa il 14 ottobre 1997, muovendo dal presupposto che
 sarebbe  stato  altrimenti  imposto   l'accoglimento   dell'eccezione
 avversaria  di  estinzione  del processo per mancata integrazione del
 contraddittorio  da  parte  del  ricorrente,  ha  sollevato,  in  via
 preliminare, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  11,
 sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai
 periti,  ai  consulenti  tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le
 operazioni eseguite a richiesta dell'autorita'  giudiziaria),  "nella
 parte  in cui non prevede che, nel procedimento regolato dall'art. 29
 della legge 13 giugno  1942,  n.  794,  introdotto  con  ricorso  dal
 consulente  tecnico, il ricorso stesso, con il decreto del presidente
 di convocazione degli interessati, debba essere notificato  solamente
 alle parti costituite presso i loro difensori";
     che, secondo il rimettente, - attesa l'autonomia del procedimento
 di  opposizione rispetto a quello che ha dato origine alla contestata
 liquidazione dei compensi, e quindi la  necessita'  che  le  relative
 notificazioni  vengano  effettuate,  personalmente  e  non presso gli
 eventuali difensori, a tutte le parti del processo, senza distinzione
 tra quelle costituite e quelle contumaci -  la  denunciata  norma  si
 pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in ragione della grande
 difficolta'  che  incontra  il consulente tecnico, nell'esercizio del
 suo diritto di far valere eventuali vizi o manchevolezze del  decreto
 di  liquidazione, soprattutto allorquando (come nella fattispecie) il
 numero delle parti renda "estremamente difficile, se non impossibile,
 per il consulente, raggiungerle tutte";
     che, con riferimento poi al merito  del  giudizio  a  quo  -  non
 essendo  oggetto  di  contestazione  il fatto che il ricorrente abbia
 valutato una  complessa  situazione  patrimoniale  di  entita'  assai
 superiore  al miliardo di lire, mediante l'esame e l'accertamento del
 valore di numerosi ed autonomi beni mobili ed immobili, all'esito  di
 operazioni  tra  di loro diverse - osserva il Tribunale come l'omesso
 adeguamento periodico della misura degli onorari, previsto quale mera
 possibilita' dall'art. 10 della citata legge  n.  319  del  1980  (ed
 attualmente  fermo  al  primo  adeguamento di cui al d.P.R. 27 luglio
 1988, n. 352, seguente  all'emanazione  delle  relative  tabelle  con
 d.P.R.  14  novembre  1983,  n. 820), abbia comportato una perdita di
 valore delle  vigenti  tabelle  dell'ordine  di  circa  il  40%,  con
 conseguente  ingiustificata incidenza sui compensi da liquidarsi (non
 piu' corrispondenti a quelli degli altri  professionisti,  oltre  che
 privi  di qualsiasi collegamento all'effettivo valore del bene) e, in
 definitiva, sul buon andamento dell'amministrazione della  giustizia,
 la  quale,  di  riflesso, risente della difficolta' di trovare validi
 ausiliari, per l'impossibilita' di compensarli convenientemente;
     che, pertanto, secondo il rimettente, il citato art. 10  si  pone
 in  contrasto  con  gli  artt.  3 e 97 Cost., "nella parte in cui non
 prevede che la misura degli  onorari  "e'  automaticamente  adeguata"
 ogni  tre  anni,  secondo  i  criteri  previsti dalla stessa norma, a
 partire dall'ultimo decreto";
     che,  inoltre,  relativamente  alla  misura  ed  ai  criteri   di
 determinazione  dei  compensi - a fronte del consolidato orientamento
 della Corte di cassazione in ordine alla insuperabilita'  del  limite
 massimo   degli  onorari  previsto  dalle  tabelle  ed  al  carattere
 tendenzialmente unitario dell'incarico affidato  al  consulente,  per
 cui  non  e'  consentita  una pluralita' di liquidazioni anche quando
 (come nella fattispecie) oggetto della  consulenza  siano  differenti
 valutazioni  sia pure tra di loro autonome - la normativa primaria di
 indirizzo fissata dall'art.  2, primo e secondo comma, della legge n.
 319  del  1980  determina,  sempre  secondo il rimettente, un'abnorme
 contrazione della possibilita' di liquidazione degli  onorari,  nelle
 ipotesi  in  cui  il  valore  dell'oggetto  della consulenza, o della
 causa, sia superiore ai  limiti  massimi  imposti  dalle  tabelle,  e
 quando  oggetto  della  consulenza sia una pluralita' di valutazioni,
 tra di loro  del  tutto  autonome,  la  cui  somma  deve  interamente
 rapportarsi  agli  scaglioni  previsti, senza poter ricorrere neppure
 alla facolta' di cui all'art. 5 della  legge  n.  319  del  1980  sul
 raddoppio degli onorari;
     che in relazione a cio', ad avviso del rimettente, il citato art.
 2,  primo e secondo comma, si pone in contrasto con gli artt.  3 e 97
 Cost., nella parte in cui: a) con disposizione  asseritamente  troppo
 vaga  e generica, "prevede che le tabelle per gli onorari fissi siano
 redatte con riferimento  alle  tariffe  professionali  ''contemperate
 dalla natura pubblicistica dell'incarico'' e non invece semplicemente
 ''tenuto  conto  della natura pubblicistica dell'incarico''"; b) "non
 prevede  che,  nella  determinazione  degli  onorari,  i  criteri  di
 liquidazione  debbano  essere rapportati ad ogni singola valutazione,
 che abbia caratteristiche autonome"; c) "non prevede che il  giudice,
 in  casi estremi e con provvedimento specificatamente motivato, possa
 prescindere dalle tabelle per  adeguare  il  compenso  alla  concreta
 attivita' svolta dal consulente";
     che  nel  presente  giudizio  si  e'  costituito  il  consulente,
 ricorrente nel procedimento a quo concludendo per la declaratoria  di
 infondatezza    della    questione    preliminare    -    risolvibile
 interpretativamente in senso conforme al dettato  costituzionale,  in
 ragione   della   mancanza   di  autonomia  del  sub-procedimento  di
 opposizione alla liquidazione degli onorari - e, in subordine, per il
 suo  accoglimento  e  per  l'accoglimento   delle   altre   sollevate
 questioni;
     che  si  sono  costituite,  con  diverse memorie, due delle parti
 resistenti nel procedimento di opposizione: la prima delle  quali  ha
 chiesto  la  declaratoria  d'inammissibilita'  per  irrilevanza della
 questione preliminare relativa all'art. 11, sesto comma, della  legge
 n.  319  del  1980,  non avendo il rimettente motivato in ordine alla
 effettiva esecuzione, ad opera del  ricorrente,  delle  notificazioni
 (alcune delle quali ordinate dallo stesso giudice), e la declaratoria
 d'infondatezza  delle  altre  questioni; mentre la seconda ha chiesto
 senz'altro la declaratoria di  infondatezza  di  tutte  le  sollevate
 questioni;
     che,  nell'imminenza  dell'udienza, il consulente ricorrente e la
 seconda delle  parti  private  costituite  hanno  depositato  memorie
 integrative, nelle quali hanno ribadito, illustrandole ulteriormente,
 le rispettive rassegnate conclusioni.
   Considerato,  preliminarmente, che non ha consistenza, e percio' va
 disattesa, l'eccezione d'inammissibilita'  della  questione  relativa
 all'art.  11,  sesto  comma, della legge n. 319 del 1980, proposta da
 una delle  parti  private.  Infatti  il  Tribunale  di  Roma  ha  non
 implausibilmente  motivato  in  ordine alla rilevanza della questione
 stessa, che risulta sollevata - appunto sul presupposto della mancata
 integrazione del contraddittorio nel giudizio  a  quo  -  proprio  al
 dichiarato  fine  di  neutralizzare gli effetti processuali derivanti
 dalla altrimenti accoglibile richiesta di estinzione del giudizio  ex
 art. 307, secondo comma, cod. proc. civ;
     che,  nel  merito,  la questione viene prospettata muovendo dalla
 premessa interpretativa secondo  cui  ha  carattere  di  autonomia  -
 rispetto  alla  causa  civile in cui si e' provveduto alla contestata
 liquidazione del compenso - il procedimento di  opposizione  regolato
 dalla  denunciata norma, nel quale soggetti "interessati" a comparire
 (ex art. 29 della legge n. 794 del  1942)  sono  da  ritenersi  tutti
 coloro  che  dalla liquidazione possano risentire pregiudizio siccome
 gravati in definitiva dal relativo onere: senza distinzione,  dunque,
 tra  le  parti  costituite  e quelle rimaste contumaci in detta causa
 civile, a tutte le quali conseguentemente  va  notificato  l'atto  di
 opposizione,  e non gia' presso gli eventuali difensori (cui e' stata
 rilasciata   una    procura    che    ha    valore    "esclusivamente
 endoprocessuale",  percio'  non valida per il giudizio impugnatorio),
 bensi' personalmente;
     che, qualunque sia il novero  di  tali  "interessati"  -  la  cui
 ampiezza  spetta al giudice dell'opposizione definire - la necessita'
 della vocatio in jus di tutti loro e' costituzionalmente  imposta  in
 ossequio  all'inviolabile principio del contraddittorio, cui non puo'
 non essere informato anche il giudizio impugnatorio a quo (fondato su
 uno  schema  procedimentale  neutro  quanto  a  regole   processuali,
 mutuabili  in  sede  interpretativa da quelle contenute nel codice di
 rito civile: cfr.  sentenza n. 197 del 1998);
     che, pertanto, il modus operandi stabilito dalla denunciata norma
 (secondo la ricostruzione  fattane  dal  rimettente,  in  termini  di
 necessaria   conseguenzialita'   rispetto  alla  suindicata  premessa
 interpretativa)    appare     immune     dai     prospettati     vizi
 d'incostituzionalita', i quali viceversa si manifesterebbero in tutta
 la  loro  portata  proprio  ove si accedesse alla specifica soluzione
 additiva richiesta dal Tribunale rimettente;
     che,  infatti,  limitando  la  notificazione  del   ricorso   del
 consulente  alle  sole  parti  costituite nella causa in cui e' stato
 liquidato l'onorario, si verrebbe immancabilmente a ledere il diritto
 di difesa degli  altri  "interessati",  sui  quali  si  rifletterebbe
 direttamente,  con  riguardo  all'entita' delle spese giudiziali, una
 pronuncia resa inter alios;
     che,  d'altronde,  una   volta   individuata   la   sfera   degli
 "interessati"  al  giudizio  di opposizione, le difficolta' di ordine
 procedimentale dovute a circostanze contingenti ed accidentali -  cui
 puo'  certo  andare  incontro il ricorrente nel giudizio a quo ma non
 diversamente da chiunque faccia valere le sue ragioni in un  giudizio
 civile  rappresentano  evenienze  meramente  fattuali, riferibili non
 gia'  alla  norma  considerata  nel  suo  contenuto   precettivo   ma
 semplicemente  alla  sua applicazione, e, come tali, non involgono un
 problema di costituzionalita' (v.  sentenze n. 295 del 1995,  n.  417
 del 1996 e n. 175 del 1997);
     che,   pertanto,   la   questione   come   sopra   sollevata   e'
 manifestamente infondata;
     che, conseguentemente, perdono la loro rilevanza e  vanno  quindi
 dichiarate  manifestamente inammissibili le altre questioni, rispetto
 alle quali la prima si palesa come preliminare di rito;
     che, infatti, solo ove si fosse  pervenuti  ad  una  declaratoria
 d'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  11,  sesto  comma, della
 legge n. 319 del 1980, si sarebbe potuto evitare -  secondo  la  tesi
 dello   stesso   rimettente  -  l'"altrimenti  imposta  pronuncia  di
 estinzione"  del  giudizio  a quo la quale invece verra' ovviamente a
 precludere qualsiasi esame del  merito  e,  dunque,  l'applicabilita'
 delle ulteriori norme denunciate.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio  1980,
 n.   319  (Compensi  spettanti  ai  periti,  ai  consulenti  tecnici,
 interpreti e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a  richiesta
 dell'autorita'  giudiziaria), sollevata - in riferimento agli artt. 3
 e 24 della Costituzione - dal  Tribunale  di  Roma,  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe;
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   delle  questioni  di
 legittimita' costituzionale degli artt. 2, primo e secondo  comma,  e
 10,  della  legge  n.  319  del 1980, sollevate - in riferimento agli
 artt. 3 e 97 della Costituzione - dallo stesso Tribunale di Roma, con
 la medesima ordinanza.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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