N. 553 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 1999
N. 553 Ordinanza emessa il 28 giugno 1999 dal tribunale di Milano nei procedimenti civili riuniti vertenti tra INPS ed altri e Crespi Maria Carolina ed altri Previdenza e assistenza sociale - Pensioni INPS - Rimborsi conseguenti alle sentenza della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 - Modalita' di pagamento - Estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio di eguaglianza - Riproposizione di questione oggetto della ordinanza della Corte n. 31/1999 di restituzione atti per ius superveniens. (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 182, modificato dal d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, in legge 28 maggio 1997, n. 140, sostituito dalla legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 36, commi 1 e 5). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.41 del 13-10-1999 )
IL TRIBUNALE O s s e r v a Con ordinanza 11 marzo 1997 il tribunale, nelle cause qui riunite, ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 183 legge 23 dicembre 1996 n. 662, nella parte in cui prevede che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della 1egge stessa aventi ad oggetto le questioni di cui ai precedenti commi 181 e 182 sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, e nella parte in cui prevede che i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato restano privi di effetto, in riferimento alle stesse norme e agli artt. 101 e 102 della Costituzione. La questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 182 cit. nella parte in cui prevede che il diritto al pagamento delle somme arretrate conseguenti alle sentenze 240 del 1994 e 495 del 1993 della corte costituzionale non competa agli eredi che non siano superstiti del pensionato a loro volta aventi diritto alla pensione di reversibilita', e nella parte in cui prevede che nella determinazione dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 per il titolo di cui alla sentenze 240 e 495 citt. non concorrono gli interessi e la rivalutazione monetaria, in riferimento agli artt. 38, 3, 53 della Costituzione. Ha poi anche dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionailita' dell'art. 1, comma 181 cit., prospettata in riferimento agli artt. 3, 24, 53 della Costituzione, nella parte in cui prevede che le somme di cui sopra siano pagate mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato, ed in sei annualita'. Ha pertanto sospeso le cause rimettendo le questioni dichiarate non manifestamente infondate alla corte costituzionale. Con ordinanza 11 febbraio 1999 n. 31, la corte ha restituito gli atti a questo tribunale e ad altri giudici remittenti per il riesame delle questioni alla luce delle modifiche normative apportate dal d.-l. 28 marzo 1997 n. 79, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997 n. 140 - incidente sulla questione dichiarata manifestamente infondata dal tribunale - e dalla legge 23 dicembre 1998 n. 448. Infatti, l'art. 3-bis d.-l. n. 79 del 1997, cit., inserito dalla legge di conversione, novellando 1'art. 1, comma 181, legge n. 662 cit., prevede che per il pagamento delle somme in questione "il Ministro del tesoro e' autorizzato ad effettuare... emissioni di titoli del debito pubblico per ciascuna delle annualita' comprese fra il 1996 ed il 2001. Il ricavo netto delle suddette emissioni, limitato a 3.135 miliardi per la prima annualita', sara' versato ai competenti enti previdenziali, che provvederanno direttamente a soddisfare in contanti, in sei annualita', gli aventi diritto nelle forme previste per la corresponsione dei trattamenti pensionistici; 1'importo di ciascuna annualita' sara' determinato in relazione all'ammontare del ricavo netto delle emissioni versato agli enti previdenziali". L'art. 36, legge n. 448 del 1998 cit., sostituendo il comma 182 della legge n. 662 cit., come modificato dal d.-l. n. 79 del 1997 cit., oltre a riconoscere gli arretrati anche agli eredi che ne faranno domanda nel termine di un anno dall'entrata in vigore della legge stessa (commi 2, 3 e 4), prevede che: "la verifica annuale del requisito reddituale per il diritto all'integrazione del trattamento e' effettuata non solo in relazione ai redditi riferiti all'anno 1983, ma anche con riferimento ai redditi degli anni successivi. Sugli arretrati maturati al 31 dicembre 1995 e' dovuta esclusivamente una somma pari al 5 per cento dell'importo maturato a tale data. Per gli anni successivi, sulle somme ancora da rimborsare sono dovuti gli interessi sulla base di un tasso annuo pari alla variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertata dall'ISTAT per l'anno precedente. Con la prima annualita' sono corrisposti gli interessi maturati sull'intero ammontare degli arretrati dal 1 gennaio 1996 alla data di pagamento" (comma 1). I giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge.... sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti. I provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato restano privi di effetto" (comma 5). Va innanzitutto sottolineato come la questione inerente gli eredi sia stata risolta dalla riportata modifica, tanto e' vero che le parti interessate non hanno ora mosso rilievi di sorta. La residua normativa sopra riassunta si applica alle presenti controversie riunite, nelle quali e' in discussione, da solo o meno, il diritto alla c.d. cristallizzazione, di cui alla sentenza 240 del 1994 della Corte costituzionale, ovvero 1'incidenza dell'integrazione al minimo sulla pensione diretta ai fini del computo della pensione di reversibilita' di cui alla sentenza 495 del 1993 della medesima corte, entrambe richiamate dalla normativa stessa. Cio' vale sia per la regola di natura processuale (estinzione del giudizio con compensazione integrale delle spese), sia per quelle di natura sostanziale relative a modi e tempi di pagamento del capitale ed agli interessi. In tutti i procedimenti ora riuniti riguardanti la cristallizzazione emerge, poi, l'esistenza del requisito reddituale richiesto, quanto meno per alcuni degli anni dal 1983 in poi. Di qui, allora, la rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale di cui appresso. Va ora verificata, naturalmente dall'angolazione della non manifesta infondatezza, la legittimita' costituzionale della descritta normativa, tenendo presente come sia preliminare rispetto alle altre la regola processuale dell'estinzione dei procedimenti con compensazione delle spese (e con perdita di efficacia delle sentenze (d'accoglimento)): solo la caducazione di essa consente infatti 1'esame delle varie questioni di merito qui in gioco: cfr., in proposito, Corte costituzionale 31 marzo 1995 n. 103, Foro it., 1995, I, 1731. A tal fine e' utile prendere le mosse proprio da quest'ultima sentenza del giudice delle leggi, la quale costituisce il punto di arrivo di precedente elaborazione della corte costituzionale (10 dicembre 1981 n. 185, Foro it., 1982, I, 346; 10 aprile 1987 n. 123, id., 1987, I, 1351). Pronunciandosi sull'art. 4, legge 29 gennaio 1994 n. 87, che prevede l'estinzione, con compensazione delle spese, dei giudizi promossi dai pubblici dipendenti volti ad ottenere il riconoscimento dell'incidenza dell'indennita' integrativa speciale sulla buonuscita dei pubblici dipendenti, la corte costituzionale ha dichiarato 1'infondatezza della questione, prospettata in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108, e 113 della Costituzione, con il conseguente superamento di altre pure sollevate. Ma la corte e' pervenuta al decisum seguendo un percorso che, in questo giudizio, deve ad approdo opposto. Infatti, passaggio cruciale per escludere il contrasto con l'art. 24 della Costituzione e', nella citata sentenza 103 del 1995, il rilievo per cui in tanto un intervento legislativo puo' imporre 1'estinzione del processo in quanto con esso 1'ambito delle situazioni giuridiche degli interessati risulti comunque arricchito. Siffatto arricchimento sussisteva, secondo la corte, nel giudizio portato al suo esame, giacche' la fissazione della misura del diritto dei pubblici dipendenti all'incidenza dell'indennita' integrativa speciale sulla buonuscita, scaturito dalla sentenza d'accoglimento 243 del 1993 della corte costituzionale, era stata demandata dalla corte medesima all'attivita' del legislatore, cui era stata rimessa anche l'individuazione dei tempi di un adeguato computo dell'incidenza e della concreta realizzabilita' del diritto. Corte costituzionale 243 cit. preciso' ancora che tale realizzabilita' potesse improntarsi al principio di gradualita'. L'intervento legislativo del 1994, pertanto, che tali misura e tempi avevano determinato, aggiunse quindi qualcosa all'assetto derivato dalla sentenza 243, che aveva fatto, si, sorgere diritti, ma non ancora determinabili. Di qui l'arricchimento delle situazioni giuridiche delle parti interessate, e, quindi, la ritenuta legittimita' costituzionale dell'impatto sul diritto d'azione della regola di estinzione dei giudizi pendenti. Nelle ipotesi di specie cio' non e'. Infatti, i diritti delle parti private nelle presenti cause, su cui cade la medesima regola di estinzione, erano "perfetti" ed esigibili. Scaturivano infatti da Corte costituzionale 10 giugno 1994 n. 240, Foro it, 1994, legge n. 2016, che ha dichiarato 1'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22 legge n. 537 del 1993, nella parte in cui prevede che, nel caso di due o piu' pensioni integrate o integrabili al minimo, delle quali una sola conserva il diritto all'integrazione al trattamento minimo ex art. 6 d.-l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, e non risultando superati al 30 settembre 1983 i limiti di reddito fissati nei commi precedenti, sia ricondotto all'importo a calcolo dell'altra o delle altre pensioni non piu' integrabili, anziche' siano esse mantenute nell'importo spettante al 30 settembre 1983, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica. Ovvero da Corte costituzionale 31 dicembre 1993 n. 495, ibid., 319, che ha dichiarato illegittimo 1'art. 22 legge n. 21 luglio 1965, n. 903 nella parte in cui non prevede che la pensione di reversibilita' sia calcolata in proporzione alla pensione diretta integrata al trattamento minimo gia' liquidata al pensionato o che 1'assicurato avrebbe comunque diritto di percepire. Su tali diritti non si e' quindi verificato un qualsiasi tipo di arricchimento, ma anzi, con le su descritte misure sostanziali, i cui profili di costituzionalita' verranno trattati appresso, un netto impoverimento. Ecco che allora questa volta 1'estinzione sembra incidere sul diritto di azione e sulla tutela che gli accorda l'art. 24 della Costituzione e cio' peraltro con disparita' di trattamento rispetto ad altre controversie (art. 3 della Costituzione). Come sembra collidere con gli artt. 3, 24, 101 e 102 della carta-base, la connessa caducazione degli effetti delle sentenze favorevoli alle parti private di cui all'ultima parte del citato comma 183. E come pare contrastare con gli artt. 3 e 24 della Costituzione il sottrarre al giudice della pretesa sostanziale portata in causa la statuizione sulle spese; sottrazione che si risolve in un costo per il soggetto titolare di una situazione soggettiva non meritevole di protezione inferiore rispetto ad altre, sia di varia natura, sia di natura previdenziale ed assistenziale. A quest'ultimo riguardo non si dimentichi, anzi, nel considerare i pure esistenti dicta della corte costituzionale circa la non incidenza del regolamento delle spese sulla tutela giurisdizionale (da ult., v. obiter in Corte costituzionale 2 aprile 1999 n. 117, Gazzetta Ufficiale, la s.s., 14 aprile 1999 n. 15, e precedenti ivi richiamati), come qui si verta in tema di pensioni integrate al minimo e di conservazione dell'integrazione quando non sia superato un reddito pure molto modesto. E come i pensionati in causa abbiano dovuto compiere itinera processuali particolarmente elaborati, con la conseguente pesantezza dei relativi costi. In qualche caso, per coloro la cui epoca di maturazione sia particolarmente ravvicinata, superiori al percipiendo. Lo si sottolinea nuovamente, quindi, il dubbio si pone con riguardo alla combinazione degli artt. 3 e 24 della carta base. In proposito e' il caso di aggiungere come anche nelle fattispecie in causa, in cui e' stata richiesta la distrazione delle spese ed e' stata riconosciuta nelle sentenze d'accoglimento, ed in cui tale richiesta e' stata riproposta in appello, si verifica per le parti il medesimo costo: a parte il possibile abbandono dell'istanza di distrazione nel corso del procedimento, 1'estinzione del giudizio con compensazione delle spese le espone comunque all'inevitabile pagamento di esse al proprio difensore. Il che significa anche, ed ancor prima, la rilevanza della questione pur sotto questa angolazione. Le conclusioni ora raggiunte impongono l'esame degli altri profili ritenuti rilevanti. Appare, innanzitutto, manifestamente infondata la questione di costituzionalita' della riportata normativa (novellato comma 181) concernente modalita' e tempi di pagamento delle somme costituenti capitale maturato. Infatti, interventi di tal tipo, incidenti sull'esigibilita' del diritto e sul suo modo di soddisfazione, sono gia' stati attuati dal legislatore e dichiarati conformi a costituzione. In particolare, il parziale pagamento dell'indennita' di contingenza e, si badi bene, anche dell'istituto analogo proprio dei trattamenti pensionistici, a mezzo di buoni del tesoro poliennali, quale disposto dall'art. 1, d.-l. 11 ottobre 1976 n. 699, convertito, con modificazioni, nella legge 10 dicembre 1976 n. 797, fu ritenuto costituzionalmente legittimo dalla corte costituzionale in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39, e 53 Cost.: Corte costituzionale 30 luglio 1980 n. 141, Foro it., 1980, I, 2641. Rimandando per il resto alla motivazione di tale sentenza, va soprattutto qui evidenziato che temporaneita' della misura, in uno con il fatto che i buoni del tesoro per il futuro garantiscono una redditivita', esclude l'effetto ablatorio impedito dall'art. 53 della Costituzione. L'operare, poi, la misura stessa in presenza di altra pensione evita il contrasto con l'art. 38 della Costituzione. Il tribunale e' consapevole del fatto che a differenza del caso esaminato da Corte costituzionale n. 141 del 1980 cit. qui il sacrificio non e' ripartito fra piu' categorie, e riguarda anzi una sola categoria di soggetti particolarmente svantaggiati. Come non ignora che sulla scorta di tali rilievi la corte di cassazione si sia pronunciata diversamente, sollevando questione di costituzionalita' della norma simile a quella originaria del comma 181 cit. del d.-l. 28 marzo 1966 n. 168, poi decaduto e reiterato con altri, anch'essi non convertiti in legge (Cass. ord. 2 maggio 1996 n. 382, Foro it., 1996, I, 2015). Il tribunale ritiene pero' che la particolare, enorme portata della spesa sottostante alla materia in questione giustifichi la previsione della gradualita' del pagamento da parte della amministrazione pubblica, purche' di essa solo si tratti e non di intervento depauperativo dei diritti (v. postea). Del resto, lo si e' visto, la Corte costituzionale, nella citata sentenza 243 del 1993, ha gia' indicato la gradualita' come principio cui improntarsi legislativamente ai fini della concreta realizzabilita' di diritti i cui costi ricadano sulla finanza pubblica, "tenuto conto delle scelte di politica economica necessarie al reperimento delle risorse". Ne' pare poi avere rilievo alcuno la circostanza che qui la tecnica di pagamento e' diversa, per risolversi in emissioni di titoli non a diretto favore degli interessati, e in pagamento a questi del dovuto da parte dell'Inps cui va versato il denaro realizzato con le emissioni dei titoli stessi. Tale rilievo lo avrebbe, invece, se, come sostenuto dai procuratori di alcuni pensionati, il meccanismo non prevedesse i dies a quibus dei pagamenti, i quali invece, anche alla stregua dell'interpretazione adeguatrice, vanno individuati nelle singole sei scadenze annuali a partire dall'anno di entrata in vigore della legge - quindi, fine 1999 - il debito dell'Inps essendo slegato dai versamenti del denaro realizzato con le emissioni. I versamenti, infatti, attengono solo ai rapporti tra amministrazione dello Stato ed ente. Diverso e' circa la norma del novellato comma 182, quella per la quale sugli arretrati maturati al 31 dicembre 1995 e' dovuta esclusivamente una somma pari al 5 per cento dell'importo maturato a tale data (art. 36, comma 1). Al riguardo va posto in luce che all'applicazione della normativa generale in materia segue la produzione sia degli interessi, sia, fino al 31 dicembre 1991, del danno da svalutazione (cfr. Cass. s.u. 26 giugno 1996 n. 5895, Foro it., 1996, I, 3027), a norma dell'art. 429, comma 3, cod. proc. civ., quale esteso ai crediti previdenziali e assistenziali, con qualche differenza della disciplina della decorrenza, da Corte costituzionale 12 aprile 1991 n. 156 (Foro it., 1991, I, 1321); per il successivo periodo, in una situazione di svalutazione inferiore al tasso legale, i soli interessi, ex art. 16, comma 6, legge 30 dicembre 1991 n. 412. Applicandosi la legge del 1998, il dovuto ai pensionati diviene molto inferiore, risolvendosi in una sorta di forfettizzazione (5%) dei soli interessi sull'intero credito maturato al 31 dicembre 1995. Il che' significa il mancato riconoscimento del danno da svalutazione, e la mancata considerazione del diverso periodo di maturazione dei vari crediti e della produzione degli interessi anno per anno. E, si badi bene, si tratta di interessi annuali del 5%, e per un certo periodo del 10%. Onde il dubbio di costituzionalita', sembrando avere inciso sui predetti diritti la norma in questione, con la conseguente tensione con gli artt. 38 e 3 della Costituzione. Appare infatti priva di ragionevolezza una disparita' di trattamento che si realizzi nella considerazione del ritardo nella percezione di crediti di rango costituzionale (appunto, art. 38), non solo e non tanto in misura in qualche caso irrilevante ed inferiore allo stesso tasso di inflazione - una sorta di tributo sganciato dalla capacita' contributiva: v. art. 53 della Costituzione - quanto a danno di categorie di soggetti, si e' visto, particolarmente svantaggiate persino nell'area della previdenza e dell'assistenza sociale. Si fa davvero fatica a comprendere perche' debba applicarsi il regime generale ad un pensionato con riguardo agli arretrati attinenti il medesimo periodo del trattamento di vecchiaia, per ipotesi di ingente grandezza, e quello speciale - ed estremamente sfavorevole - nel caso di arretrati dovuti alla cristallizzazione dell'integrazione al minimo o all'incidenza dell'integrazione stessa sulla pensione di reversibilita'. La legge del 1998, invece, appare rispettosa delle regole costituzionali con riguardo alla produzione degli interessi sulle somme ancora da rimborsare per gli anni successivi al dicembre 1995, per le quali gli stessi sono dovuti sulla base di un tasso annuo pari alla variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertata dall'Istat per l'anno precedente. In definitiva, il tribunale ritiene non manifestamente infondate, le questioni di costituzionalita' dell'art. 1, comma 182, legge n. 662 cit., e successiva modificazione, quale sostituito dall'art. 36, comma 5, legge n. 448 cit., nella parte in cui prevede che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 448 stessa aventi ad oggetto le questioni di cui ai commi 181 e 182, legge n. 662 stessa sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese, in riferimento agli artt. 3, e 24 della Costituzione, e nella parte in cui prevede che i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato restano privi di effetto, in riferimento alle stesse norme e agli artt. 101 e 102 della Costituzione. Ritiene ancora non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 182 cit., sostituito dall'art. 36, comma 1, nella parte in cui prevede che sugli arretrati maturati al 31 dicembre 1995 e' dovuta esclusivamente una somma pari al 5 per cento dell'importo maturato a tale data, in riferimento agli artt. 3, 38, 53 della Costituzione. Ritiene invece infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 181 cit., quale modificato dall'art 3-bis, d.-l. 79 cit., prospettata in riferimento agli artt. 3, 24, 53 della Costituzione;
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' dell'art. 1, comma 182, legge n. 662 del 1996, come modificato dal d.-l. n. 79 del 1997, convertito, con modificazioni, nella legge n. 140 del 1997, nel testo sostituito dall'art. 36, comma 5, legge n. 448 del 1998, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Dichiara non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 182 cit., quale sostituito dall'art. 36, comma 1, legge n. 448 cit., nella parte in cui prevede che sugli arretrati dei crediti maturati al 31 dicembre 1995 e' dovuta esclusivamente una somma pari al 5 per cento dell'importo maturato a tale data; Dichiara manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 181, legge 662 cit., quale modificato dall'art. 3-bis, d.-l. 79 del 1997, introdotto dalla legge di conversione 140 dello stesso anno; Sospende le cause riunite nel presente procedimento, e ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale, notificarsi il provvedimento alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicarsi lo stesso ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Milano, addi' 28 giugno 1999. Il presidente: Mannacio Il giudice estensore: De Angelis 99C1003