N. 553 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 1999

                                N. 553
  Ordinanza  emessa  il  28  giugno  1999  dal tribunale di Milano nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra INPS ed altri e Crespi Maria
 Carolina ed altri
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Pensioni   INPS   -   Rimborsi
    conseguenti  alle sentenza della Corte costituzionale nn. 495/1993
    e 240/1994 - Modalita'  di  pagamento  -  Estinzione  dei  giudizi
    pendenti  alla data di entrata in vigore della normativa impugnata
    - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio di eguaglianza -
    Riproposizione di questione oggetto della ordinanza della Corte n.
    31/1999 di restituzione atti per ius superveniens.
 (Legge  23  dicembre  1996, n. 662, art. 1, comma 182, modificato dal
    d.-l. 28 marzo 1997, n.  79,  convertito,  con  modificazioni,  in
    legge  28  maggio 1997, n. 140, sostituito dalla legge 23 dicembre
    1998, n. 448, art. 36, commi 1 e 5).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.41 del 13-10-1999 )
                             IL TRIBUNALE
                             O s s e r v a
   Con ordinanza 11 marzo 1997 il tribunale, nelle cause qui  riunite,
 ha   dichiarato   non   manifestamente   infondata  la  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 1, comma 183 legge 23  dicembre  1996  n.
 662,  nella  parte in cui prevede che i giudizi pendenti alla data di
 entrata in vigore della 1egge stessa aventi ad oggetto  le  questioni
 di  cui  ai  precedenti  commi  181  e  182  sono  dichiarati estinti
 d'ufficio con compensazione delle spese, in riferimento agli artt.  3
 e  24  della  Costituzione,  e  nella  parte  in  cui  prevede  che i
 provvedimenti giudiziari non  ancora  passati  in  giudicato  restano
 privi di effetto, in riferimento alle stesse norme e agli artt. 101 e
 102 della Costituzione.
   La questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 182 cit. nella
 parte  in  cui  prevede  che  il  diritto  al  pagamento  delle somme
 arretrate conseguenti alle sentenze 240 del 1994 e 495 del 1993 della
 corte costituzionale non competa agli eredi che non siano  superstiti
 del   pensionato  a  loro  volta  aventi  diritto  alla  pensione  di
 reversibilita', e nella parte in cui prevede che nella determinazione
 dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 per il titolo di  cui  alla
 sentenze   240  e  495  citt.  non  concorrono  gli  interessi  e  la
 rivalutazione monetaria, in riferimento agli artt. 38,  3,  53  della
 Costituzione.
   Ha  poi  anche  dichiarato manifestamente infondata la questione di
 costituzionailita'  dell'art.  1,  comma  181  cit.,  prospettata  in
 riferimento  agli  artt. 3, 24, 53 della Costituzione, nella parte in
 cui  prevede  che  le  somme  di  cui  sopra  siano  pagate  mediante
 assegnazione  agli  aventi  diritto  di  titoli  di  Stato, ed in sei
 annualita'. Ha pertanto sospeso  le  cause  rimettendo  le  questioni
 dichiarate non manifestamente infondate alla corte costituzionale.
   Con  ordinanza  11  febbraio 1999 n. 31, la corte ha restituito gli
 atti a questo tribunale e ad altri giudici remittenti per il  riesame
 delle  questioni  alla  luce  delle modifiche normative apportate dal
 d.-l. 28 marzo 1997 n. 79, convertito, con modificazioni, nella legge
 28  maggio  1997  n.  140  -  incidente  sulla  questione  dichiarata
 manifestamente  infondata  dal  tribunale - e dalla legge 23 dicembre
 1998 n. 448.
   Infatti, l'art. 3-bis d.-l. n. 79 del 1997,  cit.,  inserito  dalla
 legge  di  conversione,  novellando 1'art. 1, comma 181, legge n. 662
 cit., prevede che per il  pagamento  delle  somme  in  questione  "il
 Ministro  del  tesoro  e'  autorizzato  ad effettuare... emissioni di
 titoli del debito pubblico per ciascuna delle annualita' comprese fra
 il 1996 ed  il  2001.  Il  ricavo  netto  delle  suddette  emissioni,
 limitato  a  3.135 miliardi per la prima annualita', sara' versato ai
 competenti  enti  previdenziali,  che  provvederanno  direttamente  a
 soddisfare  in  contanti, in sei annualita', gli aventi diritto nelle
 forme previste per la corresponsione dei  trattamenti  pensionistici;
 1'importo  di  ciascuna  annualita'  sara'  determinato  in relazione
 all'ammontare del ricavo netto  delle  emissioni  versato  agli  enti
 previdenziali".
   L'art.  36,  legge  n.  448 del 1998 cit., sostituendo il comma 182
 della legge n. 662 cit., come modificato dal d.-l.  n.  79  del  1997
 cit.,  oltre  a  riconoscere  gli  arretrati  anche agli eredi che ne
 faranno domanda nel termine di un anno dall'entrata in  vigore  della
 legge  stessa (commi 2, 3 e 4), prevede che: "la verifica annuale del
 requisito reddituale per il diritto all'integrazione del  trattamento
 e'  effettuata  non  solo  in  relazione ai redditi riferiti all'anno
 1983, ma anche con riferimento  ai  redditi  degli  anni  successivi.
 Sugli arretrati maturati al 31 dicembre 1995 e' dovuta esclusivamente
 una  somma pari al 5 per cento dell'importo maturato a tale data. Per
 gli anni successivi, sulle somme ancora da rimborsare sono dovuti gli
 interessi  sulla  base  di  un  tasso  annuo  pari  alla   variazione
 dell'indice  dei  prezzi  al  consumo  per  le  famiglie di operai ed
 impiegati, accertata dall'ISTAT per l'anno precedente. Con  la  prima
 annualita'   sono  corrisposti  gli  interessi  maturati  sull'intero
 ammontare degli arretrati dal 1 gennaio 1996 alla data di  pagamento"
 (comma 1).
   I  giudizi  pendenti  alla data di entrata in vigore della presente
 legge.... sono dichiarati estinti d'ufficio con  compensazione  delle
 spese  fra le parti. I provvedimenti giudiziari non ancora passati in
 giudicato restano privi di effetto" (comma 5).
   Va innanzitutto sottolineato come la questione inerente  gli  eredi
 sia  stata  risolta  dalla  riportata  modifica, tanto e' vero che le
 parti interessate non hanno ora mosso rilievi di sorta.
   La residua normativa  sopra  riassunta  si  applica  alle  presenti
 controversie  riunite, nelle quali e' in discussione, da solo o meno,
 il diritto alla c.d. cristallizzazione, di cui alla sentenza 240  del
 1994 della Corte costituzionale, ovvero 1'incidenza dell'integrazione
 al  minimo  sulla pensione diretta ai fini del computo della pensione
 di reversibilita' di cui alla sentenza 495 del  1993  della  medesima
 corte,  entrambe richiamate dalla normativa stessa. Cio' vale sia per
 la  regola  di  natura  processuale  (estinzione  del  giudizio   con
 compensazione  integrale  delle  spese),  sia  per  quelle  di natura
 sostanziale relative a modi e tempi di pagamento del capitale ed agli
 interessi.
    In   tutti   i   procedimenti   ora   riuniti    riguardanti    la
 cristallizzazione  emerge,  poi, l'esistenza del requisito reddituale
 richiesto, quanto meno per alcuni degli anni dal 1983 in poi.
   Di qui,  allora,  la  rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
 costituzionale di cui appresso.
   Va   ora   verificata,   naturalmente  dall'angolazione  della  non
 manifesta  infondatezza,   la   legittimita'   costituzionale   della
 descritta  normativa,  tenendo presente come sia preliminare rispetto
 alle altre la regola processuale dell'estinzione dei procedimenti con
 compensazione delle spese (e con perdita di efficacia delle  sentenze
 (d'accoglimento)):    solo  la  caducazione  di essa consente infatti
 1'esame delle varie questioni  di  merito  qui  in  gioco:  cfr.,  in
 proposito, Corte costituzionale 31 marzo 1995 n. 103, Foro it., 1995,
 I, 1731.
   A  tal  fine  e'  utile  prendere  le mosse proprio da quest'ultima
 sentenza del giudice delle leggi, la quale costituisce  il  punto  di
 arrivo  di  precedente  elaborazione  della  corte costituzionale (10
 dicembre 1981 n. 185, Foro it., 1982, I, 346; 10 aprile 1987 n.  123,
 id., 1987, I, 1351).
   Pronunciandosi  sull'art.  4,  legge  29  gennaio  1994  n. 87, che
 prevede l'estinzione, con  compensazione  delle  spese,  dei  giudizi
 promossi  dai pubblici dipendenti volti ad ottenere il riconoscimento
 dell'incidenza dell'indennita' integrativa speciale sulla  buonuscita
 dei  pubblici  dipendenti,  la  corte  costituzionale  ha  dichiarato
 1'infondatezza della questione, prospettata in riferimento agli artt.
 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102, 103, 104,  108,
 e  113  della  Costituzione,  con il conseguente superamento di altre
 pure sollevate.
   Ma la corte e' pervenuta al decisum seguendo un  percorso  che,  in
 questo giudizio, deve ad approdo opposto. Infatti, passaggio cruciale
 per escludere il contrasto con l'art. 24 della Costituzione e', nella
 citata  sentenza  103  del  1995,  il  rilievo  per  cui  in tanto un
 intervento legislativo puo'  imporre  1'estinzione  del  processo  in
 quanto   con   esso   1'ambito   delle  situazioni  giuridiche  degli
 interessati risulti comunque arricchito.
   Siffatto arricchimento sussisteva, secondo la corte,  nel  giudizio
 portato al suo esame, giacche' la fissazione della misura del diritto
 dei  pubblici  dipendenti  all'incidenza  dell'indennita' integrativa
 speciale sulla buonuscita, scaturito  dalla  sentenza  d'accoglimento
 243  del  1993  della corte costituzionale, era stata demandata dalla
 corte medesima all'attivita' del legislatore, cui era  stata  rimessa
 anche   l'individuazione   dei   tempi   di   un   adeguato   computo
 dell'incidenza e della concreta realizzabilita'  del  diritto.  Corte
 costituzionale  243  cit.  preciso'  ancora  che tale realizzabilita'
 potesse improntarsi al principio di gradualita'.
   L'intervento legislativo del 1994,  pertanto,  che  tali  misura  e
 tempi  avevano  determinato,  aggiunse  quindi  qualcosa  all'assetto
 derivato dalla sentenza 243, che aveva fatto, si, sorgere diritti, ma
 non ancora determinabili.
   Di qui l'arricchimento  delle  situazioni  giuridiche  delle  parti
 interessate,  e,  quindi,  la  ritenuta  legittimita'  costituzionale
 dell'impatto sul diritto d'azione  della  regola  di  estinzione  dei
 giudizi pendenti.
   Nelle ipotesi di specie cio' non e'. Infatti, i diritti delle parti
 private  nelle  presenti  cause,  su  cui  cade la medesima regola di
 estinzione, erano "perfetti" ed  esigibili.  Scaturivano  infatti  da
 Corte  costituzionale  10 giugno 1994 n. 240, Foro it, 1994, legge n.
 2016, che ha dichiarato 1'illegittimita' costituzionale dell'art. 11,
 comma 22 legge n. 537 del 1993, nella parte in cui prevede  che,  nel
 caso  di due o piu' pensioni integrate o integrabili al minimo, delle
 quali una sola conserva il diritto  all'integrazione  al  trattamento
 minimo   ex  art.     6  d.-l.  n.  463  del  1983,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, e non risultando superati
 al  30  settembre  1983  i  limiti  di  reddito  fissati  nei   commi
 precedenti,  sia  ricondotto all'importo a calcolo dell'altra o delle
 altre pensioni non piu' integrabili, anziche'  siano  esse  mantenute
 nell'importo  spettante  al  30  settembre 1983, fino ad assorbimento
 negli  aumenti  della  pensione-base  derivanti  dalla   perequazione
 automatica.
   Ovvero da Corte costituzionale 31 dicembre 1993 n. 495, ibid., 319,
 che  ha  dichiarato illegittimo 1'art. 22 legge n. 21 luglio 1965, n.
 903 nella parte in cui non prevede che la pensione di  reversibilita'
 sia  calcolata  in  proporzione  alla  pensione  diretta integrata al
 trattamento  minimo  gia'  liquidata al pensionato o che 1'assicurato
 avrebbe comunque diritto di percepire.
   Su tali diritti non si e' quindi verificato un  qualsiasi  tipo  di
 arricchimento, ma anzi, con le su descritte misure sostanziali, i cui
 profili  di  costituzionalita'  verranno  trattati appresso, un netto
 impoverimento.
   Ecco che allora  questa  volta  1'estinzione  sembra  incidere  sul
 diritto  di  azione  e  sulla  tutela che gli accorda l'art. 24 della
 Costituzione e cio' peraltro con disparita' di  trattamento  rispetto
 ad  altre  controversie  (art.  3  della  Costituzione).  Come sembra
 collidere con gli artt.   3, 24,  101  e  102  della  carta-base,  la
 connessa  caducazione  degli  effetti  delle sentenze favorevoli alle
 parti private di cui all'ultima parte del citato comma 183.
   E come pare contrastare con gli artt. 3 e 24 della Costituzione  il
 sottrarre  al  giudice  della pretesa sostanziale portata in causa la
 statuizione sulle spese; sottrazione che si risolve in un  costo  per
 il  soggetto  titolare di una situazione soggettiva non meritevole di
 protezione inferiore rispetto ad altre, sia di varia natura,  sia  di
 natura previdenziale ed assistenziale. A quest'ultimo riguardo non si
 dimentichi,  anzi, nel considerare i pure esistenti dicta della corte
 costituzionale circa la non incidenza  del  regolamento  delle  spese
 sulla   tutela   giurisdizionale   (da   ult.,  v.  obiter  in  Corte
 costituzionale 2 aprile 1999 n. 117, Gazzetta Ufficiale, la s.s.,  14
 aprile 1999 n. 15, e precedenti ivi richiamati), come qui si verta in
 tema   di   pensioni   integrate   al   minimo   e  di  conservazione
 dell'integrazione quando non  sia  superato  un  reddito  pure  molto
 modesto.
   E  come  i  pensionati  in  causa  abbiano  dovuto compiere itinera
 processuali particolarmente elaborati, con la conseguente  pesantezza
 dei  relativi  costi.  In  qualche  caso,  per coloro la cui epoca di
 maturazione   sia   particolarmente   ravvicinata,    superiori    al
 percipiendo.
   Lo si sottolinea nuovamente, quindi, il dubbio si pone con riguardo
 alla combinazione degli artt. 3 e 24 della carta base.
   In  proposito e' il caso di aggiungere come anche nelle fattispecie
 in causa, in cui e' stata richiesta la distrazione delle spese ed  e'
 stata  riconosciuta  nelle  sentenze  d'accoglimento,  ed in cui tale
 richiesta e' stata riproposta in appello, si verifica per le parti il
 medesimo costo:  a  parte  il  possibile  abbandono  dell'istanza  di
 distrazione nel corso del procedimento, 1'estinzione del giudizio con
 compensazione   delle   spese   le  espone  comunque  all'inevitabile
 pagamento di esse al proprio difensore. Il che  significa  anche,  ed
 ancor   prima,   la   rilevanza  della  questione  pur  sotto  questa
 angolazione.
   Le conclusioni ora raggiunte impongono l'esame degli altri  profili
 ritenuti rilevanti.
   Appare,  innanzitutto,  manifestamente  infondata  la  questione di
 costituzionalita' della riportata  normativa  (novellato  comma  181)
 concernente  modalita'  e  tempi di pagamento delle somme costituenti
 capitale  maturato.  Infatti,  interventi  di  tal  tipo,   incidenti
 sull'esigibilita'  del  diritto e sul suo modo di soddisfazione, sono
 gia'  stati  attuati  dal  legislatore  e   dichiarati   conformi   a
 costituzione.  In  particolare, il parziale pagamento dell'indennita'
 di  contingenza  e, si badi bene, anche dell'istituto analogo proprio
 dei  trattamenti  pensionistici,  a  mezzo  di   buoni   del   tesoro
 poliennali,  quale  disposto  dall'art.   1, d.-l. 11 ottobre 1976 n.
 699, convertito, con modificazioni, nella legge 10 dicembre  1976  n.
 797,   fu   ritenuto   costituzionalmente   legittimo   dalla   corte
 costituzionale in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 23, 36,  39,  e  53
 Cost.: Corte costituzionale 30 luglio 1980 n. 141, Foro it., 1980, I,
 2641.
   Rimandando  per  il  resto  alla  motivazione  di tale sentenza, va
 soprattutto qui evidenziato che temporaneita' della  misura,  in  uno
 con  il  fatto  che i buoni del tesoro per il futuro garantiscono una
 redditivita', esclude l'effetto ablatorio impedito dall'art. 53 della
 Costituzione.  L'operare, poi, la misura stessa in presenza di  altra
 pensione evita il contrasto con l'art. 38 della Costituzione.
   Il  tribunale  e'  consapevole  del fatto che a differenza del caso
 esaminato da Corte  costituzionale  n.  141  del  1980  cit.  qui  il
 sacrificio  non  e' ripartito fra piu' categorie, e riguarda anzi una
 sola categoria di soggetti  particolarmente  svantaggiati.  Come  non
 ignora che sulla scorta di tali rilievi la corte di cassazione si sia
 pronunciata  diversamente,  sollevando questione di costituzionalita'
 della norma simile a quella originaria del comma 181 cit.  del  d.-l.
 28  marzo  1966 n. 168, poi decaduto e reiterato con altri, anch'essi
 non convertiti in legge (Cass. ord. 2 maggio 1996 n. 382,  Foro  it.,
 1996, I, 2015).
   Il tribunale ritiene pero' che la particolare, enorme portata della
 spesa sottostante alla materia in questione giustifichi la previsione
 della  gradualita'  del  pagamento  da  parte  della  amministrazione
 pubblica, purche'  di  essa  solo  si  tratti  e  non  di  intervento
 depauperativo  dei diritti (v. postea). Del resto, lo si e' visto, la
 Corte costituzionale, nella citata sentenza 243  del  1993,  ha  gia'
 indicato    la    gradualita'    come   principio   cui   improntarsi
 legislativamente ai fini della concreta realizzabilita' di diritti  i
 cui costi ricadano sulla finanza pubblica, "tenuto conto delle scelte
 di politica economica necessarie al reperimento delle risorse".
   Ne' pare poi avere rilievo alcuno la circostanza che qui la tecnica
 di  pagamento e' diversa, per risolversi in emissioni di titoli non a
 diretto favore degli interessati, e in pagamento a questi del  dovuto
 da  parte  dell'Inps  cui  va  versato  il  denaro  realizzato con le
 emissioni dei titoli stessi.
   Tale rilievo lo avrebbe, invece, se, come sostenuto dai procuratori
 di alcuni pensionati, il meccanismo non prevedesse i  dies  a  quibus
 dei    pagamenti,    i    quali    invece,    anche    alla   stregua
 dell'interpretazione adeguatrice, vanno individuati nelle singole sei
 scadenze annuali a partire dall'anno di entrata in vigore della legge
 - quindi, fine  1999  -  il  debito  dell'Inps  essendo  slegato  dai
 versamenti  del  denaro  realizzato  con  le emissioni. I versamenti,
 infatti, attengono solo ai rapporti tra amministrazione  dello  Stato
 ed ente.
   Diverso  e'  circa  la norma del novellato comma 182, quella per la
 quale  sugli  arretrati  maturati  al  31  dicembre  1995  e'  dovuta
 esclusivamente  una somma pari al 5 per cento dell'importo maturato a
 tale data (art.  36, comma 1).
   Al  riguardo  va posto in luce che all'applicazione della normativa
 generale in materia segue la produzione  sia  degli  interessi,  sia,
 fino  al 31 dicembre 1991, del danno da svalutazione (cfr. Cass. s.u.
 26 giugno 1996 n. 5895, Foro it., 1996, I, 3027), a  norma  dell'art.
 429,  comma 3, cod. proc. civ., quale esteso ai crediti previdenziali
 e  assistenziali,  con  qualche  differenza  della  disciplina  della
 decorrenza,  da Corte costituzionale 12 aprile 1991 n. 156 (Foro it.,
 1991, I, 1321); per il  successivo  periodo,  in  una  situazione  di
 svalutazione inferiore al tasso legale, i soli interessi, ex art. 16,
 comma 6, legge 30 dicembre 1991 n. 412.
   Applicandosi  la  legge  del  1998, il dovuto ai pensionati diviene
 molto inferiore, risolvendosi in una sorta di  forfettizzazione  (5%)
 dei  soli interessi sull'intero credito maturato al 31 dicembre 1995.
 Il  che'  significa  il   mancato   riconoscimento   del   danno   da
 svalutazione,  e  la  mancata  considerazione  del diverso periodo di
 maturazione dei vari crediti e della produzione degli interessi  anno
 per  anno.  E, si badi bene, si tratta di interessi annuali del 5%, e
 per un certo periodo del 10%.
   Onde il dubbio di costituzionalita',  sembrando  avere  inciso  sui
 predetti  diritti  la norma in questione, con la conseguente tensione
 con gli artt. 38 e 3 della  Costituzione.  Appare  infatti  priva  di
 ragionevolezza  una  disparita'  di trattamento che si realizzi nella
 considerazione del ritardo  nella  percezione  di  crediti  di  rango
 costituzionale  (appunto, art. 38), non solo e non tanto in misura in
 qualche caso irrilevante ed inferiore allo stesso tasso di inflazione
 - una sorta di tributo sganciato  dalla  capacita'  contributiva:  v.
 art. 53 della Costituzione - quanto a danno di categorie di soggetti,
 si  e'  visto,  particolarmente  svantaggiate persino nell'area della
 previdenza  e  dell'assistenza  sociale.  Si  fa  davvero  fatica   a
 comprendere  perche'  debba  applicarsi  il  regime  generale  ad  un
 pensionato con riguardo agli arretrati attinenti il medesimo  periodo
 del  trattamento  di  vecchiaia,  per ipotesi di ingente grandezza, e
 quello speciale - ed estremamente sfavorevole - nel caso di arretrati
 dovuti  alla  cristallizzazione   dell'integrazione   al   minimo   o
 all'incidenza    dell'integrazione    stessa    sulla   pensione   di
 reversibilita'.
   La  legge  del  1998,  invece,  appare  rispettosa   delle   regole
 costituzionali  con  riguardo  alla  produzione degli interessi sulle
 somme ancora da rimborsare per gli anni successivi al dicembre  1995,
 per le quali gli stessi sono dovuti sulla base di un tasso annuo pari
 alla  variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di
 operai ed impiegati accertata dall'Istat per l'anno precedente.
   In definitiva, il tribunale ritiene non  manifestamente  infondate,
 le  questioni  di  costituzionalita' dell'art. 1, comma 182, legge n.
 662 cit., e successiva modificazione, quale sostituito dall'art.  36,
 comma 5, legge n. 448 cit., nella parte in cui prevede che i  giudizi
 pendenti  alla  data  di  entrata in vigore della legge n. 448 stessa
 aventi ad oggetto le questioni di cui ai commi 181 e  182,  legge  n.
 662  stessa sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle
 spese, in riferimento agli artt. 3, e 24 della Costituzione, e  nella
 parte  in  cui  prevede  che  i  provvedimenti  giudiziari non ancora
 passati in giudicato restano privi di effetto,  in  riferimento  alle
 stesse norme e agli artt. 101 e 102 della Costituzione.
    Ritiene  ancora  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 1, comma 182 cit.,  sostituito  dall'art.
 36,  comma 1, nella parte in cui prevede che sugli arretrati maturati
 al 31 dicembre 1995 e' dovuta esclusivamente una somma pari al 5  per
 cento dell'importo maturato a tale data, in riferimento agli artt. 3,
 38,  53 della Costituzione.  Ritiene invece infondata la questione di
 costituzionalita' dell'art.
  1, comma 181 cit., quale modificato dall'art 3-bis, d.-l.  79  cit.,
 prospettata in riferimento agli artt. 3, 24, 53 della Costituzione;
                               P. Q. M.
   Dichiara    non    manifestamente   infondate   le   questioni   di
 costituzionalita' dell'art. 1, comma 182, legge n. 662 del 1996, come
 modificato dal d.-l. n. 79 del 1997, convertito,  con  modificazioni,
 nella legge n. 140 del 1997, nel testo sostituito dall'art. 36, comma
 5,  legge  n.  448  del  1998, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione;
   Dichiara   non   manifestamente   infondata   la    questione    di
 costituzionalita'  dell'art.  1,  comma  182  cit.,  quale sostituito
 dall'art. 36, comma 1, legge n. 448 cit., nella parte in cui  prevede
 che  sugli  arretrati  dei  crediti  maturati  al 31 dicembre 1995 e'
 dovuta esclusivamente una somma pari  al  5  per  cento  dell'importo
 maturato a tale data;
   Dichiara manifestamente infondata la questione di costituzionalita'
 dell'art.  1,  comma  181, legge 662 cit., quale modificato dall'art.
 3-bis, d.-l. 79 del 1997, introdotto dalla legge di  conversione  140
 dello stesso anno;
   Sospende  le  cause  riunite  nel  presente  procedimento, e ordina
 trasmettersi gli  atti  alla  Corte  costituzionale,  notificarsi  il
 provvedimento alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicarsi  lo  stesso ai Presidenti della Camera dei deputati e del
 Senato della Repubblica.
     Milano, addi' 28 giugno 1999.
                        Il presidente: Mannacio
                                      Il giudice estensore: De Angelis
 99C1003