N. 381 SENTENZA 30 settembre - 7 ottobre 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Questione  di  legittimita'  costituzionale  -   Sopravvenuta   nuova
 normativa    a    modifica    della    disposizione    denunciata   -
 Inapplicabilita', per espressa  previsione  ai  giudizi  in  corso  -
 Perdurante rilevanza nel giudizio principale della questione proposta
 sulla norma previgente.
 
 (C.P.P., art. 11; legge 2 dicembre 1998, n. 420).
 
 Processo penale - Procedimenti riguardanti i magistrati - Ipotesi in
 cui  il  magistrato  e'  persona  offesa  o danneggiata da un reato -
 Competenza per territorio - Spostamento - Disciplina in  deroga  alle
 regole  generali  -  Possibilita'  di ricomprendervi il caso in cui i
 fatti, per  i  quali  si  procede  penalmente  siano  stati  commessi
 successivamente   al  trasferimento  del  magistrato  in  un  ufficio
 giudiziario di  altro  distretto  e  siano  riferibili  all'attivita'
 svolta  in precedenza dal medesimo magistrato nel distretto nel quale
 si  procede  -  Omessa   previsione   -   Denunciata   compromissione
 dell'imparzialita' e indipendenza del giudicante, con menomazione del
 diritto  di  difesa e del principio di eguaglianza - Discrezionalita'
 del legislatore in materia - Esercizio ne' arbitrario  o  irrazionale
 ne'  lesivo  delle  garanzie  preordinate  a un giusto processo - Non
 fondatezza della questione.
 
 (C.P.P., art. 11, comma 1).
 
 (Cost., artt 3, 24, 97, 101 e 107).
 
 Uffici  pubblici  -  Buon  andamento   e   imparzialita'   -   Canoni
 costituzionali - Applicabilita' agli uffici giudiziari, limitatamente
 all'ordinamento amministrativo e non all'esercizio della funzione.
 
 (Cost., art. 97).
 
(GU n.41 del 13-10-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
 Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.
 Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
 avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  26
 marzo 1998 dal pretore di Belluno nel procedimento penale a carico di
 Aurelio  Corrado,  iscritta  al  n. 558 del registro ordinanze 1998 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  36,  prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di costituzione di Aurelio Corrado nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice  relatore
 Cesare Mirabelli;
   Udito  l'avvocato  dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del
 Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel  corso  di  un  procedimento   penale   promosso   con
 l'imputazione  di  diffamazione  (art.  595 cod. pen.) in danno di un
 magistrato che aveva esercitato  le  funzioni  di  Procuratore  della
 Repubblica  presso  la  Pretura  circondariale  di Belluno, ma che al
 momento del fatto per il quale si procedeva gia' prestava servizio in
 un altro distretto giudiziario, il pretore di Belluno, con  ordinanza
 emessa  il 26 marzo 1998, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3,
 24, 97, 101 e 107 della  Costituzione  -  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.    11,  comma  1,  del  codice di procedura
 penale,  nella  parte  in  cui  non  prevede  lo  spostamento   della
 competenza  territoriale  nel  caso  in  cui  un  magistrato  gia' in
 servizio nel  distretto  assuma  la  qualita'  di  persona  offesa  o
 danneggiata  dal  reato  per  fatti  commessi  successivamente al suo
 trasferimento, ma riferiti unicamente ed immediatamente all'esercizio
 delle funzioni che egli ha svolto in quel distretto.
   La disposizione denunciata, nel disciplinare la  competenza  per  i
 procedimenti  riguardanti i magistrati, stabilisce che quando secondo
 le regole generali  sarebbe  competente  per  territorio  un  ufficio
 giudiziario  compreso  nel  distretto  in cui il magistrato imputato,
 persona offesa o danneggiata dal  reato  esercita  le  sue  funzioni,
 ovvero   le  esercitava  al  momento  del  fatto,  la  competenza  e'
 attribuita al giudice che ha sede  nel  capoluogo  del  distretto  di
 corte d'appello piu' vicino.
   Il  pretore  di  Belluno  considera questa disciplina una eccezione
 alle regole generali sulla competenza per territorio e  ritiene  che,
 non  essendo  suscettibile  di interpretazione estensiva o analogica,
 essa non trovi applicazione  al  caso  sottoposto  al  suo  giudizio.
 Tuttavia,  se  i  fatti commessi successivamente al trasferimento del
 magistrato in altro  distretto  siano  riferiti  all'esercizio  delle
 funzioni da lui in precedenza svolte, ricorrerebbe lo stesso pericolo
 di    condizionamento   psicologico   e   di   concreto   pregiudizio
 dell'indipendenza  del  giudice  e   dell'imparzialita'   delle   sue
 decisioni,  che  ha  indotto  il legislatore a spostare la competenza
 territoriale per i procedimenti riguardanti i magistrati.  Ad  avviso
 del  giudice  rimettente,  la  mancata previsione, anche nel caso che
 viene  prospettato, dello stesso spostamento di competenza violerebbe
 i  principi  costituzionali  di  eguaglianza  (art.    3  Cost.),  di
 soggezione  del  giudice soltanto alla legge (artt. 101 e 107 Cost.),
 di imparzialita' nell'esercizio delle  pubbliche  funzioni  (art.  97
 Cost.).
   La  stessa  esigenza di garantire l'assoluta terzieta' del giudice,
 cosi' evitando il sospetto di una possibile menomazione  del  diritto
 di  difesa  (art.  24  Cost.),  sussisterebbe  non solo quando vi sia
 esercizio attuale, o al momento del fatto,  di  funzioni  giudiziarie
 nel distretto, ma anche quando il fatto, pur commesso successivamente
 al  trasferimento del magistrato, si riferisca alle funzioni che egli
 ha esercitato nel distretto dove sarebbe altrimenti radicata, secondo
 le regole generali, la competenza per il giudizio.
   2. - Si e' costituito  dinanzi  alla  Corte  l'imputato  che  aveva
 proposto  l'eccezione di legittimita' costituzionale nel procedimento
 penale, sostenendo la fondatezza della questione.
   Ad avviso della parte privata, l'art. 11 cod. proc. pen. dispone lo
 spostamento della competenza  territoriale  per  i  procedimenti  che
 riguardano  i  magistrati,  con  lo  scopo  di garantire che i legami
 personali che possono instaurarsi tra magistrati,  i  quali  svolgono
 funzioni  giudiziarie  nello  stesso distretto, non influiscano sulla
 serenita' ed imparzialita' di giudizio quando uno di essi  assuma  la
 qualita' di imputato, di parte offesa o danneggiata dal reato.
   La  parte privata ammette che il legislatore puo' discrezionalmente
 stabilire l'ambito della deroga alle regole generali della competenza
 territoriale; ma ritiene irragionevole non prevedere la stessa deroga
 quando  i  fatti  penalmente  perseguibili,  pur  commessi  dopo   il
 trasferimento  del magistrato ad altro distretto, si riferiscano alle
 funzioni svolte nella sede nella quale si procede.  Anche  in  questo
 caso,   difatti,   potrebbero   essere   turbate   la   serenita'   e
 l'obiettivita'  del  giudizio,   soprattutto   se   la   consecuzione
 cronologica  rispetto  all'avvenuto  trasferimento del magistrato sia
 cosi' ristretta, da non  poter  essere  ravvisata  una  significativa
 soluzione di continuita'.
   3.  -  E'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
   L'Avvocatura ricorda che, nel valutare altre situazioni nelle quali
 i  rapporti  interpersonali tra giudici potrebbero far dubitare della
 loro serenita' ed imparzialita', la giurisprudenza costituzionale  ha
 affermato   che   rientra   nella  discrezionalita'  del  legislatore
 stabilire se ed in quale misura i rapporti che si creano  nell'ambito
 dell'organizzazione  giudiziaria,  tra  organo e singoli, influiscano
 sulla determinazione della competenza.
   Questa   scelta   non   sarebbe   sindacabile   nel   giudizio   di
 costituzionalita',  se  non concreta un mero arbitrio: questa ipotesi
 non ricorrerebbe nel caso in esame, essendo  giustificato  sul  piano
 logico   distinguere,   ai  fini  della  individuazione  del  giudice
 competente, i fatti commessi in danno del magistrato  nell'attualita'
 dell'esercizio  delle sue funzioni in un ufficio giudiziario compreso
 nel distretto del giudice che sarebbe competente  secondo  le  regole
 generali,  dai  fatti  commessi  in  epoca successiva alla cessazione
 dell'esercizio  delle  funzioni  nello  stesso  distretto,  anche  se
 collegati  ad  esse.  Non  sarebbe,  difatti, irrazionale considerare
 nella   prima   ipotesi  piu'  elevato  il  rischio  che  vincoli  di
 solidarieta' tra  magistrati  possano  influire  sulla  serenita'  ed
 imparzialita' del giudizio.
                        Considerato in diritto
   1.  -    La  questione  di  legittimita'  costituzionale investe la
 disciplina della  competenza  per  territorio  nei  procedimenti  che
 riguardano  i  magistrati.  L'art.  11 del codice di procedura penale
 dispone che, quando un magistrato assume la qualita' di imputato,  di
 persona  offesa  o  danneggiata  da  un  reato,  il procedimento che,
 secondo le regole generali, sarebbe attribuito alla competenza di  un
 ufficio  giudiziario  compreso  nel  distretto  in  cui il magistrato
 esercita le sue funzioni, o le esercitava al momento  del  fatto,  e'
 attribuito  alla  competenza  del  giudice, egualmente competente per
 materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di  corte  d'appello
 piu' vicino.
   Il  pretore di Belluno ritiene che questa disposizione possa essere
 in contrasto con gli artt. 3, 24, 97, 101 e 107  della  Costituzione,
 nella  parte  in  cui non prevede lo stesso spostamento di competenza
 territoriale per il reato commesso successivamente  al  trasferimento
 del  magistrato  in un ufficio giudiziario di altro distretto, quando
 tuttavia i fatti siano riferiti  unicamente  ed  immediatamente  alle
 funzioni  esercitate  nel  distretto  in  cui  si procede penalmente.
 Difatti, il mancato spostamento della  competenza  determinerebbe  il
 rischio  di  un  condizionamento  psicologico  del  giudice,  tale da
 pregiudicarne l'indipendenza e l'imparzialita', cosi' menomando anche
 il diritto di difesa. Inoltre il rischio derivante  dal  rapporto  di
 colleganza  professionale  sarebbe  lo  stesso sia quando l'esercizio
 delle funzioni nel distretto e' attuale, o  lo  era  al  momento  del
 fatto,   sia   quando  il  fatto,  pur  commesso  successivamente  al
 trasferimento del  magistrato,  si  riferisca  all'attivita'  da  lui
 svolta in quel distretto.
   2.  -  Successivamente all'ordinanza di rimessione, la disposizione
 denunciata e' stata sostituita dall'art. 1  della  legge  2  dicembre
 1998, n. 420, che ha dettato nuovi criteri per individuare il giudice
 competente  nei procedimenti riguardanti i magistrati; criteri che si
 applicano, come espressamente prevede l'art. 8 della stessa legge, ai
 procedimenti relativi ai  reati  commessi  successivamente  alla  sua
 entrata in vigore.
   La  questione di legittimita' costituzionale, che continua ad avere
 per oggetto l'art. 11 cod. proc. pen. nel testo vigente  prima  della
 legge n. 420 del 1998, mantiene integra la sua rilevanza nel giudizio
 principale,  indipendentemente  dalla  identita'  e  continuita'  del
 contenuto normativo tra vecchia e nuova disposizione.
   3. - La questione non e' fondata.
   La struttura  del  processo  puo'  essere  articolata  secondo  una
 molteplicita'  di  modelli,  i  cui  istituti  sono discrezionalmente
 determinati e disciplinati dal legislatore, il  quale  puo'  adottare
 strumenti  diversi  ma  egualmente idonei a garantire il rispetto dei
 princi'pi costituzionali, assicurando in particolare l'indipendenza e
 l'imparzialita'  del  giudice,  che   costituiscono   presupposto   e
 requisito  essenziale  di  ogni  giusto processo.   Risponde a questa
 esigenza la previsione,  in  deroga  alle  regole  generali,  di  una
 particolare  disciplina  della  competenza  per  i  procedimenti  che
 riguardano i magistrati, quando il magistrato interessato al processo
 eserciti  le sue funzioni nello stesso ufficio che sarebbe competente
 per il giudizio, oppure in altro ufficio a  questo  collegato  da  un
 rapporto  organizzativo o funzionale, si' da poter far dubitare della
 indipendenza  ed  imparzialita'  del  giudice.  In  questo  caso   lo
 spostamento   della   competenza   si  giustifica  e  costituisce  un
 meccanismo tradizionalmente  adottato  dal  legislatore,  gia'  nella
 prima  codificazione unitaria (art. 37 cod. proc. pen. del 1865), pur
 se varia e' la regolamentazione che si e' succeduta nel tempo. L'art.
 11 cod. proc. pen.  ha  stabilito  lo  spostamento  della  competenza
 territoriale   secondo  un  criterio  predeterminato  ed  automatico,
 diretto a rispondere al  principio  di  precostituzione  del  giudice
 (art. 25 Cost.).
   La  disposizione  denunciata,  attribuendo  rilievo  alle  funzioni
 svolte da uno dei soggetti del processo  ed  alla  relazione  che  ne
 deriva  con  l'ufficio  giudicante,  ha  stabilito una eccezione alle
 regole generali della competenza territoriale, ancorate al luogo  del
 commesso   reato.   Ma  questa  eccezione  alle  regole,  pur  se  e'
 determinata dalla qualita' di uno dei soggetti del  processo,  rimane
 nell'ambito  della logica propria dei criteri di determinazione della
 competenza, in quanto ancorata ad elementi oggettivi di  luogo  e  di
 tempo  (nella  specie  costituiti  dall'ufficio  presso  il  quale il
 magistrato esercita o esercitava le funzioni al momento  del  fatto).
 Questi  elementi richiedono una ricognizione estrinseca del reato per
 il  quale  si  procede,  senza  che  siano  necessari   apprezzamenti
 valutativi  o  discrezionali,  quali  si vorrebbero invece introdurre
 estendendo i casi di spostamento della  competenza  sia  in  base  al
 nesso  tra il fatto oggetto del giudizio e le funzioni esercitate dal
 magistrato interessato, sia in base alla  vicinanza  temporale  della
 commissione  del  fatto  rispetto  al  pregresso  esercizio  di  tali
 funzioni  nell'ufficio  giudiziario  competente  secondo  le   regole
 generali.
   Un apprezzamento valutativo e', invece, inerente ad altri istituti,
 quali l'astensione e la ricusazione, egualmente diretti ad assicurare
 la imparzialita' del giudice, sempre coessenziale al giudizio, quando
 rilevino  profili  soggettivi connessi al rapporto che egli, sia pure
 per ragioni del suo ufficio, possa avere  con  una  delle  parti  del
 processo.
   4.  -  Se  viene attribuito rilievo alle funzioni svolte da uno dei
 soggetti   del   processo   per   spostare   l'ordinaria   competenza
 territoriale,  e' sempre necessario che siano delimitati l'estensione
 e l'ambito territoriale della deroga. Altrimenti, considerando  nella
 sua piu' ampia latitudine l'incidenza di tali funzioni ed il rapporto
 di colleganza tra magistrato-giudice e magistrato-parte del processo,
 la  deroga  alla  competenza  sarebbe  tale da potersi tradurre nella
 incompetenza di qualsiasi ufficio giudiziario,  sino  a  non  rendere
 possibile l'esercizio della stessa giurisdizione.
   Se  e'  dunque  sempre  necessaria  la  delimitazione  da parte del
 legislatore dei casi di spostamento della competenza,  rientra  nella
 sua  discrezionalita', da esercitare nei limiti della ragionevolezza,
 determinarne l'ambito, con una scelta che puo' essere  sindacata  nel
 giudizio  di  costituzionalita'  solo  se  arbitraria  o  palesemente
 irragionevole, tenendo conto anche della necessaria generalita' delle
 norme sulla competenza,  in  rispondenza  al  principio  del  giudice
 naturale precostituito per legge. Questi limiti non sono superati dal
 criterio territoriale e temporale di deroga alla ordinaria competenza
 stabilito dall'art. 11 cod. proc.  pen., che attribuisce rilievo, dal
 punto  di vista territoriale, alle funzioni esercitate dal magistrato
 nell'ambito del distretto giudiziario,  che  costituisce  una  unita'
 organizzativa  e  funzionale che comprende l'ufficio di appartenenza,
 e, dal punto di vista temporale, alla coincidenza  di  tali  funzioni
 con  il  servizio  prestato  al momento del giudizio o al momento del
 fatto per il quale si procede. Questa delimitazione  della  eccezione
 alle  regole  generali  della  competenza  territoriale,  ancorata  a
 giustificati criteri obiettivi, non appare arbitraria  o  irrazionale
 ne' lesiva delle garanzie preordinate ad un giusto processo, indicate
 dal  giudice  rimettente,  tanto  piu'  se  si  considera  che  altre
 situazioni  nelle  quali  si  possa  in   concreto   dubitare   della
 imparzialita'   del   giudice,  in  ragione  di  rapporti  personali,
 innestati  sul  rapporto  di  ufficio,  possono  e  debbono   trovare
 soluzione  ricorrendo  ai gia' menzionati istituti della astensione e
 della  ricusazione,   egualmente   preordinati   a   garantire   tale
 indefettibile imparzialita'.
   5.  -  La  questione  non e' fondata neppure sotto il profilo della
 denunciata lesione del principio di eguaglianza. Le situazioni  poste
 a  raffronto,  difatti,  non  sono  identiche: diverso e' il rapporto
 inerente  all'esercizio  attuale   delle   funzioni   nel   distretto
 competente  per  il  giudizio  o all'esercizio di esse al momento del
 fatto, rispetto alle molteplici situazioni  che  possono  verificarsi
 quando  l'esercizio  delle  funzioni  sia cessato e, quindi, vi e' un
 distacco tra tale esercizio e l'ufficio competente per il giudizio.
   6. - Ugualmente  insussistente  e'  la  denunciata  violazione  del
 principio  di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione,
 alla cui realizzazione e'  vincolata  l'organizzazione  dei  pubblici
 uffici  (art.    97  Cost.).  Questo  principio  riguarda  gli organi
 dell'amministrazione  della  giustizia  solo   per   quanto   attiene
 all'ordinamento  amministrativo,  mentre non si estende all'esercizio
 della giurisdizione (tra le molte:  sentenze n. 53 del 1998 e n.  313
 del 1995; ordinanze n. 68 del 1999 e n. 189 del 1997).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 11, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata,  in
 riferimento  agli  artt. 3, 24, 97, 101 e 107 della Costituzione, dal
 pretore di Belluno con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 settembre 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Mirabelli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 7 ottobre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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