N. 606 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 luglio 1999
N. 606 Ordinanza emessa il 1 luglio 1999 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Albertoni Valeria e Cadamosti Crespi Ines Locazione di immobili urbani - Immobili ad uso abitativo - Ritardata restituzione, a causa di sospensione legale dell'esecuzione degli sfratti - Prevista maggiorazione del venti per cento sul canone aggiornato alle variazioni dell'indice ISTAT - Esenzione del conduttore dall'obbligo di risarcire il maggior danno ai sensi dell'art. 1591 cod. civ. - Irragionevolezza per la mancata possibilita' di determinazione del danno effettivo - Violazione del principio di eguaglianza per la prevista applicabilita' della disposizione ai giudizi in corso - Lesione dei diritto di proprieta'. - Legge 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6, comma 6. - Cost., artt. 3 e 42.(GU n.44 del 3-11-1999 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in grado d'appello n. 6623/1998 fra Albertoni Valeria con l'avv. Borsi Franchi e Cadamosti Crespi Ines con l'avv. Rapio; F a t t o Perdurando l'occupazione di un appartamento sito in Milano, via Crivelli n. 6, da parte della conduttrice Ines Cadamosti Crespi, pur dopo la scadenza del contratto al 31 dicembre 1982 e la pronuncia giudiziale di rilascio, dopo innumerevoli accessi dell'ufficiale giudiziario, nel luglio 1996 la proprietaria Clara Sestilli chiese il risarcimento del danno ex art. 1591 c.c. L'adito pretore di Milano, nel contraddittorio fra le parti, applico' l'art. 1-bis della legge n. 61/1989 e pronuncio' condanna della conduttrice a risarcire il danno nella misura del 20% del canone, respingendo la maggior domanda. Di cio' si duole ora la Clara Sestilli, in sede di appello davanti a questo tribunale, chiedendo il ristoro del suo reale danno, volta che il pretore ha fatto una applicazione non corretta dell'art. 1-bis della legge n. 61/1989. Nelle more del giudizio di appello e' entrata in vigore la legge n. 431/1998, il cui art. 6 disciplina la materia del rilascio e del danno da ritardato rilascio (comma 6), e che deve applicarsi al giudizio in corso, intendendosi l'art. 14, comma 5, riferito a norme di carattere processuale, per quel che riguarda i "giudizi in corso", come si comprende se si collega il comma 5 al comma 4, di cui e' fisiologica appendice. Questo tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 6, della legge n. 431/1998. La questione e' rilevante in causa, poiche' il danno da risarcirsi, richiesto dalla parte locatrice e' molto superiore a quello parametrato su detta norma. Le ragioni del dubbio nascono dai seguenti motivi di D i r i t t o 1. - L'art. 6, comma 6, della legge n. 431/1998 forfettizza nella misura di un 20% in piu' il ristoro del pregiudizio sofferto dal locatore a causa della mancata restituzione dell'immobile. Le incoerenze di tale congegno risarcitorio sono evidenti, a partire dal totale scollamento della norma dalla verifica della realta' di danno; e inoltre per la cervellotica misura, espressa peraltro come percentuale rispetto al canone. Un simile congegno avrebbe un senso, almeno di coerenza interna, rispetto alle regole della logica e dell'algebra, se: tutti i ritardi nella restituzione di qualsivoglia immobile abitativo producono il medesimo danno; i danni da ritardo sono proporzionali al vecchio canone pagato. E' intuitivo che detti postulati sono falsi; e anzi il secondo e' uno sproposito. In realta', il danno di chi ha locato a canone infimo, e deve contentarsi di "infimo + 20% di infimo" e' inversamente proporzionale.. In termini giuridici, accade che il locatore che non ha alcun danno dal ritardo (poniamo, perche' ha fatto un vantaggioso contratto con patti in deroga), si vede attribuire un indennizzo identico a quello che viene attribuito a un altro locatore, che invece patisce un danno enorme (poniamo, perche' il canone e' infimo); e fra quanti patiscono danno variamente graduato, enorme o piccolo o medio, secondo i casi, il trattamento e' uguale per tutti. E a nessuno si chiede se il danno e' reale o supposto o temuto o virtuale; per tutti e' un "dannetto" del 20% sul canone. E al giudice e' impedito di vagliare e verificare e giudicare, insomma di fare il suo mestiere di guardare in faccia la verita'; il suo compito e' di ragioneria, di aggiunta del 20%. Ora, se e' vero che dalla legge ordinaria non si puo' pretendere la coerenza cartesiana in tema di egualianza fra cittadini, non si puo' neanche pero' stracciare il criterio di ragionevolezza al punto da violare l'art. 3 della Costituzione in profondita'; il divieto della diversificazione secondo verita' dei diritti risarcitori, puo' largire a taluno qualcosa che non gli spetta nel mentre deruba altri di cio' che gli spetta. 2. - Sotto un altro profilo, e tenuto conto che in concreto la norma sul 20% in piu' e' in realta' non un regalo, ma una limitazione, una vera e propria taxatio damni pesantemente limitativa dei diritti del creditore, viene in esame il profilo della retroattivita' della norma; nel senso che tutto il credito accumulatosi nel salvadanaio del locatore che da anni ha agito in giudizio, e da anni attende la sentenza sul risarcimento, si incenerisce, e ne resta solo un pugnetto che pesa come il 20% del canone. Il frutto di questa operazione e' un repentino travaso di ricchezza (gia' presente, se si intende che un diritto di credito fa parte dell'attivo patrimoniale) dalla sfera giuridica di un cittadino alla sfera giuridica di un altro cittadino, senza altra ragione se non quella che una legge all'improvviso dice cosi'. Anche sotto questo profilo risulta violato il principio di uguaglianza di cui all'art. 3. 3. - Questa specie di "espropriazione" urta anche con l'art. 42 della Costituzione, se si indende che la proprieta' di cui ivi si parla (e che si tutela come presidio di liberta' e dignita' umana) e' vulnerata tutte le volte che il diritto di averne il godimento legittimo (come nel caso di attesa di rilascio di un immobile gia' locato) e' illecitamente violato e a quell'illecito vien tolta la sanzione del giusto risarcimento, che e' principio di diritto naturale non comprimibile all'infinito. Cio' infatti si riverbera in un prolungarsi dell'illecito praticamente sine poena nec pretio, come un minimo esame panoramico della situazione generale dimostra; e come, almeno in questa causa, dimostrano i 17 anni (sin qui) di occupazione dopo la fine del contratto e i 23 (finora) accessi dell'ufficiale giudiziario.
P. Q. M. Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del'art. 6, comma 6, della legge n. 431/1998, in relazione agli articoli 3 e 42 della Costituzione. Sospende il giudizio. Dispone che il cancelliere notifichi questa ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la comunichi al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei Deputati, nonche' alle parti in causa; indi trasmetta gli atti alla Corte costituzionale. Milano, addi' 1 luglio 1998 Il presidente: Anzani 99C1066