N. 452 ORDINANZA 13 - 17 dicembre 1999

 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Reato in  genere  -  Prescrizione  -  Interruzione  del  corso  della
    prescrizione  -  Procedimento  pretorile  -  Effetto  interruttivo
    decorrente dall'emissione del decreto  di  citazione  a  giudizio,
    anziche'   dalla   sua   notificazione  -  Dedotta  disparita'  di
    trattamento della parte privata rispetto al pubblico  ministero  e
    tra  i destinatari degli atti interruttivi, nonche' violazione del
    diritto di difesa - Manifesta infondatezza della questione.
     Cod. pen., art. 160.
     Costituzione, artt. 3 e 24 (anche in relazione all'art.  6  della
    convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti dell'uomo e delle
    liberta' fondamentali, resa esecutiva con la legge 4 agosto  1955,
    n. 848).
 
(GU n.51 del 22-12-1999 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof. Cesare MIRABELLI,   prof.
 Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.  Cesare  RUPERTO,
 dott.  Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 160 del codice
 penale, promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1998 dal  pretore
 di  Lecce, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 1999 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
 dell'anno 1999.
   Udito nella camera di consiglio del  27  ottobre  1999  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
   Ritenuto  che il pretore di Lecce, nel procedimento a carico di due
 persone imputate del  delitto  di  tentata  truffa,  commesso  il  15
 ottobre  1990,  dopo aver puntualizzato che il decreto di citazione a
 giudizio emesso, con la sottoscrizione "sia  del  pubblico  ministero
 sia  dell'ausiliario  che  lo assiste", il 13 ottobre 1995, era stato
 notificato ad una imputata il 28 novembre 1995 ed all'altra  imputata
 il  24 novembre 1995 e che, dunque, ove si avesse avuto riguardo alla
 data di emissione dell'atto introduttivo del giudizio, il  reato  non
 sarebbe  risultato  prescritto,  diversamente  da  quanto  si sarebbe
 verificato se si fosse presa in considerazione la  data  di  ciascuna
 delle notificazioni, entrambe eseguite oltre i cinque anni dal tempus
 commissi  delicti,  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 24
 della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  dell'art.  160 del
 codice penale, nella parte in cui - secondo  l'interpretazione  della
 giurisprudenza  pressoche'  consolidata  della  Corte di cassazione -
 prevede che il corso della prescrizione e' interrotto  dall'emissione
 del  decreto di citazione a giudizio anziche' dalla notificazione del
 decreto stesso;
     che, il giudice a quo, nel riprodurre il testo di altra ordinanza
 di rimessione relativa alla medesima questione, adottata nello stesso
 processo e dichiarata inammissibile da questa Corte con ordinanza  n.
 184  del  1998,  per  difetto  di motivazione in punto di rilevanza -
 precisata  la  concreta  incidenza   della   norma   denunciata   nel
 procedimento  in  corso - ravvisa nella norma cosi' come interpretata
 violazione del principio di eguaglianza, vulnerato  sia  perche'  nel
 procedimento  pretorile  il  decreto  di  citazione  a giudizio viene
 emesso dal pubblico  ministero,  con  la  conseguenza  che  la  parte
 privata  viene  a trovarsi "in posizione di inferiorita'" rispetto ad
 un  soggetto  che  e'  anch'egli  parte,  "in   quanto,   apprendendo
 l'esistenza di un procedimento nei suoi confronti dopo il decorso del
 termine di prescrizione (quando ormai poteva ragionevolmente ritenere
 estinto  il reato eventualmente configurabile a suo carico), incontra
 senz'altro  maggiori  difficolta'  per  la  raccolta  del   materiale
 probatorio  a  sua  difesa",  sia  per  l'irragionevole disparita' di
 trattamento  riservata  ai  soggetti  destinatari   degli   atti   di
 interruzione, profilandosi alcuni di tali atti, per spiegare concreta
 efficacia  interruttiva,  come  subordinati  alla conoscenza da parte
 del'interessato "in modo certo ed effettivo della  volonta'  punitiva
 dello Stato";
     che  la violazione del diritto di difesa conseguirebbe, pure qui,
 dall'impossibilita' per il destinatario di un  atto  di  interruzione
 "non  recettizio",  di venire a conoscenza della volonta' statuale di
 perseguirlo prima dell'avvenuta notificazione dell'atto stesso, tanto
 da precludergli, non dando rilievo all'effettiva conoscenza  di  tale
 atto,  di  apprestare tempestivamente le proprie difese; per di piu',
 compromettendo anche l'osservanza dell'art. 6 della  Convenzione  per
 la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
 ratificata  con  legge  4  agosto  1955,  n.   848,   che   riconosce
 all'incolpato  il  diritto  ad  un'equa  e  pubblica udienza entro un
 termine ragionevole nonche' di essere informato nel piu' breve  tempo
 possibile  del  contenuto  dell'accusa elevata nei suo confronti e di
 disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare  la
 difesa;
     che  nel  giudizio non si sono costituite le parti private ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Considerato  che  l'art.  3  della  Costituzione  si   rivela   non
 correttamente  evocato  sotto entrambi i profili denunciati: sotto il
 primo, perche' il potere attribuito al pubblico ministero di emettere
 nel giudizio pretorile il decreto di citazione  a  giudizio,  che  e'
 funzionale    soprattutto    al   sollecito   esercizio,   da   parte
 dell'imputato, della facolta' di richiedere, a norma  dell'art.  555,
 comma  1,  lettera  e),  del codice di procedura penale, uno dei riti
 semplificati, non determina alcuna  violazione  della  parita'  delle
 parti,  rappresentando  il  decreto di citazione a giudizio uno degli
 strumenti attraverso i quali il pubblico ministero esercita  l'azione
 penale,  a  norma dell'art. 405 del codice di procedura penale, senza
 che,  dunque  possa riscontrarsi diseguaglianza di sorta in relazione
 al  momento  ritenuto  rilevante  ai  fini  dell'interruzione   della
 prescrizione,  una  volta  che  l'atto  risulti perfezionato nei suoi
 requisiti di sostanza e di forma e si  configuri,  quindi,  come  una
 vera  e propria vocatio in iudicium (cfr. ordinanza n. 155 del 1997);
 sotto  il  secondo  profilo,  perche'  l'adotta   diseguaglianza   e'
 coessenziale  alla  tipologia  dell'atto  di  cui  la legge riconosce
 l'effetto  interruttivo   della   prescrizione,   cosicche'   davvero
 esorbitanti   si   rivelano   gli   additati   termini  di  raffronto
 (interrotagorio reso davanti al  pubblico  ministero  o  al  giudice,
 presentazione  dell'imputato  per il giudizio direttissimo, ordinanza
 di convalida del fermo o dell'arresto, sentenza di condanna),  taluni
 dei   quali,  peraltro,  non  postulano  necessariamente  l'effettiva
 conoscenza da parte dell'imputato;
     che, analogamente, deve escludersi ogni violazione del diritto di
 difesa, non  soltanto  perche'  non  puo'  assegnarsi  alcun  rilievo
 giuridico  ad  una  sorta di "aspettativa" dell'imputato al maturarsi
 della  prescrizione,  ma  anche  perche'  la   conoscenza   effettiva
 dell'atto  interruttivo (ovvero, piu' precisamente, la conoscibilita'
 di  esso)  non  rappresenta  condizione  per  il  dispiegarsi   delle
 possibilita'  difensive  attenendo  la causa estintiva del reato alle
 conseguenze derivanti dal decorso del tempo e il diritto  di  difesa,
 cosi'  come  nella  specie  richiamato, alla possibilita' - certo non
 preclusa all'imputato, dal decorrere l'effetto interruttivo  di  tale
 causa  estintiva  dalla  emissione  anziche' dalla notificazione - di
 contestare il contenuto dell'accusa;
     che, infine, neppure il richiamo, da collegare anch'esso -  nella
 prospettiva dell'ordinanza di rimessione - al dedotto vulnus arrecato
 all'art.  24  della  Costituzione,  all'art.  6, comma 3, lettera b),
 della Convezione   europea dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'
 fondamentali  risulta  pertinente,  sia  per la gia' ricordata natura
 "sollecitatoria" dell'attribuzione al pubblico ministero  del  potere
 di  emettere  il  decreto  di  citazione a giudizio - volta, quindi a
 perseguire,  a  prescindere  dal  momento  rilevante  ai  fini  della
 prescrizione,  la  complessiva  economia  dei tempi processuali - sia
 perche', in ogni caso, all'atto della notificazione, l'imputato e  la
 sua  difesa sono posti in grado di avvedersi dell'insussistenza della
 causa  estintiva  del  reato  e  che,  pertanto,  non  e'  certo   la
 notificazione  dell'atto  ad  incidere  sulla  pronta definizione del
 processo nel senso voluto dal rimettente;
     che la questione, dunque, deve essere  dichiarata  manifestamente
 infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale   dell'art.   160  del  codice  penale,  sollevata  in
 riferimento gli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Lecce
 con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1999.
                  Il Presidente e redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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