N. 28 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 2008- 19 novembre 2009

Ordinanza del 19 novembre 2008 emessa dal  Tribunale  di  Milano  nel
procedimento civile promosso da Marra Ignazio contro  Poste  Italiane
S.p.A.. 
 
Lavoro e  occupazione  -  Apposizione  di  termini  alla  durata  del
  contratto di lavoro subordinato -  Previsione,  per  i  giudizi  in
  corso alla data di entrata in vigore della norma censurata,  di  un
  indennizzo  a  carico  del  datore  di  lavoro  ed  in  favore  del
  lavoratore di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed  un  massimo
  di  6  mensilita'  dell'ultima  retribuzione  globale  di  fatto  -
  Violazione del principio di uguaglianza per la  diversa  disciplina
  di fattispecie identiche  in  base  alla  pendenza  o  meno  di  un
  giudizio - Incidenza sul diritto di difesa - Violazione di  vincoli
  derivanti dalla normativa comunitaria e dalla CEDU. 
- Decreto  legislativo  6  settembre  2001,  n.  368,   art.   4-bis,
  introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, della legge 6 agosto 2008, n.
  133 [recte: art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008,
  n. 112, inserito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133]. 
- Costituzione artt. 3, 10, 24  e  117,  primo  comma,  in  relazione
  all'art. 6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
(GU n.6 del 11-2-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  nella  causa  iscritta  al
numero di R.G. 5524 dell'anno 2008 e proposta da  Marra  Ignazio  con
l'avv.  dom.  Antonio  Palmisani  di  Milano,  via  Curtatone  n.  6,
ricorrente, contro Poste Italiane S.p.A. con  l'avv.  dom.  Salvatore
Trifiro' di Milano via San Barnaba n. 32, convenuto. 
                             M o t i v i 
    Nella causa in itinere e' stata sollevata da parte ricorrente  la
questione di illegittimita' costituzionale della nuova  normativa  di
cui all'art. 4-bis introdotta dal d.l. n. 112 del 2008 convertito  in
legge n. 133/2008,  che  l'odierno  giudicante  intende  prendere  in
considerazione e a cui intende dar seguito. 
    L'art. 4-bis,  rubricato  «Disposizione  transitoria  concernente
l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di  apposizione
e di proroga del termine», recita: 
        «Con riferimento ai  soli  giudizi  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore della  presente  disposizione,  e  fatte  salve  le
sentenze  passate  in  giudicato,  in  caso   di   violazione   delle
disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore  di  lavoro  e'
tenuto  unicamente  a  indennizzare  il  prestatore  di  lavoro   con
un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un  massimo
di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale  di  fatto,  avuto
riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della  legge  15  luglio
1966, n. 604, e successive modificazioni». 
    Alla  luce  di  tale  norma,  vista  la  promozione  dell'odierno
giudizio dopo l'entrata in vigore della  medesima  e  considerata  la
pendenza dello stesso  giudizio,  l'illegittimita'  del  contratto  a
tempo determinato, per  mancanza  di'  specificazione  delle  ragioni
giustificatrici dell'apposizione del termine, dovrebbe comportare  il
solo diritto di percepire l'indennita' di importo tra un minimo e  un
massimo secondo le indicazioni dalla norma. 
    Tuttavia tale nuova normativa sembra  configurare  i  presupposti
normativi per la pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale.  Essa
infatti appare non infondatamente sospetta di violare principi su cui
si fonda la nostra Carta costituzionale. 
    Innanzitutto, un primo motivo di contrasto  costituzionale  viene
ravvisato con riferimento al principio di eguaglianza di cui all'art.
3 Cost. In tale prospettiva, e' possibile oggi affermare che e' ormai
riconosciuto anche dall'orientamento della Corte  costituzionale  che
il principio di uguaglianza, allorquando si traduca in un atto avente
forza  legislativa,  debba  intendersi  rispettato  laddove  il  dato
normativo appaia ispirato al canone di ragionevolezza.  Dunque,  ogni
qualvolta  un  atto  con  forza  di   legge   debba   prevedere   una
differenziazione tra due  fattispecie,  occorre  che  questa  avvenga
ragionevolmente, avuto riguardo ai fini che  il  legislatore  intende
perseguire con quella particolare norma. 
    Nel  caso  di  specie  il  sospetto   dell'irrazionalita'   viene
alimentato dalla circostanza  che  diverse  persone,  nella  medesima
situazione giuridica, si troverebbero a  godere  di  una  tutela  dei
propri diritti sensibilmente diversa, senza alcuna giustificazione se
non quella di aver proposto domanda giudiziale in tempi  diversi  pur
nell'identita'  del  quadro  normativo  generale   applicabile   alle
rispettiva fattispecie. 
    Ma cosa ancora piu' irragionevole e' la conseguenza per cui,  per
effetto della  nuova  norma,  paradossalmente,  verrebbe  penalizzato
proprio colui che per primo ha fatto ricorso al giudice, di modo  che
la norma appare irragionevolmente punitiva nei confronti  di  chi  ha
mostrato di voler reagire prontamente ad una violazione di legge. 
    Dunque si evidenzia una evidente disparita'  di  trattamento  tra
identiche situazioni di tutti coloro  che  hanno  gia'  ottenuto  una
sentenza passata in giudicato o che promuoveranno  un  giudizio  dopo
l'entrata in vigore della nuova  disposizione  e  coloro  che  invece
anche a parita' assoluta di situazioni di fatto si  trovano  compresi
in tale forbice temporale. 
    Con riferimento alla summenzionata disparita' di  trattamento  e'
evidente che la situazione  che  viene  a  crearsi  in  seguito  alla
normativa introdotta con l'art. 4-bis  comporta  in  via  mediata  la
violazione  del  principio  costituzionale   che   trova   fondamento
nell'art. 10, il quale dispone che l'ordinamento  giuridico  italiano
si  conforma  alle  norme  di  diritto  internazionale   generalmente
riconosciute. Infatti il  principio  di  parita'  di  trattamento  e'
principio generale del diritto comunitario, che gli Stati membri sono
obbligati a rispettare. Da cio' e' possibile dunque affermare che  la
disposizione in esame si pone in evidente  contrapposizione  altresi'
con l'art. 10 Cost. 
    La norma denunciata sembra altresi' contrastare  con  l'art.  117
Cost., secondo cui la potesta' legislativa e' esercitata dallo  Stato
e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei  vincoli
derivanti   dall'ordinamento    comunitario    e    dagli    obblighi
internazionali; da cio' consegue che in caso  di  violazione  di  una
norma comunitaria  ad  opera  di  una  norma  interna,  il  contrasto
potrebbe  essere  risolto  anche  dal  punto  di  vista   della   sua
legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 117. 
    In merito a questo profilo,  giova  ribadire  che  il  d.lgs.  n.
368/2001   costituisce   attuazione   della   direttiva   1999/70/CE.
Quest'ultima,  all'Allegato  A,  alla   Clausola   8,   prevede   che
«l'applicazione del presente accordo non  costituisce  motivo  valido
per ridurre il livello  generale  di  tutela  offerto  ai  lavoratori
nell'ambito dell'Accordo stesso». 
    E' evidente allora che la nuova  norma  di  cui  all'art.  4-bis,
costituendo un completamento o una modifica, e  non  gia'  una  norma
autonoma e separata  rispetto  al  d.lgs.  n.  368/2001,  costituisce
anch'essa applicazione della direttiva  del  1999  cui  deve  percio'
uniformarsi. Da cio' deriva che la sostituzione della conversione del
contratto da tempo determinato a  tempo  indeterminato  con  la  sola
indennita', introdotta  dall'art.  4-bis  costituisce  un  innegabile
arretramento di tutela dei lavoratori,  in  netto  contrasto  con  la
previsione comunitaria in quanto costituente regresso di  tutela  non
consentita dalla Clausola 8. 
    Sempre in merito  al  contrasto  con  l'art.  117  Cost.  occorre
affermare che la situazione che si creerebbe con l'applicazione della
nuova normativa violerebbe altresi' l'art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  del
1950. La norma della Convenzione, nell'affermare che ogni persona  ha
diritto ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente  e
imparziale,  impone  al  potere  legislativo  di  non   intromettersi
nell'amministrazione della giustizia allo  scopo  di  influire  nella
risoluzione di una controversia o di una determinata categoria. 
    Nella  fattispecie  in  esame  certamente  non  infondato  e'  il
sospetto che, con la norma transitoria, il legislatore abbia  violato
il suddetto principio. 
    In definitiva, l'art. 4-bis contrasterebbe con l'art. 117  Cost.,
in quanto la sanzione ivi comminata in caso di violazione delle norme
sul contratto a tempo determinato, violerebbe  in  primis  i  vincoli
comunitari di cui alla Clausola 8  dell'Allegato  A  della  direttiva
1999/70, e in  secondo  luogo  l'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  del
1950. 
    Infine deve sottolinearsi che la scelta di  limitare  l'efficacia
dell'art. 4-bis del d.lgs. 368/2001 ai soli giudizi in corso si  pone
in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.  Da  questo  punto  di
vista si ritiene che il diritto  di'  difesa  espresso  dall'articolo
costituzionale abbia subito una non leggera limitazione.  Infatti  il
ricorrente  non  potra'  ottenere  il  vantaggio  consistente   nella
conversione del contratto irregolare, in  cui  confidava  al  momento
della instaurazione del giudizio, venendo  ad  essere  modificate  le
stesse motivazioni che lo hanno spinto ad agire. 
    In tale prospettiva giova sottolineare che la giurisprudenza piu'
recente (Cass. 12985/2008) non dubita che alla violazione dell'art. 1
del d.lgs. n. 368/2001 debba conseguire la sanzione della conversione
del  rapporto  irregolare.  Ne  consegue  che  la   nuova   normativa
violerebbe il principio di affidamento dei cittadini  sulla  certezza
dell'ordinamento giuridico posto che solo ad una  parte  di  essi,  e
cioe' solo a coloro che avevano intrapreso i giudizi  affidandosi  ad
un orientamento  giurisprudenziale  consolidato,  nega  il  beneficio
della riassunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato. 
    Alla luce  di  tutte  le  considerazioni  suesposte,  il  giudice
accoglie le eccezioni di legittimita' costituzionale dell'art.  4-bis
sollevate dalle parti e sospende il giudizio. 
                              P. Q. M. 
    Sospende il giudizio ai sensi dell'art. 23, secondo comma,  della
legge   n.   87/1953   e   ritenuta    rilevante    l'eccezione    di
costituzionalita' sollevata  da  parte  ricorrente  del  comma  1-bis
dell'art. 21 della legge 6 agosto 2008, n.  133,  con  cui  e'  stato
inserito l'art. 4-bis, d.lgs. n.  368/2001,  per  contrasto  con  gli
artt. 3, 10, 117, primo comma e 24 della Costituzione; 
    Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del  giudizio
alla Corte costituzionale unitamente alla prova delle notificazioni e
delle comunicazioni prescritte. 
        Milano, addi' 18 novembre 2008 
                        Il giudice: Peragallo