N. 29 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 settembre - 8 ottobre 2008

Ordinanza dell'8 ottobre 2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di
Venezia nel procedimento di sorveglianza nei confronti di J.S.. 
 
Esecuzione penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena  -
  Obbligo del differimento in  caso  di  esecuzione  della  pena  nei
  confronti di donna incinta e di madre di infante di eta'  inferiore
  ad anni uno - Mancata previsione della possibilita' per il  giudice
  di negare il differimento  quando  lo  ritenga  non  adeguato  alle
  finalita' previste dall'art. 27, comma terzo,  Cost.,  sussista  il
  pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti e
  la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di
  recidiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del
  principio della finalita' rieducativa  della  pena  -  Lesione  dei
  principi a base della tutela della maternita' e del minore. 
- Codice penale, art. 146, primo comma, nn. 1 e 2. 
- Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30. 
(GU n.6 del 11-2-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Sentiti il Procuratore generale e la difesa, che  hanno  concluso
come  da  verbale,  ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel
procedimento nei confronti di J.S., nata in  Croazia  il  3  dicembre
1981, alias N.K., nata in Croazia il 6 ottobre 1984, alias N.S., nata
in Croazia il 2 gennaio 1987,  Codice  univoco  Identificativo  (CUI)
01QSFE9, detenuta nella Casa circondariale di Bologna, condannata con
sentenza del Tribunale di Treviso in composizione monocratica in data
23 giugno 2008 e  con  sentenza  del  Tribunale  di  Ancona,  sezione
distaccata di  Fabriano,  in  data  10  maggio  2007,  tendente  alla
concessione del differimento dell'esecuzione della pena. 
                             Motivazione 
    La sedicente J.S., gia' ristretta nella Casa reclusione donne  di
Venezia, presentava al Magistrato di sorveglianza di Venezia  istanza
di differimento dell'esecuzione della pena adducendo  a  sostegno  di
essere in stato di gravidanza, oltre che madre  di  infante  nata  il
giorno 1° ottobre 2007, di eta' inferiore ad anni uno.  Acquisite  le
necessarie informazioni, che confermavano  le  condizioni  soggettive
dedotte, il magistrato di sorveglianza con decreto datato  11  agosto
2008 rigettava l'istanza di differimento in  ragione  della  spiccata
pericolosita' sociale desumibile dai numerosi precedenti segnalazioni
di  polizia,  anche  sotto  false  generalita';   in   presenza   dei
presupposti per il differimento  obbligatorio  dell'esecuzione  della
pena,  tuttavia,  con  lo  stesso  provvedimento  concedeva  in   via
provvisoria la misura della detenzione domiciliare  ex  art.  47-ter,
comma 1-quater  o.p.,  reputando  la  misura  maggiormente  idonea  a
consentire  il  contemperamento  delle  necessita'  familiari   della
condannata  e  delle  esigenze  di  difesa  sociale,  garantendo  nel
contempo l'esecuzione della pena legalmente inflitta. 
    La detenzione domiciliare avrebbe  dovuto  trovare  esecuione  in
Codevigo fino alla decisione di questo Tribunale di Sorveglianza,  ma
in data 6 settembre 2008  la  condannata  si  allontanava  dal  luogo
prescritto  rendendosi  irreperibile  e  sottraendosi  all'esecuzione
della pena. Il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Venezia  disponeva,
pertanto, la sospensione interinale della misura. 
    In data odierna e' pervenuta  in  cancelleria  comunicazione  dei
Carabinieri di  San  Lazzaro  di  Savena  datata  16  settembre  2008
(acquisita agli atti) da cui risulta che la condannata,  con  l'alias
di N.S. nata in Croazia il 2 gennaio 1987, e' stata arrestata in data
15 settembre 2008 nella flagranza del delitto  di  tentato  furto  in
abitazione e possesso di arnesi atti allo scasso. 
    All'odierna udienza, fissata sia per il differimento  della  pena
che per la revoca della misura gia' concessa in via  provvisoria,  il
Procuratore  generale  ha  concluso  chiedendo  la  sospensione   del
procedimento in attesa della  decisione  della  Corte  costituzionale
sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art.  146,  primo
comma, n. 1) e n. 2) c.p. sollevata d'ufficio da questo tribunale  di
sorveglianza in altri procedimenti con le ordinanze n. 715/08 del  13
maggio 2008 e n. 1026/2008 del 15 luglio 2008 in  relazione  all'art.
146, primo comma, n. 2) c.p., e con le ordinanze n. 1024/2008 del  15
luglio 2008 e n. 1025/2008 del 15 luglio 2008 in  relazione  all'art.
146, primo comma, n. 1, c.p.,  mentre  il  difensore  di  fiducia  ha
richiesto la concessione del differimento in attesa  della  decisione
della Corte. 
    Con separata ordinanza emessa in data odierna questo tribunale di
sorveglianza ha  disposto  la  revoca  della  detenzione  domiciliare
provvisoria   nei   confronti   della   condannata,   reputando    il
comportamento da questa tenuto incompatibile con la prosecuzione  del
beneficio. Nell'odierno procedimento, la cui trattazione separata  si
impone per le ragioni che  di  seguito  si  esporranno,  deve  essere
valutata la concessione del differimento dell'esecuzione ex art. 146,
primo comma, n. 1) e n. 2) c.p. in ordine alla pena  residua  di  cui
alle due condanne in epigrafe. 
    Dagli atti acquisiti risulta la sussistenza dei  presupposti  del
differimento  obbligatorio  dell'esecuzione  della  pena   ai   sensi
dell'art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2) c.p., essendo la condannata
madre di infante di eta'  inferiore  ad  anni  uno  ed  in  stato  di
gravidanza,  circostanza,  quest'ultima,   confermata   anche   dalla
recentissima notizia di reato  dei  Carabinieri  di  San  Lazzaro  di
Savena e dall'allegato referto medico, attestante  che  l'interessata
e' al sesto mese di gestazione. 
    L'esame delle vicende cautelari ed esecutive  relative  alle  due
condanne del Tribunale di Treviso  in  data  23  giugno  2008  e  del
Tribunale di Ancona, sez. distaccata di Fabriano, in data  10  maggio
2007, della cui esecuzione si discute, impone alcune considerazioni. 
    La J. (le cui esatte generalita' non sono note) veniva  arrestata
con le generalita' di  N.K.  in  Fabriano  il  9  maggio  2007  nella
flagranza del reato di furto aggravato in abitazione in  concorso,  e
veniva sottoposta  a  custodia  cautelare  in  carcere  per  esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4,  c.p.p.  con
ordinanza del Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, in
composizione monocratica  in  data  10  maggio  2008,  nonostante  il
dedotto stato di gravidanza;  riteneva,  infatti,  il  Giudice  della
cautela non adeguata una diversa misura per lo stato di nomadismo e i
plurimi precedenti dattiloscopici  e  giudiziari  dell'indagata.  Con
sentenza datata 11 maggio 2007 lo stesso tribunale applicava ex  art.
444 c.p.p.la pena di anni uno e mesi sei di  reclusione;  non  appena
passata  in  giudicato  la  condanna,  la  condannata  richiedeva  al
Magistrato di sorveglianza di Ancona il differimento  provvisorio  in
ragione dello stato di  gravidanza,  beneficio  che  veniva  concesso
dallo stesso Magistrato di sorveglianza in via interinale con decreto
datato 19 giugno 2007. 
    Il 9 ottobre 2007 la nomade  veniva  nuovamente  arrestata  dalla
Questura di Bolzano con le generalita' di J.S.  nella  flagranza  dei
delitti di furto aggravato, tentato furto  aggravato  in  abitazione,
possesso di arnesi atti allo scasso e ricettazione di  monili  d'oro;
tali fatti venivano commessi  in  concorso  con  una  minorenne,  con
l'aggravante della recidiva reiterata specifica  infraquinquennale  e
del danno  di  rilevante  gravita'  quanto  al  furto  in  abitazione
consumato. Nell'occasione, la J. aveva con  se'  la  figlia  nata  da
pochi giorni (in data 1°  ottobre  2007),  al  fine  di  ottenere  un
benevolo trattamento cautelare (circostanza cosi' descritta nel  capo
di imputazione). Veniva, tuttavia, sottoposta a custodia cautelare in
carcere con ordinanza del 13 ottobre 2007 per esigenze di eccezionale
rilevanza ex art. 275, comma 4, c.p.p. Con successiva sentenza emessa
ex art. 444 c.p.p. in data  24  ottobre  2007  il  g.i.p.  presso  il
Tribunale di Bolzano applicava la pena di anni due  e  mesi  otto  di
reclusione e con ordinanza emessa in pari data sostituiva la custodia
cautelare in carcere con l'obbligo di  dimora  in  Monselice,  tenuto
conto delle esigenze della figlia di eta' inferiore ad un mese. 
    In data 20 giugno 2008 (dopo essere  stata  segnalata  altre  tre
volte per furto e possesso di arnesi atti allo  scasso  in  Padova  e
Rovereto) la J. veniva arrestata in Mogliano Veneto  nella  flagranza
del reato di furto aggravato in abitazione, commesso  anche  stavolta
in concorso con una minorenne. 
    Dall'esame  degli  atti  risulta   che   nel   periodo   tra   la
scarcerazione disposta dal Magistrato di sorveglianza  di  Ancona  in
ragione dello stato di gravidanza e l'arresto in Mogliano  Veneto  la
predetta risulta essere stata segnalata o arrestata otto  volte,  con
generalita' diverse, in varie localita' del territorio nazionale  per
reati contro  il  patrimonio  (v.  elenco  precedenti  dattiloscopici
trasmesso dai Carabinieri di San  Lazzaro  di  Savena).  Trattasi  di
episodi delittuosi commessi in stato di gravidanza o subito  dopo  il
parto,  circostanza   che   evidenzia   l'assenza   di   qualsivoglia
considerazione da parte dell'interessata per le  esigenze  di  tutela
del nascituro o del neonato in  ragione  delle  quali  le  era  stato
concesso il differimento; la particolare condizione soggettiva le  ha
consentito, peraltro, di lucrare un  benevolo  trattamento  cautelare
nella quasi totalita' dei casi. 
    Con sentenza del Tribunale di Treviso  in  data  23  giugno  2008
veniva applicata su accordo delle parti la pena di anni  tre  e  mesi
due di reclusione di reclusione per  i  fatti  commessi  in  Mogliano
Veneto, riconosciuta l'aggravante della recidiva reiterata  specifica
infraquinquennale, ma la condannata rimaneva in  vincuils  in  quanto
sottoposta  a  custodia  cautelare  in  carcere   per   esigenze   di
eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4 c.p.p. emessa in pari data
(v. ordinanza del Tribunale di Treviso  in  composizione  monocratica
datata 23 giugno 2008). A sostegno della misura cautelare, il Giudice
di Treviso, tenuto conto dei numerosissimi  precedenti  giudiziari  e
dattiloscopici prevalentemente per furti in abitazione e delle  false
generalita' di  volta  in  volta  fornite  agli  organi  di  polizia,
formulava  una  prognosi  di  concreto   ed   elevato   pericolo   di
reiterazione di reati della stessa  specie,  reputando  inefficace  a
scopi preventivi altra misura cautelare. 
    Diventata definitiva  la  condanna,  la  detenuta  richiedeva  al
Magistrato di sorveglianza di  Venezia  il  differimento  provvisorio
dell'esecuzione  della  pena,  deducendo  di  essere  in   stato   di
gravidanza e di essere madre di figlia di eta' inferiore ad anni uno,
ospite del nido del carcere veneziano. 
    Il Magistrato  di  sorveglianza  di  Venezia  con  il  menzionato
decreto interinale datato  11  agosto  2008  rigettava  l'istanza  di
differimento  e  concedeva  in  via  provvisoria  la   misura   della
detenzione domiciliare, verso la quale la condannata dimostrava, come
gia' esposto, assoluto spregio. 
    Deve, altresi', rilevarsi che nelle note informative delle  forze
dell'ordine trasmesse a questo Tribunale di  Sorveglianza  la  J.  e'
descritta come una nomade di elevatissima pericolosita' sociale,  che
ha fatto del crimine l'unica forma di  sostentamento  ed  ha  fornito
numerosissime false generalita'  «con  metodologia  scientifica»  per
procurarsi l'impunita' (v. nota informativa Questura  di  Venezia  in
atti); a cio' si aggiunga che ha iniziato a delinquere da minorenne e
senza  alcuno  scrupolo  coinvolge  nella  commissione  dei   delitti
congiunti in tenera eta'. 
    Dai certificati acquisiti e  dal  nutrito  elenco  di  precedenti
dattiloscopici si evince, inoltre,  che  la  condannata  ha  commesso
delitti in tutto il territorio nazionale, nell'ambito  del  quale  si
sposta frequentemente da un capo  all'altro  della  penisola,  ed  ha
plurimi precedenti e segnalazioni  per  furti  aggravati  plurimi  in
abitazione, porto ingiustificato di arnesi atti allo scasso, porto di
oggetti  idonei   all'offesa   alla   persona,   in   osservanza   di
provvedimenti     dell'autorita',     violazione     delle      norme
sull'immigrazione,  false  dichiarazioni  sull'identita'   personale,
ricettazione, uso di atto falso; a fronte dei numerosi  precedenti  e
segnalazioni, i periodi di carcerazione che  risultano  dall'archivio
storico dell'amministrazione penitenziaria sono esigui,  e  risultano
seguiti a breve dalla scarcerazione dell'indagata  con  l'imposizione
di misure cautelari non detentive, quali l'obbligo o  il  divieto  di
dimora, oppure dal differimento della pena ex art. 146 c.p. (v. anche
ordinanza del ordinanza del Magistrato di sorveglianza di  Verona  in
data 16 agosto 2004 in atti). 
    Esaminati gli  atti  acquisiti,  questo  Collegio  non  puo'  che
condividere il giudizio di spiccatissima pericolosita'  sociale  gia'
formulato nei  confronti  dell'odierna  istante  da  altre  Autorita'
Giudiziarie, il cui grado attuale  esigerebbe,  al  fine  di  un  suo
adeguato  contenimento,  l'applicazione  di  una  misura   detentiva;
parimenti, reputa certo, piu' che verosimile, l'abuso  del  richiesto
differimento, ove concesso,  al  fine  di  commettere  altri  delitti
contro il patrimonio, senza alcun riguardo per le esigenze  alla  cui
tutela il beneficio e' preordinato, posto  che  gia'  in  passato  la
nascita degli altri figli non ha dissuaso  la  donna  dal  commettere
delitti,  cosi'  come  nessuna  efficacia  dissuasiva  ha  avuto   la
gravidanza  in  atto,  come  si   desume   dall'ultima   recentissima
segnalazione dei Carabinieri di  San  Lazzaro  di  Savena  per  furto
aggravato e possesso di arnesi atti allo scasso. 
    Questo Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, non puo'  negare  sic
et simpliciter il differimento della pena (con conseguente esecuzione
penale  in  carcere),  potendo  al  piu'  concedere,   quale   misura
sostitutiva del richiesto differimento, la detenzione domiciliare  ex
art. 47-ter, comma 1-ter o.p., misura gia' concessa in data 11 agosto
2008 dal Magistrato di sorveglianza di Venezia  e  revocata  in  data
odierna in quanto rivelatasi del tutto inadeguata. 
    Non appare superfluo rammentare l'orientamento della  dottrina  e
della giurisprudenza in ordine ai rapporti tra il differimento  e  la
detenzione domiciliare. 
    Nella vigenza della normativa preesistente alla legge n. 165/1998
parte della  dottrina  facendo  riferimento  al  dato  testuale,  che
qualifica come obbligatorio il rinvio  dell'esecuzione,  lo  riteneva
prevalente rispetto alla detenzione domiciliare.  Di  diverso  avviso
coloro che si soffermavano sugli indubbi vantaggi che  la  detenzione
domiciliare comporta per il condannato, tra i quali il fatto  che  il
tempo trascorso in esecuzione della misura si consideri pena espiata.
Oggi, a seguito della novella di  cui  alla  legge  n.  165/1998,  la
giurisprudenza e'  orientata  ad  affermare  che  il  legislatore  ha
modificato profondamente  l'istituto  della  detenzione  domiciliare,
facendolo divenire, con l'introduzione del  comma  1-ter  (oltre  che
1-bis) o.p., una delle misure alternative piu' duttili e piu'  idonee
a soddisfare le contrapposte esigenze del rispetto dei diritti  della
persona e di sicurezza della societa' (v. sentenza Cass., sez. I,  n.
20480  del  2001).   Tale   misura,   si   afferma,   «configura   la
polifunzionalita'  del  regime  detentivo,  mirato,  per  un   verso,
all'esigenza  di  effettivita'  dell'espiazione  della  pena  e   del
necessario controllo cui vanno sottoposti i  soggetti  pericolosi  e,
per altro verso, ad una sua esecuzione mediante forme compatibili con
il senso di umanita» (v. sentenza Cass., sez. I, n. 6952 del 2000). 
    Riguardo  ai  criteri  di  scelta  tra   i   due   benefici,   la
giurisprudenza della Corte di legittimita' ha anche precisato che  il
tribunale di sorveglianza deve fare  una  duplice  verifica,  dovendo
prima verificare la  sussistenza  delle  condizioni  richieste  dalla
legge  per  il  differimento  e  poi  disporre,   eventualmente,   la
detenzione    domiciliare    in    alternativa    alla    sospensione
dell'esecuzione  della  pena  quando  ricorrano  esigenze  di  tutela
collettiva (sempre da tenere presenti in  tema  di  esecuzione  della
pena) che rendano piu' adeguata  l'esecuzione  della  pena  in  forma
alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez.
I,  sentenza  n.  656  del  2000);  piu'  di  recente,  la  Corte  di
legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari
delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita'  il
reinserimento sociale del condannato,  mentre  il  diffenmento  della
pena previsto dall'art. 146 e  147  c.p.,  anteriore  all'ordinamento
penitenziario vigente, ha finalita' diverse  dall'individuazione  del
trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo
ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto
alla salute e del senso di umanita'. Alla luce di  tali  principi,  a
fronte di una richiesta il giudice deve valutare se le condizioni del
condannato siano compatibili con le finalita' rieducative della  pena
e con le possibilita' concrete di reinserimento  sociale  conseguenti
alla  rieducazione.   Qualora,   all'esito   di   tale   valutazione,
l'espiazione della pena appaia contraria al senso di umanita' per  le
eccessive  sofferenze  da  essa  derivanti  ovvero  appaia  priva  di
significato  rieducativo  in   conseguenza   dell'impossibilita'   di
proiettare in futuro gli effetti della sanzione sul condannato,  deve
trovare applicazione l'istituto  del  differimento  (sentenza  Cass.,
sez. I, n. 45158 del 14 novembre 2007, dep. il 6 dicembre 2007). 
    Facendo applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che
le condizioni di vita  individuali  e  sociali  della  condannata,  i
plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze
di sicurezza sociale, nonche' il reiterato abuso  dei  benefici  gia'
ottenuti (da ultimo la detenzione domiciliare provvisoria  concessale
dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Venezia  e   il   differimento
provvisorio concesso dal Magistrato di sorveglianza  di  Ancona)  per
perseverare nel crimine, indurrebbero a  ritenere  piu'  adeguata  al
contenimento della pericolosita'  sociale  l'esecuzione  della  pena,
quantomeno in forma alternativa. 
    Nel caso di specie, pero', e' certa l'assoluta inidoneita'  della
detenzione domiciliare (che e' misura  a  contenuto  prescrittivo,  e
postula, per realizzare la funzione che le e'  propria,  la  volonta'
adesiva di chi vi e' sottoposto; in tal senso riguardo  agli  arresti
domiciliari  v.  Corte  cost.,  sentenza  n.  439/1995)   per   causa
imputabile alla condannata. 
    Il  grado  di  inaffidabilita'  piu'   volte   dimostrato   dalla
condannata,  unitamente  all'assoluta  indifferenza  verso  le  norme
penali   e   del   vivere   sociale   evidenziata,   non   consentono
l'applicazione  dell'unica  alternativa  al   differimento   prevista
dall'ordinamento vigente. 
    Pur in assenza di situazioni personali che precludano l'efficacia
rieducativa della pena o che rendano contraria al senso  di  umanita'
l'esecuzione  penale  in  forma  alternativa,  questo  Tribunale   di
sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio
del differimento. 
    Una   diversa   interpretazione   non   appare    ragionevolmente
sostenibile, senza inammissibili forzature  del  dato  normativo;  il
tenore testuale dell'art. 146, primo comnia, n. 1)  e  n.  2),  c.p.,
nella parte in cui dispone «l'esecuzione e' differita» anziche' «puo'
essere differita», non lascia dubbi  interpretativi.  Puo',  al  piu'
rilevarsi che con la previsione contenuta nel comma  1-ter  dell'art.
47-ter o.p., che introduce una disciplina  differenziata  rispetto  a
quella  generale,  anche  in  relazione  ai   limiti   edittali,   il
legislatore sembra voler richiamare l'attenzione sulla necessita'  di
contemperare le esigenze di tutela delle  condizioni  del  condannato
con quelle di tutela della collettivita', rimettendo al tribunale  di
sorveglianza la scelta dello strumento piu' idoneo a perseguire  tale
contemperamento,  si'  da   far   ipotizzare   che   l'istituto   del
differimento obbligatorio  abbia  perso  tale  carattere,  risultando
rimessa la sua adozione alla valutazione discrezionale del  tribunale
di sorveglianza. Tuttavia, tale argomento, a fronte del dato testuale
inequivocabile e dell'assenza di una normativa  di  raccordo  tra  la
previsione del codice penale e  la  normativa  penitenziaria,  appare
insufficiente  a  reputare  consentito   il   diniego   «secco»   del
differimento, nelle ipotesi disciplinate dall'art. 146, comma  primo,
n. 1 e n. 2) c.p. 
    Ritiene, pertanto, questo Collegio  che  la  disposizione,  cosi'
formulata  e  intesa,  attribuisca  al   sistema   una   connotazione
criticabile sotto il profilo della razionalita' e  costituzionalita',
e che,  pertanto,  debba  essere  sollevata  d'ufficio  questione  di
legittimita' costituzionale della norma, per contrasto con gli  artt.
3, 27, terzo comma, e 30 cost., ravvisandosene la rilevanza e la  non
manifesta  infondatezza.  Lo  scrutinio  di  costituzionalita'  della
stessa  norma  e'  gia'  stato  richiesto  da  questo  tribunale   di
sorveglianza con le ordinanze n. 715/08  del  13  maggio  2008  e  n.
1026/2008 del 15 luglio 2008 in relazione all'art. 146, primo  comma,
n. 2) c.p., e con le ordinanze n. 1024/2008 del 15 luglio 2008  e  n.
1025/2008 del 15 luglio 2008 in relazione all'art. 146, primo  comma,
n. 1, c.p.; nel caso di specie ricorrono entrambi i  presupposti  per
il differimento della pena, essendo la  condannata  in  stato  di  gi
avidanza e madre di infante di eta' inferiore ad anni uno. 
    La questione e' rilevante ai fini  della  pronuncia  sull'odierna
istanza, essendo ineliminabile l'applicazione della  norma  nell'iter
logico-giuridico  che  questo  tribunale  deve  percorrere   per   la
decisione conclusiva dell'odierno procedimento, in  quanto  risultano
sussistenti i presupposti del differimento obbligatorio  della  pena,
la cui applicazione e' stata richiesta dal difensore, e con ordinanza
emessa in data odierna e' stata revocata l'unica  misura  concedibile
in alternativa al differimento. 
    In punto di  non  manifesta  infondatezza,  va  premesso  che  e'
indiscutibile la scelta del legislatore di tutelare anche nella  fase
dell'esecuzione  penale  le  particolari  esigenze  delle  donne   in
gravidanza o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e  fortemente
condiviso da  questo  Collegio  e'  il  principio  secondo  il  quale
tendenzialmente in un paese democratico la detenzione delle donne  in
gravidanza e  delle  madri  che  accudiscono  figli  in  tenera  eta'
dovrebbe essere prevista solo «in ultima istanza» (come  raccomandato
agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo
del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e
l'impatto della  carcerazione  dei  genitori  sulla  vita  sociale  e
familiare, al punto 14).  Non  sfugge,  inoltre,  al  Collegio,  come
ricordato  dalla  Corte  costituzionale,   che   «l'alternativa   tra
l'immediata esecuzione della pena o la sua temporanea  inesigibilita'
a causa di  situazioni  soggettive  che  il  legislatore  ritiene  di
qualificare come incompatibili  con  la  carcerazione,  non  comporta
soluzioni    univoche    sul    piano    costituzionale,    dovendosi
necessariamente ammettere spazi  di  valutazione  normativa  che  ben
possono contemperare l'obbligatoneta' della pena  con  le  specifiche
situazioni di chi vi deve essere sottoposto» (Corte cost. sentenza n.
70/1994). Conferma l'assenza  di  soluzioni  «a  rime  obbligate»  la
circostanza che nel progetto di riforma al codice penale  predisposto
dalla Commissione nominata con d.m. 23 novembre 2001 il  differimento
dell'esecuzione  della  pena  per  gravidanza  e  puerperio  non  sia
previsto, mentre  e'  prevista  la  concessione  (facoltativa)  della
conversione  della  pena  detentiva  con  altra  misura  in  caso  di
condannata incinta o madre di prole di eta' inferiore ad  anni  dieci
(v.  art.  81  n.  6  del  progetto);  il  disegno  di  legge  delega
predisposto dall'ultima Commissione  di  riforma  del  codice  penale
istituita con d.m. 31 luglio 2006, invece, nel  prevedere  nuovamente
l'istituto del differimento, non lo qualifica come obbligatorio. 
    Il legislatore ordinario, pero', nell'esercizio  del  suo  potere
discrezionale  di   dettare   norme   che   incidono   su   interessi
costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di
confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale. 
    Con  riferimento   alla   normativa   penitenziaria,   la   Corte
costituzionale ha precisato che  «eguaglianza  di  fronte  alla  pena
significa proporzione della medesima alle  personali  responsabilita'
ed alle esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n.  349  del
1993 e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi,  ed
in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare
progressivita' trattamentale e flessibilita' della pena (sentenze  n.
445  del  1997  e  306  del  1993)  e,  conseguentemente,  un  potere
discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei
benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006). 
    Con sentenza n. 306 del 1993, ancora, la Corte  ha  affermato  il
principio  secondo  cui,   nell'ambito   delle   finalita'   che   la
Costituzione assegna alla pena (quella di prevenzione generale  e  di
difesa  sociale,  con  i  connessi  caratteri  di  retributivita'   e
afflittivita', e quella di prevenzione speciale  e  di  rieducazione,
che tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena  in
funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore
ordinario   puo' -   nei   limiti    della    ragionevolezza -    far
tendenzialmente  prevalere,  di  volta  in  volta,  l'una  o  l'altra
finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata. 
    Conformemente a tali principi, ai quali e'  improntato  tutto  il
settore dell'esecuzione penale,  la  concessione  di  ogni  beneficio
penitenziario deve  essere  preceduta,  oltre  che  dall'accertamento
della sussistenza dei requisiti di legittimita'  di  volta  in  volta
prescritti dalla legge, anche da  una  valutazione  del  giudice  sul
raggiungimento da parte del condannato di  uno  stadio  del  percorso
rieducativo adeguato al  beneficio  richiesto,  e  sulla  conseguente
idoneita'  rieducativa  di  quest'ultimo,  nonche'  sull'idoneita'  a
prevenire il  pericolo  di  recidiva.  Nelle  proprie  decisioni,  il
giudice  di  sorveglianza  deve  aver  riguardo  ai   risultati   del
trattamento individualizzato, o, in caso di assenza  di  trattamento,
al comportamento tenuto in  liberta',  e  verificare  la  sussistenza
delle condizioni per un adeguato reinserimento sociale,  al  fine  di
garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento
sanzionatorio, oltre che l'ineludibile  finalita'  rieducativa  della
pena. 
    Come innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza
non ha finalita'  rieducativa,  ma  tende  solo  ad  evitare  che  in
presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in
spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'; la  potesta'
punitiva dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena  incontra,
per vero, un limite invalicabile in quelle situazioni in cui  per  le
condizioni personali del reo l'esecuzione dalla  pena  contrasterebbe
con il senso di  umanita'  o  non  potrebbe  avere  alcuna  efficacia
rieducativa (cfr. Cass. sentenza 1138 del 26 aprile 1994). In assenza
di tali estreme condizioni,  tuttavia,  non  appare  giustificata  la
compromissione   delle   finalita'   della   pena   previste    dalla
Costituzione, in quanto, pur essendo istituto  anteriore  all'entrata
in  vigore  della  Carta  costituzionale,   l'istituto   del   rinvio
dell'esecuzione deve essere interpretato alla luce di tali principi. 
    Pur non rientrando, inoltre, tra i benefici premiali,  difettando
la natura premiale, trattasi comunque di  un  beneficio  che  pur  se
previsto dal codice penale, all'interno di un capo  (il  secondo)  di
contenuto assai vario ed eterogeneo, ha una concreta incidenza  nella
vicenda esecutiva e penitenziaria, e' demandato alla  competenza  del
giudice di sorveglianza e pertanto deve soggiacere,  salvi  i  limiti
anzidetti,  ai  principi  vigenti  in   materia   penitenziaria,   in
particolare al principio del finalismo rieducativo della pena. 
    Nel caso di specie, il beneficio del differimento provvisorio  si
e' gia' rivelato non adeguato, sia sotto il profilo  rieducativo  sia
sul piano della prevenzione speciale,  e  cosi'  pure  la  detenzione
domiciliare, apertamente violata, ma nonostante l'abuso dei  benefici
gia' concessi questo tribunale di sorveglianza  non  puo'  negare  il
differimento, salvo optare per una  nuova  concessione  della  misura
oggi revocata, che con certezza non troverebbe regolare esecuzione. 
    Risulta, cosi', violato il  principio  della  proporzionalita'  e
individualizzazione  del  trattamento  sanzionatorio,  ma  anche   il
principio della progressivita' trattamentale, in base al  quale  «nel
caso di abuso dei benefici gia' concessi  o  di  altre  irregolarita'
comportamentali  deve  conseguire  una   regressione   nel   percorso
trattamentale» (cosi' come, all'inverso, «il  maturarsi  di  positive
esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala
degli istituti di risocializzazione»; v. sul punto Corte cost.  sent.
n. 445/1997 con riferimento ai permessi premio).  L'importanza  della
progressivita' trattamentale e' stata piu' volte ribadita dalla Corte
costituzionale, che ha affermato che tale  principio  rappresenta  il
«fulcro attorno al quale si e'  dipanata  la  propria  giurisprudenza
doverosamente attenta a rimarcare l'esigenza che ciascun istituto  si
modelli e viva nel concreto come  strumento  dinamicamente  volto  ad
assecondare  la  funzione  rieducativa   della   pena»;   espressione
normativa  della  biunivoca  correlazione  che  deve  necessariamente
stabilirsi  tra  la  progressione  (o  regressione)  nel  trattamento
rieducativo e la risposta conseguente  sul  piano  dell'accesso  agli
istituti di risocializzazione e' la norma di cui al comma 2 dell'art.
58-quater o.p.,  che  prevede,  in  caso  di  revoca  di  una  misura
alternativa alla detenzione, il divieto di concessione  dei  benefici
previsti dal comma 1 della norma per un periodo  di  tre  anni  dalla
data del provvedimento di revoca. Nel  caso  in  esame,  alla  revoca
della detenzione domiciliare non puo', pero', conseguire  il  diniego
di concessione del differimento, non compreso  nella  previsione  del
comma 1  dell'art.  58-quater  o.p.,  ma  puo'  solo  conseguire   la
concessione di un beneficio  ben  piu'  ampio  di  quello  rivelatosi
inadeguato, senza che possa essere tenuta  in  alcuna  considerazione
l'impossibilita' di formulare una prognosi di  futura  astensione  da
comportamenti di tipo deviante, tenuto conto  della  reiterazione  di
condotte criminose e della dimostrata  adesione  a  modelli  di  vita
incentrati su attivita' illecite, in quanto la  norma  non  consente,
sulla base di tale giudizio prognostico, il  rigetto  del  beneficio;
solo in relazione alle situazioni legittimanti un rinvio  facoltativo
dell'esecuzione il comma 4 dell'art. 147 c.p. (aggiunto  dalla  legge
n. 40/2001) dispone che il provvedimento «non puo' essere adottato  o
se e' adottato e' revocato se sussiste  il  concreto  pericolo  della
commissione di delitti». Anche tale disposizione conferma la  diversa
scelta  del  legislatore  in  ordine  al  differimento  obbligatorio,
riguardo  al  quale  non  e'  consentito  analogo  apprezzamento  del
giudice. 
    Generalmente si afferma, riguardo all'istituto del  differimento,
che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate
a seguito di una esecuzione differita; nel  caso  di  specie,  pero',
puo' ragionevolmente affermarsi che  allo  scadere  del  termine  del
differimento (ovvero tra oltre un anno, periodo nel corso  del  quale
verosimilmente  la  J.  continuera'  a   perseverare   nel   crimine)
l'esecuzione non potra' agevolmente essere ripristinata,  considerata
l'abilita' dimostrata dalla condannata nel  rendersi  irreperibile  e
nel fare uso di numerose false generalita'.  Tenuto  conto,  inoltre,
della giovane eta', e delle abitudini di vita dei nomadi,  alla  data
dell'inizio di una nuova esecuzione la giovane nomade potrebbe essere
nuovamente incinta e cosi'  via  per  chissa'  quanto  tempo  ancora.
Conferma tale assunto la circostanza che la condannata risulta  avere
ottenuto il differimento dell'esecuzione con ordinanza del Magistrato
di sorveglianza di Verona in data 16 agosto 2004 in ordine alla  pena
inflitta con sentenza del g.i.p. presso il Tribunale  di  Bologna  in
data 10 febbraio 2003, e alla data odierna risulta ancora  ineseguita
la relativa pena, cosi' come non risultano espiate le  pene  inflitte
con  le  altre  condanne  risultanti  dal  casellario  (v.   cartelle
giuridiche storiche e casellario). 
    Come  emerge  dall'esame  dei  dati  statistici,  e  come  questo
Tribunale di sorveglianza ha avuto modo  di  verificare  direttamente
nel  corso  dei  numerosi  procedimenti  iscritti  sulle  istanze  di
differimento avanzate da donne nomadi ristrette nelle Casa reclusione
Donne di Venezia (istituto dotato di  nido),  la  strumentalizzazione
dell'istituto del differimento (che da extrema ratio in  alcuni  casi
diventa la regola) ha di fatto creato una sorta di immunita'  per  le
donne nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate  alle
loro attivita' illecite potendo confidare  sul  trattamento  previsto
dall'art. 146 c.p. per le donne in stato di  gravidanza  o  madri  di
figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne
che iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che  per
le abitudini di vita non conoscono il fenomeno  del  controllo  delle
nascite, e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le pressanti
esigenze di tutela della collettivita' che ne conseguono. Piu' che un
temporaneo differimento (che potrebbe non compromettere le  finalita'
della pena) si finisce per avere in moltissimi casi un differimento a
tempo indeterminato, per giunta lasciato  alla  libera  scelta  delle
interessate, le quali non indicando intenzionalmente un domicilio,  o
dimostrando  una  sicura   inaffidabilita'   incompatibile   con   la
detenzione   domiciliare,   o   sottraendosi   all'esecuzione   della
detenzione domiciliare gia' concessa (ipotesi tutte  sussistenti  nel
caso in esame), possono lucrare, quale  alternativa  inevitabile,  il
differimento della pena. A cio' si aggiunga  che  il  legislatore  ha
inasprito con l'introduzione dell'art. 624-bis c.p.  ad  opera  della
legge 26 marzo 2001, n. 128, il trattamento sanzionatorio  dei  furti
in abitazione, reati  diventati  di  grave  allarme  sociale  poiche'
comportano un serio turbamento della vita che si svolge tra  le  mura
domestiche,  oltre  ad  arrecare  un  danno  patrimoniale;  con  tale
inasprimento, il legislatore ha riconosciuto la particolare rilevanza
degli interessi lesi dal delitto, e pertanto l'ordinamento  non  puo'
poi lasciare di fatto  impunite  le  «professioniste»  dei  furti  in
abitazione, come l'odierna istante. 
    Puo' affermarsi, pertanto,  che  nel  caso  di  specie  tutte  le
finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate,
con  conseguente  violazione  del  principio  sancito   dalla   Corte
costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la
finalita' di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita'  la
cui realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla  minaccia
legale della sanzione  penale,  ma  anche  e  soprattutto  dalla  sua
concreta esecuzione - giacche' la rigida  e  prevedibile  sospensione
del momento esecutivo esclude che la  pena  irrogata  possa  svolgere
alcuna funzione di intimidazione e dissuasione rispetto  a  possibili
futuri  comportamenti  criminosi,  sia  nei  confronti  del  concreto
destinatario di essa, sia nei confronti degli altri soggetti  che  si
trovano nella medesima situazione. Del tutto vanificato e'  anche  il
profilo retributivo-affittivo della pena, posto che la rinuncia  alla
relativa esecuzione (di fatto a tempo indeterminato  per  le  ragioni
esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia'
evidenziato, infine, risultano obliterate del tutto le  finalita'  di
prevenzione speciale  e  di  rieducazione  della  pena  che  appaiono
riferibili al caso concreto. 
    La magistratura di sorveglianza deve, infatti,  in  presenza  dei
presupposti previsti dall'art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2), c.p.,
sospendere  l'esecuzione  della  pena  detentiva,  qualora  non   sia
applicabile  la  detenzione  domiciliare,  in  base  ad   un   rigido
automatismo, che non puo' essere temperato da alcuna  valutazione  di
merito volta ad assicurare il  perseguimento  delle  finalita'  della
pena e l'individualizzazione e proporzionalita' del  trattamento,  in
relazione alle concrete necessita'  specialpreventive,  neducative  e
risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma
puo' essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita'  di
situazioni personologiche e criminologiche,  tra  loro  profondamente
differenti, meritevoli di diverso trattamento, che non puo',  invece,
essere assicurato. 
    E'  del  tutto  evidente,  pertanto,  che  la  generalizzata   ed
automatica applicazione del  trattamento  di  favore  previsto  dalla
disposizione  censurata,  nell'assegnare  un  identico  beneficio   a
condannati che presentino fra loro differenti stadi del  percorso  di
risocializzazione  e  diversi   gradi   di   pericolosita'   sociale,
compromette, ad un tempo, non soltanto il principio  di  uguaglianza,
finendo per  omologare  fra  loro,  senza  alcuna  plausibile  ratio,
situazioni diverse, ma anche la  stessa  funzione  rieducativa  della
pena, posto che il riconoscimento di un  beneficio  che  non  risulti
correlato  alla  positiva  evoluzione  nel  trattamento   compromette
inevitabilmente   l'essenza   stessa   della   progressivita',    che
costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo. L'automatismo
che si rinviene nella norma denunciata e'  poi  in  contrasto  con  i
principi di proporzionalita' e individualizzazione  della  pena  come
precisati dalla richiamata giurisprudenza. 
    Ne consegue il contrasto della norma  censurata  con  l'art.  27,
terzo comma, Cost., oltre che con l'art. 3 Cost. 
    La stessa norma appare in contrasto con l'art. 3 Cost. anche  per
lesione del canone della ragionevolezza. 
    In via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il
sacrificio di alcuni di essi, in favore  di  altri,  soggiacciono  al
limite della ragionevolezza della scelta legislativa,  nel  senso  di
una non arbitraria e non ingiustificata composizione  dei  valori  in
giuoco. 
    Nel giudizio sulla razionalita' di una  disciplina  non  si  deve
guardare solo alla posizione formale di chi  ne  e'  destinatario  ma
anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost.
sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi
affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la
ratio delle norme sul differimento obbligatorio e'  la  tutela  della
salute e  dell'umanita'  della  pena;  sicuramente  finalizzato  alla
tutela della salute della donna e  del  nascituro  e'  il  rinvio  in
presenza dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel  primo
anno  di  vita  del  bambino  puo'  essere  ricondotto,   oltre   che
all'esigenza di assicurare il senso di  umanita'  della  pena,  anche
alla tutela dell'interesse del minore ad un corretto  sviluppo  della
personalita', e, in funzione  di  tale  interesse,  alla  tutela  del
rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge  tra  madre  e
figlio, non tanto e non solo per cio' che  attiene  ai  bisogni  piu'
propriamente biologici, ma anche  in  riferimento  alle  esigenze  di
carattere relazionale e affettivo che sono  collegate  allo  sviluppo
della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che
prevedono benefici nel periodo immediatamente  susseguente  al  parto
sentenza n. 376 del 2000 della Corte costituzionale). 
    Se questa e' la ratio dell'istituto del differimento, che  incide
su altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve  ritenersi
che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla
ponderazione   di    due    interessi    in    conflitto,    entrambi
costituzionalmente rilevanti. Caratteristica dei valori (o  principi)
costituzionali    soggetti    a    bilanciamento,    e'    la     non
predeterminabilita' in  assoluto,  una  volta  per  tutte,  dei  loro
rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno
sull'altro, quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso  al
giudice, ma  sia  operato  dalla  legge  nella  forma  di  una  norma
astratta, deve essere collegata a determinate condizioni tipiche.  In
assenza di tali condizioni l'esito della valutazione comparativa  non
puo' essere il medesimo. Percio',  una  norma  di  questo  tipo,  per
essere costituzionalmente legittima, non deve  escludere,  in  ordine
all'interesse    postergato,    la    possibilita'    della     prova
dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il
bilanciamento sotteso alla norma stessa, giustificano  la  precedenza
attribuita all'interesse antagonistico  (v.  in  tal  senso  sentenza
Corte cost. 1° aprile 1992, n. 149). 
    In   applicazione   di   analogo   principio,   con   riferimento
all'istituto del differimento della pena nei confronti dei condannati
affetti da AIDS, la Corte costituzionale con sentenza n. 438 del 1995
ha ritenuto non conforme al canone della ragionevolezza  l'art.  146,
primo comma, n.  3),  c.p.,  nella  parte  in  cui  non  consente  di
accertare in concreto  se  ai  fini  dell'esecuzione  della  pena  le
effettive condizioni di salute del condannato siano  compatibili  con
lo stato detentivo, poiche'  intanto  si  puo'  ritenere  ragionevole
l'allontanamento dal carcere in quanto la relativa  permanenza  negli
istituti cagioni un pregiudizio alla  salute  del  soggetto  e  degli
altri   detenuti,   posto   che   altrimenti   risulterebbero   senza
giustificazione compromessi  altri  beni  riconosciuti  come  primari
dalla Carta fondamentale. 
    Nel caso di specie, la restrizione  in  carcere  nel  periodo  di
gestazione non ha cagionato alcun concreto pregiudizio alla  gestante
e alla minore, come risulta dalla relazione del sanitario del carcere
di Venezia. Nel carcere femminile  di  Venezia,  inoltre,  la  minore
fruiva dell'assistenza sanitaria e della presenza della puericultrice
assicurate in istituto. 
    Per  converso,  come  evidenziato,  nei   periodi   di   liberta'
conseguenti ai benefici ottenuti la J. non ne ha fatto uso al fine di
dedicarsi alla cura dei figli in tenera eta', ma piu' volte (anche in
occasione  delle  precedenti  gravidanze)  e'  stata   denunciata   e
arrestata in flagranza mentre era  dedita  al  furto,  lontana  dagli
accampamenti dove i figli erano verosimilmente affidati a  parenti  o
altri  componenti  del  gruppo,  ed  ha   tenuto   un   atteggiamento
irresponsabile, perseverando nel proprio stile di vita  antinormativo
e inadatto sia ad una gestante sia ad una madre di figlio  in  tenera
eta'; in occasione dell'arresto in Bolzano,  aveva  portato  con  se'
nelle sue scorribande delittuose la figlia di  appena  pochi  giorni.
Come emerge dagli studi  sociologici  in  materia,  spesso  le  donne
nomadi sono indotte o  addirittura  costrette  al  delitto  dai  loro
uomini,  e  per  dedicarsi  a  tale  attivita'  lasciano   i   minori
nell'accampamento affidandoli a parenti o a terzi, salvo portarli con
se' in alcune delle imprese criminose, al fine di ottenere,  in  caso
di arresto, un benevolo trattamento cautelare. 
    Come  ricordato  dalla  Corte  costituzionale  nella   menzionata
sentenza n. 438 del  1995,  «il  rinvio  dell'esecuzione  della  pena
detentiva si e' sempre saldamente attestato intorno a un  presupposto
unificante, vale a dire  le  particolari  condizioni  di  salute  del
condannato  e  la  ritenuta  inconciliabilita'   delle   stesse   con
l'altrettanto peculiare  regime  carcerario.  Illuminanti,  a  questo
proposito, sono alcuni  passaggi  della  Relazione  ministeriale  sul
progetto del codice penale ove,  appunto,  si  giustifica  il  rinvio
obbligatorio dell'esecuzione della pena nel caso della donna  incinta
o che abbia partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta'
di assistenza negli  stabilimenti  carcerari  che  quelle  condizioni
personali necessariamente richiedono». 
    La concreta realta' delle istituzioni  carcerarie  e',  tuttavia,
profondamente mutata rispetto all'epoca  di  entrata  in  vigore  del
codice  penale,  sulla  scia  dei  principi  affermati  dalla   Carta
costituzionale in materia di  esecuzione  penale,  e  dell'incessante
processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito.
L'assistenza alla detenuta in stato  di  gestazione  non  rappresenta
piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena,
tenuto anche conto della possibilita' di ricorrere  al  trasferimento
esterno ex art. 11 o.p., e inoltre la  carcerazione  puo'  comportare
rischi per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo  stato
di liberta' nei casi in cui, come in quello in  esame,  lo  stato  di
liberta' non si accompagni ad uno  stile  di  vita,  anche  sotto  il
profilo igienico-sanitario, oltre  che  delle  abitudini  quotidiane,
adeguato alla particolare situazione. A  cio'  si  aggiunga  che  nel
concedere il beneficio del differimento il tribunale di  sorveglianza
non  puo'  imporre  alcuna  prescrizione  finalizzata   alla   tutela
dell'interesse  del  nascituro,  posto  che  secondo  la  consolidata
giurisprudenza l'imposizione di obblighi accessori  e'  incompatibile
con la concessione del beneficio (Cass., sez. I, 2 dicembre 1992,  n.
4591). 
    Anche sotto il profilo della salute psico-fisica  dei  minori  la
situazione degli istituti  di  pena  e'  difforme  da  quella  tenuta
presente  nel  codice  penale;  l'amministrazione  penitenziaria   ha
autorizzato nel corso degli anni l'istituzione di  asili  nido  preso
alcune strutture penitenziarie destinate  esclusivamente  alle  donne
(Pozzuoli, Roma Rebibbia, Trani, Perugia e Venezia) e,  su  richiesta
delle direzioni, presso  le  sezioni  femminili  presenti  in  alcuni
istituti di pena destinati agli uomini, in attuazione del disposto di
cui all'art. 19, d.P.R. n. 230/2000.  La  stessa  amministrazione  ha
invitato le direzioni ad assicurare almeno un  asilo  nido  per  ogni
regione e inoltre  la  presenza  di  operatori  specializzati,  quali
puericultrici, in tre istituti penitenziari (Roma, Venezia,  Milano).
In qualche istituto sono presenti un servizio di ludoteca  e  qualche
servizio di ausilio, quali, ad esempio, l'accompagnamento del  minore
da parte di  volontari  all'asilo  nido  comunale  presso  l'istituto
penitenziario di Venezia Giudecca e Roma Rebibbia, la colonia  estiva
in localita' Lido - Alberoni per i piccoli ospiti del nido di Venezia
Giudecca (v. sul punto i dati riportati nella  risoluzione  approvata
dal C.S.M. nella  seduta  del  27  luglio  2006  sulla  tutela  della
maternita'  e  dei  figli  minori  dei  detenuti).  In  alcuni  casi,
pertanto, non puo' a priori  escludersi  che  in  alcuni  nidi  degli
istituti di  pena  siano  assicurati  al  minore  un'assistenza  piu'
adeguata da punto di vista sanitario, e inoltre forme  di  assistenza
fmalizzate ad un  corretto  sviluppo  della  personalita'  (quali  la
frequenza del nido comunale,  l'assistenza  della  puericultrice,  la
colonia   estiva,   le   attivita'   ricreative   organizzate   dalle
associazioni  di  volontariato)  non  assicurate  in  alcuni   gruppi
familiari  inseriti  in  culture  di   microcriminalita'   prive   di
riferimenti abitativi stabili. 
    E' proprio la rigida presunzione  stabilita  dal  legislatore  ad
apparire priva di adeguato. fondamento e tale da  rendere  dubbia  la
razionalita' di una norma dalla  cui  concreta  applicazione  possono
generarsi ingiustificate compromissioni di altri  interessi  tutelati
dall'ordinamento. Le ipotesi del  differimento  obbligatorio  per  la
donna incinta o madre di infante di eta' inferiore ad anni  uno  sono
le sole, tra quelle previste dall'art.  146  c.p.,  a  non  ammettere
alcuna verifica  in  concreto  sulla  sussistenza  di  una  effettiva
situazione di  pregiudizio  agli  interessi  che  la  norma  tende  a
tutelare  o  di  contrarieta'  dell'esecuzione  penale  al  senso  di
umanita' (verifica prevista, invece,  nelle  ipotesi  dei  condannati
affetti da AIDS o altra malattia particolarmente grave),  ed  inoltre
che hanno una difforme regolamentazione in sede cautelare e  in  sede
esecutiva. La  possibilita'  di  verificare  la  sussistenza  di  una
effettiva situazione di  pregiudizio  per  la  gestazione  o  per  lo
sviluppo psico-fisico del minore conseguente alla carcerazione  o  di
contrarieta' dell'esecuzione penale al senso  di  umanita'  (verifica
che andrebbe effettuata caso per caso  in  relazione  alle  strutture
disponibili,  alla   personalita'   del   minore   e   della   madre,
all'andamento della  gestazione  e  alle  condizioni  di  vita  della
famiglia)  consentirebbe,  invece,  un'adeguata  composizione   degli
interessi configgenti e la salvaguardia della ratio dell'istituto del
differimento, le cui finalita', invece, vengono in casi  come  quello
in esame completamente snaturate. 
    La disposizione impugnata deve ritenersi non conforme  al  canone
della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano
significative  esigenze  di  sicurezza  sociale   e   la   detenzione
domiciliare non sia adeguata a prevenire  il  pericolo  di  recidiva,
bensi'  venga  revocata,  di  accertare  in  concreto  se  ai   fini'
dell'esecuzione della pena  la  carcerazione  comporti  un  effettivo
pregiudizio,  tale  da  rendere  contraria  al  senso   di   umanita'
l'esecuzione penale, e se la scarcerazione «secca» sia effettivamente
idonea ad assicurare la tutela degli interessi ai quali il  beneficio
e' preordinato. Da qui il contrasto della norma denunciata con l'art.
3 Cost., ravvisabile non solo sotto il profilo della  violazione  del
canone della ragionevolezza, per le  ragioni  evidenziate,  ma  anche
sotto  il  profilo  della  razionale  uniformita'   del   trattamento
normativo, in quanto in presenza delle medesime condizioni (stato  di
gestazione e presenza di figlio di eta'  inferiore  ad  un  anno)  e'
consentito solo nella fase cautelare disporre  la  carcerazione,  sia
pure ove sussistano esigenze di eccezionale rilevanza. Non  e'  senza
rilievo il fatto che l'art. 275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con  la
legge 26 marzo 2001, n. 128, una legge dunque posteriore alla legge 8
marzo 2001, n. 40 che ha modificato l'art.  146  c.p.  estendendo  il
differimento obbligatorio fino ad un anno di vita del bambino. Sino a
prova del contrario, pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che
il legislatore abbia consapevolmente tenuto  distinta  la  disciplina
del  rinvio  dell'esecuzione  della  pena  rispetto  a  quella  della
custodia cautelare. 
    E' pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per
natura e finalita', si' da non apparire irragionevole,  in  astratto,
una difforme disciplina (v. in tal  senso  Corte  cost.  sentenza  n.
25/1979); come affermato dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  (v.
sentenza Cass. n. 43014 del 2001) scopo  della  misura  cautelare  e'
quello di assicurare una o piu' delle esigenze di  cui  alle  lettere
a), b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque,  di
una finalita' da un lato contingente, in quanto legata  all'evolversi
di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a
garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita'
quando sussista il pericolo della commissione di altri reati gravi  o
della stessa specie di quello per cui si procede. In tale ottica,  il
legislatore si e' posto  il  problema  di  un  bilanciamento  tra  le
esigenze di cautela e le esigenze di tutela della salute o  di  altre
situazioni personali dell'indagato, contemperando tali  esigenze  con
la previsione dei limiti alla custodia  cautelare  in  carcere  nelle
ipotesi previste dall'art. 275, c. 4 c.p.p. 
    Nel caso di specie, pero'  (come  in  altri  casi  analoghi),  le
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza  ritenute  sussistenti  a
carico della J. nelle menzionate ordinanze custodiali  del  Tribunale
di Fabriano,  di  Bolzano  e  di  Treviso  sono  rappresentate  dalle
esigenze di tutela della collettivita',  considerate  dall'art.  274,
comma 1, lett. c), c.p.p. (pericolo concreto di reiterazione di reati
della stessa specie); non si tratta,  quindi,  di  esigenze  poste  a
garanzia delle indagini e del processo,  tipiche  solo  delle  misure
cautelari e non della pena (esigenze che potrebbero giustificare  una
difforme disciplina), ma delle esigenze di tutela della collettivita'
alla cui salvaguardia e' finalizzata anche la pena, la cui  composita
funzione comprende anche le esigenze di prevenzione e di tutela della
collettivita'. In  presenza  delle  medesime  esigenze  di  sicurezza
sociale e delle medesime situazioni personali, l'ordinamento consente
solo al giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove  siano
di eccezionale rilevanza, mentre dopo il passaggio  in  giudicato  le
stesse esigenze sono postergate e nessuna verifica e'  consentita  al
giudice di sorveglianza in  merito  all'eccezionalita'  delle  stesse
esigenze e all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre  e  il
minore. Come emerge dall'esposizione dei fatti, la J. e'  rimasta  in
carcere  sottoposta  a  custodia  cautelare  fino  al  passaggio   in
giudicato delle due condanne della cui esecuzione si discute, e  fino
a tale momento l'ordinamento ha consentito al giudice  della  cautela
la salvaguardia delle esigenze  di  sicurezza  sociale,  mentre  dopo
l'irrevocabilita' delle sentenze  tali  esigenze  non  possono  avere
alcuna rilevanza, se non ai fini della concessione  della  detenzione
domiciliare, nel caso di  specie  revocata  in  data  odierna  e  non
concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata; in caso di
ulteriore   (e   irragionevole)   concessione   della   misura,    ne
conseguirebbe   verosimilmente   una   inarrestabile   sequenza    di
sottrazioni alla detenzione domiciliare e di ripristino della stessa,
che da un lato svilirebbe l'essenza stessa della misura e  dall'altra
lascerebbe di fatto integralmente sguarnite le esigenze che la misura
e' invece destinata a salvaguardare (in tal  senso,  con  riferimento
agli arresti domiciliari per i malati di AIDS, v. Corte cost. n.  439
del 1995).  Appare  irragionevole  che  in  presenza  delle  medesime
condizioni e delle medesime esigenze  da  salvaguardare  il  difforme
trattamento previsto dalla legge sia  determinato  da  un  dato  solo
formale  quale  il  passaggio  in  giudicato  della   sentenza   (che
determinata la trasformazione  giuridica  della  condanna  in  titolo
esecutivo), indipendente dal comportamento del reo.  Con  riferimento
ad altra ipotesi  di  differimento  obbligatorio  (per  i  condannati
affetti da AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la
disciplina in sede cautelare ed esecutiva con le sentenze  n.  438  e
439 del 1995. 
    Ancora,  sotto  il  profilo  della  razionale   uniformita'   del
trattamento   normativo,   va   rilevato   che   in   altri   settori
l'ordinamento,  nel  prevedere  particolari  forme  di  tutela  della
maternita' e del  minore  nella  fase  immediatamente  successiva  al
parto, non trascura  la  salvaguardia  delle  esigenze  di  sicurezza
sociale: basti pensare al divieto di espulsione della donna in  stato
di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto  previsto  dall'art.
19, d.lgs. n. 286/1998  (divieto  esteso  all'espulsione  del  marito
convivente della donna a seguito della sentenza della Corte cost.  n.
376 del 27 luglio 2000), che trova un limite nelle esigenze di tutela
e sicurezza dello Stato. 
    Deve, infine, rilevarsi che la particolare  normativa  di  favore
per le donne in stato di gravidanza e puerperio  puo'  indurre,  come
nella pratica gia' avviene e nel caso in esame e' certamente avvenuto
(v. pagg. 3, 4 e 11), ad  una  strumentalizzazione  a  fini  illeciti
della maternita' e del rapporto di filiazione, con conseguente scelta
della procreazione al solo fine di ottenere l'impunita' di fatto  dai
delitti  commessi;  ne  consegue  lo  snaturamento   della   funzione
dell'istituto, con lesione dell'art. 30 cost. 
    Per le esposte ragioni, ritiene questo tribunale di  sorveglianza
che si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione  degli
atti  alla  Corte  costituzionale,   risultando   rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di' costituzionalita' dell'art.
146, primo comma, n. 1) e n. 2), c.p., nella parte in cui in cui  non
consente al tribunale di sorveglianza, nel caso in  cui  disponga  la
revoca della detenzione domiciliare, di accertare in concreto  se  la
tutela  delle  esigenze  del  minore   e/o   della   gestante   siano
incompatibili  con   l'esecuzione   della   pena   in   carcere,   e,
conseguentemente, di negare  il  differimento  dell'esecuzione  della
pena quando il beneficio non sia  ritenuto  adeguato  alle  finalita'
previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione. 
                              P. Q. M. 
    Visti ed applicati gli artt. 1, legge n.  1/1948,  23,  legge  11
marzo 1953 n. 87, 146 c.p. 678, 684 c.p.p. 
    Dichiara rilevante ai fini  del  giudizio  e  non  manifestamente
infondata, nei  termini  esposti  in  motivazione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo comma, n.  1)  e  n.
2), c.p., in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e  30  Cost.,
nella parte in cui  non  prevede  che  il  Giudice  possa  negare  il
differimento quando lo ritenga non adeguato alle  finalita'  previste
dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e sussista il  pericolo
di  eccezionale  rilevanza  di  commissione  di  altri  delitti,   la
detenzione domiciliare non sia idonea  a  prevenire  il  pericolo  di
recidiva, e inoltre l'espiazione  della  pena  possa  avvenire  senza
pregiudizio per le esigenze tutelate dalla norma. 
    Sospende il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli
atti  alla  Corte  costituzionale,  riservando  la  definizione   del
procedimento all'esito della decisione della Corte adita. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Manda  per  le  notifiche   e   comunicazioni   prescritte   alla
condannata, al difensore, al Procuratore  generale  della  Repubblica
presso la Corte d'appello di Venezia. 
        Cosi' deciso in Venezia, in data 16 settembre 2008. 
                      Il Presidente: Tamburino 
                                           Il giudice estensore: Vono