N. 29 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 settembre - 8 ottobre 2008
Ordinanza dell'8 ottobre 2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Venezia nel procedimento di sorveglianza nei confronti di J.S.. Esecuzione penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena - Obbligo del differimento in caso di esecuzione della pena nei confronti di donna incinta e di madre di infante di eta' inferiore ad anni uno - Mancata previsione della possibilita' per il giudice di negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, comma terzo, Cost., sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti e la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione dei principi a base della tutela della maternita' e del minore. - Codice penale, art. 146, primo comma, nn. 1 e 2. - Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30.(GU n.6 del 11-2-2009 )
IL TRIBUNALE Sentiti il Procuratore generale e la difesa, che hanno concluso come da verbale, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento nei confronti di J.S., nata in Croazia il 3 dicembre 1981, alias N.K., nata in Croazia il 6 ottobre 1984, alias N.S., nata in Croazia il 2 gennaio 1987, Codice univoco Identificativo (CUI) 01QSFE9, detenuta nella Casa circondariale di Bologna, condannata con sentenza del Tribunale di Treviso in composizione monocratica in data 23 giugno 2008 e con sentenza del Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, in data 10 maggio 2007, tendente alla concessione del differimento dell'esecuzione della pena. Motivazione La sedicente J.S., gia' ristretta nella Casa reclusione donne di Venezia, presentava al Magistrato di sorveglianza di Venezia istanza di differimento dell'esecuzione della pena adducendo a sostegno di essere in stato di gravidanza, oltre che madre di infante nata il giorno 1° ottobre 2007, di eta' inferiore ad anni uno. Acquisite le necessarie informazioni, che confermavano le condizioni soggettive dedotte, il magistrato di sorveglianza con decreto datato 11 agosto 2008 rigettava l'istanza di differimento in ragione della spiccata pericolosita' sociale desumibile dai numerosi precedenti segnalazioni di polizia, anche sotto false generalita'; in presenza dei presupposti per il differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena, tuttavia, con lo stesso provvedimento concedeva in via provvisoria la misura della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-quater o.p., reputando la misura maggiormente idonea a consentire il contemperamento delle necessita' familiari della condannata e delle esigenze di difesa sociale, garantendo nel contempo l'esecuzione della pena legalmente inflitta. La detenzione domiciliare avrebbe dovuto trovare esecuione in Codevigo fino alla decisione di questo Tribunale di Sorveglianza, ma in data 6 settembre 2008 la condannata si allontanava dal luogo prescritto rendendosi irreperibile e sottraendosi all'esecuzione della pena. Il Magistrato di sorveglianza di Venezia disponeva, pertanto, la sospensione interinale della misura. In data odierna e' pervenuta in cancelleria comunicazione dei Carabinieri di San Lazzaro di Savena datata 16 settembre 2008 (acquisita agli atti) da cui risulta che la condannata, con l'alias di N.S. nata in Croazia il 2 gennaio 1987, e' stata arrestata in data 15 settembre 2008 nella flagranza del delitto di tentato furto in abitazione e possesso di arnesi atti allo scasso. All'odierna udienza, fissata sia per il differimento della pena che per la revoca della misura gia' concessa in via provvisoria, il Procuratore generale ha concluso chiedendo la sospensione del procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2) c.p. sollevata d'ufficio da questo tribunale di sorveglianza in altri procedimenti con le ordinanze n. 715/08 del 13 maggio 2008 e n. 1026/2008 del 15 luglio 2008 in relazione all'art. 146, primo comma, n. 2) c.p., e con le ordinanze n. 1024/2008 del 15 luglio 2008 e n. 1025/2008 del 15 luglio 2008 in relazione all'art. 146, primo comma, n. 1, c.p., mentre il difensore di fiducia ha richiesto la concessione del differimento in attesa della decisione della Corte. Con separata ordinanza emessa in data odierna questo tribunale di sorveglianza ha disposto la revoca della detenzione domiciliare provvisoria nei confronti della condannata, reputando il comportamento da questa tenuto incompatibile con la prosecuzione del beneficio. Nell'odierno procedimento, la cui trattazione separata si impone per le ragioni che di seguito si esporranno, deve essere valutata la concessione del differimento dell'esecuzione ex art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2) c.p. in ordine alla pena residua di cui alle due condanne in epigrafe. Dagli atti acquisiti risulta la sussistenza dei presupposti del differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2) c.p., essendo la condannata madre di infante di eta' inferiore ad anni uno ed in stato di gravidanza, circostanza, quest'ultima, confermata anche dalla recentissima notizia di reato dei Carabinieri di San Lazzaro di Savena e dall'allegato referto medico, attestante che l'interessata e' al sesto mese di gestazione. L'esame delle vicende cautelari ed esecutive relative alle due condanne del Tribunale di Treviso in data 23 giugno 2008 e del Tribunale di Ancona, sez. distaccata di Fabriano, in data 10 maggio 2007, della cui esecuzione si discute, impone alcune considerazioni. La J. (le cui esatte generalita' non sono note) veniva arrestata con le generalita' di N.K. in Fabriano il 9 maggio 2007 nella flagranza del reato di furto aggravato in abitazione in concorso, e veniva sottoposta a custodia cautelare in carcere per esigenze cautelari di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4, c.p.p. con ordinanza del Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, in composizione monocratica in data 10 maggio 2008, nonostante il dedotto stato di gravidanza; riteneva, infatti, il Giudice della cautela non adeguata una diversa misura per lo stato di nomadismo e i plurimi precedenti dattiloscopici e giudiziari dell'indagata. Con sentenza datata 11 maggio 2007 lo stesso tribunale applicava ex art. 444 c.p.p.la pena di anni uno e mesi sei di reclusione; non appena passata in giudicato la condanna, la condannata richiedeva al Magistrato di sorveglianza di Ancona il differimento provvisorio in ragione dello stato di gravidanza, beneficio che veniva concesso dallo stesso Magistrato di sorveglianza in via interinale con decreto datato 19 giugno 2007. Il 9 ottobre 2007 la nomade veniva nuovamente arrestata dalla Questura di Bolzano con le generalita' di J.S. nella flagranza dei delitti di furto aggravato, tentato furto aggravato in abitazione, possesso di arnesi atti allo scasso e ricettazione di monili d'oro; tali fatti venivano commessi in concorso con una minorenne, con l'aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale e del danno di rilevante gravita' quanto al furto in abitazione consumato. Nell'occasione, la J. aveva con se' la figlia nata da pochi giorni (in data 1° ottobre 2007), al fine di ottenere un benevolo trattamento cautelare (circostanza cosi' descritta nel capo di imputazione). Veniva, tuttavia, sottoposta a custodia cautelare in carcere con ordinanza del 13 ottobre 2007 per esigenze di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4, c.p.p. Con successiva sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. in data 24 ottobre 2007 il g.i.p. presso il Tribunale di Bolzano applicava la pena di anni due e mesi otto di reclusione e con ordinanza emessa in pari data sostituiva la custodia cautelare in carcere con l'obbligo di dimora in Monselice, tenuto conto delle esigenze della figlia di eta' inferiore ad un mese. In data 20 giugno 2008 (dopo essere stata segnalata altre tre volte per furto e possesso di arnesi atti allo scasso in Padova e Rovereto) la J. veniva arrestata in Mogliano Veneto nella flagranza del reato di furto aggravato in abitazione, commesso anche stavolta in concorso con una minorenne. Dall'esame degli atti risulta che nel periodo tra la scarcerazione disposta dal Magistrato di sorveglianza di Ancona in ragione dello stato di gravidanza e l'arresto in Mogliano Veneto la predetta risulta essere stata segnalata o arrestata otto volte, con generalita' diverse, in varie localita' del territorio nazionale per reati contro il patrimonio (v. elenco precedenti dattiloscopici trasmesso dai Carabinieri di San Lazzaro di Savena). Trattasi di episodi delittuosi commessi in stato di gravidanza o subito dopo il parto, circostanza che evidenzia l'assenza di qualsivoglia considerazione da parte dell'interessata per le esigenze di tutela del nascituro o del neonato in ragione delle quali le era stato concesso il differimento; la particolare condizione soggettiva le ha consentito, peraltro, di lucrare un benevolo trattamento cautelare nella quasi totalita' dei casi. Con sentenza del Tribunale di Treviso in data 23 giugno 2008 veniva applicata su accordo delle parti la pena di anni tre e mesi due di reclusione di reclusione per i fatti commessi in Mogliano Veneto, riconosciuta l'aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, ma la condannata rimaneva in vincuils in quanto sottoposta a custodia cautelare in carcere per esigenze di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4 c.p.p. emessa in pari data (v. ordinanza del Tribunale di Treviso in composizione monocratica datata 23 giugno 2008). A sostegno della misura cautelare, il Giudice di Treviso, tenuto conto dei numerosissimi precedenti giudiziari e dattiloscopici prevalentemente per furti in abitazione e delle false generalita' di volta in volta fornite agli organi di polizia, formulava una prognosi di concreto ed elevato pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, reputando inefficace a scopi preventivi altra misura cautelare. Diventata definitiva la condanna, la detenuta richiedeva al Magistrato di sorveglianza di Venezia il differimento provvisorio dell'esecuzione della pena, deducendo di essere in stato di gravidanza e di essere madre di figlia di eta' inferiore ad anni uno, ospite del nido del carcere veneziano. Il Magistrato di sorveglianza di Venezia con il menzionato decreto interinale datato 11 agosto 2008 rigettava l'istanza di differimento e concedeva in via provvisoria la misura della detenzione domiciliare, verso la quale la condannata dimostrava, come gia' esposto, assoluto spregio. Deve, altresi', rilevarsi che nelle note informative delle forze dell'ordine trasmesse a questo Tribunale di Sorveglianza la J. e' descritta come una nomade di elevatissima pericolosita' sociale, che ha fatto del crimine l'unica forma di sostentamento ed ha fornito numerosissime false generalita' «con metodologia scientifica» per procurarsi l'impunita' (v. nota informativa Questura di Venezia in atti); a cio' si aggiunga che ha iniziato a delinquere da minorenne e senza alcuno scrupolo coinvolge nella commissione dei delitti congiunti in tenera eta'. Dai certificati acquisiti e dal nutrito elenco di precedenti dattiloscopici si evince, inoltre, che la condannata ha commesso delitti in tutto il territorio nazionale, nell'ambito del quale si sposta frequentemente da un capo all'altro della penisola, ed ha plurimi precedenti e segnalazioni per furti aggravati plurimi in abitazione, porto ingiustificato di arnesi atti allo scasso, porto di oggetti idonei all'offesa alla persona, in osservanza di provvedimenti dell'autorita', violazione delle norme sull'immigrazione, false dichiarazioni sull'identita' personale, ricettazione, uso di atto falso; a fronte dei numerosi precedenti e segnalazioni, i periodi di carcerazione che risultano dall'archivio storico dell'amministrazione penitenziaria sono esigui, e risultano seguiti a breve dalla scarcerazione dell'indagata con l'imposizione di misure cautelari non detentive, quali l'obbligo o il divieto di dimora, oppure dal differimento della pena ex art. 146 c.p. (v. anche ordinanza del ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Verona in data 16 agosto 2004 in atti). Esaminati gli atti acquisiti, questo Collegio non puo' che condividere il giudizio di spiccatissima pericolosita' sociale gia' formulato nei confronti dell'odierna istante da altre Autorita' Giudiziarie, il cui grado attuale esigerebbe, al fine di un suo adeguato contenimento, l'applicazione di una misura detentiva; parimenti, reputa certo, piu' che verosimile, l'abuso del richiesto differimento, ove concesso, al fine di commettere altri delitti contro il patrimonio, senza alcun riguardo per le esigenze alla cui tutela il beneficio e' preordinato, posto che gia' in passato la nascita degli altri figli non ha dissuaso la donna dal commettere delitti, cosi' come nessuna efficacia dissuasiva ha avuto la gravidanza in atto, come si desume dall'ultima recentissima segnalazione dei Carabinieri di San Lazzaro di Savena per furto aggravato e possesso di arnesi atti allo scasso. Questo Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, non puo' negare sic et simpliciter il differimento della pena (con conseguente esecuzione penale in carcere), potendo al piu' concedere, quale misura sostitutiva del richiesto differimento, la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter o.p., misura gia' concessa in data 11 agosto 2008 dal Magistrato di sorveglianza di Venezia e revocata in data odierna in quanto rivelatasi del tutto inadeguata. Non appare superfluo rammentare l'orientamento della dottrina e della giurisprudenza in ordine ai rapporti tra il differimento e la detenzione domiciliare. Nella vigenza della normativa preesistente alla legge n. 165/1998 parte della dottrina facendo riferimento al dato testuale, che qualifica come obbligatorio il rinvio dell'esecuzione, lo riteneva prevalente rispetto alla detenzione domiciliare. Di diverso avviso coloro che si soffermavano sugli indubbi vantaggi che la detenzione domiciliare comporta per il condannato, tra i quali il fatto che il tempo trascorso in esecuzione della misura si consideri pena espiata. Oggi, a seguito della novella di cui alla legge n. 165/1998, la giurisprudenza e' orientata ad affermare che il legislatore ha modificato profondamente l'istituto della detenzione domiciliare, facendolo divenire, con l'introduzione del comma 1-ter (oltre che 1-bis) o.p., una delle misure alternative piu' duttili e piu' idonee a soddisfare le contrapposte esigenze del rispetto dei diritti della persona e di sicurezza della societa' (v. sentenza Cass., sez. I, n. 20480 del 2001). Tale misura, si afferma, «configura la polifunzionalita' del regime detentivo, mirato, per un verso, all'esigenza di effettivita' dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, ad una sua esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanita» (v. sentenza Cass., sez. I, n. 6952 del 2000). Riguardo ai criteri di scelta tra i due benefici, la giurisprudenza della Corte di legittimita' ha anche precisato che il tribunale di sorveglianza deve fare una duplice verifica, dovendo prima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell'esecuzione della pena quando ricorrano esigenze di tutela collettiva (sempre da tenere presenti in tema di esecuzione della pena) che rendano piu' adeguata l'esecuzione della pena in forma alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez. I, sentenza n. 656 del 2000); piu' di recente, la Corte di legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita' il reinserimento sociale del condannato, mentre il diffenmento della pena previsto dall'art. 146 e 147 c.p., anteriore all'ordinamento penitenziario vigente, ha finalita' diverse dall'individuazione del trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta il giudice deve valutare se le condizioni del condannato siano compatibili con le finalita' rieducative della pena e con le possibilita' concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all'esito di tale valutazione, l'espiazione della pena appaia contraria al senso di umanita' per le eccessive sofferenze da essa derivanti ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell'impossibilita' di proiettare in futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l'istituto del differimento (sentenza Cass., sez. I, n. 45158 del 14 novembre 2007, dep. il 6 dicembre 2007). Facendo applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che le condizioni di vita individuali e sociali della condannata, i plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze di sicurezza sociale, nonche' il reiterato abuso dei benefici gia' ottenuti (da ultimo la detenzione domiciliare provvisoria concessale dal Magistrato di sorveglianza di Venezia e il differimento provvisorio concesso dal Magistrato di sorveglianza di Ancona) per perseverare nel crimine, indurrebbero a ritenere piu' adeguata al contenimento della pericolosita' sociale l'esecuzione della pena, quantomeno in forma alternativa. Nel caso di specie, pero', e' certa l'assoluta inidoneita' della detenzione domiciliare (che e' misura a contenuto prescrittivo, e postula, per realizzare la funzione che le e' propria, la volonta' adesiva di chi vi e' sottoposto; in tal senso riguardo agli arresti domiciliari v. Corte cost., sentenza n. 439/1995) per causa imputabile alla condannata. Il grado di inaffidabilita' piu' volte dimostrato dalla condannata, unitamente all'assoluta indifferenza verso le norme penali e del vivere sociale evidenziata, non consentono l'applicazione dell'unica alternativa al differimento prevista dall'ordinamento vigente. Pur in assenza di situazioni personali che precludano l'efficacia rieducativa della pena o che rendano contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale in forma alternativa, questo Tribunale di sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio del differimento. Una diversa interpretazione non appare ragionevolmente sostenibile, senza inammissibili forzature del dato normativo; il tenore testuale dell'art. 146, primo comnia, n. 1) e n. 2), c.p., nella parte in cui dispone «l'esecuzione e' differita» anziche' «puo' essere differita», non lascia dubbi interpretativi. Puo', al piu' rilevarsi che con la previsione contenuta nel comma 1-ter dell'art. 47-ter o.p., che introduce una disciplina differenziata rispetto a quella generale, anche in relazione ai limiti edittali, il legislatore sembra voler richiamare l'attenzione sulla necessita' di contemperare le esigenze di tutela delle condizioni del condannato con quelle di tutela della collettivita', rimettendo al tribunale di sorveglianza la scelta dello strumento piu' idoneo a perseguire tale contemperamento, si' da far ipotizzare che l'istituto del differimento obbligatorio abbia perso tale carattere, risultando rimessa la sua adozione alla valutazione discrezionale del tribunale di sorveglianza. Tuttavia, tale argomento, a fronte del dato testuale inequivocabile e dell'assenza di una normativa di raccordo tra la previsione del codice penale e la normativa penitenziaria, appare insufficiente a reputare consentito il diniego «secco» del differimento, nelle ipotesi disciplinate dall'art. 146, comma primo, n. 1 e n. 2) c.p. Ritiene, pertanto, questo Collegio che la disposizione, cosi' formulata e intesa, attribuisca al sistema una connotazione criticabile sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita', e che, pertanto, debba essere sollevata d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della norma, per contrasto con gli artt. 3, 27, terzo comma, e 30 cost., ravvisandosene la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Lo scrutinio di costituzionalita' della stessa norma e' gia' stato richiesto da questo tribunale di sorveglianza con le ordinanze n. 715/08 del 13 maggio 2008 e n. 1026/2008 del 15 luglio 2008 in relazione all'art. 146, primo comma, n. 2) c.p., e con le ordinanze n. 1024/2008 del 15 luglio 2008 e n. 1025/2008 del 15 luglio 2008 in relazione all'art. 146, primo comma, n. 1, c.p.; nel caso di specie ricorrono entrambi i presupposti per il differimento della pena, essendo la condannata in stato di gi avidanza e madre di infante di eta' inferiore ad anni uno. La questione e' rilevante ai fini della pronuncia sull'odierna istanza, essendo ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter logico-giuridico che questo tribunale deve percorrere per la decisione conclusiva dell'odierno procedimento, in quanto risultano sussistenti i presupposti del differimento obbligatorio della pena, la cui applicazione e' stata richiesta dal difensore, e con ordinanza emessa in data odierna e' stata revocata l'unica misura concedibile in alternativa al differimento. In punto di non manifesta infondatezza, va premesso che e' indiscutibile la scelta del legislatore di tutelare anche nella fase dell'esecuzione penale le particolari esigenze delle donne in gravidanza o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e fortemente condiviso da questo Collegio e' il principio secondo il quale tendenzialmente in un paese democratico la detenzione delle donne in gravidanza e delle madri che accudiscono figli in tenera eta' dovrebbe essere prevista solo «in ultima istanza» (come raccomandato agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e l'impatto della carcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare, al punto 14). Non sfugge, inoltre, al Collegio, come ricordato dalla Corte costituzionale, che «l'alternativa tra l'immediata esecuzione della pena o la sua temporanea inesigibilita' a causa di situazioni soggettive che il legislatore ritiene di qualificare come incompatibili con la carcerazione, non comporta soluzioni univoche sul piano costituzionale, dovendosi necessariamente ammettere spazi di valutazione normativa che ben possono contemperare l'obbligatoneta' della pena con le specifiche situazioni di chi vi deve essere sottoposto» (Corte cost. sentenza n. 70/1994). Conferma l'assenza di soluzioni «a rime obbligate» la circostanza che nel progetto di riforma al codice penale predisposto dalla Commissione nominata con d.m. 23 novembre 2001 il differimento dell'esecuzione della pena per gravidanza e puerperio non sia previsto, mentre e' prevista la concessione (facoltativa) della conversione della pena detentiva con altra misura in caso di condannata incinta o madre di prole di eta' inferiore ad anni dieci (v. art. 81 n. 6 del progetto); il disegno di legge delega predisposto dall'ultima Commissione di riforma del codice penale istituita con d.m. 31 luglio 2006, invece, nel prevedere nuovamente l'istituto del differimento, non lo qualifica come obbligatorio. Il legislatore ordinario, pero', nell'esercizio del suo potere discrezionale di dettare norme che incidono su interessi costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale. Con riferimento alla normativa penitenziaria, la Corte costituzionale ha precisato che «eguaglianza di fronte alla pena significa proporzione della medesima alle personali responsabilita' ed alle esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi, ed in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare progressivita' trattamentale e flessibilita' della pena (sentenze n. 445 del 1997 e 306 del 1993) e, conseguentemente, un potere discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006). Con sentenza n. 306 del 1993, ancora, la Corte ha affermato il principio secondo cui, nell'ambito delle finalita' che la Costituzione assegna alla pena (quella di prevenzione generale e di difesa sociale, con i connessi caratteri di retributivita' e afflittivita', e quella di prevenzione speciale e di rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore ordinario puo' - nei limiti della ragionevolezza - far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l'una o l'altra finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata. Conformemente a tali principi, ai quali e' improntato tutto il settore dell'esecuzione penale, la concessione di ogni beneficio penitenziario deve essere preceduta, oltre che dall'accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimita' di volta in volta prescritti dalla legge, anche da una valutazione del giudice sul raggiungimento da parte del condannato di uno stadio del percorso rieducativo adeguato al beneficio richiesto, e sulla conseguente idoneita' rieducativa di quest'ultimo, nonche' sull'idoneita' a prevenire il pericolo di recidiva. Nelle proprie decisioni, il giudice di sorveglianza deve aver riguardo ai risultati del trattamento individualizzato, o, in caso di assenza di trattamento, al comportamento tenuto in liberta', e verificare la sussistenza delle condizioni per un adeguato reinserimento sociale, al fine di garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento sanzionatorio, oltre che l'ineludibile finalita' rieducativa della pena. Come innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza non ha finalita' rieducativa, ma tende solo ad evitare che in presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'; la potesta' punitiva dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena incontra, per vero, un limite invalicabile in quelle situazioni in cui per le condizioni personali del reo l'esecuzione dalla pena contrasterebbe con il senso di umanita' o non potrebbe avere alcuna efficacia rieducativa (cfr. Cass. sentenza 1138 del 26 aprile 1994). In assenza di tali estreme condizioni, tuttavia, non appare giustificata la compromissione delle finalita' della pena previste dalla Costituzione, in quanto, pur essendo istituto anteriore all'entrata in vigore della Carta costituzionale, l'istituto del rinvio dell'esecuzione deve essere interpretato alla luce di tali principi. Pur non rientrando, inoltre, tra i benefici premiali, difettando la natura premiale, trattasi comunque di un beneficio che pur se previsto dal codice penale, all'interno di un capo (il secondo) di contenuto assai vario ed eterogeneo, ha una concreta incidenza nella vicenda esecutiva e penitenziaria, e' demandato alla competenza del giudice di sorveglianza e pertanto deve soggiacere, salvi i limiti anzidetti, ai principi vigenti in materia penitenziaria, in particolare al principio del finalismo rieducativo della pena. Nel caso di specie, il beneficio del differimento provvisorio si e' gia' rivelato non adeguato, sia sotto il profilo rieducativo sia sul piano della prevenzione speciale, e cosi' pure la detenzione domiciliare, apertamente violata, ma nonostante l'abuso dei benefici gia' concessi questo tribunale di sorveglianza non puo' negare il differimento, salvo optare per una nuova concessione della misura oggi revocata, che con certezza non troverebbe regolare esecuzione. Risulta, cosi', violato il principio della proporzionalita' e individualizzazione del trattamento sanzionatorio, ma anche il principio della progressivita' trattamentale, in base al quale «nel caso di abuso dei benefici gia' concessi o di altre irregolarita' comportamentali deve conseguire una regressione nel percorso trattamentale» (cosi' come, all'inverso, «il maturarsi di positive esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala degli istituti di risocializzazione»; v. sul punto Corte cost. sent. n. 445/1997 con riferimento ai permessi premio). L'importanza della progressivita' trattamentale e' stata piu' volte ribadita dalla Corte costituzionale, che ha affermato che tale principio rappresenta il «fulcro attorno al quale si e' dipanata la propria giurisprudenza doverosamente attenta a rimarcare l'esigenza che ciascun istituto si modelli e viva nel concreto come strumento dinamicamente volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena»; espressione normativa della biunivoca correlazione che deve necessariamente stabilirsi tra la progressione (o regressione) nel trattamento rieducativo e la risposta conseguente sul piano dell'accesso agli istituti di risocializzazione e' la norma di cui al comma 2 dell'art. 58-quater o.p., che prevede, in caso di revoca di una misura alternativa alla detenzione, il divieto di concessione dei benefici previsti dal comma 1 della norma per un periodo di tre anni dalla data del provvedimento di revoca. Nel caso in esame, alla revoca della detenzione domiciliare non puo', pero', conseguire il diniego di concessione del differimento, non compreso nella previsione del comma 1 dell'art. 58-quater o.p., ma puo' solo conseguire la concessione di un beneficio ben piu' ampio di quello rivelatosi inadeguato, senza che possa essere tenuta in alcuna considerazione l'impossibilita' di formulare una prognosi di futura astensione da comportamenti di tipo deviante, tenuto conto della reiterazione di condotte criminose e della dimostrata adesione a modelli di vita incentrati su attivita' illecite, in quanto la norma non consente, sulla base di tale giudizio prognostico, il rigetto del beneficio; solo in relazione alle situazioni legittimanti un rinvio facoltativo dell'esecuzione il comma 4 dell'art. 147 c.p. (aggiunto dalla legge n. 40/2001) dispone che il provvedimento «non puo' essere adottato o se e' adottato e' revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti». Anche tale disposizione conferma la diversa scelta del legislatore in ordine al differimento obbligatorio, riguardo al quale non e' consentito analogo apprezzamento del giudice. Generalmente si afferma, riguardo all'istituto del differimento, che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate a seguito di una esecuzione differita; nel caso di specie, pero', puo' ragionevolmente affermarsi che allo scadere del termine del differimento (ovvero tra oltre un anno, periodo nel corso del quale verosimilmente la J. continuera' a perseverare nel crimine) l'esecuzione non potra' agevolmente essere ripristinata, considerata l'abilita' dimostrata dalla condannata nel rendersi irreperibile e nel fare uso di numerose false generalita'. Tenuto conto, inoltre, della giovane eta', e delle abitudini di vita dei nomadi, alla data dell'inizio di una nuova esecuzione la giovane nomade potrebbe essere nuovamente incinta e cosi' via per chissa' quanto tempo ancora. Conferma tale assunto la circostanza che la condannata risulta avere ottenuto il differimento dell'esecuzione con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Verona in data 16 agosto 2004 in ordine alla pena inflitta con sentenza del g.i.p. presso il Tribunale di Bologna in data 10 febbraio 2003, e alla data odierna risulta ancora ineseguita la relativa pena, cosi' come non risultano espiate le pene inflitte con le altre condanne risultanti dal casellario (v. cartelle giuridiche storiche e casellario). Come emerge dall'esame dei dati statistici, e come questo Tribunale di sorveglianza ha avuto modo di verificare direttamente nel corso dei numerosi procedimenti iscritti sulle istanze di differimento avanzate da donne nomadi ristrette nelle Casa reclusione Donne di Venezia (istituto dotato di nido), la strumentalizzazione dell'istituto del differimento (che da extrema ratio in alcuni casi diventa la regola) ha di fatto creato una sorta di immunita' per le donne nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate alle loro attivita' illecite potendo confidare sul trattamento previsto dall'art. 146 c.p. per le donne in stato di gravidanza o madri di figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne che iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per le abitudini di vita non conoscono il fenomeno del controllo delle nascite, e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le pressanti esigenze di tutela della collettivita' che ne conseguono. Piu' che un temporaneo differimento (che potrebbe non compromettere le finalita' della pena) si finisce per avere in moltissimi casi un differimento a tempo indeterminato, per giunta lasciato alla libera scelta delle interessate, le quali non indicando intenzionalmente un domicilio, o dimostrando una sicura inaffidabilita' incompatibile con la detenzione domiciliare, o sottraendosi all'esecuzione della detenzione domiciliare gia' concessa (ipotesi tutte sussistenti nel caso in esame), possono lucrare, quale alternativa inevitabile, il differimento della pena. A cio' si aggiunga che il legislatore ha inasprito con l'introduzione dell'art. 624-bis c.p. ad opera della legge 26 marzo 2001, n. 128, il trattamento sanzionatorio dei furti in abitazione, reati diventati di grave allarme sociale poiche' comportano un serio turbamento della vita che si svolge tra le mura domestiche, oltre ad arrecare un danno patrimoniale; con tale inasprimento, il legislatore ha riconosciuto la particolare rilevanza degli interessi lesi dal delitto, e pertanto l'ordinamento non puo' poi lasciare di fatto impunite le «professioniste» dei furti in abitazione, come l'odierna istante. Puo' affermarsi, pertanto, che nel caso di specie tutte le finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate, con conseguente violazione del principio sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la finalita' di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita' la cui realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla minaccia legale della sanzione penale, ma anche e soprattutto dalla sua concreta esecuzione - giacche' la rigida e prevedibile sospensione del momento esecutivo esclude che la pena irrogata possa svolgere alcuna funzione di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili futuri comportamenti criminosi, sia nei confronti del concreto destinatario di essa, sia nei confronti degli altri soggetti che si trovano nella medesima situazione. Del tutto vanificato e' anche il profilo retributivo-affittivo della pena, posto che la rinuncia alla relativa esecuzione (di fatto a tempo indeterminato per le ragioni esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia' evidenziato, infine, risultano obliterate del tutto le finalita' di prevenzione speciale e di rieducazione della pena che appaiono riferibili al caso concreto. La magistratura di sorveglianza deve, infatti, in presenza dei presupposti previsti dall'art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2), c.p., sospendere l'esecuzione della pena detentiva, qualora non sia applicabile la detenzione domiciliare, in base ad un rigido automatismo, che non puo' essere temperato da alcuna valutazione di merito volta ad assicurare il perseguimento delle finalita' della pena e l'individualizzazione e proporzionalita' del trattamento, in relazione alle concrete necessita' specialpreventive, neducative e risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma puo' essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita' di situazioni personologiche e criminologiche, tra loro profondamente differenti, meritevoli di diverso trattamento, che non puo', invece, essere assicurato. E' del tutto evidente, pertanto, che la generalizzata ed automatica applicazione del trattamento di favore previsto dalla disposizione censurata, nell'assegnare un identico beneficio a condannati che presentino fra loro differenti stadi del percorso di risocializzazione e diversi gradi di pericolosita' sociale, compromette, ad un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza, finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio che non risulti correlato alla positiva evoluzione nel trattamento compromette inevitabilmente l'essenza stessa della progressivita', che costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo. L'automatismo che si rinviene nella norma denunciata e' poi in contrasto con i principi di proporzionalita' e individualizzazione della pena come precisati dalla richiamata giurisprudenza. Ne consegue il contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost., oltre che con l'art. 3 Cost. La stessa norma appare in contrasto con l'art. 3 Cost. anche per lesione del canone della ragionevolezza. In via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il sacrificio di alcuni di essi, in favore di altri, soggiacciono al limite della ragionevolezza della scelta legislativa, nel senso di una non arbitraria e non ingiustificata composizione dei valori in giuoco. Nel giudizio sulla razionalita' di una disciplina non si deve guardare solo alla posizione formale di chi ne e' destinatario ma anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost. sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la ratio delle norme sul differimento obbligatorio e' la tutela della salute e dell'umanita' della pena; sicuramente finalizzato alla tutela della salute della donna e del nascituro e' il rinvio in presenza dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel primo anno di vita del bambino puo' essere ricondotto, oltre che all'esigenza di assicurare il senso di umanita' della pena, anche alla tutela dell'interesse del minore ad un corretto sviluppo della personalita', e, in funzione di tale interesse, alla tutela del rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, non tanto e non solo per cio' che attiene ai bisogni piu' propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che prevedono benefici nel periodo immediatamente susseguente al parto sentenza n. 376 del 2000 della Corte costituzionale). Se questa e' la ratio dell'istituto del differimento, che incide su altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve ritenersi che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla ponderazione di due interessi in conflitto, entrambi costituzionalmente rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi) costituzionali soggetti a bilanciamento, e' la non predeterminabilita' in assoluto, una volta per tutte, dei loro rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno sull'altro, quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al giudice, ma sia operato dalla legge nella forma di una norma astratta, deve essere collegata a determinate condizioni tipiche. In assenza di tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non puo' essere il medesimo. Percio', una norma di questo tipo, per essere costituzionalmente legittima, non deve escludere, in ordine all'interesse postergato, la possibilita' della prova dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il bilanciamento sotteso alla norma stessa, giustificano la precedenza attribuita all'interesse antagonistico (v. in tal senso sentenza Corte cost. 1° aprile 1992, n. 149). In applicazione di analogo principio, con riferimento all'istituto del differimento della pena nei confronti dei condannati affetti da AIDS, la Corte costituzionale con sentenza n. 438 del 1995 ha ritenuto non conforme al canone della ragionevolezza l'art. 146, primo comma, n. 3), c.p., nella parte in cui non consente di accertare in concreto se ai fini dell'esecuzione della pena le effettive condizioni di salute del condannato siano compatibili con lo stato detentivo, poiche' intanto si puo' ritenere ragionevole l'allontanamento dal carcere in quanto la relativa permanenza negli istituti cagioni un pregiudizio alla salute del soggetto e degli altri detenuti, posto che altrimenti risulterebbero senza giustificazione compromessi altri beni riconosciuti come primari dalla Carta fondamentale. Nel caso di specie, la restrizione in carcere nel periodo di gestazione non ha cagionato alcun concreto pregiudizio alla gestante e alla minore, come risulta dalla relazione del sanitario del carcere di Venezia. Nel carcere femminile di Venezia, inoltre, la minore fruiva dell'assistenza sanitaria e della presenza della puericultrice assicurate in istituto. Per converso, come evidenziato, nei periodi di liberta' conseguenti ai benefici ottenuti la J. non ne ha fatto uso al fine di dedicarsi alla cura dei figli in tenera eta', ma piu' volte (anche in occasione delle precedenti gravidanze) e' stata denunciata e arrestata in flagranza mentre era dedita al furto, lontana dagli accampamenti dove i figli erano verosimilmente affidati a parenti o altri componenti del gruppo, ed ha tenuto un atteggiamento irresponsabile, perseverando nel proprio stile di vita antinormativo e inadatto sia ad una gestante sia ad una madre di figlio in tenera eta'; in occasione dell'arresto in Bolzano, aveva portato con se' nelle sue scorribande delittuose la figlia di appena pochi giorni. Come emerge dagli studi sociologici in materia, spesso le donne nomadi sono indotte o addirittura costrette al delitto dai loro uomini, e per dedicarsi a tale attivita' lasciano i minori nell'accampamento affidandoli a parenti o a terzi, salvo portarli con se' in alcune delle imprese criminose, al fine di ottenere, in caso di arresto, un benevolo trattamento cautelare. Come ricordato dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 438 del 1995, «il rinvio dell'esecuzione della pena detentiva si e' sempre saldamente attestato intorno a un presupposto unificante, vale a dire le particolari condizioni di salute del condannato e la ritenuta inconciliabilita' delle stesse con l'altrettanto peculiare regime carcerario. Illuminanti, a questo proposito, sono alcuni passaggi della Relazione ministeriale sul progetto del codice penale ove, appunto, si giustifica il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena nel caso della donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta' di assistenza negli stabilimenti carcerari che quelle condizioni personali necessariamente richiedono». La concreta realta' delle istituzioni carcerarie e', tuttavia, profondamente mutata rispetto all'epoca di entrata in vigore del codice penale, sulla scia dei principi affermati dalla Carta costituzionale in materia di esecuzione penale, e dell'incessante processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito. L'assistenza alla detenuta in stato di gestazione non rappresenta piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena, tenuto anche conto della possibilita' di ricorrere al trasferimento esterno ex art. 11 o.p., e inoltre la carcerazione puo' comportare rischi per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo stato di liberta' nei casi in cui, come in quello in esame, lo stato di liberta' non si accompagni ad uno stile di vita, anche sotto il profilo igienico-sanitario, oltre che delle abitudini quotidiane, adeguato alla particolare situazione. A cio' si aggiunga che nel concedere il beneficio del differimento il tribunale di sorveglianza non puo' imporre alcuna prescrizione finalizzata alla tutela dell'interesse del nascituro, posto che secondo la consolidata giurisprudenza l'imposizione di obblighi accessori e' incompatibile con la concessione del beneficio (Cass., sez. I, 2 dicembre 1992, n. 4591). Anche sotto il profilo della salute psico-fisica dei minori la situazione degli istituti di pena e' difforme da quella tenuta presente nel codice penale; l'amministrazione penitenziaria ha autorizzato nel corso degli anni l'istituzione di asili nido preso alcune strutture penitenziarie destinate esclusivamente alle donne (Pozzuoli, Roma Rebibbia, Trani, Perugia e Venezia) e, su richiesta delle direzioni, presso le sezioni femminili presenti in alcuni istituti di pena destinati agli uomini, in attuazione del disposto di cui all'art. 19, d.P.R. n. 230/2000. La stessa amministrazione ha invitato le direzioni ad assicurare almeno un asilo nido per ogni regione e inoltre la presenza di operatori specializzati, quali puericultrici, in tre istituti penitenziari (Roma, Venezia, Milano). In qualche istituto sono presenti un servizio di ludoteca e qualche servizio di ausilio, quali, ad esempio, l'accompagnamento del minore da parte di volontari all'asilo nido comunale presso l'istituto penitenziario di Venezia Giudecca e Roma Rebibbia, la colonia estiva in localita' Lido - Alberoni per i piccoli ospiti del nido di Venezia Giudecca (v. sul punto i dati riportati nella risoluzione approvata dal C.S.M. nella seduta del 27 luglio 2006 sulla tutela della maternita' e dei figli minori dei detenuti). In alcuni casi, pertanto, non puo' a priori escludersi che in alcuni nidi degli istituti di pena siano assicurati al minore un'assistenza piu' adeguata da punto di vista sanitario, e inoltre forme di assistenza fmalizzate ad un corretto sviluppo della personalita' (quali la frequenza del nido comunale, l'assistenza della puericultrice, la colonia estiva, le attivita' ricreative organizzate dalle associazioni di volontariato) non assicurate in alcuni gruppi familiari inseriti in culture di microcriminalita' prive di riferimenti abitativi stabili. E' proprio la rigida presunzione stabilita dal legislatore ad apparire priva di adeguato. fondamento e tale da rendere dubbia la razionalita' di una norma dalla cui concreta applicazione possono generarsi ingiustificate compromissioni di altri interessi tutelati dall'ordinamento. Le ipotesi del differimento obbligatorio per la donna incinta o madre di infante di eta' inferiore ad anni uno sono le sole, tra quelle previste dall'art. 146 c.p., a non ammettere alcuna verifica in concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio agli interessi che la norma tende a tutelare o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica prevista, invece, nelle ipotesi dei condannati affetti da AIDS o altra malattia particolarmente grave), ed inoltre che hanno una difforme regolamentazione in sede cautelare e in sede esecutiva. La possibilita' di verificare la sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio per la gestazione o per lo sviluppo psico-fisico del minore conseguente alla carcerazione o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica che andrebbe effettuata caso per caso in relazione alle strutture disponibili, alla personalita' del minore e della madre, all'andamento della gestazione e alle condizioni di vita della famiglia) consentirebbe, invece, un'adeguata composizione degli interessi configgenti e la salvaguardia della ratio dell'istituto del differimento, le cui finalita', invece, vengono in casi come quello in esame completamente snaturate. La disposizione impugnata deve ritenersi non conforme al canone della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano significative esigenze di sicurezza sociale e la detenzione domiciliare non sia adeguata a prevenire il pericolo di recidiva, bensi' venga revocata, di accertare in concreto se ai fini' dell'esecuzione della pena la carcerazione comporti un effettivo pregiudizio, tale da rendere contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale, e se la scarcerazione «secca» sia effettivamente idonea ad assicurare la tutela degli interessi ai quali il beneficio e' preordinato. Da qui il contrasto della norma denunciata con l'art. 3 Cost., ravvisabile non solo sotto il profilo della violazione del canone della ragionevolezza, per le ragioni evidenziate, ma anche sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, in quanto in presenza delle medesime condizioni (stato di gestazione e presenza di figlio di eta' inferiore ad un anno) e' consentito solo nella fase cautelare disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano esigenze di eccezionale rilevanza. Non e' senza rilievo il fatto che l'art. 275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con la legge 26 marzo 2001, n. 128, una legge dunque posteriore alla legge 8 marzo 2001, n. 40 che ha modificato l'art. 146 c.p. estendendo il differimento obbligatorio fino ad un anno di vita del bambino. Sino a prova del contrario, pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che il legislatore abbia consapevolmente tenuto distinta la disciplina del rinvio dell'esecuzione della pena rispetto a quella della custodia cautelare. E' pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per natura e finalita', si' da non apparire irragionevole, in astratto, una difforme disciplina (v. in tal senso Corte cost. sentenza n. 25/1979); come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (v. sentenza Cass. n. 43014 del 2001) scopo della misura cautelare e' quello di assicurare una o piu' delle esigenze di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque, di una finalita' da un lato contingente, in quanto legata all'evolversi di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita' quando sussista il pericolo della commissione di altri reati gravi o della stessa specie di quello per cui si procede. In tale ottica, il legislatore si e' posto il problema di un bilanciamento tra le esigenze di cautela e le esigenze di tutela della salute o di altre situazioni personali dell'indagato, contemperando tali esigenze con la previsione dei limiti alla custodia cautelare in carcere nelle ipotesi previste dall'art. 275, c. 4 c.p.p. Nel caso di specie, pero' (come in altri casi analoghi), le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza ritenute sussistenti a carico della J. nelle menzionate ordinanze custodiali del Tribunale di Fabriano, di Bolzano e di Treviso sono rappresentate dalle esigenze di tutela della collettivita', considerate dall'art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. (pericolo concreto di reiterazione di reati della stessa specie); non si tratta, quindi, di esigenze poste a garanzia delle indagini e del processo, tipiche solo delle misure cautelari e non della pena (esigenze che potrebbero giustificare una difforme disciplina), ma delle esigenze di tutela della collettivita' alla cui salvaguardia e' finalizzata anche la pena, la cui composita funzione comprende anche le esigenze di prevenzione e di tutela della collettivita'. In presenza delle medesime esigenze di sicurezza sociale e delle medesime situazioni personali, l'ordinamento consente solo al giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano di eccezionale rilevanza, mentre dopo il passaggio in giudicato le stesse esigenze sono postergate e nessuna verifica e' consentita al giudice di sorveglianza in merito all'eccezionalita' delle stesse esigenze e all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il minore. Come emerge dall'esposizione dei fatti, la J. e' rimasta in carcere sottoposta a custodia cautelare fino al passaggio in giudicato delle due condanne della cui esecuzione si discute, e fino a tale momento l'ordinamento ha consentito al giudice della cautela la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale, mentre dopo l'irrevocabilita' delle sentenze tali esigenze non possono avere alcuna rilevanza, se non ai fini della concessione della detenzione domiciliare, nel caso di specie revocata in data odierna e non concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata; in caso di ulteriore (e irragionevole) concessione della misura, ne conseguirebbe verosimilmente una inarrestabile sequenza di sottrazioni alla detenzione domiciliare e di ripristino della stessa, che da un lato svilirebbe l'essenza stessa della misura e dall'altra lascerebbe di fatto integralmente sguarnite le esigenze che la misura e' invece destinata a salvaguardare (in tal senso, con riferimento agli arresti domiciliari per i malati di AIDS, v. Corte cost. n. 439 del 1995). Appare irragionevole che in presenza delle medesime condizioni e delle medesime esigenze da salvaguardare il difforme trattamento previsto dalla legge sia determinato da un dato solo formale quale il passaggio in giudicato della sentenza (che determinata la trasformazione giuridica della condanna in titolo esecutivo), indipendente dal comportamento del reo. Con riferimento ad altra ipotesi di differimento obbligatorio (per i condannati affetti da AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la disciplina in sede cautelare ed esecutiva con le sentenze n. 438 e 439 del 1995. Ancora, sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, va rilevato che in altri settori l'ordinamento, nel prevedere particolari forme di tutela della maternita' e del minore nella fase immediatamente successiva al parto, non trascura la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale: basti pensare al divieto di espulsione della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto previsto dall'art. 19, d.lgs. n. 286/1998 (divieto esteso all'espulsione del marito convivente della donna a seguito della sentenza della Corte cost. n. 376 del 27 luglio 2000), che trova un limite nelle esigenze di tutela e sicurezza dello Stato. Deve, infine, rilevarsi che la particolare normativa di favore per le donne in stato di gravidanza e puerperio puo' indurre, come nella pratica gia' avviene e nel caso in esame e' certamente avvenuto (v. pagg. 3, 4 e 11), ad una strumentalizzazione a fini illeciti della maternita' e del rapporto di filiazione, con conseguente scelta della procreazione al solo fine di ottenere l'impunita' di fatto dai delitti commessi; ne consegue lo snaturamento della funzione dell'istituto, con lesione dell'art. 30 cost. Per le esposte ragioni, ritiene questo tribunale di sorveglianza che si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, risultando rilevante e non manifestamente infondata la questione di' costituzionalita' dell'art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2), c.p., nella parte in cui in cui non consente al tribunale di sorveglianza, nel caso in cui disponga la revoca della detenzione domiciliare, di accertare in concreto se la tutela delle esigenze del minore e/o della gestante siano incompatibili con l'esecuzione della pena in carcere, e, conseguentemente, di negare il differimento dell'esecuzione della pena quando il beneficio non sia ritenuto adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
P. Q. M. Visti ed applicati gli artt. 1, legge n. 1/1948, 23, legge 11 marzo 1953 n. 87, 146 c.p. 678, 684 c.p.p. Dichiara rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata, nei termini esposti in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo comma, n. 1) e n. 2), c.p., in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che il Giudice possa negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti, la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva, e inoltre l'espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze tutelate dalla norma. Sospende il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, riservando la definizione del procedimento all'esito della decisione della Corte adita. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte alla condannata, al difensore, al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Venezia. Cosi' deciso in Venezia, in data 16 settembre 2008. Il Presidente: Tamburino Il giudice estensore: Vono