N. 34 ORDINANZA 26 gennaio - 6 febbraio 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Previsione di  un
  sistema di computo dei termini prescrizionali  legato  allo  status
  soggettivo dell'imputato e non alla gravita' oggettiva del fatto  -
  Previsione di piu' lunghi termini di prescrizione in caso  di  atti
  interruttivi   riguardanti   delinquenti   recidivi,   abituali   o
  professionali - Denunciata irragionevolezza nonche' violazione  dei
  principi  di  eguaglianza,  di  legalita',  di  personalita'  della
  responsabilita' penale e di difesa sociale - Questione  analoga  ad
  altra gia' dichiarata inammissibile - Richiesta  di  una  pronuncia
  additiva in  malam  partem  -  Intervento  precluso  alla  Corte  -
  Manifesta inammissibilita' della questione. 
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, commi 1 e 4. 
- Costituzione, artt. 3, 13, 25, secondo comma, e 27. 
Reati e pene  -  Prescrizione  -  Modifiche  normative  -  Disciplina
  transitoria  -  Applicabilita'  della  nuova  e   piu'   favorevole
  disciplina nei processi pendenti alla data  di  entrata  in  vigore
  della novella nei quali non sia  stata  dichiarata  l'apertura  del
  dibattimento - Denunciata irragionevolezza nonche'  violazione  del
  principio  di  eguaglianza  -  Questione  identica  ad  altra  gia'
  dichiarata   inammissibile    -    Erroneita'    del    presupposto
  interpretativo  con  conseguenze  inadeguatezza  della  motivazione
  sulla rilevanza - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3. 
- Costituzione, art. 3. 
Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Previsione di  un
  sistema di computo dei termini prescrizionali  legato  allo  status
  soggettivo dell'imputato e non alla gravita' oggettiva del fatto  -
  Previsione di piu' lunghi termini di prescrizione in caso  di  atti
  interruttivi   riguardanti   delinquenti   recidivi,   abituali   o
  professionali - Denunciata violazione del principio di  eguaglianza
  - Erroneita' del presupposto interpretativo con conseguente difetto
  di rilevanza - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- Cod. pen. art. 161, secondo comma,  come  modificato  dall'art.  6,
  comma 5, della legge 5 dicembre 2005, n. 251. 
- Costituzione art. 3. 
Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative - Previsione di  un
  sistema di computo dei termini prescrizionali  legato  allo  status
  soggettivo dell'imputato e non alla gravita' oggettiva del fatto  -
  Previsione di piu' lunghi termini di prescrizione in caso  di  atti
  interruttivi   riguardanti   delinquenti   recidivi,   abituali   o
  professionali - Denunciata introduzione  di  un'amnistia  senza  il
  rispetto della relativa procedura -  Questione  identica  ad  altra
  gia' dichiarata non  fondata  -  Mancata  prospettazione  di  nuovi
  profili di censura, diversi da quelli gia' scrutinati  -  Manifesta
  infondatezza della questione. 
- Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, commi 1 e 4. 
- Costituzione, art. 79.  
(GU n.6 del 11-2-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Giovanni Maria FLICK; 
Giudici: Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,  Paolo  MADDALENA,  Alfio
  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi   MAZZELLA,
  Gaetano SILVESTRI, Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 1 e  4,
della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche  al  codice  penale  e
alla  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione),  dell'art.  10,
comma 3, della stessa legge  e  dell'art.  161,  secondo  comma,  del
codice penale, come modificato dall'art. 6,  comma  5,  della  citata
legge n. 251 del 2005, promossi con ordinanze del 23 gennaio 2007 dal
Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Cava de' Tirreni,  del  6
febbraio 2007 dal Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  di
Prato e del 13  febbraio  2006  dal  Tribunale  di  Salerno,  sezione
distaccata di Amalfi, rispettivamente iscritte ai nn. 434 e  707  del
registro ordinanze 2007 ed al n. 76 del  registro  ordinanze  2008  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 41,  1ª
serie speciale, dell'anno 2007 e n. 14, 1ª serie speciale,  dell'anno
2008. 
    Visti l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 17 dicembre 2008  il  giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che il Tribunale di Salerno, con due distinte ordinanze,
la prima della sezione distaccata di Cava de' Tirreni del 23  gennaio
2007 (r.o. n. 434 del 2007), la seconda della sezione  distaccata  di
Amalfi del 13 febbraio 2006 (r.o. n. 76 del 2008), ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 13,  25,  secondo  comma,  27  e  79  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  6,
commi 1 e 4, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte  in
cui  prevede  un  sistema  di  computo  dei  termini   prescrizionali
collegato non gia' alla gravita' oggettiva  del  fatto,  bensi'  allo
status soggettivo dell'imputato, prevedendo un piu' lungo termine  di
prescrizione in caso di  atti  interruttivi  riguardanti  delinquenti
recidivi, abituali o professionali; 
        che il  medesimo  Tribunale,  con  la  sola  ordinanza  della
sezione distaccata di Amalfi, in riferimento  all'art.  3  Cost.,  ha
altresi' sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art.
10, comma 3, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui  prevede
l'applicazione della nuova e piu' favorevole normativa  nei  processi
pendenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  di  detta  legge,  «ad
esclusione dei processi gia' pendenti in primo grado ove vi sia stata
la dichiarazione di apertura del dibattimento»; 
        che, nella  prima  ordinanza,  il  rimettente,  in  punto  di
rilevanza,  premette  che  in  applicazione  della  norma   censurata
dovrebbe accogliere la richiesta avanzata dai difensori di B. V.,  M.
M. e C. M., imputati del reato di cui all'art. 368 del codice penale,
di emissione di sentenza di non  doversi  procedere  per  intervenuta
prescrizione; 
        che il rimettente ritiene che la  Corte  abbia  superato,  in
ordine alla sindacabilita' delle norme penali di  favore,  a  partire
dalla sentenza n. 148 del 1983, l'orientamento  restrittivo  adottato
in precedenza, secondo il quale  «il  principio  di  irretroattivita'
della norma piu' sfavorevole al reo (artt. 25, secondo comma, Cost. e
2 cod. pen.) imporrebbe una declaratoria  di  inammissibilita'  della
questione  concernente  il  sindacato  di  norme  penali  di  favore,
necessariamente irrilevante, in quanto, anche laddove ne fosse  stata
pronunciata  l'incostituzionalita',  non  avrebbero  comunque  potuto
trovare applicazione nel giudizio a quo»; 
        che, tuttavia, osserva il rimettente, superato l'ostacolo  di
tipo processuale, rimane quello  di  natura  sostanziale  secondo  il
quale il principio  di  riserva  di  legge  impedisce  l'adozione  di
sentenze di accoglimento in grado di creare nuove norme penali; 
        che, in  particolare,  il  rimettente  sottolinea  come  tale
principio sia stato chiaramente affermato nella sentenza n.  161  del
2004, con la quale la Corte costituzionale, alla luce  dell'art.  25,
secondo comma, Cost., ha escluso di poter «introdurre in via additiva
nuovi reati o che l'effetto di una sua sentenza possa  essere  quello
di ampliare o aggravare figure di reato gia'  esistenti,  trattandosi
di interventi riservati in via esclusiva  alla  discrezionalita'  del
legislatore»; 
        che, in quella  stessa  occasione  la  Corte  costituzionale,
tuttavia, ha riaffermato l'ammissibilita' del sindacato  sulle  norme
penali di favore, allorquando «l'eventuale ablazione della  norma  di
favore  si  limita  a  riportare  la  fattispecie  gia'  oggetto   di
ingiustificato trattamento derogatorio alla norma  generale,  dettata
dallo stesso legislatore (fermo restando,  altresi',  il  divieto  di
applicazione retroattiva del  regime  penale  piu'  severo  ai  fatti
commessi sotto il vigore della norma di favore rimossa)»; 
        che  per  quanto  concerne  le  disposizioni  censurate,   la
questione sollevata, sempre secondo il  rimettente,  dovrebbe  essere
ritenuta ammissibile, perche' una pronuncia caducatoria  della  nuova
disciplina  della  prescrizione   avrebbe   soltanto   l'effetto   di
ripristinare  il  regime  di  «perseguibilita»  dell'azione   penale,
escludendo l'estinzione dei reati, senza coinvolgere  nessun  profilo
concernente l'ambito di astratta applicabilita' della  norma  penale,
nella sua dimensione di fattispecie  oggettiva  (condotta,  nesso  di
causalita', evento) e di fattispecie soggettiva (dolo o colpa); 
        che, pertanto, una eventuale sentenza di  accoglimento  della
questione prospettata non  violerebbe  il  principio  di  riserva  di
legge,  atteso  che  nessuna   influenza   avrebbe   sulle   astratte
fattispecie incriminatici; 
        che, quanto alla non manifesta  infondatezza,  il  rimettente
evidenzia che le norme censurate, nel modificare gli artt. 157 e  161
cod. pen., oltre a determinare una generale riduzione dei termini  di
prescrizione, hanno modificato anche  gli  effetti  dell'interruzione
del  corso  della  prescrizione  con  un  prolungamento   del   tempo
necessario a prescrivere che opera nel  seguente  modo:  «un  aumento
frazionario di un quarto in caso di soggetti incensurati, della meta'
in caso di imputati cui sia applicabile (o  contestata)  la  recidiva
infraquinquennale o specifica (art. 99 comma 2, c.p.), di  due  terzi
in caso di imputati cui sia applicabile la recidiva plurima (art.  99
comma 4 c.p.), del doppio nel caso di imputati dichiarati delinquenti
abituali (artt. 102 e 103 c.p.) o professionali (art. 105 c.p.)»; 
        che, alla stregua  della  nuova  normativa,  la  personalita'
criminale  del  reo,  desunta  dalla  recidiva  o  dallo   stato   di
delinquente abituale  o  professionale,  determina  un  allungamento,
anche consistente, dei termini di prescrizione; 
        che, sempre a parere  del  giudice  a  quo,  il  legislatore,
nell'adottare quale criterio distintivo degli effetti  della  proroga
connessa al compimento di atti interruttivi,  non  gia'  la  gravita'
oggettiva del fatto, come avveniva precedentemente, bensi' lo  status
soggettivo dell'imputato, avrebbe riesumato la  logica  del  «diritto
penale d'autore», in  violazione  degli  artt.  13,  25  e  27  della
Costituzione, che impongono «un ordinamento improntato ai  tratti  di
un "diritto penale del fatto"»; 
        che tale disciplina, inoltre, sarebbe  irragionevole  perche'
viene a collegare l'allungamento dei termini di prescrizione  ad  una
situazione di recidiva che puo' maturare anche a distanza di anni dal
fatto, a causa della lunghezza dei tempi processuali, e sarebbe anche
contraria al principio di eguaglianza, che sancisce  l'illegittimita'
di trattamenti  normativi  differenti  in  ragione  delle  condizioni
personali del cittadino; 
        che  la  violazione  del  principio  di  eguaglianza  sarebbe
evidente nell'ipotesi della contestazione di un medesimo reato ad una
pluralita' di imputati: in tal caso, infatti, si  potrebbe  assistere
ad  un  esito  processuale  del  tutto  opposto  -  declaratoria   di
estinzione del reato per prescrizione ovvero condanna - a seconda che
i diversi imputati abbiano riportato o meno  precedenti  condanne,  e
che una tale «ipotesi, oltre ad offendere i piu' elementari canoni di
giustizia, violerebbe palesemente il principio costituzionale di  cui
all'art. 3  Cost.,  che  consente  trattamenti  diversi  soltanto  in
situazioni diverse»; 
        che,  secondo  il  rimettente,  i  precedenti   penali   sono
ordinariamente   valutati   dal   giudice   in   sede   di   concreta
commisurazione   della   pena,    nell'ambito    di    un    giudizio
individualizzato che assume a parametro i criteri finalistici di  cui
all'art. 27, terzo comma, Cost., e  che  i  suddetti  precedenti  non
possono essere assunti  a  discrimen  di  un  differente  trattamento
normativo; 
        che il rimettente ritiene, altresi', che la  riforma  dettata
dalla legge n. 251 del 2005, determinando l'estinzione  generalizzata
di una molteplicita' di ipotesi di reato a causa della riduzione  dei
termini di prescrizione, produca l'effetto tipico  di  una  amnistia,
con un  aggiramento  dell'art.  79  Cost.,  che  richiede  una  legge
approvata dai due terzi dei componenti di ciascuna Camera; 
        che,  infine,  secondo  il  giudice  a  quo,   la   riduzione
consistente dei  termini  di  prescrizione  violerebbe  il  principio
costituzionale  di  difesa  sociale,  immanente  all'intero   sistema
costituzionale, sul quale si fonda la pretesa punitiva dello Stato, e
cio'  in  quanto  detta   riduzione   impedirebbe   «di   fatto,   il
perseguimento e la punizione di molteplici fatti di  reato,  con  una
obliterazione della sicurezza collettiva»; 
        che nella seconda ordinanza il  rimettente  premette,  quanto
alla rilevanza della questione,  di  dover  accogliere  la  richiesta
della difesa dell'imputato di una pronuncia di non doversi  procedere
per intervenuta prescrizione dei reati di cui agli artt. 581,  582  e
612 .cod. pen., commessi in  data  3  luglio  1999,  in  applicazione
dell'art. 6, commi 1 e 4, della legge n. 251 del 2005 e dell'art. 10,
comma 3, della medesima legge; 
        che  il  rimettente  solleva   la   medesima   questione   di
costituzionalita' dell'art. 6, commi 1 e 4, della legge  n.  251  del
2005, e sviluppa argomentazioni identiche a quelle ora riportate  sia
in   ordine   alla   ammissibilita'   del   sindacato   della   Corte
costituzionale sulle norme penali di favore sia in  ordine  alla  non
manifesta infondatezza delle censure sollevate; 
        che, a parere del rimettente, anche la disciplina transitoria
di applicazione della legge n. 251 del 2005,  dettata  dall'art.  10,
comma 3, sarebbe irragionevole e in  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione; 
        che,  in  particolare,  la  dichiarazione  di  apertura   del
dibattimento sarebbe un momento  processuale  privo  di  qualsivoglia
connotato in grado di  giustificare  una  dismissione  della  pretesa
punitiva dello Stato,  non  essendo  assimilabile  ne'  all'esercizio
dell'azione penale, ne', tantomeno, alla pronuncia di una sentenza di
condanna in primo grado, atto autoritativo che esprime l'accertamento
della responsabilita' ipotizzata; 
        che il Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di
Prato, con ordinanza del 6 febbraio 2007 (r.o. n. 707 del  2007),  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  161,  secondo  comma,   cod.   pen.   come
modificato dall'art. 6, commi 1 e 4 (recte: comma 5), della legge  n.
251 del 2005, nella parte in cui prevede un sistema  di  computo  dei
termini prescrizionali collegato non gia' alla gravita' oggettiva del
fatto, bensi' allo status  soggettivo  dell'imputato,  prevedendo  un
piu' lungo termine di  prescrizione  in  caso  di  atti  interruttivi
riguardanti delinquenti recidivi, abituali o professionali; 
        che il rimettente premette che il giudizio a quo, nella  fase
dell'udienza preliminare, ha ad oggetto la contestazione all'imputato
del reato di calunnia di cui all'art. 368 cod. pen.,  commesso  nelle
date del 21 luglio 1999 e del 25 agosto 1999, con l'aggravante  della
recidiva reiterata ed infraquinquennale; 
        che, ai fini della rilevanza della questione,  il  rimettente
evidenzia che la difesa dell'imputato, dopo  aver  precisato  che,  a
causa della contestazione della recidiva reiterata infraquinquennale,
il reato di calunnia contestato alla  propria  assistita  non  poteva
dichiararsi  estinto  per  intervenuta  prescrizione,   pur   essendo
trascorso il termine  massimo,  stabilito  ai  sensi  dell'art.  161,
secondo comma, cod. pen. (aumento di un quarto rispetto al termine di
sei anni), di sette anni e sei mesi, ha chiesto sollevarsi  questione
di legittimita' costituzionale della norma citata (art. 161,  secondo
comma, cod. pen., nuova formulazione) per contrasto con gli artt.  3,
13, 25 e 27 Cost.; 
        che la questione e', a giudizio  del  rimettente,  rilevante,
perche' se operasse  l'ordinario  termine  massimo  di  prescrizione,
senza l'aumento di un quarto (recte: due terzi),  si  imporrebbe  una
sentenza di  non  doversi  procedere  per  intervenuta  prescrizione,
quantomeno con riferimento al reato di calunnia commesso in  data  21
luglio 1999; 
        che, quanto alla non manifesta  infondatezza,  a  parere  del
rimettente la norma censurata (la quale e' stata modificata dall'art.
6, comma 5, della legge n. 251 del 2005), nel  determinare  il  tempo
necessario a prescrivere per  imputati  incensurati  (aumento  di  un
quarto), imputati con recidiva infraquinquennale o specifica (aumento
della meta') e imputati recidivi  plurimi  (aumento  di  due  terzi),
imputati dichiarati delinquenti abituali o professionali (aumento del
doppio), «fa dipendere i differenti termini massimi  di  prescrizione
non dalla gravita' oggettiva del fatto bensi' dallo status soggettivo
dell'imputato, cosi'  determinando  un  ritorno  al  "diritto  penale
d'autore" ed introducendo una discriminazione  assai  pericolosa  che
finisce per pregiudicare gli autori di reati bagatellari ma  commessi
con continuita' rispetto ai reati dei colletti bianchi»; 
        che e' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione  inammissibile
o infondata; 
        che,  in  particolare,  secondo  l'Avvocatura   dello   Stato
«l'opzione del legislatore e' mirata all'individuazione di criteri di
calcolo  il  piu'  possibile  oggettivi,  e  si  prospetta  come  una
sostanziale applicazione del principio del "favor  rei",  consentendo
l'esclusione del singolo episodio, ormai prescritto, dall'aumento  di
pena previsto ex art. 81 cpv. c.p. in caso  di  condanna,  e  facendo
comunque salva la facolta' dell'imputato di  rinunciare  alla  stessa
prescrizione, accettando il giudizio di merito»; 
        che, in  tale  contesto,  l'asserita  irragionevolezza  della
norma, peraltro solo apoditticamente sostenuta, sembrerebbe  superata
con   il   significativo   bilanciamento   degli   interessi   appena
rappresentati; 
        che, pertanto, sempre a giudizio dell'Avvocatura,  appare  di
tutta evidenza l'inammissibilita', prima  che  l'infondatezza,  della
sollevata questione di costituzionalita', in una materia nella quale,
fra l'altro, resta pur sempre  salva  la  facolta'  dell'imputato  di
rinunciare alla prescrizione e accettare il giudizio di merito. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere decisi con unica pronuncia; 
        che il Tribunale di Salerno, con due distinte  ordinanze,  la
prima della sezione distaccata di Cava de' Tirreni,  del  23  gennaio
2007 (r.o. n. 434 del 2007), la seconda della sezione  distaccata  di
Amalfi del 13 febbraio 2006 (r.o. n. 76 del 2008), ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 13,  25,  comma  secondo,  27  e  79  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  6,
commi 1 e 4, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte  in
cui  prevede  un  sistema  di  computo  dei  termini   prescrizionali
collegato non gia' alla gravita' oggettiva  del  fatto,  bensi'  allo
status soggettivo dell'imputato, prevedendo un piu' lungo termine  di
prescrizione in caso di  atti  interruttivi  riguardanti  delinquenti
recidivi, abituali o professionali; e  che,  con  la  sola  ordinanza
della sezione distaccata di  Amalfi,  ha  sollevato,  in  riferimento
all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
10, comma 3, della legge n. 251 del 2005 nella parte in  cui  prevede
l'applicazione della nuova piu'  favorevole  normativa  nei  processi
pendenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  di  detta  legge,  «ad
esclusione dei processi gia' pendenti in primo grado ove vi sia stata
la dichiarazione di apertura del dibattimento»; 
        che  il  rimettente   ritiene   che   la   norma   censurata,
nell'adottare, in  caso  di  atti  interruttivi,  come  criterio  per
determinare il tempo  di  prescrizione  dei  reati,  la  personalita'
criminale del reo desunta dalla recidiva o dallo stato di delinquente
abituale o professionale e  non  la  gravita'  oggettiva  del  reato,
contrasti con gli artt. 13, 25 e  27  Cost.,  i  quali  impongono  un
ordinamento improntato a un «diritto penale del fatto»; 
        che, inoltre, la norma contrasterebbe sia con il principio di
eguaglianza, che sancisce l'illegittimita' di  trattamenti  normativi
differenti in ragione delle condizioni personali del  cittadino,  sia
con il principio di ragionevolezza, non essendo  sorretta  da  alcuna
ragione giustificatrice; 
        che, infine, la  norma  censurata  violerebbe  il  «principio
costituzionale  di  difesa  sociale»,  immanente  all'intero  sistema
costituzionale,  e  l'applicazione  ai  fatti  pregressi  produrrebbe
l'effetto tipico di una amnistia in violazione dell'art. 79 Cost.; 
        che, nella sola ordinanza del 13 febbraio 2006  (r.o.  n.  76
del 2008), il rimettente  censura  anche  la  disciplina  transitoria
della  legge  n.  251  del  2005,  dettata  dall'art.  10,  comma  3,
ritenendola irragionevole e in contrasto con l'art. 3 Cost.; 
        che,  in  particolare,  la  dichiarazione  di  apertura   del
dibattimento sarebbe un momento  processuale  privo  di  qualsivoglia
connotato in grado di  giustificare  una  dismissione  della  pretesa
punitiva dello Stato,  non  essendo  assimilabile  ne'  all'esercizio
dell'azione penale, ne', tantomeno, alla pronuncia di una sentenza di
condanna in primo grado, atto autoritativo che esprime l'accertamento
della responsabilita' ipotizzata; 
        che il Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di
Prato, con ordinanza del 6 febbraio 2007 (r.o. n. 707 del  2007),  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  161,  secondo  comma,  cod.   pen.,   come
modificato dall'art. 6, commi 1 e 4 (recte: comma 5), della legge  n.
251 del 2005, nella parte in cui prevede un sistema  di  computo  dei
termini prescrizionali collegato non gia' alla gravita' oggettiva del
fatto, bensi' allo status  soggettivo  dell'imputato,  prevedendo  un
piu' lungo termine di  prescrizione  in  caso  di  atti  interruttivi
riguardanti delinquenti recidivi, abituali o professionali; 
        che,  a  parere  del  rimettente,  la  norma  censurata,  nel
determinare  il  tempo  necessario   a   prescrivere   per   imputati
incensurati  (aumento  di  un  quarto),  per  imputati  con  recidiva
infraquinquennale o specifica (aumento  della  meta'),  per  imputati
recidivi plurimi (aumento di due terzi)  e  per  imputati  dichiarati
delinquenti  abituali  o  professionali  (aumento  del  doppio),  «fa
dipendere i differenti termini  massimi  di  prescrizione  non  dalla
gravita'  oggettiva  del  fatto  bensi'   dallo   status   soggettivo
dell'imputato, cosi'  determinando  un  ritorno  al  "diritto  penale
d'autore" ed introducendo una discriminazione  assai  pericolosa  che
finisce per pregiudicare gli autori di reati bagatellari ma  commessi
con continuita' rispetto ai reati dei colletti bianchi»; 
        che, con riferimento alle questioni sollevate  dal  Tribunale
di Salerno con le due ordinanze sopra indicate, in  via  preliminare,
il rimettente ritiene che il limite al sindacato di costituzionalita'
cui deve attenersi questa Corte, nel  caso  in  cui  si  invochi  una
pronuncia additiva in malam partem in materia penale, non  operi  con
riferimento all'istituto della prescrizione,  perche'  una  pronuncia
caducatoria della nuova disciplina della prescrizione sarebbe  idonea
soltanto a ripristinare il  regime  di  «perseguibilita»  dell'azione
penale,  influendo  solo  sulle  cause  estintive  dei  reati,  senza
coinvolgere  nessun  profilo   concernente   l'ambito   di   astratta
applicabilita'  della  norma  penale,   nella   sua   dimensione   di
fattispecie oggettiva (condotta, nesso di causalita',  evento)  e  di
fattispecie soggettiva (dolo o colpa); 
        che la questione relativa all'art. 6,  commi  1  e  4,  della
legge n. 251 del 2005 e' manifestamente inammissibile; 
        che analoga questione, sollevata dal medesimo rimettente  con
una precedente ordinanza, e' gia' stata dichiarata  inammissibile  da
questa Corte con la sentenza n. 324 del 2008; 
        che,  nella  citata  sentenza,  si  e'  evidenziato  come  il
rimettente non tenga in  considerazione  la  costante  giurisprudenza
della Corte che, in piu' occasioni, ha ribadito che la  prescrizione,
inerendo al complessivo trattamento riservato al reo, e' istituto  di
natura sostanziale e la relativa disciplina e' soggetta al  principio
della riserva di legge sancito dall'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,
secondo il quale nessuno puo' essere punito se non in  forza  di  una
legge entrata in vigore prima del fatto commesso; 
        che tale principio, rimettendo al legislatore la  scelta  dei
fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro  applicabili,  rende
inammissibili  pronunce  il  cui  effetto  possa  essere  quello   di
introdurre nuove fattispecie criminose, di estendere quelle esistenti
a casi non  previsti,  o,  comunque,  «di  incidere  in  peius  sulla
risposta punitiva o su aspetti inerenti alla punibilita', aspetti fra
i quali, indubbiamente, rientrano quelli inerenti la disciplina della
prescrizione e dei  relativi  atti  interruttivi  o  sospensivi»  (ex
plurimis, tra le ultime, sentenze n. 324 del 2008 e n. 394 del 2006 e
ordinanza n. 65 del 2008); 
        che, pertanto, la  pronuncia  che  il  rimettente  sollecita,
mirando a introdurre un piu' lungo termine  massimo  di  prescrizione
conseguente al verificarsi di atti interruttivi esorbita  dai  poteri
spettanti a questa Corte, a cio' ostando il principio  della  riserva
di legge sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., che  demanda  in
via esclusiva al legislatore la scelta  dei  fatti  da  sottoporre  a
pena, delle sanzioni loro applicabili e del  complessivo  trattamento
sanzionatorio (ex plurimis, tra le ultime, sentenze n. 161 del  2004,
n. 49 del 2002 e n. 508 del 2000; ordinanze n. 164 del 2007,  n.  187
del 2005, n. 580 del 2000 e n. 392 del 1998); 
        che la questione relativa alla violazione dell'art. 79 Cost.,
derivante  dall'applicazione  della   nuova   disciplina   ai   fatti
pregressi, che secondo il rimettente produrrebbe l'effetto tipico  di
una amnistia, e' stata dichiarata anch'essa infondata da questa Corte
con la sentenza n. 324 del 2008, laddove si e' affermato  che  e'  di
tutta evidenza  che  la  norma  che  abroga  o  riformula  una  norma
incriminatrice o una  ipotesi  di  estinzione  del  reato,  quale  la
prescrizione, non presenta alcuna delle caratteristiche  proprie  dei
provvedimenti di amnistia, prima fra tutte l'efficacia  limitata  nel
tempo, essendo invece destinata a disciplinare in via stabile tutti i
fatti successivi alla  sua  entrata  in  vigore,  salvo  gli  effetti
retroattivi   piu'   favorevoli   al   reo    derivanti,    peraltro,
dall'operativita' della regola generale; 
        che, non risultando addotti profili  o  argomenti  diversi  o
ulteriori rispetto a quelli gia' valutati nella citata  sentenza,  la
questione deve essere dichiarata manifestamente infondata; 
        che la questione relativa alla disciplina  transitoria  della
legge n. 251 del 2005, dettata dall'art. 10, comma 3,  sollevata  dal
rimettente Tribunale di Salerno solo con l'ordinanza del 13  febbraio
2006 (r.o. n. 76 del 2008), e' manifestamente inammissibile; 
        che questa Corte, con la sentenza n. 324 del  2008,  ha  gia'
dichiarato inammissibile identica questione  sollevata  dal  medesimo
rimettente evidenziando che la disposizione e' stata, si,  dichiarata
illegittima, ma non in quanto costituisce una  deroga  eccessivamente
ampia ad un principio generale dell'ordinamento, quale  quello  dello
retroattivita' della norma penale piu' favorevole, ma  in  quanto  ne
costituisce un'illegittima eccezione (sentenza n. 393 del 2006); 
        che con riferimento alle questioni sollevate con  la  seconda
delle ordinanze  citate  sussistono,  inoltre,  ulteriori  motivi  di
inammissibilita'; 
        che il giudice rimettente, in  ordine  alla  rilevanza  della
questione, muove dall'erroneo  presupposto  interpretativo  di  dover
accogliere la richiesta della difesa di una pronuncia di non  doversi
procedere per intervenuta prescrizione del reato; 
        che, tuttavia, dall'ordinanza di rimessione  risulta  che  il
giudizio a quo ha ad oggetto un'imputazione relativa  ai  delitti  di
cui agli artt. 581, 582 e 612 cod. pen., commessi in  data  3  luglio
1999 ed essendo l'ordinanza del 13 febbraio 2006, a quella  data  non
era ancora decorso il termine massimo di  prescrizione  dei  suddetti
reati di sette anni e sei mesi; 
        che  il  predetto  vizio  interpretativo  rende   del   tutto
inadeguata la motivazione in ordine alla  rilevanza  della  questione
(ex plurimis, ordinanza n. 63 del 2007); 
        che il rimettente compie un ulteriore errore  di  prospettiva
ritenendo che la nuova disciplina introdotta dalla legge n.  251  del
2005 in relazione ai delitti sottoposti  al  suo  giudizio  sia  piu'
favorevole  della  precedente  tanto  da  indurlo  ad  ipotizzare  la
violazione dell'art. 79 Cost. per  avere  il  legislatore  realizzato
un'amnistia; 
        che, al contrario, l'art. 6 della legge n. 251 del 2005,  nel
modificare gli artt. 157 e 161 cod. pen.,  ha  allungato  il  termine
ordinario di prescrizione dei suddetti delitti da cinque a  sei  anni
ed ha lasciato invariato, per i soli non recidivi, il termine massimo
di prescrizione di sette anni e mezzo, prevedendo un  aumento  di  un
quarto da aggiungere ai sei anni; 
        che la  questione,  pertanto,  va  dichiarata  manifestamente
inammissibile; 
        che anche la questione di  costituzionalita'  dell'art.  161,
secondo  comma,  cod.  pen.  sollevata   dal   Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale di Prato e' manifestamente inammissibile; 
        che,  secondo  il  rimettente,  la   norma   censurata,   nel
determinare  il  tempo  necessario   a   prescrivere   per   imputati
incensurati  (aumento  di   un   quarto),   imputati   con   recidiva
infraquinquennale  o  specifica  (aumento  della   meta'),   imputati
recidivi  plurimi  (aumento  di  due  terzi)  e  imputati  dichiarati
delinquenti  abituali  o  professionali  (aumento  del  doppio)   «fa
dipendere i differenti termini  massimi  di  prescrizione  non  dalla
gravita'  oggettiva  del  fatto  bensi'   dallo   status   soggettivo
dell'imputato, cosi'  determinando  un  ritorno  al  "diritto  penale
d'autore" ed introducendo una discriminazione  assai  pericolosa  che
finisce per pregiudicare gli autori di reali bagatellari ma  commessi
con continuita' rispetto ai reati dei colletti bianchi»; 
        che il rimettente solleva una questione  opposta  rispetto  a
quella del Tribunale di Salerno, volendo ridurre il  termine  massimo
di prescrizione previsto dall'art. 161 per i recidivi parificandolo a
quello piu' breve previsto per i non recidivi; 
        che,  tuttavia,  il  Giudice  dell'udienza  preliminare   del
Tribunale di Prato trascura di considerare che la recidiva  reiterata
infraquinquennale contestata all'imputato sottoposto al suo giudizio,
prima ancora di determinare  un  allungamento  del  termine  massimo,
incide gia' sul termine ordinario di prescrizione del reato; 
        che  infatti,  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte   di
cassazione, l'aumento di pena previsto in caso di recidiva  reiterata
infraquinqennale,  essendo  questa  una  circostanza  aggravante   ad
effetto speciale, deve essere calcolato ai fini della  determinazione
del termine ordinario di prescrizione ai sensi dell'art. 157, secondo
comma, cod. pen.; 
        che, nel giudizio a quo, essendo contestata, oltre al delitto
di calunnia,  che  prevede  una  pena  massima  di  sei  anni,  anche
l'aggravante della recidiva reiterata infraquinquennale,  il  termine
ordinario di prescrizione e' di dieci anni, dovendosi calcolare anche
l'aumento di pena derivante da detta aggravante ad effetto  speciale,
ai sensi del citato art. 157, secondo comma, cod. pen.; 
        che, pertanto, anche nel caso di accoglimento della questione
sollevata dal rimettente con riferimento alla disciplina  degli  atti
interruttivi, il delitto di calunnia oggetto del giudizio a  quo  non
sarebbe  comunque  prescritto,  in  quanto  il  reato,   secondo   la
contestazione, e' stato commesso nelle date del 21 luglio  e  del  25
agosto 1999 e l'ordinanza con cui e' stata sollevata la questione  e'
del 6 febbraio 2007; 
        che muovendo il rimettente, in ordine  alla  rilevanza  della
questione, dall'erroneo presupposto interpretativo secondo il  quale,
una volta  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma
censurata, egli dovrebbe accogliere la richiesta della difesa di  una
pronuncia di non doversi procedere per intervenuta  prescrizione  del
reato, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 1 e 4, della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi, di usura e di prescrizione), sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 13,  25,  secondo  comma,  e  27,  della  Costituzione,  dal
Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Cava de' Tirreni,  e  dal
Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Amalfi, con le  ordinanze
indicate in epigrafe; 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251
del 2005 sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Amalfi,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 161, secondo comma, del  codice
penale, come modificato dall'art. 6, comma 5, della legge n. 251  del
2005, sollevata, in riferimento all'art. 3  della  Costituzione,  dal
Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di   Prato,   con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 1 e 4, della legge  n.
251  del  2005,  sollevata,  in   riferimento   all'art.   79   della
Costituzione, dal Tribunale di Salerno, sezione  distaccata  di  Cava
de' Tirreni, e  dal  Tribunale  di  Salerno,  sezione  distaccata  di
Amalfi, con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009. 
                        Il Presidente: Flick  
                      Il redattore: Napolitano 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 6 febbraio 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola