N. 63 SENTENZA 25 febbraio - 5 marzo 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Infortuni sul lavoro e malattie professionali - Credito  risarcitorio
  da danno differenziale per infortunio sul lavoro -  Azione  diretta
  del lavoratore  nei  confronti  della  societa'  assicuratrice  del
  datore di lavoro - Mancata previsione - Denunciata  violazione  del
  principio di uguaglianza, ingiustificata  discriminazione  rispetto
  ad  altri  soggetti  che  possono  esperire  azione  diretta  verso
  l'assicuratore o altri terzi, irrazionalita', dilatazione dei tempi
  processuali e delle spese di giustizia -  Questione  sollevata  nel
  corso del procedimento per l'ammissione di un  credito  al  passivo
  fallimentare  -  Motivazione   implausibile   sulla   rilevanza   -
  Inammissibilita'. 
- Cod. civ., art. 1917, secondo comma. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 35 e 111. 
(GU n.10 del 11-3-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
                              Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  1917,  secondo
comma, del codice civile, promosso con ordinanza del 13  maggio  2008
dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra N.  B.
e la UMS Generali Marine S.p.A. ed altro,  iscritta  al  n.  322  del
registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica, n. 44, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  N.  B.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  10  febbraio  2009  il  giudice
relatore Luigi Mazzella; 
    Uditi gli avvocati Giuseppe Sante Assennato e Alessandro Garlatti
per N. B. e l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Nel corso di un giudizio promosso da un  lavoratore  vittima
di infortunio contro il fallimento della societa' datrice di lavoro e
l'assicuratore  di  tale  societa',  la  Corte  di  cassazione,   con
ordinanza emessa il 13 maggio 2008, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 24, 35 e 111 della Costituzione, questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1917,  secondo  comma,  del  codice  civile,
nella parte in cui non concede al lavoratore  azione  diretta  contro
l'assicuratore del datore di lavoro per il  credito  risarcitorio  da
danno differenziale per infortunio sul lavoro. 
    La Corte rimettente espone di essere stata investita del  ricorso
proposto dal lavoratore contro la sentenza  del  giudice  di  secondo
grado confermativa della pronuncia del tribunale che,  ammettendo  al
passivo  fallimentare  il  credito  del  lavoratore  per   il   danno
differenziale conseguente all'infortunio sul lavoro da lui subito  il
17 novembre 1995, aveva dichiarato inammissibile la domanda  proposta
dello stesso lavoratore contro l'assicuratore del datore  di  lavoro,
perche', in base all'art. 1917  cod.  civ.,  il  danneggiato  non  ha
azione diretta contro la compagnia assicuratrice. 
    Il giudice a quo ricorda che un'analoga questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1917, commi primo e secondo, cod.  civ.,  e'
stata  gia'  proposta  alla  Corte  costituzionale,  la  quale,   con
ordinanza  n.  457   del   2006,   l'ha   dichiarata   manifestamente
inammissibile sotto due profili: in primo luogo perche' sollevata nel
corso  di  un  giudizio  che  ha  quale   unico   possibile   oggetto
l'ammissione  al  passivo  del  credito  azionato  ed  il  suo  rango
(giudizio nel quale, pertanto, non  e'  rilevante  una  questione  di
azionabilita' diretta, da parte  del  danneggiato,  del  suo  credito
risarcitorio nei  confronti  dell'assicuratore);  in  secondo  luogo,
perche' la questione era stata prospettata dal rimettente in  termini
commisti ad una modifica dell'ordine legale dei privilegi, come  tale
estranea all'oggetto del giudizio principale, promosso esclusivamente
per la riforma del capo della sentenza che aveva rigettato la pretesa
di azionare il credito direttamente nei confronti dell'assicuratore. 
    La rimettente ritiene di dover riproporre la  questione  depurata
dai predetti profili di inammissibilita'. 
    In particolare, quanto al secondo, la Corte di cassazione afferma
che nel giudizio principale non e' prospettata  alcuna  questione  di
ordine di privilegi. 
    Invece,   per   quel   che   concerne   il   primo   profilo   di
inammissibilita',  la  rimettente  sostiene  che  il   principio   di
concentrazione delle tutele derivante dall'art. 111,  secondo  comma,
Cost., consente, e in un certo senso impone, nell'alternativita'  tra
azione  diretta  verso  l'assicuratore  e   ammissione   al   passivo
fallimentare  dell'assicurato  (eventualmente  per  il  residuo   non
coperto dall'assicuratore), una risposta giudiziaria contestuale alla
domanda   di   giustizia   del   danneggiato.   Tale   esigenza    di
concentrazione, ad avviso del giudice a quo, e'  a  fondamento  delle
modifiche apportate alla legge fallimentare dal decreto legislativo 9
gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80), in  particolare  con  l'eliminazione  delle  precedenti
limitazioni alla  cognizione  del  tribunale  fallimentare,  e  della
giurisprudenza di legittimita' (Cass., sez. un., 12 novembre 2004, n.
21499)  che,  nell'affermare  la  mera  specialita'  del  rito,   con
esclusione di qualsiasi profilo di competenza, ammette la trattazione
contestuale avanti al tribunale fallimentare di  tutte  le  questioni
(anche  nei  confronti  di  terzi)  che,  come  quella  diretta   del
lavoratore infortunato contro l'assicuratore, siano  incidenti  sulla
formazione dello stato passivo. 
    Con  riferimento  alla  non  manifesta  infondatezza,  la   Corte
rimettente sostiene che la norma censurata viola gli  artt.  3  e  35
Cost., discriminando il lavoratore vittima di infortunio rispetto  ad
altri  soggetti  che  godono   invece   di   azione   diretta   verso
l'assicuratore o verso altri terzi e, in  particolare,  rispetto:  ai
dipendenti  dell'appaltatore  che  hanno  azione  diretta  contro  il
committente, ai sensi dell'art. 1676 del codice civile; ai dipendenti
dell'impresa somministratrice nel contratto  di  somministrazione  di
lavoro ed a quelli dell'impresa appaltatrice nel contratto di appalto
di opere o servizi, i quali - a norma, rispettivamente,  degli  artt.
23 e 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione
delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di  cui
alla legge 14 febbraio  2003,  n.  30) -  possono  esercitare  azione
diretta nei confronti del debitore del loro datore di lavoro  per  il
pagamento dei trattamenti retributivi loro spettanti; ai  danneggiati
da  sinistro  stradale,  che  hanno  azione  diretta  nei   confronti
dell'assicuratore del danneggiante ai sensi dell'art. 18 della  legge
24  dicembre  1969,  n.   990   (Assicurazione   obbligatoria   della
responsabilita' civile derivante dalla  circolazione  dei  veicoli  a
motore  e  dei  natanti).  In  tutti  questi  casi  le  somme  dovute
dall'assicuratore al danneggiato sono  sottratte  alla  par  condicio
creditorum del danneggiante dichiarato fallito. 
    La rimettente deduce, poi, la violazione dell'art. 3 Cost.  sotto
il  profilo  dell'irrazionalita'  dell'attuale  disciplina  dell'art.
1917, secondo comma, cod. civ., sia  perche'  tale  norma  affida  il
soddisfacimento, o meno, del bene primario rappresentato dal  credito
risarcitorio  del   lavoratore   infortunato   alla   mera   volonta'
dell'assicuratore o dell'assicurato che, in ragione del tempo in  cui
viene  manifestata,  puo'  essere   sottratto   alla   par   condicio
creditorum, sia perche' essa non concede azione diretta al lavoratore
infortunato sul luogo di lavoro,  mentre  il  lavoratore  vittima  di
infortunio in itinere gode  dell'azione  diretta  in  quanto  vittima
della strada. 
    Infine, il giudice a quo denuncia la violazione degli artt. 24  e
111 Cost., perche' un'azione diretta nei confronti  dell'assicuratore
consentirebbe tempi processuali piu' rapidi e minori costi per  spese
di giustizia. 
    2. - Nel giudizio si e' costituito il lavoratore  ricorrente  nel
giudizio principale che ha concluso nel senso della fondatezza  della
questione. 
    La parte  privata,  dopo  aver  ripercorso  l'iter  del  giudizio
principale  ed  aver   dato   conto   delle   argomentazioni   svolte
nell'ordinanza di rimessione, deduce che l'art. 1917, secondo  comma,
cod.  civ.,  frustra  il  diritto  del  lavoratore   infortunato   al
risarcimento del danno  subito.  Infatti,  l'indennizzo  assicurativo
(estraneo  all'utile  e  al  patrimonio  dell'impresa)  in  caso   di
fallimento  del  datore  di  lavoro  entra  nella  massa  attiva  del
fallimento alla stregua di un qualsiasi cespite  attivo  dell'impresa
fallita, pur trattandosi di una somma destinata a risarcire un danno.
Esso finisce per costituire un  incremento  patrimoniale  attivo  sul
quale altri, non  danneggiati  dall'infortunio,  possono  soddisfarsi
almeno in parte. Vengono cosi' in comparazione due diversi  interessi
di rango diseguale: la par  condicio  creditorum  (che,  pur  essendo
privilegiata  dall'ordinamento,  non   e'   oggetto   di   protezione
costituzionale)  e  la   tutela   dell'integrita'   psicofisica   del
lavoratore (di rango costituzionale ex artt. 32 e  36,  primo  comma,
Cost.). 
    2.1. -  In  prossimita'  dell'udienza  di  discussione  la  parte
privata ha depositato memoria nella quale ha sostenuto l'infondatezza
dell'eccezione  di  inammissibilita'  sollevata  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri e, in via subordinata, ha chiesto che la Corte
affermi il principio secondo cui il  danneggiato  da  infortunio  sul
lavoro  ha  azione  diretta  contro  l'assicuratore  per  il  credito
risarcitorio del danno differenziale anche dopo la  dichiarazione  di
fallimento. 
    3. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata  manifestamente
inammissibile o manifestamente infondata. 
    Sotto  il  primo  profilo  la  questione  sarebbe  manifestamente
inammissibile per difetto di adeguata  motivazione  sulla  rilevanza,
poiche' la Corte rimettente prende le mosse dal  presupposto  secondo
cui la sopravvenienza del fallimento impedirebbe all'assicuratore  di
pagare l'indennizzo direttamente al danneggiato e all'amministrazione
fallimentare di ordinare all'assicuratore il pagamento diretto  (come
invece sarebbe previsto dall'art. 1917,  secondo  comma,  cod.  civ.,
qualora l'assicurato fosse in bonis), senza esplorare la possibilita'
di  un'interpretazione  alternativa,  alla  stregua  della  quale  le
facolta' di pagamento diretto gia' previste dall'art.  1917,  secondo
comma, cod. civ., possano sopravvivere al fallimento dell'assicurato. 
    Quanto al  merito,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
denuncia  che  l'impostazione   della   questione   di   legittimita'
costituzionale, cosi' come sollevata dalla Corte  di  cassazione,  e'
viziata da un salto logico, poiche' la rimettente, sostenendo che  il
problema nascerebbe dal venir meno,  a  seguito  del  fallimento  del
datore di lavoro, delle facolta' di pagamento diretto di cui all'art.
1917, secondo comma, cod. civ., avrebbe dovuto denunciare la predetta
norma codicistica, non per il fatto che  essa  non  preveda  l'azione
diretta del lavoratore in caso di sopravvenuto fallimento, bensi' per
il fatto che essa esclude, in tale ipotesi,  la  sopravvivenza  delle
facolta' di pagamento diretto di cui al secondo comma. 
    L'interventore  nega,  poi,  la  sussistenza   della   denunziata
violazione dell'art. 3 Cost. in relazione all'azione diretta concessa
al danneggiato  da  sinistro  occorso  nella  circolazione  stradale.
Infatti,  questa  facolta'  costituisce  la  sola  tutela   specifica
prevista dalla legge al danneggiato da tale tipo di sinistri, mentre,
in materia di infortuni sul lavoro, l'assicurazione obbligatoria  dei
lavoratori presso gli istituti pubblici a cio' preposti assicura essa
stessa un'adeguata tutela. 
    A parere del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  non  v'e'
disuguaglianza costituzionalmente apprezzabile neppure  in  relazione
all'azione  diretta  per  le  retribuzioni  non  pagate  concessa  ai
dipendenti dell'appaltatore di lavori o di  manodopera  poi  fallito,
verso il committente di questo. Infatti - se si eccettua la  limitata
copertura a carico dell'Istituto nazionale della  previdenza  sociale
accordata dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80  (Attuazione
della direttiva  80/987/CEE  in  materia  di  tutela  dei  lavoratori
subordinati in  caso  di  insolvenza  del  datore  di  lavoro)  -  il
lavoratore non dispone di garanzie sostanziali per il pagamento delle
retribuzioni a fronte dell'insolvenza del datore di lavoro e pertanto
e'  logico  che  il  legislatore   valorizzi   le   possibilita'   di
surrogazione del terzo, ogni volta che questi si trovi in un rapporto
sostanzialmente diretto con il lavoratore. 
    Per quel che  concerne  la  denunciata  violazione  dell'art.  35
Cost., l'Avvocatura generale dello Stato  deduce  che  i  sistemi  di
garanzia pubblica delle retribuzioni e dei risarcimenti  in  caso  di
infortuni apprestano tutta la tutela che l'ordinamento puo' conferire
ai  diritti  dei  lavoratori  nel  necessario  equilibrio  con  altre
posizioni creditorie che potrebbero essere altrettanto meritevoli  di
tutela  e  dunque  rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore
decidere se introdurre, a favore dei soli lavoratori subordinati, per
il danno  differenziale  da  infortunio  sul  lavoro,  la  deroga  al
principio   della   par   condicio   creditorum   (che    costituisce
un'attuazione del principio di uguaglianza) richiesta  dall'ordinanza
di rimessione. 
    Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che  non
sussiste violazione degli artt. 24 e  111  Cost.  in  relazione  alla
maggiore complessita' e durata processuale  del  fallimento  rispetto
all'azione ordinaria diretta. Infatti, il  credito  risarcitorio  del
lavoratore vittima di infortunio sul lavoro e' assistito, nell'ambito
del concorso fallimentare, da privilegio generale  (il  che  gia'  lo
differenzia da molti altri crediti). Inoltre la complessita' e durata
delle procedure fallimentari e' un'evenienza di fatto, cui  va  posto
rimedio su  altri  piani  dell'ordinamento.  Infine,  l'irragionevole
durata e complessita' dei fallimenti non costituisce,  contrariamente
a quanto asserisce  la  rimettente,  un  fatto  notorio,  bensi'  una
circostanza che puo', o meno, sussistere nei singoli casi. 
                       Considerato in diritto 
    1. - La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt.  3,
24, 35 e 111 della Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1917, secondo comma, del codice civile, nella parte in  cui
non  prevede  in  favore  del  lavoratore   azione   diretta   contro
l'assicuratore del datore di lavoro per il  credito  risarcitorio  da
danno differenziale derivante da infortunio sul lavoro. 
    2. - La questione e' inammissibile. 
    Questa Corte, con l'ordinanza n.  457  del  2006,  ha  dichiarato
l'inammissibilita' di una questione analoga  alla  presente,  perche'
irrilevante nel giudizio a quo il cui  oggetto  era  l'ammissione  al
passivo del credito azionato ex art. 93 o 101 del  regio  decreto  16
marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa). In tale procedimento non poteva - a  giudizio
della  Corte  -  essere  rilevante  una  questione  di  azionabilita'
diretta, da parte del danneggiato, del suo credito  risarcitorio  nei
confronti dell'assicuratore. 
    Anche  nel  presente  caso  il   giudizio   principale   riguarda
l'ammissione di un credito al  passivo  fallimentare.  La  rimettente
sembra pero' ritenere implicitamente superabile il rilievo  contenuto
nell'ordinanza n.  457  del  2006.  Essa  afferma,  infatti,  che  il
tribunale fallimentare ben puo' esaminare  il  merito  della  domanda
proposta dal danneggiato contro l'assicuratore del datore  di  lavoro
fallito. Nell'ordinanza di rimessione si sottolinea che l'esigenza di
concentrare davanti a quel giudice tutte le  questioni  che  incidano
sulla formazione dello stato passivo troverebbe  riscontro  nell'art.
111, secondo comma, Cost. (che enuncia i principi del giusto processo
e  della  sua  ragionevole  durata),  nelle  modifiche   alla   legge
fallimentare apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006,  n.  5
(Riforma organica della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a
norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e
nell'orientamento della giurisprudenza di legittimita'. 
    Ritiene tuttavia questa Corte che dall'art. 111,  secondo  comma,
Cost., non puo' desumersi la necessita' di una concentrazione davanti
al  giudice  fallimentare  di  tutti  i  vari  strumenti  di   tutela
giudiziale previsti dall'ordinamento. Al principio della  ragionevole
durata del processo enunciato  dalla  predetta  norma  costituzionale
«possono  arrecare  un  vulnus  solamente   norme   procedurali   che
comportino una dilatazione dei tempi del  processo  non  sorretta  da
alcuna logica esigenza» (sentenza n. 148 del 2005) e tali non possono
essere considerate le  disposizioni  con  le  quali  il  legislatore,
nell'esercizio non irragionevole dell'ampia discrezionalita'  di  cui
gode in tema di  individuazione  del  giudice  competente,  definisce
l'ambito della cognizione dei singoli organi giurisdizionali. 
    E', poi, inconferente il richiamo ai  principi  ispiratori  della
riforma della disciplina delle procedure concorsuali  introdotta  dal
d. lgs. n.  5  del  2006.  Infatti,  indipendentemente  da  qualsiasi
considerazione circa le conseguenze di tale riforma  sulla  effettiva
possibilita' per i creditori del fallimento di proporre nel  giudizio
di opposizione allo stato  passivo  domande  contro  terzi,  c'e'  da
osservare che, per espressa previsione dell'art. 150 del d.lgs. n.  5
del 2006, le procedure di fallimento che - come quella sulla quale si
innesta il giudizio a quo - erano pendenti alla data  di  entrata  in
vigore dello stesso decreto legislativo  sono  comunque  disciplinate
dalla legge anteriore. 
    Infine, la  stessa  giurisprudenza  di  legittimita',  richiamata
dalla rimettente a conforto della propria impostazione,  non  afferma
affatto  la  possibilita'  di  trattazione,  davanti   al   tribunale
fallimentare, di domande proposte dai creditori del fallimento contro
terzi. 
    Dall'implausibilita'  della  motivazione  sulla  rilevanza  della
questione deriva, dunque, l'inammissibilita' della stessa. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara  l'inammissibilita'  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1917,  secondo  comma,  del  codice  civile,
sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  35  e  111   della
Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                       Il redattore: Mazzella 
                      Il cancelliere Fruscella 
    Depositata in cancelleria il 5 marzo 2009. 
                      Il cancelliere: Fruscella