N. 276 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 maggio 2009
Ordinanza del 19 maggio 2009 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Palermo sull'istanza proposta da C.M.. Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di benefici al condannato (nella specie, madre di figli minori) che sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell'art. 385 cod. pen. (evasione) - Denunciato rigido automatismo del divieto - Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto in altri casi di analoga gravita' - Irragionevole incidenza sui diritti dei condannati - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione dei principi a tutela della famiglia. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 58-quater, primo comma. - Costituzione, artt. 2, 3, 27, comma terzo, 29, 30 e 31.(GU n.46 del 18-11-2009 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Ritenuto in fatto C. M . deve espiare la pena di mesi 3 e giorni 28 di recl. inflitta con sentenza del 1° febbraio 2007 del Tribunale di Palermo, divenuta esecutiva il 20 marzo 2007, per il reato di evasione commesso il 21 ottobre 06, titolo esecutivo sospeso ex art. 656, quinto comma, c.p.p. ed ha avanzato istanza in data 20 giugno 2008 al fine di ottenere i benefici ex artt. 47, 47-ter e 48 o.p., allegando una situazione familiare caratterizzata dall'esclusiva cura materna di due figli minori, di cui uno di anni tre, e dall'assenza del padre, in quanto detenuto, e di altre figure parentali e prospettando attivita' lavorativa, con offerta documentata, quale unica fonte di sostentamento del nucleo familiare. Considerato in diritto Premesso che nel caso di specie e' astrattamente configurabile l'applicazione del divieto di concessione dei benefici penitenziari previsto dall'art. 58-quater, primo comma, o.p., in quanto l'evasione e' stata commessa nel triennio non ancora trascorso, la, sentenza di condanna e' divenuta esecutiva e la vicenda cautelare, nel corso della quale e' avvenuta l'evasione, ha ripreso la sua esecuzione, con successiva condanna regiudicata ed integrale espiazione della pena (cfr. sentenza del 9 maggio 2007 g.i.p. contro Trib. Palermo e relativo stato d'esecuzione); Premesso, altresi', che non sono applicabili al caso in esame, ancorche' non espressamente richiesti, gli idonei benefici della detenzione domiciliare speciale, prevista dall'art. 47-quinquies o.p. per le madri di prole infradecenne, e del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, previsto dall'art. 147 c.p. per le madri di prole infratreenne, anche nella succedanea forma espiativa ex art. 47-ter, comma 1-ter o.p., benefici non ricompresi nel novero letterale delle misure cui si riferisce il divieto ex art. 58-quater primo comma o.p., in quanto per un verso non e' soddisfatto il requisito dell'avvenuta espiazione di un terzo della pena e per altro verso il figlio minore ha superato la soglia del terzo anno d'eta'. Ritenuto che nel presente giudizio appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater, primo comma, o.p., in relazione agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 29, 30 e 31 della Costituzione. Tale norma merita di essere costituzionalmente censurata sia in radice sia in parte qua. Sotto il profilo dell'intrinseca irragionevolezza della norma denunziata, devesi rilevare come il legislatore abbia accomunato, nella fattispecie preclusiva in esame, una varieta' di condotte tra loro profondamente diverse quanto a gravita' oggettiva e soggettiva, a pericolosita' sintomatica, a rilevanza prognostica ai fini della concedibilita' dei benefici penitenziari, condotte che hanno come denominatore comune la riconducibilta' all'etichetta incriminatrice dell'evasione e da cui discende il medesimo effetto draconiano dell'interdizione triennale dei benefici, indipendentemente dalla entita' della fattispecie concreta di evasione e dal suo significato prognostico in relazione al beneficio invocato e indipendentemente da ogni rapporto di proporzione rispetto alla durata delle pena residua espianda, con la conseguenza paradossale che ove tale pena sia infratriennale l'interdizione da parziale e temporanea diventa totale e definitiva. Cosi' ricevono irragionevolmente lo stesso trattamento penitenziario coloro che evadono dal carcere, mostrando un'elevata pericolosita' sociale e una soggettiva inaffidabilita' prognostica, rispetto a coloro che evadono dagli arresti domiciliari, allontanandosi dall'abitazione magari per breve intervallo di tempo, nei pressi dell'uscio e per finalita' lecite, spesso in contesti di vita quotidiana in cui tali condotte rivestono piu' il carattere dell'infrazione prescrittiva e della disubbidienza superficiale che non l'offensivita' della concreta lesione o messa in pericolo di un bene giuridicamente rilevante. Tale irragionevolezza e' aggravata dalle circostanze che il legislatore del 2005 ha esteso la portata della norma preclusiva alla generalita' dei reati e dei condannati e che nella costante giurisprudenza dei giudici di cognizione l'evasione e' configurata come reato istantaneo, eventualmente permanente, sicche' il rigido automatismo dell'amplissimo divieto in esame si pone in stridente costrasto con le norme dell'ordinamento penitenziario, tertium comparationis, che, casi non meno gravi, conferisce rilevanza penale e sanzione penitenziaria soltanto alle evasioni «permanenti» che si protraggono oltre le dodici ore artt. 30, terzo comma, 47-sexies e 51, secondo, terzo e quarto comma, ord. penit.). In particolare, nel caso delle «evasioni» inferiori alle tre ore, l'art. 30 ne esclude addirittura la rilevanza disciplinare e l'art. 51 la rilevanza ai fini della revoca discrezionale della misura alternativa. Si aggiunga che la norma censurata nella rigidita' della sua valutazione legale tipica sottrae a priori ed in modo indiscriminato alla discrezionalita' prognostica della magistratura di sorveglianza il giudizio in ordine al disvalore specialpreventivo delle concrete condotte di evasione ed al loro significato predittivo in chiave rieducativa, ponendosi nel contesto nell'ordinamento penalpenitenziario in posizione distonica ed antisistematica, a fronte di altre fattispecie in cui la rilevanza prognostica e sanzionatoria di fatti di reato, anche piu' gravi dell'evasione, e' affidata alla saggia e informata discrezionalita' delle concrete valutazioni giudiziali. Si pensi, a seguito della sentenza del 1995, n. 186 della Corte costituzionale, al carattere discrezionale della revoca della gia' concessa liberazione anticipata per successiva commissione di reato non colposo in corso d'esecuzione, si pensi, nel solco della pacifica giurisprudenza di legittimita', al carattere di per se' non ostativo ed alla superabilita' in via discrezionale della commissione di fatti di reato nei contesti temporali in valutazione, al fine dei giudizi di partecipazione all'opera rieducativa, di ravvedimento, di effettiva e costante buona condotta e della conseguente concessione dei relativi benefici della liberazione anticipata, della liberazione condizionale e della riabilitazione (cfr. tra tutte in particolare Cass. I 26 settembre 1995 n. 4603 che esclude ogni automatismo proprio a fronte di un caso concreto di evasione dagli arresti domiciliari e Cass. I 8 novembre 2005 n. 43435 che culmina una serie costante di precedenti giurisprudenziali conformi). Si osservi, altresi', che tale irragionevole e indiscriminata e compressione della discrezionalita' giudiziale sacrifica le essenziali esigenze della individualizzazione del trattamento penitenziario e della sua costante apertura al finalismo rieducativo della pena, cui tale discrezionalita' e' preordinata e funzionalizzata, ed incorre a contrario nei rigori dell'ordinanza del 2004, n. 87 della Consulta che ha salvato la costituzionalita' del divieto di cui al secondo comma dell'art. 58-quater, in ragione del carattere discrezionale della revoca della misura alternativa che ne costituisce il presupposto, a differenza che nel primo comma in cui il legislatore non lascia alcun margine di discrezionalita', neppure nei casi in cui e' evidente il carattere lieve, se non bagatellare, della condotta d'evasione. Si consideri, ancora, che l'irrazionalita' e la disorganicita',della disciplina penitenziaria dell'evasione e' osservabile in un quadro d'insieme, ponendo mente alla sentenza del 1997, n. 173 che ha dichiarato l'incostituzionalita' del nono comma dell'art. 47-ter o.p. nella parte in cui imponeva la sospensione della detenzione domiciliare addirittura in presenza di un semplice denunzia di evasione, a ncorche' proveniente da privati e senza neppure un fumus di reita' giudizialmente accertato, o al pendente giudizio di costituzionalita' promosso dalla suprema Corte di cassazione che con sentenza del 4 luglio 2008, n. 30027 ha denunziato l'irragionevole disparita' di trattamento tra l'evasione della detenuta domiciliare «ordinaria» con prole infradecenne sanzionata dall'ottavo comma dell'art. 47-ter o.p. e l'evasione della detenuta domiciliare «speciale» con identica situazione genitoriale sanzionata nei limiti dell'art. 47-sexies, con l'effetto paradossale che al caso meno grave e' riservato un trattamento piu' severo del caso piu' grave. Cosi' esaminate le argomentazioni che contestano in radice la norma denunziata, devono ora affrontarsi le questioni relative alle sue interpretazioni che la rendono incompatibile con i principi costituzionali e che, in quanto recepite ed applicate dalla giurisprudenza, hanno assunto il volto del diritto vivente, ostruendo la spazio costituzionalmente orientato delle soluzioni ermeneutiche adeguatrici e reclamando l'autorevole intervento di esegesi correttiva del giudice delle leggi. Dalla serena lettura della lettera della norma devesi, in primo luogo, escludere l'interpretazione, sottesa al caso sollevato dal Tribunale di sorveglianza di Catania con ordinanza del 6 febbraio 2006 nel giudizio di costituzionalita' conclusosi con sentenza del 2007, n. 79, che riferisce il divieto anche alla pena, isolatamente considerata in executivis, inflitta per lo stesso reato d'evasione, configurandolo come una sorta di reato ostativo, con autoreferenziale e assoluta presunzione iuris et de iure di pericolosita' e di inemendabilita' in misura alternativa, che permane nel triennio senza possibilita' alcuna di prova contraria, in cui riecheggia la figura costituzionalmente censurata del tipo d'autore (cfr. sul tema la fondamentale sentenza del 1993, n. 306 della Consulta), nel caso dell'evasore con fragilissime se non inesistenti basi criminologiche, in contrasto irriducibile, oltre che con i principi del diritto costituzionale nazionale ed europeo, con le scelte del legislatore ordinario che nel 1986 ha abolito tutti i casi di pericolosita' sociale presunta, sottoponendo anche le fattispecie piu' gravi di delinquenza qualificata alla discrezionalita' giudiziale. Invero, la lettera della norma esaminata riferisce il divieto al condannato per altra pena nel corso della quale (o nel corso della precedente custodia cautelare) si e' verificata l'evasione. Tale legame genetico dell'evasione come «incidente di percorso» in altra vicenda cautelare ed esecutiva offre la misura della portata applicativa del divieto che deve, esplicare i suoi effetti interdittivi in coerenza con tale legame e' nei limiti della sua incidenza funzionale. Ove l'interpretazione della norma astraesse da tale dimensione genetico funzionale del divieto, dovrebbe imporsene, al di la' di ogni ragionevolezza, l'applicazione anche nel caso paradossale di un soggetto incensurato che, evadendo dagli arresti domiciliare nell'ambito di un procedimento penale in cui ottiene poi l'assoluzione, sarebbe costretto a espiare necessariamente in carcere la pena dell'unico reato d'evasione, divenendo cosi', ancorche' primario, il reato piu' severamente trattato dall'intero ordinamento penitenziario. Tali assunti trovano conferme nella giurisprudenza che esclude che la preclusione ex art. 58-quater, primo comma o.p. possa configurarsi come effetto penale della condanna per evasione (cfr. sentenza del 5 luglio 1994, n. 3308 della Corte di cassazione) e soprattutto nella circostanza che lo stesso legislatore del 2005 non ha inserito l'evasione, neppure se infratriennale, nel novero dei reati esclusi dal meccanismo della sospensione ex art. 656, quinto comma c.p.p, propedeutica all'accesso privilegiato alle misure alternative. In secondo luogo, devesi escludere l'interpretazione della norma denunziata che estende la sua portata applicativa anche a titoli esecutivi diversi da quello in relazione al quale e' stata commessa l'evasione, indipendentemente dal nomen iuris ed in forza della circostanza puramente accidentale ed aleatoria della loro messa in esecuzione nel periodo di vigenza del divieto. Tale interpretazione trova tuttavia conforto nella giurisprudenza di legittimita' formatasi in relazione al secondo comma dell'art. 58-quater che ha ritenuto la portata onnicomprensiva del divieto triennale riferendolo a tutti i titoli esecutivi sopravvenuti nel triennio (cfr. sentenza del 7 novembre 2000, n. 3802 della suprema Corte). Una siffatta interpretazione spezzerebbe il legame genetico funzionale dell'evasione con la vicenda esecutiva nel corso della quale si e' verificata e cui e' inscindibilmente correlata, derogherebbe al canone non scritto del nostro ordinamento penitenziario, riconosciuto dalla migliore dottrina, che soltanto in via eccezionale ricollega delle conseguenze negative ad un comportamento tenuto nel corso di una precedente vicenda esecutiva, violerebbe il principio ermeneutico riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenza del 1993, n. 349) che impone l'interpretazione in modo rigorosamente restrittivo delle norme penitenziarie che incidono ulteriormente sui diritti dei condannati, in quanto derogatorie di un ordinamento gia' derogatorio, trasformerebbe un divieto ragionevole, se contenuto entro precisi limiti funzionali, in una irragionevole «inabilitazione assoluta ad personam», ancorche' temporanea, costituzionalmente inaccettabile, in aperto contrasto con i principi sanciti dagli artt. 2, 3, 27, terzo comma, della Costituzione. La norma scrutinata deve quindi considerarsi incostituzionale in parte qua, ove interpretata nei sensi fin qui censurati. Si concluda osservando che nel caso di specie l'espiazione carceraria della pena inflitta alla condannata istante comporterebbe l'ulteriore disgregazione del nucleo familiare con l'alternativa tra l'ingresso in carcere dei figli minori insieme alla madre o il loro abbandono ed eventuale affidamento in mani estranee, in palese contrasto con i principi ed i valori sanciti dagli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Lette le conclusioni delle parti processuali; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater, primo comma, o.p., in relazione agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, e 29, 30 e 31 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso. Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'interessata, al difensore, al p.m. ed al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Palermo, addi' 28 aprile 2009 Il Presidente: Bellet Il giudice estensore: Mazzamuto