N. 329 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 2009

Ordinanza del 23 settembre 2009 emessa dal Tribunale di  Catania  nel
procedimento civile promosso da Stracuzzi Santi ed altre contro Palma
Italo ed altre. 
 
Responsabilita' civile - Risarcimento del danno derivante da sinistro
  stradale - Pluralita' di persone danneggiate nello stesso  sinistro
  - Sussistenza di litisconsorzio necessario nei giudizi pendenti tra
  la compagnia di assicurazione e le persone danneggiate  -  Prevista
  applicabilita' dell'art. 102 cod. proc. civ. - Eccesso di delega  -
  Irragionevolezza - Incidenza sul diritto di difesa dei  danneggiati
  -  Asserita  lesione  del  principio  di  ragionevole  durata   del
  processo. 
- Decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, art.  140,  comma  4,
  primo periodo. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 76 [in relazione all'art. 4 della  legge
  delega 29 luglio 2003, n. 229] e 111, comma secondo. 
(GU n.4 del 27-1-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Sciogliendo la riserva assunta alla udienza  in  data  24  giugno
2009; 
    Esaminati gli atti e documenti di causa (proc. n. 9758/2008 RG); 
    Ritenuto che, nel presente giudizio  viene  istato  ex  art.  144
d.lgs. n. 209 del 2005 il risarcimento del danno da sinistro stradale
in esito ad  «incidente»  automobilistico  verificatosi  in  data  31
luglio 2006 nel quale, alla  stregua  delle  allegazioni  rese  dalle
parti, risultano essere stati coinvolti ben quattro  (4)  autoveicoli
con relativi «equipaggi» e conseguente - «bilancio» - oltre ai  danni
ai  veicoli  -  di  un  morto  ed  almeno  cinque  (5)  feriti  e  la
configurazione di un novero molteplice di  («effettivi»,  «probabili»
od  anche  solo  «possibili»)  «danneggiati»  a  vario  titolo  (enti
previdenziali, datori di lavoro,  parenti,  «fidanzati»,  conviventi,
etc.), in parte individuati ma non in causa per varie ragioni - ed in
parte evidentemente non individuabili con certezza, allo  stato,  per
la molteplicita' delle potenziali situazioni facenti capo ai soggetti
coinvolti, con «supero» (ovviamente in via  di  prospettazione  delle
parti e di  petitum  nummario  dalle  stesse  proposto)  del  modesto
massimale di euro 774.686,00 gia' in relazione alle  pretese  sin qui
spiegate nel presente giudizio in misura di gran lunga superiore allo
stesso (euro 1.800.000,00 oltre interessi e  rivalutazione  monetaria
ed oltre  euro  200.00,00  di  cd.  «danno  punitivo»  richieste  nel
presente giudizio dai soli Stracuzzi Santi e Longo  Silvana  ed  euro
260.000,00 piu' interessi  e  rivalutazione  monetaria  richieste  in
altro giudizio da Stracuzzi Carmelina); 
    Ritenuto che la questione della disintegrita' del contraddittorio
ex artt. 140 terzo comma d.lgs. n. 209 del 2005 e 102 c.p.c. e' stata
espressamente  rilevata  dalla  resistente  Societa'.  Duomo   UniOne
Assicurazioni   S.p.a.,   con    conseguente    immediata    ricaduta
sull'esercizio dei diritti di credito risarcitorio vantati  ed,  allo
stato irritualmente, azionati in giudizio e sul soddisfacimento degli
stessi (ove effettivamente sussistenti), tantoppiu' in relazione alla
istanza di «provvisionale» «ai sensi dell'art. 5 legge  n.  102/2006»
altresi' ingiudizio proposta ob torto collo subordinata  essa  stessa
dalla difesa degli istanti all'esito della avvenuta «integrazione del
contraddittorio»;  integrazione  del  contraddittorio  della   quale,
peraltro, la medesima difesa chiede «gravare la Duomo UniOne»; 
    Ritenuto invero che, a tenore del disposto di  cui  all'art.  140
terzo comma prima parte del d.lgs. 7  settembre  2005,  n.  209  «Nei
giudizi  promossi  fra  l'impresa  di  assicurazione  e  le   persone
danneggiate sussiste litisconsorzio necessario,  applicandosi  l'art.
102 del codice di procedura civile» ed, a tenore del disposto di  cui
all'art. 102 c.p.c. «Se la decisione non  puo'  pronunziarsi  che  in
confronto di piu' parti, queste  debbono  agire  o  essere  convenute
nello stesso processo. 
    Se questo e' promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse,
il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio  in  un  termine
perentorio da lui stabilito»; 
    Orbene,  come  e'  stato  detto,  «la  applicazione  della  norma
richiamata imporrebbe a questo Giudice di ordinare ex art. 102 c.p.c.
l'integrazione del contraddittorio rispetto a  tutti»  i  danneggiati
non chiamati in causa gia'  ancora  da  individuare  ed  identificare
«ricorrendo una evidente ipotesi di illecito da circolazione stradale
ad offensivita' multipla e non potendo, per  l'effetto,  il  giudizio
proseguire solo tra i soli soggetti inizialmente in lite. 
    Ricorre,  allora,   il   sicuro   collegamento   logico-giuridico
richiesto dall'art. 23 legge n. 83/1957 tra  l'art.  140  ult.  comma
cit., della cui  costituzionalita'  si  dubita  nei  termini  di  cui
appresso, e la res iudicanda addotta. 
    In altri  termini,  la  causa  appare  insuscettibile  di  essere
correttamente istruita e decisa a prescindere dalla verifica  se  sia
costituzionalmente  legittima  la  nuova  ipotesi  di  litisconsorzio
necessario introdotta dalla disposizione in  esame  (cfr.  ex  multis
Corte costituzionale, 24 giugno 2004, n. 191).» (in  questi  termini,
Tribunale Nola, Sez. 15 novembre 2008, in Redazione Giuffre' 2009); 
    Palese, dunque, la specifica «rilevanza»  della  questione  nella
fattispecie sub iudice - del presente giudizio  sono,  invero,  parti
esclusivamente: 
      l. i genitori del deceduto Stracuzzi Antonio; 
      2. la fidanzata delle stesso, successivamente intervenuta; 
      3. i proprietari di  due  dei  quattro  veicoli  coinvolti  nel
sinistro; 
      4. l'assicuratore di uno dei quattro veicoli; 
    in ordine ai requisito della «non manifesta infondatezza» osserva
il Giudice  Istruttore  anzitutto,  come  appaiano  condivisibili  le
considerazioni di cui in Tribunale Nola, Sez. 15 novembre 2008  cit.,
quivi  di  seguito  testualmente  trascritte:   «L'art.   140   cit.,
introducendo una nuova fattispecie chi litisconsorzio necessario  tra
tutti i danneggiati, si pone con evidenza l'obiettivo  di  assicurare
il principio della par  condicio  degli  stessi  nel  soddisfacimento
delle loro ragioni su di un massimale eventualmente incapiente. 
    Infatti  esso,  recependo  l'analoga  regola  gia'   dettata   in
precedenza dall'art. 27 legge n. 990/1969, prevede al primo comma che
«qualora vi siano piu' persone danneggiate nello stesso sinistro e il
risarcimento dovuto dal responsabile superi le  somme  assicurate,  i
diritti delle  persone  danneggiate  nei  confronti  dell'impresa  di
assicurazione sono proporzionalmente ridotti  fino  alla  concorrenza
delle somme assicurate». 
    Onde in tali casi il massimale andrebbe ripartito contestualmente
tra tutti gli aventi diritto, in proporzione dei relativi crediti. 
    Sennonche', lo  strumento  processuale  volto  a  garantire  tale
corretta distribuzione viene  per  la  prima  volta  individuato  dal
legislatore,  all'ultimo   comma   della   disposizione   cit.,   nel
litisconsorzio necessario imposto agli stessi danneggiati ex art. 102
c.p.c. in un unico giudizio risarcitorio. 
    Ma da tale  opzione  normativa  deriva  da  subito  un  rilevante
corollario Avendo il legislatore valorizzato in modo pregnante la sua
finalita' di assicurare  in  un'unica  sede  giudiziale  la  corretta
distribuzione del massimale tra i vari danneggiati, mediante il nuovo
litisconsorzio ex art. 102 c.p.c. si e'  finito  sostanzialmente  per
imporre a ciascun danneggiato di far valere le  rispettive  poste  di
danno necessariamente nell'unico processo - appunto a  litisconsorzio
necessario - previamente promosso dal piu' solerte di essi. 
    Infatti, secondo l'art. 102 c.p.c.  «se  la  decisione  non  puo'
pronunciarsi che in confronto di piu' parti, queste  devono  agire  o
essere convenute nello stesso processo». 
    Sicche',  si  e'  obbligato  ciascun   danneggiato   ad   «agire»
contestualmente in un'unica causa. 
    Peraltro,  il  predetto  vincolo  di  «azione  contemporanea»  si
raccorda perfettamente con lo scopo della norma. 
    Se infatti - come detto  -  quest'ultimo  consiste  nella  giusta
ripartizione del massimale, esso non poteva che postulare in  termini
logicamente necessari che fossero conoscibili da  parte  del  Giudice
tutti gli importi (risarcitori)  in  ragione  dei  quali  operare  la
predetta ripartizione , dovendosi avere ben presente  sulla  base  di
quali  valori  procedere  alla  «proporzionale   riduzione   fino   a
concorrenza delle somme assicurate» dei singoli crediti. 
    Laddove,  solo  delibando  in  ordine  all'entita'  di  tutti   i
risarcimenti,  il  Giudice  e'  messo  nelle  condizioni   di   poter
distribuire correttamente il massimale tra i creditori. 
    Peraltro, ad  opinare  diversamente,  cioe'  a  ritenere  che  il
singolo danneggiato evocato in giudizio  dall'attore,  ab  origine  o
previo ordine ex art. 102 c.p.c., non debba avanzare anch'egli la sua
pretesa risarcitoria in quella stessa sede, non solo si arriverebbe a
contraddire  la  disciplina  letterale  (...devono  agire...)  e   la
struttura tipica del litisconsorzio necessario (il quale regredirebbe
ad  una  sorta  di  anomala  litisdenuntiatio),  ma  si  frustrerebbe
frontalmente la stessa ratio  della  chiamata  del  terzo  creditore,
impedendosi al Giudice di conoscere le pretese di tutti ed operare la
distribuzione del massimale che ne consegue»; 
    «Violazione dell'art. 76 Cost. per mancata copertura della  legge
delega il Codice delle Assicurazioni private e', come noto, normativa
di rango primario delegata, essendo stata emessa nelle  forme  di  un
d.lgs. adottato sulla base dell'art. 4 legge n. 229/2003. 
    Con quest'ultima legge, infatti, il Governo era stato delegato ad
adottare uno o piu'  decreti  legislativi  per  «il  riassetto  delle
disposizioni  vigenti  in  materia  di  assicurazioni»  e  cio'  «nel
rispetto di determinati principi e criteri direttivi». 
    Si dubita, allora, che la nuova ipotesi litisconsorzio introdotta
dall'art.140 cod. ass. trovi un effettivo aggancio  in  qualcuno  dei
principi e/o criteri direttivi dettati dal legislatore delegante. 
    La  norma  in  esame  integra  una   disposizione   squisitamente
processuale,  introdotta  dal  legislatore  per   mere   ragioni   di
opportunita' (salvo quanto si osservera' in seguito). 
    Infatti, il litisconsorzio ex art. 102 c.p.c.  e'  stato  imposto
con   riguardo   ad   azioni   risarcitorie   che   sarebbero   state
tranquillamente suscettibili di essere decise separatamente,  siccome
distinte per petitum (varie poste di danno), causae petendi  (diversi
diritti violati) e soggetti (diversi danneggiati). 
    Dunque, non vi era  alcuna  ragione  di  natura  sostanziale  che
prescrivesse una  necessaria  trattazione  congiunta  delle  liti  in
questione  nemmeno  sotto  il  profilo  della   mera   partecipazione
contestuale di tutti i danneggiati nel medesimo giudizio. 
    Ed allora, e' proprio tale  innovativa  opzione  legislativa  che
sembra non attenere ne' apparire congruente ad alcuna delle finalita'
di cui all'art. 4 legge n. 229/2003. 
    Tali finalita' consistevano: 
      «a)  nell'adeguamento   della   normativa   alle   disposizioni
comunitarie e agli accordi internazionali»: tuttavia, tali  normative
sovranazionali  non  riguardavano   la   regolamentazione   specifica
dell'esercizio dell'azione; 
      «b) nella tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti
piu' deboli, sotto il  profilo  della  trasparenza  delle  condizioni
contrattuali, nonche'  dell'informativa  preliminare,  contestuale  e
successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche alla
correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di  liquidazione
dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali  di'  tale  servizio»:
sennonche', tale criterio direttivo  si  rivolgeva  chiaramente  solo
alla piu' attenta salvaguardia di ciascun  cittadino/consumatore  nel
momento in cui esso era coinvolto nelle relazioni  negoziali  con  le
grandi compagnie assicurative; sicche', il  principio  dettato  nulla
aveva a che vedere con le questioni processuali incise dall'art.  140
alt. comma cit.; 
      «c)  nella  salvaguardia  dell'effettiva  concorrenza  tra   le
imprese  autorizzate  all'esercizio  dell'attivita'  assicurativa  in
Italia o operanti in regime di liberta' di prestazioni  di  servizi»:
ma e' evidente che  tra  la  concorrenza  ed  il  litisconsorzio  nel
processo non vi era alcun profilo di interferenza; 
      «d) nella previsione di specifici requisiti  di  accesso  e  di
esercizio per le societa' di mutua assicurazione esonerate dal  pieno
rispetto  delle  norme  comunitarie,  nonche'  per  le   imprese   di
riassicurazione»: ma e' evidente la non attinenza del criterio con la
norma esaminata; 
      «e) nella garanzia di  una  corretta  gestione  patrimoniale  e
finanziaria delle imprese  autorizzate  all'esercizio  dell'attivita'
assicurativa, anche nell'ipotesi  di  una  loro  appartenenza  ad  un
gruppo assicurativo, nonche' con riferimento alle  partecipazioni  di
imprese assicurative  in  soggetti  esercenti  attivita'  connesse  a
quella assicurativa e di partecipazione di questi ultimi  in  imprese
assicurative;»: valga quanto osservato sub c); 
      «f) nell'armonizzazione della disciplina delle  diverse  figure
di  intermediari  nell'attivita'   di   distribuzione   dei   servizi
assicurativi, compresi i soggetti che,  per  conto  di  intermediari,
svolgono questa attivita' nei confronti del pubblico»:  valga  quanto
osservato sub c); 
      «g) nell'armonizzazione della disciplina sull'esercizio e sulla
vigilanza  delle  imprese  di  assicurazione  e  degli   intermediari
assicurativi alla normativa comunitaria»: valga quanto osservato  sub
c); 
      «h) nella riformulazione dell'apparato sanzionatorio alla  luce
dei principi generali in materia»: valga quanto osservato sub c). 
    Non si rinviene, in sostanza, alcun chiaro principio dettato  dal
legislatore delegante che  abbia  potuto  giustificare  la  norma  in
esame, fondandola validamente ex art. 76 Cost. 
    Non sfugge, poi, al Giudice remittente che la modifica  di  norme
in  vigore  mediante  normativa  delegata,  in  assenza  di   criteri
direttivi analitici, poteva comune essere considerata ammissibile, ed
in tal modo compatibile con l'art. 76 Cost., ove utile per l'armonico
coordinamento del sistema normativo innovato, allo scopo di garantire
la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa (art.  20
legge n. 59/1997) ovvero quando fossero stati  osservati  i  principi
guida della legislazione anteriore e «l'obiettivo fosse di ricondurre
a sistema una disciplina stratificata negli anni»,  sicche',  in  tal
caso, «non sarebbe stato necessario che fosse espressamente enunciato
nella legge  delega  il  principio  gia'  presente  nell'ordinamento,
essendo  sufficiente  il  criterio  del  riordino  di   una   materia
delimitata» (Corte Cost. n. 52 del 28 gennaio 2005;  Cost.  cost.  n.
174 del 4 maggio 2005). 
    Tuttavia, pur a valorizzare tali criteri interpretativi, i  dubbi
di costituzionalita' della disposizione, lungi dall'essere dissipati,
addirittura aumentano. 
    Infatti, il nuovo  istituto  processuale  introdotto  non  sembra
garantire  alcuna  logica  interna  ai  sistema  risarcitorio   delle
assicurazioni  per  r.c.a.,  ne'  appare  completare,  sul   versante
processuale,  una  regolamentazione  sostanziale  avente  una   ratio
corrispondente. 
    Tale  litisconsorzio  appare   invece   una   opzione   normativa
inaspettata ed assolutamente slegata dal sistema. 
    Esso era assolutamente sconosciuto nella  legislazione  anteriore
(legge n.  990/1969)  nonche'  negli  orientamenti  giurisprudenziali
formatisi sul tema nei casi di pluralita' di danneggiati. 
    E qui puo' essere utile ricordare come, nei casi di  pericolo  di
esubero dal massimale, la soluzione che si era affermata prima  della
soluzione in commento presso la giurisprudenza di  merito  consisteva
nella affermata possibilita', da  parte  del  G.I.,  di  ordinare  il
coinvolgimento degli altri danneggiati nell'unico  sinistro,  quando,
solo previa valutazione discrezionale  del  caso  singolo,  emergesse
effettivamente  la  possibilita'  che  il  massimale  poteva   essere
incapiente:  dal  che,  si  faceva  applicazione  solo  dell'istituto
dell'art. 107 c.p.c., con chiamata in  causa  dei  terzi  danneggiati
iussu iudicis. 
    Giammai, percio', era stato previsto, ne' tanto piu' invocato  da
alcuno, un contraddittorio necessario ex art. 102 c.p.c. tra tutti  i
danneggiati, il quale,  peraltro,  per  il  suo  carattere  radicale,
avrebbe  posto  gravi  ripercussioni  anche  sulla  validita'   delle
sentenze emesse, ove si fosse verificata una accidentale mancanza  in
causa di taluno dei danneggiati. 
    Non solo. 
    Il nuovo litisconsorzio, lungi dal garantire o contribuire ad  un
armonico coordinamento del tessuto normativo nel quale  e'  inserito,
si atteggia quale vero e proprio elemento  dirompente  del  medesimo,
essendo non solo sganciato ed in alcun modo raccordato con  tutte  le
altre novita' pure recentemente introdotte dal Cod.  Ass.  Priv.,  ma
apparendo addirittura foriero  di  gravi  profili  di  disarmonia  ed
antinomia legislativa nel settore  della  responsabilita'  civile  da
sinistri stradali che avrebbe dovuto «ricomporre a sistema». 
    Sotto tale profilo, non puo' farsi a meno di rilevare  da  subito
che per la prima  volta  nel  nostro  sistema  processuale  e'  stato
imposto in capo a dei semplici creditori un tale vincolo processuale. 
    Il litisconsorzio in esame, cioe', non e' stato prescritto,  come
secondo la configurazione naturale dell'istituto, con  riferimento  a
posizioni giuridiche insuscettibili  per  loro  intrinseca  natura  o
struttura di definizione separata, ma e' stato disposto - va ribadito
- con riguardo ad azioni che, per la  palese  diversita'  di  petitum
(risarcimenti distinti) , causae petendi (diverse lesioni) e soggetti
(pluralita'   di   danneggiati),   ben   potevano    essere    decise
separatamente,   non   emergendo   alcuna   situazione    sostanziale
plurisoggettiva che imponesse una delibazione delle diverse questioni
in termini necessariamente unitari. 
    Il che gia' denota una obiettiva singolarita'  della  norma,  ben
difficilmente agganciabile  ad  una  qualche  disciplina  processuale
pregressa. 
    Cio' posto, la scelta legislativa in esame - per quanto gia'  di'
per  se'  adespota  -  produce  addirittura  maggiori  e  piu'  gravi
incongruenze sistematiche non appena viene calata in una sua concreta
applicazione pratica. 
    Appare allora inspiegabile prevedere una  tale  azione  congiunta
tra danneggiati anche nei casi  in  cui  alcuni  di  questi  (ipotesi
peraltro all'esame del Giudice remittente, supra sub. I) siano  stati
gia' risarciti al di fuori e prima della lite. 
    In  tal  caso,  infatti,  si  finisce  per  imporre  una  domanda
contestuale (art. 102 c.p.c.) anche a soggetti gia' soddisfatti delle
loro ragioni, quindi non piu' titolari del diritto da far valere. 
    Si appalesano, poi, fortemente dubbi gli effetti di una eventuale
mancata costituzione di taluno dei danneggiati chiamati  in  giudizio
ex art. 102 c.p.c.. 
    Difatti, mentre in tutti i casi di litisconsorzio necessario  dal
lato attivo la sostanziale unitarieta' della posizione  azionata  non
interferisce con il potere del Giudice  di  delibera  tranquillamente
sulla res controversa,  anche  nei  casi  in  cui  uno  dei  titolari
dell'azione non partecipi al giudizio  (vedendosi  quest'ultimo  solo
estendere  evidentemente  il   giudicato,   una   volta   debitamente
notificato della domanda),  nel  caso  in  esame  la  diversita'  dei
singoli crediti risarcitori, da trattare congiuntamente, impedisce al
Giudice di conoscere adeguatamente la lite nell'ipotesi  in  cui  uno
dei creditori non si costituisca ed avanzi la sua singola e  distinta
pretesa. 
    Nonostante, poi, che dall'art. 102 c.p.c. derivi, di  contro,  un
preciso dovere di ogni attore  litisconsorte  necessario  ad  «agire»
nello stesso processo. 
    Sicche',  essendosi   improvvidamente   applicato   un   istituto
processuale con caratteri peculiari - a  fattispecie,  tuttavia,  non
aventi  affatto  i  connotati  tipici   della   «necessarieta'»   del
liticonsorzio,  dinanzi  ad  una  mancata  costituzione  di  uno  dei
creditori sorgerebbero delle incertezze applicative prima sconosciute
agli operatori  del  nostro  processo  civile:  si  pensi,  a  titolo
meramente esemplificativo, al problema dell'efficacia  o  meno  della
sentenza nei confronti  del  danneggiato  «litisconsorte»  contumace,
alla  questione  della  possibilita'  o  meno  per  questi  di  agire
successivamente con nuovo giudizio, all'obbligo o meno del Giudice di
dichiarare la non spettanza del diritto al risarcimento  in  capo  al
creditore inerte. 
    Cio' posto, e' evidente come tutte tali incertezze,  pur  essendo
sempre  teoricamente  superabili  mediante  un'attenta   elaborazione
giurisprudenziale, provano e confermano in modo significativo come la
trovata normativa in commento, oltre a non trovare riscontro in alcun
criterio direttivo, costituisca un unicum  assolutamente  slegato  da
ogni  contesto  legislativo  pregresso,  integrando  una  innovazione
certamente idonea a confondere e complicare,  come  mai  aveva  fatto
nessuna ipotesi di litisconsorzio ex art.  102  c.p.c.  ,  il  nostro
sistema processuale. 
    Pertanto,  l'art.  140  ult.  comma  cit.,  essendo  ben  lontano
dall'«armonizzare» il tessuto normativo  che  avrebbe  dovuto  meglio
coordinare, appare a fortiori privo di adeguata copertura in sede  di
legge delega. 
    E sebbene «tra i principi applicabili in  sede  di  scrutinio  di
legittimita' costituzionale di norme di decreti legislativi sotto  il
profilo della loro conformita' alla legge di delegazione, vi e' anche
quello  del  cosiddetto  potere  di   riempimento   del   legislatore
delegato»,  sembrerebbe  davvero  da  ribadire,  nella  specie,   che
quest'ultimo «per quanto ampio possa essere, non puo' mai assurgere a
principio o a criterio direttivo, in  quanto  agli  antipodi  di  una
legislazione vincolata, quale e', per definizione, la legislazione su
delega» (Corte costituzionale, 12 ottobre 2007, n. 340). 
III 2) Violazione dell'art. 76 Cost. per incidenza sui riti. 
    L'art. 140 ult.  comma  cit.  potrebbe  presentare  un  ulteriore
profilo di eccesso di delega con riferimento alla sua  incidenza  sul
rito applicabile nei giudizi con pluralita' di danneggiati. 
    Va ricordato come l'art. 2 legge n. 102/2006 abbia  previsto  che
«alle cause relative al risarcimento dei danni per morte  o  lesioni,
conseguenti ad incidenti stradali, si applicano le norme  processuali
di cui al libro  II,  titolo  IV,  capo I  del  codice  di  procedura
civile». 
    Onde se i giudizi risarcitori per danni a persona vanno  trattati
secondo le forme del rito lavoro, solo quelli per danni a  cosa  sono
stati lasciati al rito ordinario. 
    Tuttavia, si e' voluto imporre un litisconsorzio  necessario  con
riferimento a domande  risarcitorie  potenzialmente  suscettibili  di
essere trattate con riti diversi: cio', come e' evidente, nei casi in
cui tra i danneggiati litisconsorti vi sia chi  ha  subito  un  danno
alla persona e chi, di contro, lamenti un danno a cosa. 
    Ora, a parte il rilievo che il  legislatore  delegato  ha  omesso
completamente di disciplinare quale debba essere il rito che  prevale
in questo peculiare caso di domande soggette a rito  diverso  (lavoro
ed ordinario) e confluenti in un singolo  processo  a  litisconsorzio
necessario, non si puo' davvero dubitare che la trattazione  unitaria
del giudizio ex art. 102 c.p.c. imponga in ogni  caso  l'applicazione
di un rito unico. 
    Ne  discende,  allora,  che,   per   il   tramite   dell'istituto
introdotto, si finisce per incidere anche sulla disciplina  dei  riti
applicabili  con  riferimento  ai  singoli  giudizi  risarcitori   da
trattare congiuntamente. 
    Infatti, sia qualora  si  dovesse  ritenere  prevalente  il  rito
ordinario (arg. ex artg. 40 c. 3 c.p.c.) sia qualora si  prediligesse
l'applicabilita'  esclusiva  del  rito  lavoro  (per  non  conferenza
dell'art. 40 cit. all'ipotesi in esame, non essendovi la «connessione
forte» la' regolata), in entrambi casi si  andrebbe  ad  immutare  la
disciplina processuale dell'azione (di uno dei  danneggiati  attratta
al rito diverso. 
    Potrebbe cioe' verificarsi che una domanda risarcitoria per danno
a cosa (rito ordinario) sia trattata nelle forme del rito lavoro  per
il solo fatto che in quel sinistro vi  sia  stato  altro  danneggiato
alla persona che abbia azionato ex art.  140  cit.  la  sua  pretesa;
cosi' come  potrebbe  accadere  l'inverso  ove  volesse  riconoscersi
prevalente il rito ordinario. 
    Ma tali ricadute dell'art. 140 ult. comma cit. sui riti  appaiono
completamente al di fuori della delega. 
    Peraltro,  proprio  di  recente   la   Corte   adita   dichiarava
l'illegittimita' costituzione, in parte qua, dell'art.  1,  comma  1,
del d.lgs.  n.  5  del  2003,  perche'  la  norma  «nel  definire  le
controversie cui si applica il decreto, vi include quelle connesse  a
norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di  procedura
civile... dettava una disciplina  degli  effetti  della  connessione,
riguardo al rito da seguire, derogatoria rispetto a  quella  generale
contenuta nel codice. La deroga riguarda(va) la prevalenza,  rispetto
a tutti gli altri, del rito societario e la inclusione tra le ipotesi
di connessione di quella di cui all'art. 33 del codice  di  procedura
civile, che il successivo art. 40 non contempla». 
    Sanciva   la   Corte,   percio',   che   «siffatta   disposizione
esorbita(va) dalla delega nel cui dettato, per quanto  rilevato,  non
trova(va) fondamento». (Corte Costituzionale, sent. n. 0071 del 2008,
G.U. 015 del 2 aprile 2008). Ebbene, e' possibile  che  anche  l'art.
140 cit., nella misura in  cui  impone  un  unico  rito  mediante  un
litisconsorzio necessario tra domande distinte e destinate ad  essere
trattate con  rito  diverso,  prescriva  la  prevalenza  di  un  rito
(ordinario o lavoro) che le norme codicistiche  non  contemplerebbero
affatto. 
    In tal modo, percio', anche esso eccederebbe la delega. 
III 3) Violazione dell'art. 76 Cost. per  incidenza  sui  criteri  di
competenza. Il tale meccanismo in esame, ancora, si presta ad eludere
criteri di competenza per valore  previsti  dalla  legge  processuale
ordinaria. 
    Infatti, ciascun danneggiato per importi  rientranti  nei  limiti
della  competenza  del  G.d.P.  si  vedrebbe  nella  possibilita'  di
avanzare davanti al Tribunale la sua pretesa -  nonostante  l'art.  7
comma 2 c.p.c. - per il solo fatto che  ivi  sia  stato  chiamato  in
causa da parte di altro danneggiato, il  quale,  dal  canto  suo,  ha
correttamente adito l'Ufficio Giudiziario di competenza superiore per
il suo piu' considerevole danno. 
    Sicche', in tal modo si sottrarrebbero alla cognizione del G.d.P.
tutte le domande risarcitorie, rientranti nell' ambito di  competenza
del Giudice onorario,  occasionate  da  sinistri  con  pluralita'  di
danneggiati, domande che - si ribadisce - diventerebbero suscettibili
di essere  proposte  dinanzi  al  Tribunale  quando  almeno  uno  dei
creditori abbia gia' rimesso alla cognizione di quest'ultimo  Ufficio
il suo diritto risarcitorio. 
    Si dubita, allora, che una tale disciplina, nella misura  in  cui
consente  di  eludere  al  rispetto  delle  norme  processuali  sulla
competenza, goda di idonea copertura da parte della legge delega,  la
quale, a quanto sembra, non dovrebbe avere in alcun modo  inciso  sui
criteri  di  distribuzione  degli  affari  tra   i   diversi   Uffici
Giudiziari. 
III 4) Violazione art. 3 - Principio ragionevolezza. 
    E' giurisprudenza costante  della  Corte  quella  di  operare  un
controllo   di   ragionevolezza   sulle   leggi   anche    attraverso
l'applicazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.. 
    Superata  un'interpretazione  stretta  di  questa   norma,   tale
principio di uguaglianza risulta violato anche quando la legge, senza
ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso a cittadini che  si
trovano   in   condizione   analoga   ovvero   preveda    una    pari
regolamentazione rispetto ad ipotesi assolutamente diverse, divenendo
cosi'  sindacabili  opzioni   legislative   suscettibili   di   porre
discriminazioni arbitrarie ed immotivate  tra  persone,  categorie  o
ipotesi. 
    Ed  allora  la  scelta  di   imporre   sempre   e   comunque   un
litisconsorzio necessario in tutti i «giudizi promossi fra  l'impresa
di  assicurazione  e  le  persone  danneggiate»   potrebbe   apparire
intrinsecamente irragionevole anche  sotto  il  profilo  dell'art.  3
Cost.. 
    Qui giova rilevare preliminarmente come il legislatore non  abbia
previsto alcuna deroga alla generalita' dell'imposizione. 
    In pratica, in tutti i casi di sinistri stradali in cui vi  siano
pluralita' di danneggiati opera l'obbligo del litisconsorzio. 
    Sennonche' , e' proprio tale  profilo  che  lascia  ulteriormente
perplessi.  Infatti,  si  e'  gia'  detto  come  lo  strumento  della
partecipazione congiunta al giudizio da parte di tutti i titolari  di
azione diretta sia stato  raccordato  alla  preminente  finalita'  di
consentire  la  corretta  distribuzione  del  massimale  quando   «il
risarcimento dovuto superi le somme  assicurate».  Onde  sfuggono  le
ragioni per le quali il legislatore  abbia  posto  una  regola  cosi'
radicale - come quella del litisconsorzio necessario - anche nei casi
in cui il pericolo del superamento del massimale non emerga in radice
(somme controverse  contenute)  e/o  la  compagnia  assicurativa  non
sollevi in alcun modo la questione. 
    La norma, percio', potrebbe porsi in  rapporto  di  tensione  con
l'art.  3  Cost.  nella  misura  in  cui  grava  di  identici   oneri
processuali (litisconsorzio) la parte attrice o ricorrente,  sia  nei
casi in cui davvero  si'  profili  un  pericolo  di  superamento  del
massimale, sia nei casi in cui tale pericolo non sussista ab  origine
ne' sia stato in qualche modo allegato o eccepito  da  una  parte  in
causa. 
    Non solo. 
    Come gia' spiegato in precedenza,  l'art.140  cit.,  per  il  suo
tenore letterale  generale,  finisce  per  imporre  l'estensione  del
contraddittorio anche nei confronti di danneggiati  che  siano  stati
eventualmente gia'  ristorati  prima  del  giudizio  dalla  compagnia
assicurativa convenuta. 
    Sfugge nuovamente, allora, la ratio per cui  viene  regolata  nei
termini di un identico litisconsorzio necessario: 
      l'ipotesi in cui i terzi danneggiati  non  siano  stati  ancora
risarciti, vantando essi un  obiettivo  interesse  a  partecipare  al
giudizio,  al  fine  di  verificare  la  corretta  distribuzione  del
massimale; 
      e l'ipotesi in cui, di contro, tali  terzi  non  abbiano  alcun
interesse alla detta partecipazione, essendo stati  gia'  soddisfatti
delle loro, ragioni. 
    Insomma, cio' che non appare ragionevole consiste  nell'  imporre
alla parte attrice o ricorrente oneri di evocazione in  giudizio  e/o
di integrazione del contraddittorio anche quando le finalita' per  le
quali il litisconsorzio e' posto non sussistano in radice. 
III 5) Violazione art. 111- Ragionevole durata del processo. 
    Lo  strumento  del  litisconsozio  necessario,   infine,   sembra
contrastare con le ragioni di una rapida e sollecita definizione  del
giudizio  risarcitorio,  venendo  ad  essere  intaccato   il   valore
dell'art. 111 Cost. 
    Invero, stante di disposto della norma,  ciascun  cittadino,  una
volta subito un danno da  sinistro  stradale,  dovrebbe  quanto  meno
ricercare eventuali  altri  danneggiati,  al  fine  di  evocarli  nel
giudizio che egli intenderebbe proporre, al  fine  di  rispettare  il
disposto dell'art. 140 cit.. 
    Ma una volta che non si rinvengano altri  danneggiati  e  si  sia
agito senza estendere la domanda a tali terzi,  nulla  impedisce  che
questi vengano alla luce solo dopo la sentenza di primo  grado  o  di
appello della causa proposta, ben potendo emergere solo  tardivamente
che vi erano ulteriori soggetti lesi nel medesimo incidente. 
    Per cui, quand'anche questi terzi fossero  stati  in  buona  fede
pretermessi, la causa, magari gia' decisa in piu' gradi di  giudizio,
dovrebbe essere rimessa in prime cure, ex art. 354  comma  1  c.p.c.,
per vizio del contraddittorio pur tardivamente scoperto. 
    Laddove e' noto che allorquando si verifichi una violazione delle
norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata ne' dal giudice  di
primo grado,  ne'  da  quello  di  appello,  resta  viziato  l'intero
procedimento e si impone, anche in sede di giudizio  per  cassazione,
l'annullamento di ufficio, delle pronunce emesse e  il  rinvio  della
causa al giudice di prime cure a norma dell'art. 383,  ultimo  comma,
cod. proc. civ. (ex multis, Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 10034  del
25 maggio 2004). 
    Orbene, e' evidente che tali evenienze,  tutt'altro  che  remote,
frustrerebbero in modo  inaccettabile  le  esigenze  di'  ragionevole
durata del processo, esponendo costantemente quest'ultimo a rischi di
regressione continui. Mentre il valore della «ragionevole durata» del
giudizio dovrebbe essere «assicurato» dalla legge (art.  111  Cost.),
non messo a repentaglio dalla stessa attraverso l'introduzione di  un
meccanismo processuale  potenzialmente  perverso  e  non  foriero  di
alcuna sicura utilita'. 
    Peraltro, va ricordato come spesso non sia agevole procedere alla
identificazione  immediata  di  tutti   i   soggetti   potenzialmente
coinvolti nel sinistro, soprattutto quando i danni di cui si  discute
possano avere connotazione esclusivamente immateriale  (si  pensi  ai
danni non patrimoniali cd.  riflessi  da  parte  di  congiunti  della
vittima dell'incidente). 
    Lo stesso legislatore sembra riconoscere tale difficolta'. 
    Ma esso, sorprendentemente, lo fa solo a determinati fini. 
    Infatti, proprio l'art. 140 cod. ass., al secondo comma,  prevede
come  «l'impresa  di  assicurazione  che,   decorsi   trenta   giorni
dall'incidente e ignorando l'esistenza di altre persone  danneggiate,
pur avendone ricercata l'identificazione con la normale diligenza, ha
pagato ad alcuna di esse una somma superiore  alla  quota  spettante,
risponde verso le altre persone danneggiate nei limiti dell'eccedenza
della somma assicurata rispetto alla somma versata». 
    In pratica, e' statuito che: 
      la compagnia, nella fase stragiudiziale,  cerca  i  danneggiati
secondo canoni di' ordinaria diligenza; 
      paga, eventualmente, coloro che individua,  secondo  quanto  di
ragione; 
      nel  caso  in  cui,  successivamente,   vengano   fuori   nuovi
danneggiati, essa potra'  rispondere  nei  loro  confronti  solo  nei
limiti del massimale residuato, salvo poi il diritto di tali terzi  a
recuperare, ex art. 140 comma 2 cit. le quote di propria spettanza da
chi, precedentemente, si era incassato piu' di quanto gli competesse. 
    In tal modo, allora, il legislatore, si  rende  ben  conto  della
complessita' della ricerca di tutti i danneggiati di ogni sinistro. 
    Tanto  che  ha  voluto  mettere  al   riparo   ciascuna   impresa
assicurativa proprio dal pericolo di emersione ex post  di  ulteriori
soggetti lesi  non  rintracciabili  al  momento  della  liquidazioni,
attraverso, come detto, una opponibilita' ai «ritardatari» di  quanto
gia' pagato ai creditori piu' solerti, sempre che  la  compagnia  sia
stata diligente nella ricerca dei creditori. 
    Questa stessa sensibilita', pero', non e' stata dimostrata  anche
sul versante processuale. 
    Infatti, l'art.  140  e'  stato  formulato  senza  alcuna  tutela
dell'affidamento della parte che agisce in giudizio. 
    Quest'ultima, nonostante sia stata massimamente  diligente  nella
individuazione degli altri titolati  al  risarcimento,  ben  potrebbe
vedersi invalidare un intero giudizio ex art. 354 c.p.c. per il fatto
di  non  aver  evocato  in  giudizio   uno   solo   dei   danneggiati
dall'incidente: e cio', quand'anche fosse stata impiegata la  massima
diligenza e fisse stato impossibile  individuare  il  pretermesso  al
momento dell'azione. 
    Il che, se si considera  la  diversa  disciplina  riservata  alle
compagnie ex comma 2, fa aumentare i dubbi di tenuta della norma. 
    Ancora. 
    Non appare rispettoso del canone della ragionevole durata pure il
fatto di costringere in un unico  giudizio,  mediante  litisconsorzio
necessario, domande risarcitorie da proporsi  a  legittimati  passivi
diversi. 
    Ed invero legislatore ha  probabilmente  omesso  di  valutare  il
fatto che sia per i casi di indennizzo diretto (art. 149 e  150  Cod.
cit. ) che di azione diretta da parte del terzo trasportato (art. 141
Cod. cit.) la domanda va rivolta a compagnie assicurative diverse  da
quella del  responsabile  civile:  in  particolare,  nel  primo  caso
legittimata passiva e' la compagnia  di  assicurazione  dello  stesso
danneggiato, nel secondo destinataria dell'azione diretta e' solo  la
compagnia del vettore (in entrambi le ipotesi secondo  un  meccanismo
di mandato ex lege su cui appare inopportuno soffermarsi oltre). 
    Tuttavia, nel momento in cui ex art. 140  cit.  i  pregiudizi  di
ciascun  danneggiato  devono  essere  acclarati  nel  contraddittorio
necessario con tutti gli altri creditori, nel relativo  giudizio  non
potranno non partecipare anche tutte le  compagnie  di  assicurazione
obbligate,  pur  a  diverso  titolo,  al   pagamento   dei   relativi
indennizzi. 
    E questo non puo' che complicare enormemente la  definizione  del
rapporto processuale. 
    Il tutto, poi, per assicurare una corretta  distribuzione  di  un
massimale che magari mai sarebbe stato  superato  e  di  cui  nessuna
compagnia temeva l'esubero. 
    Questo   Tribunale,   in   definitiva,   dubita   che   un   tale
litisconsorzio, per  tutti  gli  effetti  che  produce  nel  contesto
normativo in cui e' stato  calato,  possa  apparire  compatibile  con
l'art. 111 Cost., essendo esso fisiologicamente capace di appesantire
e prolungare senza significative utilita'  la  trattazione  di  quasi
tutti i giudizi da celebrarsi in  tema  di  infortunistica  con  piu'
danneggiati.»; 
    Vulnerato, e gravemente, appare altresi'  il  principio  espresso
dall'art. 24 della Carta Costituzionale;  ed  invero,  come  pure  e'
stato detto, «Atteso che, in caso di pluralita' di danneggiati, si ha
ora un'ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. tra  i
danneggiati, l'assicuratore e il responsabile, la  prima  conseguenza
e' che l'attore dovrebbe chiamare in causa tutti  i  danneggiati  per
effettuare il riparto del massimale nel rispetto della par conditio. 
    Infatti e' l'attore l'unico vero  interessato  a  rintracciare  e
citare tutti i danneggiati. Se non lo fa il giudice, anche d'ufficio,
puo' e deve ordinargli di integrare il contraddittorio nei  confronti
dei litisconsorti pretermessi in un  termine  perentorio  a  pena  di
estinzione (art. 102  e  307,  terzo  comma,  c.p.c.).  E'  vero  che
l'ordine di iute razione non e' dato all'attore ma a tutte le  parti,
e cioe' quindi anche al responsabile del danno e all'assicuratore ma,
dal momento che il responsabile e l'impresa  assicuratrice  convenuta
non hanno alcun interesse ad attivarsi e' ovvio che l'ordine  finisca
col gravare solo sull'attore. Il quale, quindi, si ritrova a  doversi
attivare non solo  per  citare  altri  danneggiati.»;  si  consideri,
invero, che «se per caso nessuno sa o  si  avvede  dell'esistenza  di
altri danneggiati, la sentenza resa  a  contraddittorio  non  integro
sarebbe  nulla,  con  la  conseguenza  che  la  presenza   di   altri
danneggiati e la violazione dell'art. 102 c.p.c. ben potrebbe  essere
dedotta per la prima volta in appello. 
    E se,  in  ipotesi,  i  litisconsorti  necessari  pretermessi  si
dovessero far  vivi  solo  in  grado  di  appello,  intervenendo  nel
relativo giudizio (art.  344  c.p.c.),  in  questi  casi  il  giudice
d'appello non potrebbe limitarsi a integrare il  contraddittorio,  ma
dovrebbe rimettere la causa  al  primo  giudice  (art.  354  c.p.c.),
perche' si ritiene che i litisconsorti necessari pretermessi  abbiano
diritto alla garanzia del doppio grado di giurisdizione. 
    La violazione dell'art. 102 c.p.c. potrebbe essere rilevata anche
in Cassazione, e la sentenza di appello dovrebbe essere cassata e  la
causa rimessa al primo giudice (art. 383 c.p.c.). 
    Infine, ove mai  una  causa,  ad  onta  del  contraddittorio  non
integro, sfociasse  nel  giudicato  formale  (art.  324  c.p.c.),  il
litisconsorte necessario  pretemesso  potrebbe  pur  sempre  proporre
opposizione di terzo contro il giudicato (art. 404  c.p.c.)  per  far
valere i suoi diritti e ottenere una nuova ripartizione  della  somma
pagata dall'assicuratore. 
    E'  dunque  evidente  che,  la  previsione   del   litisconsorzio
necessario tra tutti i danneggiati  dal  medesimo  sinistro  stradale
finisce col complicare ingiustificatamente le cose, aggravando  oltre
ogni ragionevole misura la posizione dei  danneggiati  diligenti.  In
questa situazione, si comprende che i  primi  commentatori  dell'art.
140 si sono  trovati  d'accordo  nel  denunciare  la  gravita'  e  la
pericolosita' del comma 4,  che  e'  manifestamente  suscettibile  di
ostacolare oltre misura e del tutto irragionevolmente la  strada  del
danneggiato diligente, in  violazione  del  principio  dell'art.  24,
primo comma, della Costituzione...» «La norma crea poi  inestricabili
e prevedibili stasi processuali. 
    A tale riguardo, come osservato in dottrina, si pensi all'ipotesi
in cui piu' danneggiati nel  medesimo  sinistro,  all'insaputa  l'uno
dell'altro, introducano altrettanti giudizi  di  risarcimento»,  come
pur accaduto in relazione al sinistro stradale de quo, per  il  quale
il presente giudizio e' stato incoato  da  Stracuzzi  Santi  e  Longo
Silvana quali genitori di Stracuzzi Antonio, deceduto  nel  sinistro,
mentre altro giudizio recante il n. 9759/2008  RG  altresi'  pendente
dinnanzi  alla  medesima  Sezione,  e'  stato  incoato  da  Stracuzzi
Carmelina,  sorella  del  deceduto  Stracuzzi  Antonio,  procedimento
assegnato ad altro Giudice della sezione ed indi chiamato dinnanzi al
Giudice, odierno estensore, ai fini dell'eventuale riunione,  «Mentre
prima operavano gli strumenti della connessione o della  riunione  ex
art. 274 c.p.c., per  effetto  della  riforma,  invece,  si  perviene
all'assurdo che ciascuno dei giudici aditi dovrebbe dapprima ordinare
l'integrazione  del  contraddittorio  -  senza  la  quale   qualsiasi
sentenza  sarebbe  inutiliter  data  -  e  quindi  provvedere   sulla
eventuale connessione o riunione»; si consideri, invero che, una cosa
e' la riunione dei procedimenti per ragioni di  connessione  ex  art.
274 cpc ed altra cosa l'integrazione del contraddittorio in  ciascuno
di essi in relazione ai rispettivi litisconsorti necessari; e' invero
principio  pacifico  nella  giurisprudenza  di  legittimita'  che  la
riunione dei procedimenti connessi ex art. 274 c.p.c. per l'oggetto o
per il  titolo  lascia  sostanzialmente  inalterata  l'autonomia  dei
singoli giudizi con la conseguenza che  gli  atti  e  le  statuizioni
riferiti ad un processo non si ripercuotono sull'altro  processo  sol
perche' questo e' stato riunito al  primo:  restano  quindi  autonome
ancorche' contestuali le relative decisioni per cui la  sentenza  che
decide simultaneamente le cause riunite pur essendo formalmente unica
si risolve in altrettante pronunce quante  sono  le  cause  decise  e
ciascuna pronuncia e' impugnabile con il mezzo che le e' priorio (nei
sensi suddetti, tra le tante, sentenze 4 agosto 2006,  n.  17674;  1°
ottobre 2004, n. 19652; 9 aprile 2003, n. 5595; 23  maggio  2000,  n.
6733; 1711/1999; n. 12742; 12 gennaio 1999 n. 249; 21  febbraio  1996
n. 1331); «per non dire di quello che  puo'  accadere  se  una  delle
vittime si sia costituita parte civile, perche' ha subito danni  alla
persona, mentre gli altri danneggiati hanno subito solo danni a cose,
e promosso il relativo giudizio dinanzi al  giudice  civile.  In  tal
caso la norma sul litisconsorzio spoglia  la  vittima  delle  lesioni
personali della facolta' di scegliere di formulare la propria domanda
dinanzi  al  giudice  penale,  al  fine  di   sfruttare   l'efficacia
vincolante  dell'accertamento  contenuto  nella   sentenza   penale.»
(cosi', Tribunale di Avezzano, 14 ottobre 2008 - Reg.  ord.  107  del
2009 in Gazzetta Ufficiale n. 16 del 22 aprile 2009 il quale aggiunge
e ribadisce che «Alla luce delle suddette considerazioni,  si  coglie
la contrarieta'  della  norma  dell'art.  140,  comma  4,  d.lgs.  n.
209/2005 anzitutto agli artt. 3 e 24 della  costituzione,  in  quanto
essa  aggrava  del  tutto  ingiustificatamente   la   posizione   dei
danneggiati  in  caso  di  sinistro  stradale,  a   tutto   vantaggio
dell'impresa assicuratrice, che dalla necessita'  del  litisconsorzio
ha tutto da guadagnare e nulla da perdere;  inoltre  appare  leso  il
principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost),  per
l'ovvia necessita' di  assicurare  i  termini  a  comparire  ad  ogni
litisconsorte pretermesso e  per  il  rischio  che  una  complessa  e
defatigante attivita'  istruttoria  venga  infine  vanificata,  senza
alcuna colpa  del  danneggiato  e  dell'amministrazione  giudiziaria,
laddove sia successivamente conosciuta l'esistenza  di  litisconsorti
pretermessi. La questione e' indubbiamente rilevante  ai  fini  della
decisione del  presente  giudizio,  in  quanto  occorre  valutare  le
domande formulate dalle parti circa l'estensione del  contraddittorio
ad altri soggetti estranei al giudizio e, comunque, occorre accertare
ex officio se sia stato correttamente instaurato  il  contraddittorio
tra tutti i soggetti che  hanno  diritto  a  parteciparvi,  prima  di
decidere sulla istanza  di  provvisionale  formulata  dall'attore  ed
inoltrarsi nella complessa attivita' istruttoria.». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 della Costituzione della Repubblica  italiana
e 23 della legge 11 marzo  1953,  n.  87  dichiara  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
del quarto comma, primo periodo, dell'art. 140 del d.lgs. 7 settembre
2005,  n.  209,  in  quanto  istituisce  «litisconsorzio  necessario,
applicandosi l'art. 102 del codice di procedura civile» «nei  giudizi
promossi fra l'impresa di assicurazione e  le  persone  danneggiate»,
per violazione degli artt. 3, 24, 76  e  11A,  secondo  comma,  della
Costituzione  della  Repubblica  italiana,  giusta  quanto  in  parte
motiva; 
    Sospende il presente procedimento in attesa della decisione della
Corte Costituzionale; 
    Ordina che a cura della cancelleria siano trasmessi gli atti alla
Corte Costituzionale, il presente provvedimento sia  notificato  alle
parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e  sia  comunicato
ai  Presidenti  della  Camera  dei  Deputati  e  del   Senato   della
Repubblica. 
      Catania, addi' 20 settembre 2009 
 
                         Il giudice: Baratta