N. 110 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 31 dicembre 2009

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 31 dicembre 2009 (della Regione Toscana). 
 
Amministrazione  pubblica  -  Impiego  pubblico   -   Incarichi   per
  l'esercizio  di  funzioni  dirigenziali  a  tempo   determinato   -
  Estensione  alle  Regioni  della  disciplina  statale  -   Ritenuta
  indebita invasione della sfera di attribuzioni regionali in materia
  di organizzazione amministrativa ed ordinamento del  personale,  in
  assenza di coinvolgimento regionale e in contrasto  con  i  criteri
  del  legislatore  delegante  -  Ricorso  della  Regione  Toscana  -
  Denunciata violazione della  competenza  legislativa  residuale  in
  materia   di   ordinamento   del   personale    e    organizzazione
  amministrativa regionale,  violazione  della  potesta'  legislativa
  regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza
  pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria di spesa regionale,
  violazione del principio di leale  collaborazione,  violazione  dei
  criteri direttivi della legge delega. 
- D.lgs. 27 ottobre 2009,  n.  150,  art.  40,  nella  parte  in  cui
  introduce il comma 6-ter dell'art. 19 del d.lgs. 30 marzo 2001,  n.
  165. 
- Costituzione, artt. 76, 117, terzo e quarto  comma,  e  119;  legge
  della Regione Toscana 8 gennaio 2009, n. 1, artt. 8, 9,  11  e  13;
  legge 4 marzo 2009, n. 15, art. 2, comma 2. 
Amministrazione pubblica - Impiego pubblico  -  Mobilita'  volontaria
  tra le Pubbliche Amministrazioni  -  Introduzione  dell'obbligo  di
  rendere pubbliche le disponibilita' dei posti per  la  mobilita'  e
  previsione dei relativi  adempimenti  -  Lamentata  imposizione  di
  complessa e onerosa procedura da svolgersi  prima  delle  procedure
  concorsuali per la copertura di posti vacanti, nonche'  impedimento
  al pubblico concorso - Ricorso della Regione Toscana  -  Denunciata
  violazione della competenza legislativa  residuale  in  materia  di
  ordinamento   del   personale   e   organizzazione   amministrativa
  regionale, violazione del canone di buon andamento  della  pubblica
  amministrazione. 
- D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 49, comma 1,  nella  parte  in
  cui modifica l'art. 30, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. 
- Costituzione, artt. 97 e 117, quarto comma. 
(GU n.5 del 3-2-2010 )
    Ricorso  della  Regione  Toscana,  in  persona   del   Presidente
pro-tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale  n.
1098 del 30 novembre 2009 rappresentato  e  difeso,  per  mandato  in
calce al presente atto,  dall'avvocato  Lucia  Bora,  domiciliato  in
Roma, presso lo studio dell'avv. Pasquale Mosca in Corso d'Italia  n.
102; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri  pro-tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        dell'art. 40 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150,
nella parte in cui introduce il comma 6-ter all'art. 19  del  decreto
legislativo n. 165 del 2001; 
        dell'art. 49, comma 1 dello  stesso  decreto  legislativo  27
ottobre 2009, n. 150, nella parte  in  cui,  modificando  l'art.  30,
comma 1 del decreto legislativo n.  165  del  2001,  dispone  che  le
amministrazioni,  prima  di  bandire  un  concorso  pubblico   devono
«rendere  pubbliche  le  disponibilita'  dei  posti  in  organico  da
ricoprire  attraverso  passaggio  diretto  di  personale   da   altre
amministrazioni, fissando preventivamente i  criteri  di  scelta.  Il
trasferimento e' disposto  previo  parere  favorevole  dei  dirigenti
responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e'  o  sara'
assegnato  sulla  base  della  professionalita'   in   possesso   del
dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire»; 
    per violazione degli articoli 76, 97, 117, terzo e  quarto  comma
Cost.,   nonche'   per   violazione   del   principio   della   leale
collaborazione. 
    Sulla Gazzetta Ufficiale n. 254 del  31  ottobre  2009  e'  stato
pubblicato il decreto legislativo 27 ottobre 2009,  n.  150,  recante
«Attuazione  della  legge  4  marzo  2009,  n.  15  in   materia   di
ottimizzazione  della  produttivita'  del  lavoro   pubblico   e   di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni». 
    Le due norme impugnate contengono disposizioni che interferiscono
in ambiti materiali riservati alla potesta' legislativa  regionale  e
che quindi vengono contestate per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 40,  nella  parte  in  cui
introduce il comma 6-ter all'art. 19 del decreto legislativo  n.  165
del 2001, per violazione dell'art. 117,  quarto  comma  Cost.,  degli
artt. 117, terzo comma e 119 Cost.; dell'art. 76 Cost. anche sotto il
profilo della violazione del principio della leale collaborazione. 
    L'art. 40 modifica l'art. 19 del  decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165, concernente gli incarichi per l'esercizio  di  funzioni
dirigenziali; detto art. 19 e' collocato nel titolo II, capo  II  del
decreto n. 165/2001, capo che, per espressa previsione dell'art.  13,
si applica solo alle Amministrazioni dello Stato. 
    Percio' le regioni hanno sino ad  ora  disciplinato,  nell'ambito
della propria  competenza  residuale  in  materia  di  organizzazione
amministrativa, anche tale profilo del conferimento di incarichi  per
lo svolgimento di funzioni  dirigenziali,  ovviamente  rispettando  i
principi   generali   di   trasparenza,   efficienza   e   competenza
professionale,  che  costituiscono   cardini   generali   dell'azione
amministrativa  in  relazione  all'organizzazione  di  ogni  pubblica
amministrazione. 
    In particolare l'amministrazione  ricorrente  si  e'  dotata,  da
ultimo, della legge regionale 8 gennaio 2009, n. 1  «Testo  unico  in
materia di organizzazione  e  ordinamento  del  personale»  che  agli
articoli  8,  9,  11  e,   specificatamente,   13   ha   disciplinato
l'affidamento degli incarichi dirigenziali. 
    L'art. 40 del decreto n. 150/2009 inserisce il  comma  6-ter  nel
citato art. 19; in base a detto comma 6-ter: «Il comma 6 ed il  comma
6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2». 
    Cosi', con l'introduzione del suddetto comma  6-ter,  si  estende
anche alle regioni (che sono Amministrazioni  previste  dall'art.  1,
comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001), la  disciplina  del
comma sesto dell'art. 19, come modificato dall'art. 40 e, quindi,  la
disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali. 
    In  particolare  verra'  ad  applicarsi  anche  alle  regioni  la
previsione per cui detti incarichi possono essere conferiti  a  tempo
determinato solo entro il limite del 10% della dotazione organica dei
dirigenti appartenenti alla prima fascia e  dell'8%  a  quelli  della
seconda fascia dei ruoli  dirigenziali  (la  norma  regionale  citata
prevede invece il limite  del  15%  della  dotazione  organica  della
qualifica dirigenziale della giunta regionale). 
    L'art. 40, nella parte in cui introduce il comma  6-ter  all'art.
19 del decreto legislativo n. 165 del 2001  e'  incostituzionale  per
diversi motivi. 
    1.a)   Innanzitutto   esso   lede   le    competenze    regionali
costituzionalmente garantite ai sensi  dell'art.  117,  quarto  comma
Cost.,    in    relazione    all'ordinamento    del    personale    e
all'organizzazione amministrativa regionale, ambito in cui rientra la
normativa volta a stabilire le modalita' organizzative attraverso  le
quali e' svolta l'azione pubblica. 
    L'art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione riserva
alla   potesta'   legislativa   esclusiva    statale    la    materia
dell'ordinamento  ed  organizzazione  amministrativa  unicamente  con
riferimento allo Stato e agli enti pubblici nazionali; la legge dello
Stato  pertanto  puo'  intervenire  in  materia,  limitatamente  alle
amministrazioni statali. 
    Per contro la materia dell'ordinamento delle regioni, degli  enti
e delle aziende regionali e' attribuita in via residuale alle regioni
stesse: la materia in esame infatti non e' ricompresa nell'elenco  di
materie di competenza esclusiva dello Stato, ne' in quello per cui e'
prevista - ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. -  la  potesta'
legislazione  concorrente;  conseguentemente  compete  alle   regioni
disciplinare, nell'esercizio della potesta' legislativa residuale  ex
art. 117, quarto  comma,  Cost.,  l'organizzazione  amministrativa  e
l'ordinamento del personale della  regione,  degli  enti  ed  aziende
regionali, nel rispetto della Costituzione e  dei  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. 
    In ordine ai  profili  inerenti  il  modello  ed  i  principi  di
organizzazione degli apparati, e' stato infatti  evidenziato  che,  a
seguito della riforma del Titolo  V  della  Costituzione,  «Il  nuovo
testo costituzionale comporta con riguardo alle regioni il venir meno
dei vincoli prima  indicati  (rectius  le  norme  fondamentali  della
legislazione  statale  di  riforma  economico-sociale,   i   principi
generali dell'ordinamento giuridico e per la  competenza  legislativa
concorrente, i principi fondamentali posti  in  materia  della  legge
dello Stato). 
    La  materia  della  organizzazione  degli  uffici  e  degli  enti
dipendenti dalla regione non compare  nell'elenco  di  cui  al  terzo
comma dell'art. 177 e, dunque, e' rimessa alla  potesta'  legislativa
esclusiva delle regioni. Ne' dal catalogo di materie ed  oggetti  sul
secondo comma e' dato  trarre  alcun  titolo  in  base  al  quale  il
legislatore statale possa interferire sul punto. 
    Conclusione del resto confermata dalla circostanza  che  in  quel
catalogo   l'ordinamento   e   l'organizzazione   amministrativa   e'
contemplata con limitato riguardo allo Stato  e  agli  enti  pubblici
nazionali. Si deve per  tanto  ritenere  che  entro  la  cornice  dei
precetti costituzionali ciascuna regione sia libera  di  adottate  il
modello e le regole di organizzazione  amministrativa  che  credera'»
(cfr. A. Corpaci, Revisione del Titolo V della  Parte  seconda  della
costituzione e sistema amministrativo, in Le Regioni, n. 6,  dicembre
2001, p. 1305 e ss.). 
    Alla luce del rinnovato quadro costituzionale,  la  regione  gode
quindi di piena autonomia nella gestione ed organizzazione dei propri
uffici e del relativo personale. 
    A questo  proposito  si  osserva  che  gia'  secondo  l'indirizzo
giurisprudenziale della Corte costituzionale consolidatosi  sotto  il
regime del previgente art. 117 Cost., inaugurato con la  sentenza  n.
10/1980, le regioni, in materia di  ordinamento  degli  uffici  e  di
stato giuridico dei rispettivi dipendenti, erano titolari della  piu'
ampia autonomia legislativa (cfr. in tal  senso:  sent.  n.  10/1980;
sent. n. 277/1983; sent. n. 278/1983; sent.  n.  219/1984;  sent.  n.
290/1984; sent. n. 99/1986; ord. n. 10/1988; sent. n. 217/1987; sent.
n. 772/1988). 
    In particolare, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha piu' volte
sottolineato   «l'autonomia,   costituzionalmente   garantita,    che
caratterizza la legislazione regionale in ordine a quella  componente
dell'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi  dipendenti
dalla regione, rappresentata dallo stato giuridico e dal  trattamento
economico del corrispondente personale. Senza di  che  si  renderebbe
impossibile un'autonoma ed organica disciplina dello stato  giuridico
dei dipendenti regionali, che verrebbe ridotta ''ad una  composita  e
poliedrica legislazione di  risulta,  inevitabilmente  modellata  sui
vari stati giuridici delle varie  amministrazioni  e  istituzioni  di
provenienza  del  personale  trasferito'':  il  che   finirebbe   per
comportare  notevole   pregiudizio   all'autonomo   assetto   ed   al
funzionamento degli uffici regionali» (Corte costituzionale sent.  n.
278/1983 che ripercorre, nei passi qui riprodotti, alcune  importanti
sequenze della precedente sentenza n. 10/1980 gia' citata). 
    In conclusione, la competenza riconosciuta  dall'art.  117  Cost.
alle regioni a statuto ordinario in materia di ordinamento dei propri
uffici e' attribuita alle «medesime proprio al  fine  di  organizzare
gli uffici regionali secondo le peculiarita' dell'amministrazione  di
cui sono parte (...)» (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 772/1988).
Tale orientamento e' tanto piu' valido oggi, a seguito della  riforma
del Titolo V della Costituzione, che  ha  ridefinito  in  termini  di
forte autonomia il ruolo delle regioni  all'interno  dell'ordinamento
ed ha riconosciuto la piu' piena potesta' legislativa  delle  regioni
in materia di ordinamento degli uffici e del  personale,  materia  in
cui rientra evidentemente anche la disciplina delle assunzioni. 
    Ed infatti, fin dalle prime pronunce, successive alla riforma del
Titolo  V,  la  Corte  costituzionale  ha  chiarito  che  la  materia
dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa  delle  regioni
spetta  alla  potesta'  legislativa  residuale   regionale   prevista
dall'art. 117, quarto comma, della Costituzione  (in  tal  senso,  le
sentenze n. 274/2003; n. 3/2004; n. 4/2004 e n. 17/2004). 
    In particolare,  cio'  e'  affermato  espressamente  dalla  Corte
costituzionale nella  sentenza  n.  274/2003  e  nella  pronuncia  n.
17/2004,  ove  e'  rilevato  che   «nell'assetto   delle   competenze
costituzionali configurato  dal  nuovo  titolo  V,  parte  II,  della
Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite a regioni
ed enti locali non costituisce altro che un corollario della potesta'
legislativa  regionale  esclusiva  in  materia   di   ordinamento   e
organizzazione amministrativa.... ». 
    Ed ancora, la Corte costituzionale, con riferimento all'art.  19,
comma 14, della legge n. 448/2001 (c.d. legge finanziaria  2002),  ha
avuto modo di precisare che tale articolo, nella parte in cui prevede
che  le  amministrazioni  pubbliche  promuovono  iniziative  di  alta
formazione  del  personale  e  finanziano   borse   di   studio   per
l'iscrizione dei dipendenti ai corsi di laurea triennali, costituisce
si' una norma permissiva nei  confronti  delle  richiamate  pubbliche
amministrazioni,  tuttavia,  «cio'  non  e'  ancora  sufficiente  per
escludere la lesione delle prerogative regionali, in quanto pure  una
norma permissiva presuppone una rivendicazione di competenza statale,
per cui se la norma dovesse trovare applicazione anche nei  confronti
delle amministrazioni non  statali  si  porrebbe  il  problema  della
esorbitanza di essa dall'ambito della disciplina ''dell'ordinamento e
organizzazione amministrativa  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici
nazionali'', riservata in via esclusiva alla  legislazione  statale».
Continua pertanto la sentenza che «occorre sottolineare che l'art. 19
della legge finanziaria per il 2002, che riguarda  le  assunzioni  di
personale, si apre al comma  1,  con  un  espresso  riferimento  alle
''amministrazioni dello Stato'' e si svolge in modo da  far  ritenere
che il generico richiamo alle  amministrazioni  pubbliche,  contenuto
nel comma 14, non possa essere  letto  altro  che  come  sinonimo  di
statali (...)» (sentenza della  Corte  costituzionale  n.  3/2004,  e
nello stesso senso anche la sentenza n. 17/2004). 
    Pertanto e' legittimo che sia il legislatore regionale a definire
le  modalita'  ed  i   limiti   di   conferimento   degli   incarichi
dirigenziali, nell'ambito della regione, nel  rispetto  dei  principi
fondamentali   dell'ordinamento,   e   quindi   della    trasparenza,
dell'imparzialita', del giusto procedimento. 
    La disposizione contestata, che estende  anche  alle  regioni  il
limite del 10% per il conferimento  degli  incarichi  dirigenziali  a
tempo determinato e con esso tutta  la  disciplina  del  sesto  comma
dell'art. 19 del decreto legislativo n. 165, non e'  giustificata  da
alcun titolo di competenza statale. 
    Non puo' infatti sostenersi che essa sia finalizzata a  garantire
l'osservanza dei richiamati principi di trasparenza e  di  efficacia:
in primo luogo perche' il limite a priori del 10% non  garantisce  di
per se' il rispetto dei canoni suddetti e, poi, perche',  laddove  si
affermasse  il  potere  dello  Stato  di   intervenire   direttamente
nell'organizzazione  interna  degli  uffici  regionali  per  il  buon
andamento dell'amministrazione, l'autonomia regionale  sancita  dalla
Costituzione   verrebbe   svilita,   in   quanto   ogni    disciplina
dell'organizzazione amministrativa  deve  essere  diretta  attuazione
dell'art. 97 Cost. 
    Dunque, nell'ambito dell'organizzazione dei propri uffici, spetta
al   legislatore   regionale   dettare   le   norme   in   modo   che
l'organizzazione rispetti le regole del buon andamento, imparzialita'
ed efficienza. 
    Infatti la Regione  Toscana  ha  normato  il  conferimento  degli
incarichi nel pieno rispetto dei suddetti principi. 
    Di qui l'eccepita violazione dell'art. 117, quarto comma Cost. in
relazione alla competenza regionale in  materia  di  ordinamento  del
personale ed organizzazione amministrativa. 
    1.b) La norma contestata non  puo'  ritenersi  legittima  neanche
invocando il coordinamento della finanza pubblica. 
    Infatti  il  conferimento  di  incarichi  dirigenziali  a   tempo
determinato non provoca un aumento  di  spesa,  perche'  ad  esso  si
ricorre per far fronte ad esigenze straordinarie e temporanee, ovvero
a  fronte  di  carenze  di  organico  per  garantire  la  continuita'
dell'azione  amministrativa  nel  tempo  necessario  ad  espletare  i
concorsi. 
    Non vi sono percio' esigenze di coordinamento finanziario. 
    In  denegata  ipotesi,  ove  si  ravvisasse   nell'articolo   una
finalita' di contenimento della spesa, il medesimo  sarebbe  comunque
incostituzionale, perche' non esprime un  principio  fondamentale  di
coordinamento della finanza pubblica. 
    Questo ricorre infatti in quelle norme statali che fissano limiti
generali di spesa alle regioni, che pongono obiettivi di riequilibrio
della spesa regionale e che non prevedono in modo esaustivo strumenti
o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze  n.
289 e n. 120 del 2008; n. 412 e 169 del 2007). 
    Quindi  la  legge  statale  non  puo'  fissare  vincoli  puntuali
relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle  regioni,  perche'
altrimenti sarebbe lesa l'autonomia finanziaria  di  spesa  garantita
dall'art. 119 Cost. (sentenze n. 297 del 2009; n. 120  del  2008;  n.
169 del 2007). 
    Come e' evidente, la norma impugnata non si presta in alcun modo,
per  il  suo  livello  di  dettaglio,  ad  individuare  un  principio
fondamentale di coordinamento della  finanza  pubblica  quale  limite
complessivo  della   spesa   corrente,   ma,   in   ipotesi,   incide
sull'indicata singola voce di spesa, introducendo un vincolo puntuale
e specifiche modalita' di contenimento della spesa medesima. Percio',
ove  ritenuta  giustificata  da  esigenze   finanziarie,   la   norma
determinerebbe un'inammissibile ingerenza nell'autonomia  finanziaria
regionale.  Di  qui,  la  sua   illegittimita'   costituzionale,   in
riferimento agli articoli 117, terzo comma e 119 Cost. 
    La fondatezza di quanto esposto trova  conferma  nel  fatto  che,
sino ad oggi, l'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del  2001  non
si applicava alle regioni; in merito la Corte costituzionale, con  la
sentenza n. 412 del 2007, ha  ritenuto  non  lesiva  dell'ordinamento
regionale  la  disciplina  dei  criteri  per   l'individuazione   dei
trattamenti accessori dovuti per gli incarichi  dirigenziali  di  cui
all'art. 24 del decreto n. 165, perche' tale norma e'  contenuta  nel
capo II del titolo II del decreto n. 165 (esattamente come l'art. 19)
che si applica solo alle amministrazioni statali, cosi' che i criteri
per  l'individuazione  dei  trattamenti  accessori  dovuti  per   gli
incarichi  dirigenziali   «si   applicheranno   esclusivamente   agli
incarichi di direzione di uffici  dirigenziali  di  livello  generale
delle amministrazioni statali e le regioni non  saranno  vincolate  a
quei criteri». 
    1.c) Infine la norma lede il principio di leale collaborazione ed
i principi e criteri direttivi della legge delega. 
    Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 2, della legge 4 marzo 2009,
n. 15 (legge  delega)  il  decreto  delegato  avrebbe  dovuto  essere
adottato previa intesa con la Conferenza unificata Stato - Regioni  -
Autonomie locali (intesa richiesta per la disciplina della  dirigenza
di cui all'art. 6 e, quindi anche per il conferimento degli incarichi
dirigenziali)  o,  quanto  meno,  con  il   parere   della   suddetta
Conferenza, richiesto per i restanti profili. 
    Invece la disposizione impugnata non  e'  stata  oggetto  ne'  di
parere ne' di  intesa  con  la  Conferenza  unificata,  ma  e'  stata
inserita nel decreto dopo il parere espresso dal Senato, senza  alcun
coinvolgimento regionale. 
    Percio'  sussiste  la  violazione  della  leale   collaborazione,
nonche' dei principi e criteri posti dalla  legge  delega,  e  quindi
dell'art. 76 Cost. che puo' essere fatto valere dalla regione perche'
tale violazione determina una menomazione delle competenze  regionali
costituzionalmente   garantite   in   materia    di    organizzazione
amministrativa ed ordinamento del personale. 
    Per tutti i suddetti motivi appare incostituzionale  l'estensione
alle  regioni  della  percentuale  massima  per  l'affidamento  degli
incarichi dirigenziali a tempo determinato. 
2) Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  49,  primo  comma,  ove
introduce l'obbligo di rendere pubbliche le disponibilita' dei  posti
per la mobilita'  volontaria,  per  violazione  degli  articoli  117,
quarto comma e 97 Cost. 
    L'art. 49 modifica l'art. 30 del decreto legislativo n.  165  del
2001 sulla mobilita' volontaria tra le pubbliche amministrazioni, con
passaggio diretto di personale tra enti diversi. 
    L'originario art. 30  prevedeva  la  mobilita'  volontaria,  come
forma  di  copertura  di  posti  vacanti,  in  caso  di  domanda   di
trasferimento di personale di altra amministrazione, in possesso  dei
necessari requisiti tecnico-professionali richiesti per il  posto  da
ricoprire. 
    Viene censurata  quella  modifica  introdotta  dall'art.  49  che
consiste nell'obbligo, imposto a tutte le amministrazione,  e  dunque
anche alle regioni, prima di procedere all'espletamento di  procedure
concorsuali necessarie per coprire  il  posto  vacante,  di  «rendere
pubbliche le  disponibilita'  dei  posti  in  organico  da  ricoprire
attraverso passaggio diretto di personale da  altre  amministrazioni,
fissando preventivamente i criteri di  scelta.  Il  trasferimento  e'
disposto previo parere  favorevole  dei  dirigenti  responsabili  dei
servizi e degli uffici cui il personale e' o  sara'  assegnato  sulla
base della professionalita' in possesso del dipendente  in  relazione
al posto ricoperto o da ricoprire». 
    In sostanza, prima di  bandire  un  concorso  la  regione  dovra'
pubblicare un avviso  che  indichi  le  disponibilita'  di  posti  in
organico, attivare una procedura  di  ricevimento  delle  domande  di
mobilita', fissare preventivamente i criteri di scelta, esaminare  le
domande pervenute, valutare i curricula, effettuare un colloquio  con
gli aspiranti, considerando che non si puo' ipotizzare di assumere un
dipendente senza  neanche  un  confronto  diretto  con  il  medesimo,
predispone una eventuale graduatoria. 
    E' facile capire che questa  innovativa  disposizione  avra'  due
conseguenze negative: 
        la prima consiste nel fatto che si e' previsto una  procedura
obbligatoria molto lunga ed onerosa per le amministrazioni che  hanno
bisogno di coprire un posto vacante; 
        la seconda che, specie  per  le  sedi  territorialmente  piu'
ambite, ad eccezione di professionalita' particolari e rare,  saranno
sempre presenti domande di mobilita' volontaria, con  la  conseguenza
che  per  quelle  amministrazioni  diventera'  impossibile   assumere
mediante un pubblico concorso. 
    Si  sottolinea  che  i  suddetti  adempimenti  sono  dettati  con
riferimento alla mobilita'  volontaria,  che  e'  ben  diversa  dalla
mobilita' di cui all'art. 34-bis del  decreto  legislativo  30  marzo
2001,  n.  165.   Quest'ultimo   infatti   dispone   che   tutte   le
amministrazioni pubbliche, prima di procedere all'avvio di  procedure
di assunzione di personale, sono tenute  a  darne  comunicazione  «ai
soggetti di cui all'art. 34, commi 2 e 3» presso i quali sono  tenuti
gli elenchi del personale in disponibilita', specificando l'area,  il
livello e la sede di destinazione per i quali si intende  bandire  il
concorso  nonche',  se  necessario,  le  funzioni  e   le   eventuali
specifiche  idoneita'  richieste.  Entro  quindici  giorni  da   tali
comunicazioni, il Dipartimento  della  funzione  pubblica  ovvero  le
predette strutture  provvedono,  se  possibile,  ad  assegnare,  alle
amministrazioni che hanno comunicato  l'esigenza  di  assunzione,  il
personale collocato in disponibilita' ovvero interessato ai  processi
di mobilita' previsti dalle leggi e dai contratti collettivi. 
    Se invece entro due mesi dalla comunicazione i soggetti  preposti
non provvedono ad alcuna assegnazione di personale in  disponibilita'
o  interessato  da  processi   di   mobilita',   le   amministrazioni
interessate possono procedere ad avviare le procedure di concorso per
l'assunzione di personale. 
    Tale norma, dunque, vuol consentire al personale - che rischia di
perdere il lavoro in quanto «in disponibilita'» per mancanza di posti
- di ritrovare una collocazione in altre amministrazioni. 
    Data tale finalita',  la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  la
disposizione non invasiva delle competenze regionali  in  materia  di
organizzazione ed ordinamento del personale, rilevando che la  stessa
«si limita a prevedere - come gia'  faceva,  ma  in  modo  del  tutto
generico, l'art. 34, comma  6  -  che  le  nuove  assunzioni  possano
avvenire con procedure concorsuali solo dopo che sia stata verificata
concretamente l'impossibilita' di valersi di personale proveniente da
altre amministrazioni e destinato,  ove  non  sia  possibile  il  suo
ricollocamento, al licenziamento..... 
    Le considerazioni fin qui svolte escludono che la norma censurata
possa considerarsi invasiva della competenza regionale:  essa,  lungi
dal costituire ingerenza nella competenza legislativa residuale delle
regioni  ovvero  norma  di  dettaglio  in  materia  di  ''tutela  del
lavoro'', promuove, nel settore del pubblico impiego, condizioni  che
rendono effettivo il diritto al lavoro di  cui  all'art.  4  Cost.  e
rimuove ostacoli all'esercizio di tale diritto in qualunque parte del
territorio nazionale (art. 120 Cost.)» (sentenza n. 388 del 2004). 
    Ben diversa  e'  la  previsione  della  norma  impugnata  che  si
riferisce, come gia' rilevato, alla  mobilita'  volontaria  e  quindi
alle domande di trasferimento volontarie che prescindono del tutto da
un esubero del personale nell'ambito di un'amministrazione. 
    Percio' in questo caso vi e' una forte  incidenza  sull'autonomia
organizzativa delle amministrazioni regionali. 
    Innanzitutto infatti si introduce un onere pesante ed impegnativo
per l'amministrazione che ha necessita' di coprire il posto  vacante:
essa deve organizzare la procedura per la determinazione dei  criteri
di  valutazione  e  per  l'esame  delle  domande  di  mobilita',  per
l'effettuazione dei colloqui e per la redazione di una graduatoria. 
    Sono procedure che richiedono tempo, personale e denaro e che non
sono giustificate da un interesse dell'amministrazione - che  avrebbe
invece l'interesse ad assumere mediante il pubblico concorso - ne' da
altri interessi pubblici, trattandosi come si e'  gia'  rilevato,  di
mobilita' volontaria e quindi non finalizzata alla ricollocazione  di
personale «in esubero» presso altri enti. 
    Cio' determina  una  violazione  delle  competenze  regionali  in
materia di ordinamento del personale ed organizzazione  degli  uffici
di cui  all'art.  117,  quarto  comma  Cost.,  non  consentendo  alle
amministrazioni di procedere con il pubblico concorso. 
    Inoltre   la   disposizione   limita    la    possibilita'    per
l'amministrazione di ricercare, scegliere ed  assumere  il  personale
piu' preparato, in osservanza dei canoni di buona amministrazione  di
cui all'art.  97  Cost.  che  richiede  l'espletamento  del  concorso
pubblico. 
    A  questo  proposito  la  Corte  costituzionale,  nella   recente
sentenza n.  239  del  2009,  richiamando  molteplici  precedenti  in
merito,  ha  rilevato  che  il  rispetto  del  concorso  pubblico  e'
«condizione necessaria per assicurare che l'amministrazione  pubblica
risponda   ai   principi   della   democrazia,   dell'efficienza    e
dell'imparzialita'. Il concorso pubblico e', innanzitutto, condizione
per  la   piena   realizzazione   del   diritto   di   partecipazione
all'esercizio delle funzioni pubbliche da parte di tutti i cittadini,
fra i quali oggi sono da  includersi,  per  la  maggior  parte  degli
impieghi, anche quelli di  altri  Stati  membri  dell'Unione  europea
(sentenze della Corte di giustizia delle  Comunita'  europee,  del  2
luglio 1996, in cause 473/93, 173/94 e 290/94). In diretta attuazione
degli articoli  3  e  51  Cost.,  il  concorso  consente  infatti  ai
cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza
e ''senza altra distinzione che quella delle loro virtu' e  dei  loro
talenti'', come fu solennemente proclamato  dalla  Dichiarazione  dei
diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. Il concorso, inoltre,  e'
''meccanismo     strumentale     al     canone     di      efficienza
dell'amministrazione'' (sentenza n. 205 del 2004), cioe' al principio
di buon andamento,  sancito  dall'art.  97,  primo  comma,  Cost.  Il
reclutamento  dei  dipendenti  in  base  al   merito   si   riflette,
migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e sulle
prestazioni da queste rese ai cittadini. Infine, il concorso pubblico
garantisce il rispetto  del  principio  di  imparzialita',  enunciato
dall'art. 97 e sviluppato dall'art. 98 Cost.» 
    Se pure il legislatore puo' derogare al  principio  del  concorso
pubblico, pero' secondo l'orientamento progressivamente consolidatosi
nella  giurisprudenza  costituzionale  «l'area  delle  eccezioni»  al
concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza  n.  363
del 2006). Sempre nella citata sentenza n. 293 del 2009, e'  rilevato
che «Le deroghe sono legittime solo  in  presenza  di  ''peculiari  e
straordinarie esigenze di interesse pubblico'' idonee a giustificarle
(sentenza  n.  81  del  2006).  ....  Occorrono  particolari  ragioni
giustificatrici, ricollegabili alla peculiarita' delle  funzioni  che
il personale da reclutare e'  chiamato  a  svolgere,  in  particolare
relativamente  all'esigenza  di  consolidare  specifiche   esperienze
professionali  maturate  all'interno   dell'amministrazione   e   non
acquisibili all'esterno, le quali facciano ritenere che la deroga  al
principio del concorso  pubblico  sia  essa  stessa  funzionale  alle
esigenze di buon andamento dell'amministrazione». 
    La disposizione impugnata non e' conforme  ai  suddetti  principi
della giurisprudenza costituzionale, in quanto la deroga al  pubblico
concorso non e', nel caso in esame, giustificabile in base ad  alcuna
esigenza  di  interesse  pubblico,  posto  che  l'assunzione  con  la
procedura di mobilita' risponde solo  all'interesse  dell'interessato
al trasferimento per motivi personali. 
    Ne' puo' essere sostenuto che la norma  abbia  una  finalita'  di
contenimento della spesa pubblica. 
    Infatti, in ipotesi, cosi' potrebbe essere se fosse previsto  che
all'amministrazione  che  ha  acconsentito   al   trasferimento   del
dipendente e' poi precluso assumere altro personale in  sostituzione,
ma questo non e' stato sancito. 
    In tal modo si avra' che alcune amministrazioni dovranno  coprire
i posti vacanti con la procedura di  mobilita'  volontaria  ed  altre
potranno continuare a bandire concorsi e tutto cio' solo  per  motivi
legati alle scelte personali del dipendente. 
    Pertanto,  oltre  all'art.  117,  quarto  comma  per  la  lesione
dell'autonomia  organizzativa  regionale,  la  norma  viola  altresi'
l'art. 97 Cost. perche' limita il reclutamento del personale mediante
il concorso pubblico, e quindi non permette di osservare i criteri di
efficienza, imparzialita' e buona  amministrazione  che  il  medesimo
art.  97  Cost.  vuole  garantire  nell'organizzazione  degli  uffici
nell'espletamento delle funzioni pubbliche; la regione e' legittimata
a far valere la violazione del citato art. 97 perche' essa  determina
una compromissione della propria autonomia organizzativa. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Si confida che la Corte costituzionale dichiari  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 40 del decreto legislativo 27 ottobre  2009,
n. 150, nella parte in cui introduce il comma 6-ter all'art.  19  del
decreto legislativo n. 165 del 2001 e dell'art. 49,  comma  1,  dello
stesso decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150,  nella  parte  in
cui, modificando l'art. 30, comma 1 del decreto  legislativo  n.  165
del 2001,  dispone  che  le  amministrazioni,  prima  di  bandire  un
concorso pubblico devono «rendere  pubbliche  le  disponibilita'  dei
posti in  organico  da  ricoprire  attraverso  passaggio  diretto  di
personale  da  altre  amministrazioni,  fissando  preventivamente   i
criteri  di  scelta.  Il  trasferimento  e'  disposto  previo  parere
favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici  cui
il personale e' o sara' assegnato sulla base  della  professionalita'
in possesso del dipendente in  relazione  al  posto  ricoperto  o  da
ricoprire», per i motivi indicati nel presente ricorso. 
        Firenze - Roma, 29 dicembre 2009 
 
                           Avv. Lucia Bora