N. 127 SENTENZA 24 marzo - 8 aprile 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Ambiente - Norme  della  Regione  Umbria  -  Gestione  integrata  dei
  rifiuti  -  Attribuzione  ai  Comuni  del  compito  di  rilasciare,
  rinnovare e modificare l'autorizzazione alla gestione dei Centri di
  raccolta - Contrasto con la normativa statale  sulla  gestione  dei
  rifiuti - Violazione della competenza esclusiva dello  Stato  nella
  materia «tutela dell'ambiente» - Illegittimita'  costituzionale  in
  parte qua. 
- Legge della Regione Umbria 13 maggio 2009, n. 11, art. 7, comma  1,
  lett. c). 
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s);  d.lgs.  3  aprile
  2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. cc);  d.m.  8  aprile  2008,
  art. 2, commi 1 e 4. 
Ambiente - Norme  della  Regione  Umbria  -  Gestione  integrata  dei
  rifiuti - Esclusione, dalla nozione di  «rifiuto»,  dei  «sedimenti
  derivanti da attivita' connesse  alla  gestione  dei  corpi  idrici
  superficiali, alla prevenzione di inondazioni, alla riduzione degli
  effetti di inondazioni o siccita', al ripristino dei suoli, qualora
  sia stato accertato che i materiali non  risultino  contaminati  in
  misura  superiore  ai  limiti  stabiliti  dalle  norme  vigenti»  -
  Contrasto con la normativa statale  sulla  gestione  dei rifiuti  -
  Violazione della competenza esclusiva  dello  Stato  nella  materia
  «tutela dell'ambiente» -  Illegittimita'  costituzionale  in  parte
  qua. 
- Legge della Regione Umbria 13 maggio 2009, n. 11, art. 44. 
- Costituzione, art. 117, primo e secondo comma, lett. s);  direttiva
  2006/12/CE del 5 aprile 2006; d.lgs. 3 aprile 2006, n.  152,  artt.
  183, comma 1, lett. a), e 185. 
Ambiente - Norme  della  Regione  Umbria  -  Progetti  relativi  agli
  impianti mobili  per  il  recupero  di  rifiuti  non  pericolosi  -
  Assoggettabilita' alla valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) -
  Esclusione dalla verifica qualora i progetti trattino  quantitativi
  medi giornalieri complessivamente inferiori a duecento tonnellate e
  il  tempo  di   permanenza   degli   impianti   mobili   sul   sito
  predeterminato per lo svolgimento della campagna di  attivita'  non
  sia superiore a  sessanta  giorni  -  Contrasto  con  la  normativa
  statale  concernente  la  valutazione  di  impatto   ambientale   -
  Violazione della competenza esclusiva  dello  Stato  nella  materia
  «tutela dell'ambiente» -  Illegittimita'  costituzionale  in  parte
  qua. 
- Legge della Regione Umbria 13 maggio 2009, n. 11, art. 46. 
- Costituzione, art. 117, primo e secondo comma, lett. s);  d.lgs.  3
  aprile 2006, n. 152, art. 20, nonche' allegato IV  alla  parte  II,
  punto 7, lett. zb); direttiva 85/337/CEE del 27 giugno 1985. 
(GU n.15 del 14-4-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo  DE  SIERVO,  Alfio  FINOCCHIARO,  Franco  GALLO,  Luigi
  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,
  Giuseppe  TESAURO,  Paolo   Maria   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  7,  lettera
c), 44 e 46 della legge della Regione Umbria 13 maggio  2009,  n.  11
(Norme per la gestione integrata dei rifiuti e la bonifica delle aree
inquinate), promosso dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  con
ricorso notificato il 10-15 luglio 2009, depositato in cancelleria il
20 luglio 2009 ed iscritto al n. 49 del registro ricorsi 2009. 
    Udito nell'udienza pubblica  del  24  febbraio  2010  il  Giudice
relatore Alfio Finocchiaro; 
    udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso, notificato alla Regione Umbria il 10-15  luglio
2009, e depositato presso la cancelleria della  Corte  costituzionale
il 20 luglio 2009 (reg. ric. n.  49  del  2009),  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri  ha  chiesto  a  questa  Corte  di  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 7, lettera c),  44  e  46
della legge della Regione Umbria 13 maggio 2009, n. 11 (Norme per  la
gestione integrata dei rifiuti e la bonifica delle  aree  inquinate),
per violazione dell'art. 117, primo  e  secondo  comma,  lettera  s),
Cost. 
    Secondo  il  ricorrente  la   suddetta   legge   regionale,   nel
disciplinare la bonifica delle aree inquinate e la gestione integrata
dei rifiuti, presenterebbe vari aspetti di contrasto con la normativa
nazionale e comunitaria relativa alla disciplina dei rifiuti  e  alla
valutazione dell'impatto ambientale. 
    1.1. - In particolare, l'art. 7, lettera c), delle  citata  legge
regionale n. 11 del 2009 prevede che il Comune abbia  il  compito  di
rilasciare, rinnovare e modificare l'autorizzazione alla gestione dei
centri di raccolta. 
    La  disciplina  nazionale  di  settore,  costituita  dal  decreto
ministeriale 8 aprile 2008 (Disciplina dei  centri  di  raccolta  dei
rifiuti  urbani  raccolti  in  modo  differenziato,   come   previsto
dall'articolo 183, comma 1, lettera cc,  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152, e successive modifiche), prevede che il soggetto
che gestisce il centro di raccolta  debba  soltanto  essere  iscritto
all'Albo nazionale dei gestori ambientali e che la sola realizzazione
dei citati centri, e non anche la gestione di essi, sia approvata dal
Comune territorialmente competente ai sensi della  normativa  vigente
(art. 2, commi 1 e 4).  Pertanto  subordinare  la  gestione  di  tali
centri  al  preventivo  rilascio  dell'autorizzazione  da  parte  del
Comune, cosi' come  disposto  nella  legge  regionale  in  esame,  si
porrebbe in contrasto con la citata normativa nazionale,  espressione
della competenza statale in materia di tutela  dell'ambiente  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    1.2. -  La  norma  contenuta  nell'art.  44  della  stessa  legge
regionale esclude poi dal proprio campo di applicazione, tra l'altro,
«i sedimenti derivanti da attivita' connesse alla gestione dei  corpi
idrici superficiali, alla prevenzione di inondazioni, alla  riduzione
degli effetti di inondazioni o siccita',  al  ripristino  dei  suoli,
qualora sia stato accertato che i materiali non risultino contaminati
in misura superiore ai limiti stabiliti dalle norme vigenti». 
    Con  tale  previsione  la  Regione  opererebbe  una   illegittima
esclusione dalla nozione di «rifiuto» di materiali che rientrano  nel
campo di applicazione della vigente normativa comunitaria e nazionale
di riferimento. 
    Infatti, la definizione comunitaria,  recata  dall'art.  1  della
direttiva 5 aprile 2006,  n.  2006/12/CE  (Direttiva  del  Parlamento
europeo   e   del   Consiglio   relativa   ai   rifiuti),    recepita
nell'ordinamento nazionale dall'articolo 183, comma  1,  lettera  a),
del decreto legislativo n. 3 aprile 2006, n. 152  (Norme  in  materia
ambientale), stabilisce che e' rifiuto qualsiasi sostanza  o  oggetto
di cui il detentore si  disfi  o  abbia  intenzione  o  l'obbligo  di
disfarsi. Sulla base dei principi del  diritto  comunitario  e  della
consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia UE, non e' allora
possibile adottare esclusioni generalizzate o presunzioni assolute di
esclusione dal campo di applicazione della normativa  in  materia  di
rifiuti, ma e' necessario effettuare una valutazione, caso per  caso,
al fine di verificare se l'intenzione del  detentore  sia  quella  di
disfarsi del bene o della sostanza stessi. Tale  principio  non  puo'
essere derogato dalla Regione,  dato  il  vincolo  del  rispetto  del
diritto comunitario derivante dall'art. 117, primo comma,  Cost.,  e,
inoltre, secondo la giurisprudenza costituzionale,  sono  illegittime
norme regionali che escludano da detta categoria taluni materiali. 
    Ne consegue che la norma in esame, oltre che essere in  contrasto
con quanto disposto dagli articoli 183, comma 1, lettera a) e 185 del
d.lgs. n. 152 del  2006,  puo'  esporre  l'Italia  ad  una  procedura
d'infrazione per indebita restrizione del campo di applicazione della
direttiva sui rifiuti. 
    1.3. - L'art. 46 della legge regionale in oggetto  esclude  dalla
verifica di assoggettabilita' alla valutazione di impatto  ambientale
(d'ora in avanti, VIA), di cui all'art. 20  del  d.lgs.  n.  152  del
2006, i progetti relativi agli impianti mobili  per  il  recupero  di
rifiuti non pericolosi mediante operazioni  di  cui  all'allegato  C,
lettera R5, della parte IV del d.lgs. n.  152,  anche  se  rientranti
nella tipologia di cui al punto 7, lettera zb), dell'allegato IV alla
parte  II  del   citato   decreto   legislativo,   qualora   trattino
quantitativi medi giornalieri inferiori a duecento  tonnellate  e  il
tempo di permanenza degli stessi impianti sul sito predeterminato per
lo svolgimento della  campagna  di  attivita'  non  sia  superiore  a
sessanta giorni. 
    Tale deroga risulterebbe in palese  contrasto  con  la  normativa
statale  da  ultimo  richiamata,   che   prevede   la   verifica   di
assoggettabilita' per gli impianti  di  smaltimento  di  rifiuti  non
pericolosi,  con  capacita'  superiore  a   10   t/giorno,   mediante
operazioni di cui all'allegato C, lettere da R1 a R9, della parte IV,
senza specificare se si tratti di impianti mobili o  meno.  Peraltro,
la Commissione  europea,  circa  l'applicazione  della  direttiva  27
giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del  Consiglio  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati) relativamente agli impianti mobili di trattamento rifiuti,
ha ribadito, con nota del  17  novembre  2004,  prot.  Env.D.3/LT/cro
D(2004) 532306,  che  «il  carattere  mobile  e  temporaneo  di  tali
impianti non costituisce di per se' motivo di esclusione dalle  liste
dei  progetti  elencati  negli  allegati   della   direttiva   o   di
considerazione  particolare  ai  fini  della  qualificazione  di   un
progetto ai sensi della stessa. Pertanto, posto che essi  abbiano  le
caratteristiche per essere considerati  come  progetti  di  cui  agli
allegati I e II, gli impianti  mobili  di  trattamento  rifiuti  sono
assoggettati  alle  prescrizioni  e  alle  procedure  previste  dalla
direttiva». 
    Ne conseguirebbe l'illegittimita' della  normativa  regionale  in
oggetto, per contrasto  con  la  normativa  nazionale  e  comunitaria
riguardante i rifiuti e la valutazione  di  impatto  ambientale,  con
violazione dell'art. 117, commi primo e secondo, lett. s), Cost. 
    Non ha svolto attivita'  difensiva  in  questa  sede  la  Regione
Umbria. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 7, lettera c) della legge della
Regione Umbria 13 maggio 2009, n. 11 (Norme per la gestione integrata
dei rifiuti e la bonifica delle aree inquinate), nella parte  in  cui
prevede che il Comune abbia il compito  di  rilasciare,  rinnovare  e
modificare l'autorizzazione alla gestione dei centri di raccolta, per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto
porrebbe una disciplina contrastante con quella nazionale di settore,
costituita dall'art. 2, commi 1  e  4,  del  decreto  ministeriale  8
aprile 2008 (Disciplina dei centri di  raccolta  dei  rifiuti  urbani
raccolti in modo  differenziato,  come  previsto  dall'articolo  183,
comma 1, lettera cc, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e
successive modifiche), secondo cui il soggetto che gestisce il centro
di raccolta deve solamente essere  iscritto  all'Albo  nazionale  dei
gestori ambientali e la realizzazione dei citati centri, e non  anche
la   gestione   di   essi,   deve   essere   approvata   dal   Comune
territorialmente competente ai sensi della normativa vigente. 
    1.1. - La questione e' fondata. 
    1.2. - L'art. 7 della legge regionale n. 11 del 2009, enumera  le
funzioni amministrative dei Comuni nella materia della  gestione  dei
rifiuti urbani.  Alla  lettera  c),  oltre  alla  approvazione  della
realizzazione dei centri di raccolta o al loro adeguamento alle norme
vigenti,   sono    previsti    «rilascio,    rinnovo    e    modifica
dell'autorizzazione alla  gestione  degli  stessi».  Aggiunge  che  i
centri di  raccolta  non  sono  soggetti  alle  disposizioni  di  cui
all'articolo 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme  in  materia
ambientale), che prevede l'autorizzazione  unica  regionale  per  gli
impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti. 
    La disciplina nazionale e' costituita in  primo  luogo  dall'art.
183, comma 1, del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  che,  illustrando  le
definizioni impiegate dalla suddetta norma,  alla  lettera  cc,  dopo
aver  precisato  che  per  «centro  di  raccolta»  s'intende  l'«area
presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza
pubblica,  per  l'attivita'  di  raccolta   mediante   raggruppamento
differenziato  dei  rifiuti  per  frazioni  omogenee  conferiti   dai
detentori per il trasporto agli impianti di recupero e  trattamento»,
aggiunge che «la disciplina  dei  centri  di  raccolta  e'  data  con
decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela  del  territorio  e
del mare, sentita la Conferenza  unificata  Stato-Regioni,  citta'  e
autonomie locali, di cui al decreto legislativo 28  agosto  1997,  n.
281». Questa disciplina e' stata dettata dal decreto  ministeriale  8
aprile 2008, che all'art. 1 contiene ulteriore definizione dei centri
di raccolta, e all'art. 2 pone  la  disciplina  amministrativa  degli
stessi. 
    La  materia  dei  rifiuti  attiene  alla   potesta'   legislativa
esclusiva statale in materia di tutela ambientale (sentenze n.  10  e
314 del 2009, n. 62 del 2008), e, in tale materia, e' consentito allo
Stato emanare regolamenti, per esigenze di uniformita'  (sentenze  n.
233 del 2009 e 411 del 2007). 
    L'art. 1 del decreto  ministeriale  8  aprile  2008  definisce  i
centri di raccolta comunali e intercomunali, come «aree presidiate ed
allestite ove si svolge unicamente attivita'  di  raccolta,  mediante
raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto  agli  impianti
di recupero, trattamento e, per  le  frazioni  non  recuperabili,  di
smaltimento, dei rifiuti  urbani  e  assimilati  (...)  conferiti  in
maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche  e  non
domestiche, nonche' dagli altri soggetti tenuti in base alle  vigenti
normative settoriali al ritiro di  specifiche  tipologie  di  rifiuti
dalle utenze domestiche». 
    Nessuna autorizzazione e' prevista dalla normativa statale per la
gestione dei centri raccolta dei rifiuti  urbani:  l'art.  2  decreto
ministeriale  8  aprile  2008,  gia'  intitolato  «Autorizzazioni   e
iscrizioni» - e  nel  quale  il  termine  «autorizzazioni»  e'  stato
sostituito con il termine «approvazioni» dal decreto ministeriale  13
maggio  2009  (Modifica  del  decreto  8  aprile  2008,  recante   la
disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo
differenziato, come previsto dall'articolo 183, comma 1, lettera  cc,
del  decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152,  e   successive
modifiche) - dispone che «la realizzazione dei centri di raccolta  di
cui all'art. 1 e' approvata dal Comune territorialmente competente ai
sensi della normativa vigente» (comma 1),  e  che  «il  soggetto  che
gestisce il centro di raccolta e' iscritto all'Albo nazionale gestori
ambientali di cui all'art. 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, e successive modifiche» (comma 4). 
    Occorre ricordare che in assenza di una disciplina chiara, per la
semplice raccolta dei rifiuti urbani (in aree  dette  «ecopiazzole»),
che tenesse conto  delle  peculiari  differenze  rispetto  alle  piu'
complesse operazioni di smaltimento e di recupero,  si  discuteva  in
passato se fosse richiesta o meno un'autorizzazione. 
    L'auspicato  chiarimento  aveva  luogo  con   la   riformulazione
dell'art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006, per  effetto  dell'art.  2,
comma 20, del decreto legislativo 16 gennaio 2008,  n.  4  (Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile  2006,  n.
152, recante norme in materia ambientale), e,  a  soli  due  mesi  di
distanza, con il  citato  decreto  ministeriale  8  aprile  2008  del
Ministro dell'ambiente. Dal complesso  di  queste  norme  deriva  che
riguardo all'attivita' di raccolta di  rifiuti,  finalmente  distinta
dallo smaltimento e dal recupero, solo la realizzazione dei centri di
raccolta  e'  «approvata»  dal  Comune,  mentre  non  e'   necessaria
l'autorizzazione per la gestione, richiedendosi solo l'iscrizione del
gestore all'Albo nazionale dei gestori ambientali di cui all'art. 212
del d.lgs. n. 152 del 2006 (art.  2,  comma  4,  del  citato  decreto
ministeriale). 
    L'approvazione  comunale  rappresenta  un   controllo   di   tipo
urbanistico, che riguarda la realizzazione del  centro  di  raccolta,
come risulta chiarito dal nuovo  testo  dell'art.  2,  comma  1,  del
decreto ministeriale 8  aprile  2008,  come  sostituito  dal  decreto
ministeriale 13 maggio 2009: «la realizzazione  o  l'adeguamento  dei
centri di raccolta di cui all'articolo 1 e' eseguito  in  conformita'
con la normativa vigente in materia urbanistica ed edilizia». 
    L'attribuzione al Comune dell'ulteriore competenza  al  rilascio,
rinnovo e modifica dell'autorizzazione,  come  disposta  dalla  legge
regionale impugnata (art. 7, lett. c), riguardando  la  gestione  dei
centri di raccolta, incide allora sulla disciplina dei rifiuti  e  si
pone in contrasto con la normativa statale, che non la prevede. 
    E' pur vero che la rubrica dell'art. 2 del decreto ministeriale 8
aprile  2008,  intitolata  «Autorizzazioni  e   iscrizioni»,   poteva
ingenerare elementi di equivocita' (il termine «autorizzazioni», come
detto, e' stato sostituito con «approvazioni»). Il testo della norma,
tuttavia, non contiene in alcuna parte il termine «autorizzazione». 
    E'  vero  anche  che  il  comma  8  dell'art.   2   del   decreto
ministeriale, nel testo vigente all'epoca dell'emanazione della norma
regionale censurata, consentiva ai centri di raccolta che, alla  data
di entrata in vigore del decreto, fossero autorizzati ai sensi  degli
articoli 208 o 210 del d.lgs. n.  152  del  2006,  di  continuare  ad
operare sulla base di tale autorizzazione sino  alla  scadenza  della
stessa: si trattava pero' dell'autorizzazione  unica  ambientale,  di
competenza  regionale,  che  certo  non  avrebbe  potuto  legittimare
l'imposizione dell'obbligo di  un  titolo  ulteriore,  di  competenza
comunale. 
    Il comma 7 dello stesso decreto ministeriale 8 aprile 2008, prima
delle modifiche apportate dal decreto ministeriale  13  maggio  2009,
consentiva che i centri di raccolta, i quali, alla data di entrata in
vigore  dello  stesso  decreto,  fossero  operanti  sulla   base   di
disposizioni regionali o di enti locali,  continuassero  ad  operare,
conformandosi alle disposizioni tecniche entro il termine di sessanta
giorni dalla data di pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica italiana di una emananda delibera del  Comitato  nazionale
dell'Albo dei gestori ambientali di cui al comma 5.  La  verifica  in
ordine all'esistenza, nella normativa regionale previgente in tema di
gestione dei rifiuti - costituita dalla legge della Regione Umbria 31
luglio 2002, n. 14 (Norme per la gestione integrata dei rifiuti) - di
una norma che subordinasse l'attivita'  di  gestione  dei  centri  di
raccolta ad autorizzazione comunale, e' negativa, prevedendosi  solo,
fra  i  compiti  della  Provincia,  il  rilascio  dell'autorizzazione
all'esercizio delle operazioni  di  smaltimento  e  di  recupero  dei
rifiuti, anche pericolosi (poi disciplinata dall'art. 208 del  d.lgs.
n. 152 del 2006: lo stesso d.lgs. n. 152, all'art. 264,  ha  abrogato
il d.lgs. n. 22 del  1997),  in  consonanza  all'art.  19,  comma  1,
lettera  e),  del  decreto  legislativo  5  febbraio  1997,   n.   22
(Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti,  della  direttiva
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della  direttiva  94/62/CE  sugli
imballaggi e sui rifiuti di imballaggio). 
    Ancor prima, l'art. 5 della legge della Regione Umbria 24  agosto
1987, n. 44 (Piano regionale per la  organizzazione  dei  servizi  di
smaltimento dei rifiuti, in attuazione del d.P.R. 10 settembre  1982,
n. 915), prevedeva l'autorizzazione della Giunta regionale  (non  del
Comune)  alla  installazione  (non  alla  gestione)  dei  centri   di
raccolta, in conformita' degli strumenti urbanistici. 
    In conclusione, nessun appiglio  poteva  trovare  il  legislatore
regionale, nella  disciplina  statale  sui  centri  di  raccolta  dei
rifiuti urbani, per configurare un  obbligo  di  autorizzazione  alla
gestione degli stessi. 
    Ai Comuni non compete, in aggiunta all'approvazione dei centri di
raccolta dei rifiuti urbani  riguardo  alla  realizzazione  di  essi,
l'autorizzazione  alla   gestione   (sull'illegittimita'   di   norme
regionali in tema di rifiuti, configuranti  competenze  in  contrasto
con la disciplina statale,  sentenza  n.  378  del  2007).  Pertanto,
subordinare la gestione di tali  centri  al  preventivo  rilascio  di
un'autorizzazione da parte del Comune, cosi' come disposto  dall'art.
7, comma 1, lettera c), legge regionale n. 11 del 2009,  si  pone  in
contrasto  con  la  normativa  nazionale  rappresentata  dal  decreto
ministeriale 8 aprile 2008, emesso in attuazione dell'art. 183, comma
1, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, che e'  espressione  della
competenza statale in materia di tutela dell'ambiente di cui all'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    La  norma  regionale  va  quindi  dichiarata   costituzionalmente
illegittima nella parte in cui attribuisce ai Comuni la  funzione  di
«rilascio, rinnovo e modifica dell'autorizzazione alla gestione»  dei
centri di raccolta. 
    2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri  dubita  poi  della
legittimita' costituzionale dell'art. 44  della  stessa  legge  della
Regione Umbria, nella parte in  cui  esclude  dal  proprio  campo  di
applicazione,  tra  l'altro,  i  sedimenti  derivanti  da   attivita'
connesse  alla  gestione  dei   corpi   idrici   superficiali,   alla
prevenzione  di  inondazioni,  alla  riduzione   degli   effetti   di
inondazioni o siccita', al ripristino dei suoli,  qualora  sia  stato
accertato  che  i  materiali  non  risultino  contaminati  in  misura
superiore ai limiti stabiliti dalle  norme  vigenti,  per  violazione
dell'art. 117, primo e secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  perche'
porrebbe una disciplina contrastante con la  definizione  comunitaria
di rifiuto recata dall'art. 1, lettera a), della direttiva  5  aprile
2006, n. 2006/12/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa   ai   rifiuti),   recepito    nell'ordinamento    nazionale
dall'articolo 183, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152  del  2006,
secondo cui e'  rifiuto  qualsiasi  sostanza  o  oggetto  di  cui  il
detentore si disfi o abbia intenzione  o  l'obbligo  di  disfarsi;  e
contrasterebbe  inoltre  con  la  disciplina  nazionale  di  settore,
costituita dagli artt. 183, comma 1, lettera a) e 185  del  d.lgs.  3
aprile 2006, n. 152. 
    2.1. - La questione e' fondata. 
    2.2. - La disposizione censurata attiene alla nozione  stessa  di
"rifiuto", riguardante la materia della  tutela  ambientale  affidata
alla competenza esclusiva dello Stato. 
    Non sono consentite esclusioni da parte del legislatore regionale
di particolari sostanze o  materiali  in  astratto  ricompresi  nella
nozione  di  «rifiuto»  stabilita  dalla  legislazione   statale   in
attuazione della direttiva comunitaria (sentenze nn.  61  e  315  del
2009). La norma in oggetto, sottraendo alla nozione di rifiuto taluni
residui che, invece, corrispondono alla definizione sancita dall'art.
1, lettera a), della direttiva 2006/12/CE, come  «qualsiasi  sostanza
od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di
cui il detentore  si  disfi  o  abbia  l'intenzione  o  l'obbligo  di
disfarsi», si pone in contrasto con la direttiva medesima, che  funge
da norma interposta per la valutazione di conformita' della normativa
regionale all'ordinamento comunitario (sentenza n. 62 del 2008). 
    Fra le sostanze escluse dal campo di applicazione della direttiva
(e della normativa statale rappresentata dal d.lgs. n. 152 del 2006),
vi sono le «acque di scarico, esclusi i rifiuti allo  stato  liquido»
(art. 2, par. 1, lettera b-iv, della direttiva; art.  185,  comma  1,
lettera b, n. 1, del d.lgs. n. 152  del  2006),  ma  fra  questi  non
possono essere ricompresi i sedimenti,  indicati  dalla  disposizione
regionale,  che  costituiscono  residui  semi-solidi,  derivanti  dal
trattamento delle acque. Neppure rileva che l'esclusione sia limitata
dalla norma regionale a quei  sedimenti  che  non  siano  contaminati
oltre  misura:  tale  connotato  puo'  considerarsi  ai  fini   della
qualificazione  della  sostanza  come  pericolosa,  non   anche   per
l'esclusione di  questa  dalla  categoria  dei  rifiuti.  Sotto  tale
profilo non e' consentito al legislatore regionale introdurre  limiti
quantitativi non previsti nella regolamentazione statale unitaria, ai
fini di sottrarre un oggetto a una determinata disciplina (cosi',  in
tema di adempimenti connessi alla disciplina dei rifiuti  pericolosi,
la sentenza n. 315 del 2009), specie ove si tratti di ambiti  tecnici
per l'attuazione di livelli di tutela uniforme (sentenza n.  249  del
2009). 
    Il  dettato  della   disposizione   censurata   riproduce   quasi
letteralmente il testo  dell'art.  2,  par.  3,  della  direttiva  19
novembre 2008, n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e  del
Consiglio, relativa ai rifiuti, che abroga  precedenti  direttive  in
materia). Questa non  e'  stata  ancora  recepita  da  legge  statale
(termine di recepimento: 12  dicembre  2010).  La  norma  comunitaria
introduce una esclusione dall'ambito  di  applicazione  della  stessa
direttiva, proprio relativamente ai «sedimenti  spostati  all'interno
di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei  corsi
d'acqua o della prevenzione di inondazioni o  della  riduzione  degli
effetti di inondazioni o siccita'  o  ripristino  dei  suoli,  se  e'
provato che i sedimenti non sono pericolosi». 
    La circostanza non modifica i termini della questione, posto  che
la competenza per l'attuazione  delle  direttive  comunitarie,  nelle
materie  di  legislazione  esclusiva  dello  Stato,  come  la  tutela
dell'ambiente, in cui rientra la disciplina dei  rifiuti,  appartiene
inequivocabilmente allo Stato (sentenza n. 233 del 2009), e non  sono
ammesse iniziative delle Regioni di regolamentare nel proprio  ambito
territoriale la materia, ispirandosi  ad  una  direttiva  non  ancora
recepita per i rifiuti. 
    L'art. 44 della legge  regionale  n.  11  del  2009,  dunque,  e'
illegittimo, nella parte in cui esclude  dal  campo  di  applicazione
della legge stessa, «i sedimenti derivanti da attivita' connesse alla
gestione  dei  corpi  idrici  superficiali,   alla   prevenzione   di
inondazioni, alla riduzione degli effetti di inondazioni o  siccita',
al ripristino dei suoli, qualora sia stato accertato che i  materiali
non risultino contaminati in misura  superiore  ai  limiti  stabiliti
dalle norme vigenti». 
    3. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  dubita,  infine,
della legittimita' costituzionale  dell'art.  46  della  legge  della
Regione Umbria n. 11 del 2009,  nella  parte  in  cui  esclude  dalla
verifica di assoggettabilita' alla valutazione di impatto  ambientale
(VIA), di cui all'articolo 20 del d.lgs. n. 152 del 2006, i  progetti
relativi  agli  impianti  mobili  per  il  recupero  di  rifiuti  non
pericolosi mediante operazioni di cui  all'allegato  C,  lettera  R5,
della parte  IV,  del  d.lgs.  n.  152,  anche  se  rientranti  nella
tipologia di cui al punto 7, lettera zb), dell'allegato IV alla parte
II del citato decreto, qualora trattino quantitativi medi giornalieri
inferiori a duecento tonnellate e il tempo di permanenza degli stessi
impianti sul sito predeterminato per lo svolgimento della campagna di
attivita'  non  sia  superiore  a  sessanta  giorni,  per  violazione
dell'art. 117, primo e secondo comma, lettera s),  Cost.,  in  quanto
pone una disciplina contrastante  con  la  normativa  comunitaria  di
settore e con l'art. 20 del d.lgs.  n.  152  del  2006,  nonche'  con
l'allegato IV alla parte II, punto 7, lettera zb)  di  tale  decreto,
secondo cui si fa luogo alla verifica di  assoggettabilita'  per  gli
impianti di smaltimento di  rifiuti  non  pericolosi,  con  capacita'
superiore a 10 t/giorno, mediante le operazioni di  recupero  di  cui
all'allegato C, lettere da R1 a R9, della parte IV, senza distinzione
tra impianti mobili o meno. 
    3.1. - Anche tale questione e' fondata. 
    3.2. - La necessita' di esperire la procedura di VIA, e'  rimessa
dalla normativa comunitaria, per i progetti per i quali si prevede un
notevole impatto ambientale (direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE,
Direttiva  del  Consiglio  concernente  la  valutazione  dell'impatto
ambientale di  determinati  progetti  pubblici  e  privati:  art.  4,
paragrafo 2), a valutazioni  caso  per  caso  o  alla  fissazione  di
soglie, pur nell'ambito del principio di  inderogabilita',  da  parte
del legislatore nazionale, dell'obbligo  di  VIA,  la  giurisprudenza
comunitaria  rimette  alla  normativa  interna,  per  certe  materie,
l'individuazione delle soglie. Per effetto delle modifiche  apportate
dal  d.lgs.  n.  4  del  2008,  l'effettuazione  della  VIA  e'   ora
subordinata, anziche' alla determinazione di soglie, allo svolgimento
di   un    subprocedimento    preventivo    volto    alla    verifica
dell'assoggettabilita' dell'opera alla VIA medesima (art.  20  d.lgs.
n. 152 del 2006). 
    Sicche', atteso il rinvio alla normativa  nazionale,  se  non  e'
dato ravvisare una violazione diretta della normativa comunitaria (la
verifica  delle  regole  di  competenza  interne,  comunque,  sarebbe
preliminare  al  controllo  del  rispetto  dei  principi  comunitari:
sentenza n. 368 del 2008), per i progetti indicati  dall'allegato  IV
al  d.lgs.  n.  152   del   2006,   sottoposti   alla   verifica   di
assoggettabilita' di competenza delle Regioni, non sembra che  queste
possano derogare all'obbligo di compiere la  verifica,  potendo  solo
limitarsi a stabilire le modalita' con cui procedere alla valutazione
preliminare alla VIA vera e propria. 
    L'obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA, o, nei
casi previsti, alla preliminare verifica  di  assoggettabilita'  alla
VIA, attiene al valore della tutela ambientale (sentenze n. 225 e  n.
234 del 2009), che, nella disciplina statale, costituisce,  anche  in
attuazione degli obblighi comunitari, livello di tutela uniforme e si
impone  sull'intero  territorio  nazionale.  La  disciplina   statale
uniforme non consente, per le ragioni sopra esaminate, di  introdurre
limiti quantitativi all'applicabilita'  della  disciplina,  anche  se
giustificati   dalla   ritenuta   minor   rilevanza   dell'intervento
configurato o dal carattere tecnico dello stesso (sentenze n.  315  e
n. 249, sopra citate). 
    In conclusione, la norma regionale e' illegittima, nella parte in
cui esclude dalla verifica di assoggettabilita' alla  valutazione  di
impatto ambientale di cui all'articolo 20 del d.lgs. n. 152 del  2006
i progetti relativi agli impianti mobili per il recupero  di  rifiuti
non pericolosi mediante operazioni di cui all'allegato C, lettera R5,
della parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006, anche se rientranti,  con
riferimento   alle   capacita'   complessivamente   trattate,   nella
«tipologia di cui al punto 7,  lettera  zb),  dell'allegato  IV  alla
parte II del d.lgs.  152/2006,  qualora  trattino  quantitativi  medi
giornalieri inferiori a duecento tonnellate e il tempo di  permanenza
degli stessi impianti sul  sito  predeterminato  per  lo  svolgimento
della campagna di attivita' non sia superiore a sessanta giorni». 
 
                          Per questi motivi 
 
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  7,  comma  1,
lettera c), della legge della Regione Umbria 13 maggio  2009,  n.  11
(Norme per la gestione integrata dei rifiuti e la bonifica delle aree
inquinate), nella parte in cui attribuisce ai Comuni la  funzione  di
rilascio, rinnovo e modifica dell'autorizzazione  alla  gestione  dei
centri di raccolta; 
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  44   della
medesima legge della Regione Umbria n. 11 del 2009,  nella  parte  in
cui  esclude  dal  campo  di  applicazione  della  legge  stessa,  «i
sedimenti derivanti da attivita' connesse  alla  gestione  dei  corpi
idrici superficiali, alla prevenzione di inondazioni, alla  riduzione
degli effetti di inondazioni o siccita',  al  ripristino  dei  suoli,
qualora sia stato accertato che i materiali non risultino contaminati
in misura superiore ai limiti stabiliti dalle norme vigenti»; 
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  46   della
medesima legge della Regione Umbria n. 11 del 2009,  nella  parte  in
cui esclude dalla verifica di assoggettabilita' alla  valutazione  di
impatto ambientale di cui all'articolo 20 del d.lgs. n. 152 del  2006
i progetti relativi agli impianti mobili per il recupero  di  rifiuti
non pericolosi mediante operazioni di cui all'allegato C, lettera R5,
della parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006, anche se  rientranti,  con
riferimento   alle   capacita'   complessivamente   trattate,   nella
«tipologia di cui al punto 7,  lettera  zb),  dell'allegato  IV  alla
parte II del d.lgs.  152/2006,  qualora  trattino  quantitativi  medi
giornalieri inferiori a duecento tonnellate e il tempo di  permanenza
degli stessi impianti sul  sito  predeterminato  per  lo  svolgimento
della campagna di attivita' non sia superiore a sessanta giorni». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                      Il redattore: Finocchiaro 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'8 aprile 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola