N. 123 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2007

Ordinanza del 12 dicembre 2007 emessa dal  Tribunale  di  Novara  nel
procedimento penale a carico di Ehimare Timoth ed altri. 
 
Reati e pene - Riciclaggio dei capitali  di  provenienza  illecita  -
  Esercizio  delle  attivita'  individuate  dai  decreti  legislativi
  emanati ai sensi dell'art. 15, comma 1, lett. c),  della  legge  n.
  52/1996 senza essere iscritto nell'elenco degli operatori abilitati
  - Configurazione della fattispecie quale delitto  -  Previsione  di
  pene superiori ai limiti edittali indicati nella  legge  delega  n.
  52/1996 - Eccesso di delega. 
- Decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153, art. 5, comma 3. 
- Costituzione, artt. 76 e 77; legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 15,
  comma 1, lett. c). 
(GU n.18 del 5-5-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Letti gli atti del procedimento penale suindicato,  pendente  nei
confronti  di  Ehimare  Timoth,  nato  il  14  aprile  1967  a  Uromi
(Nigeria), Penazzi Livio, nato il 18 marzo 1943 a  Bolzano  e  Genise
Antonio Rosario, nato il  6  ottobre  1946  a  Trebisacce  (Cosenza),
imputati per il «reato di cui agli artt. 110, c.p. e  5  terzo  comma
d.lgs. n. 153/1997, per avere in concorso tra loro, Ehimare Timoth in
qualita'  di  titolare  della  ditta  individuale  «Multilink   Trust
Communication»,  Penazzi  Livio   in   qualita'   di   rappresentante
dell'intermediario finanziario  «Omnia  Finanziaria  S.p.a.»,  Genise
Antonio Rosario  in  qualita'  di  rappresentante  dell'intermediario
finanziario «Euro Envios S.p.a.», esercitato per il  periodo  dal  21
maggio 2003 al 27 febbraio  2006  l'esercizio  abusivo  di  attivita'
finanziaria   trasferendo   denaro:   con   l'intermediario    «Omnia
Finanziaria S.p.a.» sono stati  inviati  € 203.025,92  e  ricevuti  €
33.526,88;  con  l'intermediario  «Euro  Envios  S.p.a.»  sono  stati
inviati € 792.107,70; in Novara dal 21  marzo  2003  al  27  febbraio
2006»; 
    Viste le eccezioni di illegittimita' costituzionale dell'art.  5,
comma terzo d.lgs.  n.  153/1997  in  relazione  all'art.  25,  comma
secondo Cost., nonche' in relazione agli  artt.  76  e  77  Cost.  ed
all'art. 15, primo comma, lett. C) legge n.  52/1996,  sollevate  dal
difensore dell'imputato Penazzi (cui si sono associate le difese  dei
coimputati Ehimare e Genise) sotto due diversi profili: 
        lamentata  violazione  del  principio  di  legalita'  di  cui
all'art. 25 secondo comma Cost., posto che al momento dell'emanazione
della delega stessa la  normativa  di  riferimento, decreto-legge  n.
143/1991, non avrebbe contenuto alcuna  disposizione  che  prevedesse
quale fattispecie di reato l'attivita' consistente nell'esercizio  di
trasferimento di fondi (c.d. money transfer) senza previa  iscrizione
negli elenchi istituiti presso le autorita' di controllo,  ovvero  la
medesima attivita', come pure i soggetti ad essa abilitati, sarebbero
stati individuati nella normativa  attuativi  attraverso  il  rimando
improprio a fonti normative secondarie, quali l'art. 4, lett. A) D.M.
6 luglio 1994; 
        lamentato eccesso di delega in relazione agli artt. 76  e  77
Cost. ed ai criteri di cui all'art. 15, primo comma,  lett.  C) legge
n. 52/1996, laddove la norma  impugnata  prevede  l'estensione  delle
disposizioni di cui decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143,  convertito,
in legge 5 luglio 1991, n. 197, disposizioni che  tuttavia  prevedono
esclusivamente reati di natura contravvenzionale,  mentre  l'art.  5,
terzo comma, legge citata che si  assume  incostituzionale  configura
una fattispecie di delitto, punibile con  la  sanzione  congiunta  di
reclusione e multa; 
    Sentito il parere del P.M. che ha concluso come da verbale, 
 
                               Osserva 
 
    Il procedimento e'  al  suo  inizio  e  non  e'  stata  espletata
attivita' istruttoria di sorta, pertanto il giudicante,  al  fine  di
valutare la rilevanza nel caso concreto  delle  doglianze  difensive,
non  potra'  che  limitarsi  a  tener  conto   della   prospettazione
accusatoria di  per  se  stessa,  in  proposito  osservando  come  la
sintetica qualificazione di «abusivita'» riportata  in  epigrafe  con
riferimento all'attivita' asseritamente svolta dagli imputati, pur se
non esplicitamente indicato nell'imputazione, tuttavia non  puo'  che
riferirsi al fatto che i soggetti agenti  non  siano  iscritti,  come
viceversa  esplicitamente  previsto   dall'art.   5,   terzo   comma,
nell'elenco di cui al secondo comma dello stesso art. 5. 
    Pare indispensabile prendere le mosse, per esaminare le questioni
proposte dagli imputati, da una organica esposizione della fin troppo
complessa normativa di riferimento in materia, che consta di: 
        Direttiva 10  giugno  1991,  n.  91/308/CEE  (successivamente
abrogata dall'art. 44 della Direttiva del Parlamento e del  Consiglio
europeo n. 60 del 20 ottobre 2005) che prevedeva forme di prevenzione
dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei  proventi
di attivita' illecite; 
        legge delega 6 febbraio 1996, n. 52, recante disposizioni per
l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee,  il  cui  art.  15,  primo  comma,  lett.  C)
disponeva di estendere, ai sensi  della  citata  Direttiva  CEE,  «in
tutto  od  in  parte  l'applicazione  delle   disposizioni   di   cui
al decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143 convertito  con  modificazioni
dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, a quelle attivita' particolarmente
suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio... La  formazione
o  l'integrazione  dell'elenco  di  tali  attivita'  e  categorie  di
imprese... avverra' con uno o piu' decreti legislativi»;  al  secondo
comma detta norma prevedeva, inoltre, che in relazione  alle  materie
concernenti il «trasferimento di  denaro  contante  e  di  titoli  al
portatore,  nonche'  il  riciclaggio  dei  capitali  di   provenienza
illecita, potra' procedersi al riordino delle sanzioni amministrative
e penali previste nelle leggi  richiamate  al  comma  1,  nei  limiti
massimi ivi contemplati»; 
        decreto-legge 3  maggio  1991,  n.   143,   convertito,   con
modificazioni,  in  legge  5  luglio  1991,  n.   197,   relativo   a
«Provvedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e  dei  titoli
al  portatore  nelle  transazioni  e  prevenire  l'utilizzazione  del
sistema  finanziario  a  scopo  di   riciclaggio»,   sanziona   dette
attivita',  appunto,  qualora  siano  esercitate  in  assenza   della
preventiva  iscrizione  agli  elenchi  disposti   dagli   organi   di
controllo; esso, tuttavia, al tempo della legge-delega prevedeva solo
illeciti  penali  di  natura  contravvenzionale,  essendo  stato  nel
frattempo abrogato (in forza dell'art.  161  decreto  legislativo  n.
385/1993) l'art. 6, nono comma, contenente l'unica ipotesi di delitto
sanzionato con reclusione e multa:  onde  il  legislatore  delegante,
all'epoca dell'emanazione della legge delega  n.  52/96,  non  poteva
certo riferirsi ad una disposizione non piu' in vigore; 
        art. 5, terzo comma d.lgs. n. 153/1997 emanato,  appunto,  in
attuazione della legge-delega: punisce con reclusione da 6 mesi  a  4
anni e multa da € 2.065 a € 10.329 chiunque  esercita,  senza  essere
iscritto nell'elenco di cui al secondo comma ("e' istituito un elenco
di operatori,  suddiviso  per  categorie,  tenuto  dal  Ministro  del
Tesoro...), le attivita' individuate nei decreti legislativi  emanati
ai sensi dell'art. 15, primo comma, lett. C) legge n. 152/1996; 
        art. 1, d.lgs. 25 settembre 1999, n. 374  ("Estensione  delle
disposizioni in materia di riciclaggio dei  capitali  di  provenienza
illecita ed attivita'  finanziarie  particolarmente  suscettibili  di
utilizzazione a fini di riciclaggio, a norma dell'art. 15 della legge
6 febbraio 1996, n.  52"):  e'  la  normativa  che  correttamente  va
ritenuta come  quella  di  individuazione  delle  attivita'  illecite
suddette; esso dispone, infatti, l'applicazione  del decreto-legge  3
maggio 1991, n. 143, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  5
luglio 1991 n. 197, tra le  altre,  alle  attivita'  di  «agenzia  in
attivita' finanziaria prevista dall'art. 106 del d.lgs. 1°  settembre
1993, n. 385 (T.U. bancario)", detta norma a sua volta  definisce  il
concetto di agenzia in attivita' finanziaria  come  quelle  attivita'
esercitate nei confronti del pubblico, consistenti in: a)  assunzione
di partecipazioni, b) concessione di  finanziamenti  sotto  qualsiasi
forma, c) prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in
cambi.  A  sua  volta,  ad  ulteriore  specificazione  dei  contenuti
concreti di questa attivita', soccorre l'art.  1,  lett.  a)  D.M.  6
luglio 1994: questa disposizione, appunto  ai  sensi  dell'art.  106,
primo  e  quarto  comma,  d.lgs.  n.  385/1993  cit.,   verte   sulla
determinazione concreta del contenuto delle attivita' suddette  e  su
quali circostanze ne ricorra l'esercizio nei confronti  del  pubblico
ed indica, fra  le  concrete  attuazioni  dell'agenzia  in  attivita'
finanziaria,  qualora  essa  si  esplichi  in  forma  di  servizi  di
pagamento,  proprio  l'attivita'   di   intermediazione   finanziaria
esercitata mediante l'incasso ed il  trasferimento  di  fondi,  ossia
l'attivita' di c.d. money transfer, citata nell'epigrafe. 
    Gia' sulla base della esposizione  che  procede,  riguardante  la
normativa vigente  in  materia,  si  puo'  rintracciare  in  nuce  la
soluzione alle problematiche di costituzionalita'  prospettate  dalle
parti. 
    Invero, in  relazione  alla  prima  e  piu'  semplice  delle  due
eccezioni, non vi e' dubbio alcuno circa il fatto che il  legislatore
delegante avesse si' imposto di procedere al riordino delle  sanzioni
amministrative e penali previste  nella  normativa  di  riferimento -
cioe' decreto-legge  3  maggio  1991,   n.   143,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991 n. 197 - e tuttavia  di  far
cio'  senza  eccedere  i  limiti  massimi  gia'  ivi  contemplati   e
stabiliti, come esplicitamente previsto dall'art. 15, secondo  comma,
legge delega n. 52/1996. 
    Ora, e' un fatto che,  all'epoca  della  emanazione  della  legge
delega n. 52/1996, la normativa  di  riferimento -  legge  197/1991 -
contemplasse solo fattispecie di natura contravvenzionale. 
    Infatti, in forza dell'art. 161 del d.lgs.  n.  385/1993,  dunque
fin  da  epoca  assai  precedente  la   legge   delega,   era   stato
integralmente abrogato l'art.  6,  nono  comma,  legge  n.  197/1991,
contenente l'unica ipotesi nell'ambito di detta normativa di  delitto
sanzionato con reclusione e multa:  onde  il  legislatore  delegante,
all'epoca dell'emanazione della legge delega n. 52/1996,  non  poteva
certo riferirsi ad una disposizione non piu' in vigore. 
    Ma in piu' si osservi come, quand'anche  si  volesse  (del  tutto
forzatamente)  ritenere  che  il  legislatore  delegante   intendesse
riferirsi,   oltre   che   alla   normativa   (legge   n.   197/1991)
esplicitamente richiamata nell'art. 15, primo comma, lett.  C)  della
legge  n.  52/1996,  anche  all'art.  5 decreto-legge  n.   167/1990,
convertito, in legge n. 227/1990 (indicata nello stesso  primo  comma
ma alla lett. D dell'art. 15 della legge  delega),  che  prevede  una
seconda ipotesi delittuosa (pur se per le diverse condotte  di  false
indicazioni agli intermediari), non si potrebbe in ogni caso  fare  a
meno di osservare  come  il  legislatore  delegato  avrebbe  comunque
ecceduto  i  limiti  sanzionatori  prefissati  dal   delegante,   nel
prevedere una pena all'art. 5, terzo comma (da 6 mesi  a  4  anni  di
reclusione oltre multa da € 2.65 a 10.329)  ben  superiore  a  quella
stabilita dal citato art. 5, legge n. 227/1990 (da 6 mesi ad un  anno
di reclusione e multa fra 500 e 5.000 € circa). 
    Ne  discende,   dunque,   che   l'eccezione   di   illegittimita'
costituzionale sollevata dalle difese in  relazione  a  tale  profilo
della normativa pare  non  manifestamente  infondata  per  violazione
degli artt. 76 e 77 Cost. 
    Quanto alla rilevanza della medesima questione nel caso concreto,
la sua diretta incidenza sulla pena e sul  processo,  a  causa  della
inconciliabilita' delle  diverse  disposizioni  sanzionatorie  aventi
differente natura,  delittuosa  l'una  e  contravvenzionale  l'altra,
nonche' estremamente differente gravita', non pare richieda ulteriori
commenti. 
    Quanto  segue,  viceversa,  si  riferira'  alla  piu'   complessa
questione  riguardante,  da  un   lato,   la   disomogeneita'   delle
fattispecie concrete riportate nella normativa di riferimento  ed  in
quella di attuazione della  legge  delega;  riguardante,  dall'altro,
l'avere  in  ultima   analisi   effettuato   il   rimando   normativo
concretamente  descrittivo,  sulla  base  del  quale  individuare   i
soggetti  agenti  ed  il  contenuto  delle  condotte   punite   nella
fattispecie, ad una fonte di natura regolamentare,  dunque  di  rango
inferiore. 
    In  proposito,  quanto  al  primo  punto,  si  deve  innanzitutto
osservare come, in realta', non sia ravvisabile disomogeneita' alcuna
fra la normativa di riferimento - cioe' decreto-legge 3 maggio  1991,
n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991,  n.
197 - e la normativa attuativa della delega - cioe' l'art.  5,  terzo
comma, d.lgs. n. 153/1997 - posto che, attraverso i rimandi normativi
che  si  sono  analiticamente  illustrati  in   precedenza,   risulta
chiaramente come  detta  disposizione  punisca  tutta  una  serie  di
attivita' finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a
fini  di  riciclaggio  e  dunque  a  rischio  di   infiltrazione   di
organizzazioni criminose e terroristiche, che sono esattamente quelle
cui gia' si occupava la normativa  di  riferimento, decreto-legge  n.
143/1991,  convertito,  in  legge  n.  197/1991,  e  fra   le   quali
certamente, come si e' visto, vi e' anche quel  tipo  di  agenzia  in
attivita'  finanziaria   consistente   nell'effettuare   servizi   di
pagamento mediate intermediazione finanziaria  esercitata  attraverso
l'incasso ed il trasferimento di fondi,  ossia  l'attivita'  di  c.d.
money transfer, che e' esattamente  la  condotta  illecita  descritta
nell'epigrafe del procedimento penale in oggetto. 
    In secondo luogo, quanto alla individuazione dei soggetti agenti,
va precisato come il reato in oggetto sia un reato proprio, posto che
autori del medesimo non potranno che essere esclusivamente coloro che
esercitino le attivita' finanziarie, individuate in base  ai  rimandi
normativi di cui sopra, senza essere iscritti nell'elenco di  cui  al
comma 2, dell'art. 5, d.lgs. n. 153/1997, norma che recita:  «...  e'
istituito un elenco di operatori, suddiviso per categorie, tenuto dal
Ministro del tesoro, che si avvale dell'Ufficio italiano  dei  cambi.
Ove   l'esercizio   delle   predette   attivita'   sia    subordinato
all'iscrizione nei ruoli o albi tenuti  da  pubbliche  autorita',  da
ordini o consigli professionali,  tali  ruoli  o  albi  sostituiscono
l'elenco di cui sopra tenuto dal Ministro del tesoro».  Va  precisato
come lo stesso d.lgs. n. 374/1999, all'art.  3,  riserva  l'esercizio
professionale nei confronti del pubblico del servizio di  agenzia  in
attivita' finanziaria (di cui, si  rammenti,  attraverso  il  rimando
all'art. 106, primo e quarto comma,  d.lgs.  n.  385/1993,  fa  parte
anche  l'attivita'  di  c.d.  money  transfer)  a  soggetti   appunto
professionali,  che  cioe'  siano  iscritti  in  un  apposito  elenco
dell'U.I.C., iscrizione prevista  solo  in  presenza  di  determinate
condizioni, esplicitamente elencate dal  medesimo  art.  3  al  terzo
comma d.lgs n. 374/1999. Ora, va osservato come tale  art.  3,  terzo
comma,  solo  in  relazione  ad  alcune   particolarita'   (specifici
requisiti  di  onorabilita'  per  le   persone   fisiche,   requisiti
patrimoniali e di forma giuridica per le persone  giuridiche)  faccia
rimando a fonti regolamentari, fatto di cui si avvale la difesa  onde
inferirne la violazione del principio di riserva di legge. 
    Ritiene, viceversa, il giudicante che la doglianza in oggetto sia
infondata, tanto quanto risulta identicamente infondata la  doglianza
di avere demandato alle medesime  fonti  secondarie  l'individuazione
degli  stessi  elementi  costitutivi   della   concreta   fattispecie
penalmente rilevante. Invero, si deve in primo luogo osservare  come,
in generale, sia chiaro che  detta  norma  abbia  inteso  restringere
l'accesso  a  determinate  attivita'  finanziarie,  stabilendo   che,
proprio a causa della  loro  particolare  suscettibilita'  ad  essere
utilizzate a fini di riciclaggio e finanziamento di attivita' mafiose
e del terrorismo, esse potessero risultare accessibili esclusivamente
a soggetti professionali,  particolarmente  qualificati,  prontamente
individuabili e  piu'  facilmente  controllabili,  grazie  alla  loro
previa collocazione in appositi elenchi od  albi,  e  grazie  a  cio'
anche dotati di una congerie prestabilita di  requisiti  personali  e
tecnici  desiderabili.  Ne  discende,  tra  l'altro,  pure   che   la
particolare  osticita'  della  materia  e'  dovuta,  oltre  che  alla
complessita' degli strumenti  finanziari  che  agiscono  sui  mercati
globali, anche al fatto di essere essa materia ideata per e destinata
a  tecnici  professionisti  del  ramo:  di  modo  che  la   lamentata
«difficolta'» di risalire ai  rimandi  normativi  ed  interpretare  i
medesimi, non e' argomento che puo' essere agitato  in  favore  della
incostituzionalita' della norma. 
    In secondo luogo, va detto che  l'avere  semplicemente  demandato
parte (piccola parte, per  vero)  del  concreto  iter  amministrativo
abilitativo all'esercizio di dette attivita' a  fonti  regolamentari,
non  pare  affatto  avere  determinato  un  rimando  integrativo  del
precetto penale a norma di rango inferiore: nessuno si sognerebbe  di
definire incostituzionali le norme, ad esempio, in materia di abusivo
esercizio  della  professione,   sol   perche'   la   definizione   e
qualificazione   degli   abilitati   alla   categoria   professionale
interessata o  le  loro  modalita'  accesso  alla  professione  siano
stabilite da norme regolamentari. 
    Quanto  all'ulteriore   lamentato   rimando,   sempre   a   norme
regolamentari, dunque in violazione della riserva  di  legge  penale,
effettuato per tramite dell'art. 1 d.lgs. 25 settembre 1999,  n.  374
all'art. 106, primo e quarto comma d.lgs. n.  385/1993  e  da  questi
all'art. 1, lett. a) decreto  ministeriale 6  luglio  1994,  al  fine
della individuazione concreta delle attivita' finanziarie di  cui  si
proibisce l'esercizio abusivo, in  proposito  si  osservi  come  (con
argomentazione tratta dalla recentissima ordinanza in data  30  marzo
2007 remissiva alla Corte di  analoghe  questioni  di  illegittimita'
costituzionale, emessa dal Tribunale di Cagliari - I sez. penale)  il
dato   temporale,   ovvero   la   preesistenza   della   disposizione
regolamentare alla disciplina introdotta dai d.lgs. n. 153/1997 e  n.
374/1999, pare presentare una valenza davvero decisiva. 
    Invero posto che, al  momento  dell'emanazione  dei  due  decreti
legislativi, il D.M. 6 luglio 1994 - richiamato  secondo  la  tecnica
legislativa sopra indicata - era gia' esistente, ne discende come sia
stato quindi lo  stesso  legislatore  ordinario  a  prevedere,  nella
figura di illecito introdotta nel combinato disposto dei due  decreti
legislativi (l'uno, n. 153/1999, che introduce la norma sanzionatoria
addebitata  agli  imputati;  l'altro,  n.   374/1999,   che   dispone
l'applicazione  della  normativa  di  riferimento,  fra   le   altre,
all'attivita' in oggetto), l'esercizio di intermediazione finanziaria
mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi, individuandolo  come
una di quelle  attivita'  potenzialmente  soggette  ad  infiltrazioni
malavitose e agevolatrici di manovre di riciclaggio. 
    Si vuole, cioe', affermare che il legislatore  ordinario  non  ha
rimesso alla fonte regolamentare di rango  inferiore  il  compito  di
individuare le attivita'  finanziarie  illecite,  ma  esattamente  al
contrario, preso atto della preesistenza nelle norme dell'ordinamento
di detta attivita', insieme ad altre, ne  ha  recepito  l'indicazione
nel precetto penale e nella sanzione che colpisce chi tali  attivita'
esercita senza previa iscrizione  nel  prescritto  elenco,  con  cio'
elevandola al rango di normativa primaria. 
    Ne deriva la manifesta  infondatezza  delle  relative  questioni,
cosi' come prospettate dalle difese. 
    Invero, il recepimento da parte della fonte normativa primaria di
indicazioni contenute nella fonte subordinata, non viola il principio
della riserva di legge penale  di  cui  all'art.  25,  secondo  comma
Cost., qualora - come stabilito dalla costante  giurisprudenza  della
Corte stessa - i rapporti fra la legge penale e la fonte  subordinata
siano atteggiati in modo tale che, in concreto e da un punto di vista
fattuale, la norma che cosi'  ne  scaturisca  comunque  consenta  una
sufficiente  specificazione  del  fatto-reato  cui  e'  riferita   la
sanzione penale. 
    Nel  caso  in  oggetto,  come  gia'  osservato   in   precedenza,
trattandosi di  normativa  che  statuisce  in  materia  eminentemente
tecnica e complessa, la mera  lamentata  estrema  complessita'  della
tecnica normativa prescelta e del corrispondente sforzo  intellettivo
necessario ad interpretarla non sembrano altro che argomentazioni del
tutto meta-giuridiche, che non possono certo di per se stesse  valere
a stabilire se sia o meno rispettato il livello di  specificazione  e
tipizzazione del fatto  reato  richiesto,  da  sempre,  dalla  stessa
Corte. 
    Ritiene infatti questo Tribunale che, nel caso prospettato  dalle
difese nel presente giudizio, la ratio garantiste del principio della
riserva di legge  risulti  sufficientemente  soddisfatta,  posto  che
appare comunque possibile distinguere, nel caso in  oggetto,  fra  la
sfera del lecito e quella dell'illecito e conseguentemente  rinvenire
un  precetto  normativo  in  grado  di  orientare  la  condotta   dei
consociati:  cio'  grazie  al   recepimento   della   indicazione   e
dell'inserimento, fra le attivita' a  rischio  di  riciclaggio  e  di
infiltrazioni da  parte  della  criminalita'  organizzata,  anche  di
quella  particolare  forma  di  agenzia  in   attivita'   finanziaria
consistente nei servizi di pagamento effettuati mediante l'incasso ed
il trasferimento di fondi, il cui  abusivo  esercizio,  da  parte  di
soggetti non iscritti agli  elenchi  di  cui  all'art.  3  d.lgs.  n.
374/1999, risulta  sanzionato  ex  art.  5,  terzo  comma  d.lgs.  n.
153/1997. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Respinta ogni diversa eccezione, visto ed  applicato  l'art.  23,
legge 11 marzo 1953, n.  87  e  ritenutane  la  rilevanza  e  la  non
manifesta infondatezza; 
    Solleva questione di legittimita' costituzionale, per  violazione
degli artt. 76 e 77 Costituzione, dell'art. 5, terzo comma d.lgs.  26
maggio 1997, n. 153, nelle parti in cui  configura  come  delitto  la
fattispecie penale ivi descritta ed in cui commina pene superiori  ai
limiti edittali indicati nella legge delega n. 52/1996. 
    Dichiara sospeso il giudizio  in  corso,  disponendo  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ed ordinando che il
presente provvedimento sia notificato al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicato al Presidente del Senato della Repubblica ed al
Presidente della Camera dei deputati. 
    Manda la cancelleria per quanto di competenza. 
    Della presente ordinanza,  successivamente  allegata  a  verbale,
viene data lettura in pubblica udienza alla presenza delle parti. 
        Novara, addi' 12 dicembre 2010 
 
                         Il giudice: Fasano