N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2010

Ordinanza del 5 febbraio 2010 emessa  dal  Tribunale  di  Biella  nel
procedimento penale a carico di P.E.. 
 
Processo   penale   -   Dibattimento   -   Contestazioni   nell'esame
  testimoniale - Preclusione della possibilita' che le  dichiarazioni
  lette per la contestazione siano valutate, oltreche'  ai  fini  del
  giudizio di  credibilita',  altresi'  ai  fini  della  prova  della
  violenza o minaccia ovvero dell'offerta o della promessa di  denaro
  o altra utilita' che, ai termini del comma  4  dell'art.  500  cod.
  proc.  pen.,  determinerebbe  l'acquisizione   al   fascicolo   del
  dibattimento  delle  dichiarazioni  contenute  nel  fascicolo   del
  pubblico ministero - Violazione del principio secondo cui la  legge
  regola i casi in cui la formazione della  prova  non  ha  luogo  in
  contraddittorio per effetto di provata condotta illecita. 
- Codice di procedura penale, art. 500, comma 2. 
- Costituzione, art. 111, comma quinto. 
(GU n.21 del 26-5-2010 )
 
                       IL TRIBUNALE ORDINARIO 
 
    Nella persona del Giudice dott. Andrea Antonio Salemme, all'esito
della Camera di consiglio di cui all'odierna udienza,  ha  pubblicato
mediante lettura la seguente ordinanza di rimessione degli atti  alla
Corte costituzionale nel procedimento penale n. 430/09  R.G.N.  R.  a
carico di E. P. 
    Si procede nei confornti del P. per il delitto di  maltrattamenti
in  famiglia  dal  medesimo  commesso,  secondo   la   prospettazione
accusatoria, ai danni della convivente D.C. 
    Quest'ultima, escussa come teste  all'udienza  del  22  settembre
2009, ha integralmente ritrattato tutte le accuse mosse al P. dinanzi
alle Forze dell'ordine, che,  in  plurime  riprese,  la  assunsero  a
sommarie informazioni. Stando alla versione dalla  medesima  riferita
in dibattimento, i racconti fatti  agli  operanti  della  Polizia  di
Stato di Biella il 28 aprile 2007 ed il 13 agosto 2007, agli operanti
dell'aliquota di Polizia giudiziaria dei Carabinieri di Biella  il  3
marzo 2008 ed agli operanti della stazione  dei  Carabinieri  di  San
Cristoforo a Milano il  25  giugno  2008  sono  integralmente  falsi,
poiche'  l'imputato  non  l'avrebbe  mai  picchiata   ne'   tantomeno
maltrattata. 
    A domanda sia del Giudice che del  pubblico  ministero,  volta  a
comprendere se ella avesse paura dell'imputato o di altra persona per
eventuali  conseguenze  nefaste  della  sua  deposizione,  tanto   ha
espressamente escluso. Contestatole dal pubblico ministero  che  agli
operanti della stazione dei Carabinieri di San Cristoforo  a  Milano,
addi' 25 giugno 2008, aveva  dichiarato  di  temere  per  la  propria
incolumita', ragione per la quale non aveva mai  formalizzato  alcuna
denunzia per gli episodi antecedenti quello del 13 agosto  2007,  per
cui si procede, ha risposto che in  tale  occasione  aveva  detto  il
falso (p. 34 s. delle trascrizioni). Per vero,  dalla  lettura  delle
dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dalla C.,  in
tutte le occasioni piu' sopra menzionate, acquisite  siccome  oggetto
di contestazione da parte del pubblico ministero, si apprende che  in
ogni  caso  in  cui  ella  aveva  deciso  di  rivolgersi  alle  Forze
dell'ordine, l'imputato la  picchio'  e  la  minaccio':  addirittura,
nella parte finale del  processo  verbale  di  sommarie  informazioni
rese,  come  detto,  dinanzi  agli  operanti   della   stazione   dei
Carabinieri  di  San  Cristoforo  a  Milano,  leggesi  che  gia'   in
precedenza  altra   querela   ella   aveva   sporto   nei   confronti
dell'imputato, di poi pero' rimettendola, a seguito delle minacce  di
morte che quegli, venutone a conoscenza, le aveva rivolto. Del resto,
la stessa ricostruzione dell'episodio del 13 agosto 2007,  giusta  le
sommarie informazioni rese agli  operanti  dell'aliquota  di  Polizia
giudiziaria dei Carabinieri di Biella, rende conto  di  un  rinnovato
atteggiamento di violenza dell'imputato proprio al fine di  impedirle
di telefonare  alle  Forze  dell'ordine:  atteggiamento  rispetto  al
quale, tuttavia, la  C.  si  e'  limitata  laconicamente  a  dire  in
dibattimento che quanto in allora riferito non corrisponde a  verita'
(p. 32 delle trascrizioni). 
    A fronte di quanto detto sin qui, ritiene il  Tribunale  che  sia
rilevante  e   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  500  comma  2  c.p.p.  per
violazione dell'art. 111, comma  5  Cost.  nella  parte  in  cui  non
consente che le dichiarazioni  lette  per  la  contestazione  possano
essere valutate, oltreche' ai fini del giudizio di  credibilita'  del
teste, altresi' ai fini della prova della violenza o minaccia, ovvero
anche, uscendo dalla prospettiva del caso che ne occupa, dell'offerta
o della promessa di denaro od altra  utilita',  che,  a  termini  del
comma 4  del  medesimo  articolo,  determinerebbe  l'acquisizione  al
fascicolo  del  dibattimento  delle   dichiarazioni   contenute   nel
fascicolo del pubblico ministero. 
    Sulla rilevanza della questione non v'e' molto da dire. 
    La dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
impugnata consentirebbe di acquisire al  fascicolo  del  dibattimento
quella parte delle dichiarazioni della C. che riferiscono di violenze
o minacce perpetrate dall'imputato nei suoi  confronti  quante  volte
ella  manifesto'  l'intento  di  denunziarlo  o   querelarlo   ovvero
effettivamente  lo  denunzio'  o  lo  querelo'.  Dette  dichiarazioni
sarebbero  utilizzabili  e  valutabili,  non  solo  per  saggiare  la
credibilita'  della  C.  in  rapporto  alla   versione   fornita   in
dibattimento, ma tout court per fondare il libero  convincimento  del
Giudice circa la sottoposizione della medesima a violenze o  minacce.
Sia consentito soltanto di osservare che da  cio'  non  discenderebbe
pianamente ed immediatamente  l'utilizzabilita'  e  la  valutabilita'
dell'intero corpus delle dichiarazioni  rese  dal  teste  nella  fase
delle indagini preliminari, perche' tanto presupporrebbe che a priori
il   Giudice,   giust'appunto   nell'esercizio   del    suo    libero
convincimento,  reputasse  integrato  il  requisito  degli  «elementi
concreti», in rapporto ad un eterocondizionamento del teste,  che,  a
termini dell'art. 500  comma  4  c.p.p.,  funge  da  presupposto  per
l'acquisizione  di  detto  corpus  al  fascicolo  del   dibattimento.
Nondimeno, allo  stato  attuale  del  quadro  normativo,  poiche'  le
dichiarazioni lette per la contestazione possono essere utilizzate  e
valutate ai  soli  fini  del  giudizio  di  credibilita'  del  teste,
l'emersione di episodi di violenze o  minacce  cui  quest'ultimo  sia
stato sottoposto siccome esplicitati durante le  indagini,  ben  puo'
indurre a predicare di non credibilita' il teste medesimo, ma giammai
puo' rilevare ex se quale argomento che, da solo od insieme ad altri,
consenta al Giudice di apprezzare l'effettiva verificazione  di  tali
episodi  e  di  poi  l'effettiva  forza  intimidatrice  dagli  stessi
spiegata. 
    Le superiori battute gia' introducono al tema della non manifesta
infondatezza, che, quantomeno a sommesso avviso del Tribunale, permea
la questione. 
    Non ignora il Tribunale l'ormai costante insegnamento di  codesta
eccellentissima Corte secondo cui l'opzione legislativa di rendere il
dibattimento impermeabile agli atti lato  sensu  istruttori  compiuti
nella fase delle indagini, lungi dall'essere irragionevole,  risponde
invece all'architettura del  rinnovato  processo  penale  secondo  un
impianto accusatorio, il quale postula per definizione la  formazione
della prova in linea  di  massima  nel  contraddittorio  delle  parti
dinanzi ad un Giudice terzo. Invero l'avviso espresso originariamente
nell'ordinanza n. 36 del 14 febbraio 2002,  che,  innovando  rispetto
alla necessita' di assicurare garanzia di attuazione al principio  di
non  dispersione  dei  mezzi  di  prova  (enucleato,  in  un  diverso
contesto, dalla sentenza n. 255 del  18  maggio  1992),  reputa  «del
tutto coerente [con il nuovo assetto costituzionale] la previsione di
istituti che mirino a preservare la fase  del  dibattimento  -  nella
quale assumono valore paradigmatico i principi della oralita'  e  del
contraddittorio  -  da  contaminazioni  probatorie  fondate  su  atti
unilateralmente raccolti nel corso delle indagini  preliminari»,  con
la conseguenza a termini della quale perfettamente  legittima  appare
«l'esigenza di impedire che l'istituto delle contestazioni -  proprio
perche'  configurato   quale   veicolo   tecnico   di   utilizzazione
processuale di  dichiarazioni  raccolte  prima  e  al  di  fuori  del
contraddittorio  -  si  atteggi  alla  stregua   di   meccanismo   di
acquisizione illimitato ed incondizionato di  quelle  dichiarazioni»,
trovasi  sempre  invocato  e  financo  riprodotto   nelle   ordinanze
successive, sino all'ultima, ossia la n. 137 del 24  marzo  2005,  la
quale, nel pronunziare circa la dedotta questione  di  illegittimita'
costituzionale della disposizione pure odiernamente impugnata per  il
caso in cui il teste liberamente  scelga  di  deporre  il  falso,  ha
chiarito come «l'art. 111, quinto comma, Cost., nel  prefigurare  una
deroga al principio della formazione della prova  in  contraddittorio
"per effetto di provata condotta illecita'', abbia  inteso  riferirsi
alle sole "condotte illecite''  poste  in  essere  «sul»  dichiarante
(quali la violenza, la minaccia o la  subornazione)  e  non  anche  a
quelle realizzate «dal» dichiarante stesso in occasione dell'esame in
contraddittorio (quale, principalmente, la  falsa  testimonianza):  e
cio' alla luce sia della ratio del precetto costituzionale,  che  del
suo necessario coordinamento con la previsione  del  secondo  periodo
del quarto  comma  del  medesimo  art.  111,  che  immediatamente  lo
precede». 
    Ritiene nondimeno il Tribunale che detto insegnamento  non  possa
trovare applicazione qualora il recupero  del  materiale  lato  sensu
istruttorio raccolto nella fase delle indagini sia finalizzato a  far
entrare  nel  dibattimento  la  rappresentazione   delle   condizioni
comprovanti la coartazione o l'induzione ab extrinseco  del  teste  a
non rispondere o a rispondere falsamente alle domande. 
    Opinare diversamente significherebbe  legittimare  un  meccanismo
che ci si permette di  definire  cortocircuitante:  le  dichiarazioni
lette per la  contestazione  dispiegano  infatti  piena  valenza  per
fondare un giudizio di non credibilita' del teste, si  badi,  non  in
relazione alla negazione dei (o al silenzio circa  i)  fatti  oggetto
dell'imputazione,  ma  all'affermazione  di  non  essere  vessato  da
violenze o minacce o di non essere indotto da promessa di  denaro  od
altra utilita'  a  tacere  o  mentire;  tuttavia  non  consentono  di
contribuire alla formazione  del  libero  convincimento  del  Giudice
circa l'effettiva  sussistenza  della  coartazione  od  induzione  ab
extrinseco. D'altronde, un teste coartato od indotto  a  tacere  o  a
mentire, giammai conferma in  dibattimento  di  essere  sottoposto  a
siffatta coartazione od induzione, giacche', qualora cio' faccia, per
cio'  solo  svanirebbero  gli   effetti   e   della   coartazione   e
dell'induzione, con il conseguente disvelamento della  posizione  del
teste medesimo anche in relazione ai  fatti  su  cui  e'  chiamato  a
deporre:  invece  e'  proprio  nei  casi  in  cui  la  coartazione  o
l'induzione  hanno  successo  che  si  apprezza  la   necessita'   di
recuperare  le  precedenti  dichiarazioni  del  teste,  al  fine   di
illuminare circa l'effettiva sussistenza degli estremi o  dell'una  o
dell'altra. Cio' tanto piu' in quanto,  in  difetto  di  elementi  di
valutazione della coartazione o dell'induzione  ulteriori  e  diversi
rispetto alle precedenti dichiarazioni del teste,  che  concretamente
possono darsi ma anche  non  darsi,  esattamente  come  nel  caso  di
specie, giusta quel che accade con regolarita' laddove si proceda per
reati originanti in un rapporto duale tra autore e  vittima  ed  anzi
unidirezionale  dall'uno  all'altra,  impedire  il  riafforamento  di
siffatte dichiarazioni significa  obnubilare  il  precetto  dell'art.
111, quinto  comma,  Cost.:  la  rilevanza  della  «provata  condotta
illecita»   viene    pretermessa    in    radice,    perche'    viene
aprioristicamente  negata  la  possibilita'   stessa   di   «provare»
l'«illiceita'» della «condotta». 
    Valga, a mo' di chiosa, sottolineare come  l'illustrazione  della
questione nei termini teste' riassunti,  ancorche'  non  pretenda  di
apparire esaustiva, offra quantomeno spunti di riflessione, suggeriti
dalla  particolarita'  del  caso  sottoposto  alla   cognizione   del
Tribunale, mai  scandagliati  nelle  ordinanze  e  sentenze  rese  da
codesta eccellentissima Corte sull'argomento  di  che  trattasi,  per
l'effetto anelando, non gia' a riproporre una semplice riedizione del
principio di non dispersione dei mezzi di prova, quanto  piuttosto  a
tratteggiare una  rinnovata  funzionalizzazione  di  detto  principio
all'esigenza di  concretizzare  l'attuazione  dell'art.  111,  quinto
comma, Cost. laddove, stigmatizzado la  «provata  condotta  illecita»
come strumento di vulnerazione della genuinita' del  contraddittorio,
consente di  aprire  il  dibattimento  agli  apporti  informativi  di
formazione unilaterale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23, terzo e quarto comma , legge 11 marzo  1953,  n.
87, 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale affinche' decida  della  questione  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 500 comma 2 c.p.p. per violazione  dell'art.
111, quinto comma, Cost. nella parte  in  cui  non  consente  che  le
dichiarazioni lette per la  contestazione  possano  essere  valutate,
oltreche' ai fini del giudizio di credibilita' del teste, altresi' ai
fini della prova della violenza  o  minaccia  ovvero  dell'offerta  o
della promessa di denaro od altra utilita' che, a termini del  quarto
comma  del  medesimo  articolo,  determinerebbe   l'acquisizione   al
fascicolo  del  dibattimento  delle   dichiarazioni   contenute   nel
fascicolo del pubblico ministero; 
    Sospende il giudizio in corso; 
    Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza  di  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al Presidente del
Consiglio dei ministri e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso a Biella, nella  pubblica  udienza  del  5  febbraio
2010. 
 
                 Il Giudice: Andrea Antonio Salemme