N. 179 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 giugno 2009
Ordinanza del 9 giugno 2009 emessa dal Giudice dell'esecuzione di Tribunale di Bergamo sul ricorso proposto da Zouhir Housni. Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi - Esclusione per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, numero 11-bis, cod. pen. (fatto commesso dal colpevole mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale) - Violazione del principio di ragionevolezza e del principio della finalita' rieducativa della pena. - Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lett. a), come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. m), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.24 del 16-6-2010 )
TRIBUNALE Il Giudice dell'esecuzione dott.ssa Ilaria Sanesi, nel procedimento di esecuzione promosso dal difensore di fiducia di Zouhir Housni, in atti generalizzato, avv. Sergio Pezzucchi del Foro di Brescia, volto ad ottenere la sospensione del provvedimento di cumulo di pene concorrenti con contestuale ordine di carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo in data 25 febbraio 2009 e con il quale viene eccepita l'illegittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost. dell'art. 656, comma 9, lettera a), come modificato dall'art. 2, comma 3, lettera m) della legge n. 125/2008 limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma numero 11-bis del medesimo codice», Sentite le parti all'odierna udienza camerale, ha emesso la seguente: Ordinanza Zouhir Housni risulta condannato con sentenza del Tribunale di Bergamo in data 20 marzo 2008, irrevocabile il 15 gennaio 2009, alla pena di mesi sette di reclusione per il reato di cui agli artt. 337 e 339 c.p., nonche' con sentenza del Tribunale di Brescia in data 1° ottobre 2008, irrevocabile il 13 novembre 2008, alla pena di mesi otto e giorni venti di reclusione per i reati di cui agli artt. 62-bis, 61 n. 11-bis c.p. e 337 c.p. e 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998. Con provvedimento in data 25 febbraio 2009 la Procura della Repubblica di Bergamo, competente in virtu' della data di passaggio in giudicato della prima sentenza, applicava il cumulo delle due pene, determinando la pena complessiva da espiare in anni uno, mesi uno e giorni sedici di reclusione ed emettendo contestuale ordine di carcerazione, non potendo disporsi la sospensione dell'esecuzione di cui al quinto comma dell'art. 656 c.p.p. in virtu' dell'ampliamento delle cause ostative di cui al nono comma introdotta con d.l. 23 maggio 2008 n. 92 conv. nella legge 24 luglio 2008, n. 125. Avverso tale provvedimento propone ricorso il difensore, chiedendo al Giudice dell'esecuzione di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 656, nono comma c.p.p. come novellato dalla citata legge n. 125/2008 nella parte in cui include tra le cause ostative alla sospensione dell'esecuzione la condanna per un reato aggravato ex art. 61 n. 11-bis c.p., provvedendo, altresi', a sospendere l'esecuzione dell'ordine di carcerazione (di fatto non ancora eseguito) in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. La questione e' rilevante, dovendo Zouhir Housni scontare una pena di durata inferiore ai tre anni, la cui esecuzione, in assenza della novella, sarebbe stata sospesa, al fine di consentirgli d'accedere a misure alternative alla detenzione. L'ordine di carcerazione, essendo stato regolarmente adottato sulla base della disciplina vigente, non puo' essere oggetto di sospensione (cfr. Cass. Pen. sez. 11, 15 marzo 2000, n. 1443): tale dato processuale, tuttavia, non esclude la rilevanza della questione, in quanto l'accoglimento dall'eccezione da parte della Corte costituzionale determinerebbe il venir meno della preclusione, consentendo al condannato - a maggior ragione in considerazione del fatto che l'ordine di carcerazione non e' stato eseguito a causa dell'irreperibilita' dello stesso - di proporre da libero istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione. L'ordine di carcerazione impugnato, inoltre, non e' stato ancora stato notificato al condannato ed eseguito, con la conseguenza che l'eventuale accoglimento della censura d'illegittimita' costituzionale consentirebbe a questo Giudice d'ordinarne la sospensione, provvedimento allo stato precluso dalla conformita' dello stesso al dettato normativo. Quanto all'ulteriore presupposto della non manifesta infondatezza, non puo' non rilevarsi, in primo luogo, la violazione dell'art.3 della Costituzione sotto il profilo del principio di ragionevolezza. Con il d.l. n. 92/2008 il legislatore ha optato per un trattamento di particolare rigore nei confronti degli stranieri non in regola con la normativa sul soggiorno, introducendo l'aggravante comune di cui all'art. 61 n. 11-bis c.p., ampliando la portata applicativa delle norme in materia di espulsione a titolo di misura di sicurezza ed escludendo che i clandestini possano beneficiare della sospensione delle pene detentive inferiori ai tre anni di cui all'art. 656, quinto comma c.p.p. Tale causa ostativa alla sospensione dell'esecuzione delle pene detentive brevi, tuttavia, rappresenta un unicum nel sistema delineato dalla legge c.d. Simeone, ispirata dall'esigenza d'evitare l'ingresso in carcere di soggetti che potrebbero usufruire di misure alternative al carcere perche' condannati a pene detentive brevi, in ragione di una presunzione di scarsa pericolosita' sociale basata sull'entita' della pena irrogata. Specularmente, le ipotesi d'inoperativita' della sospensione previste dal comma 9, lett. a) dell'art. 656 c.p.p. si fondano su una presunzione di pericolosita' in relazione al titolo di reato, alla gravita' della sanzione edittale o al particolare allarme sociale destato da talune condotte criminose, cui s'affiancano condizioni d'accertata pericolosita', quali l'essere il soggetto in regime di custodia (lett. b) o la recidiva (lette). In quest'ambito, il divieto di sospensione collegato alla condizione di clandestinita' introduce una deviazione del tutto irragionevole, fondandosi la presunzione di maggior pericolosita' non sulla gravita' del reato o su circostanze concrete della condotta, ma su una condizione soggettiva di mera irregolarita' sotto il profilo amministrativo e conducendo al paradossale risultato di considerare piu' pericoloso (e meritevole dell'immediata carcerazione) il clandestino autore di un reato di modestissima gravita' e condannato ad una pena di brevissima durata rispetto al non clandestino (cittadino o straniero) responsabile di un reato ben piu' grave e condannato ad una pena elevata (il limite di pena di cui al quinto comma dell'art. 656 c.p.p. vale, infatti, anche per le pene residue). Con cio', non si disconosce che - come osservato dalla Corte - «la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale e' collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali la sicurezza e la sanita' pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema d'immigrazione e tale ponderazione spetta in via preminente al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un'ampia discrezionalita'", ma tale discrezionalita' incontra un limite insuperabile nella non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative operate (cfr. sentenza n. 148 del 2008, sentenza n. 206 del 2007). L'esclusione della sospensione dell'esecuzione, invero, introduce un'aprioristica presunzione di pericolosita', in ragione della quale molti stranieri sono costretti ad espiare in regime di detenzione anche pene detentive molto brevi, non a causa del titolo di reato per il quale e' intervenuta condanna, ma in relazione ad uno stato soggettivo come la clandestinita', che, oltretutto, nel lasso temporale tra la pronuncia e l'esecuzione della condanna, potrebbe essere venuto meno. La disparita' di trattamento rispetto ai non clandestini e' palese e non giustificata ne' dalla gravita' del reato, ne' dall'accertata maggior pericolosita' (come nel caso della recidiva), ne' da esigenze di controllo del fenomeno migratorio illegittimo, che, ammesso che rientrino tra gli interessi di rango costituzionale, non sono equiparabili alla tutela della liberta' personale e alla finalita' rieducativa della pena, in relazione a soggetti la cui pericolosita' al momento dell'esecuzione della pena non e' affatto dimostrata, tanto e' vero che, nel frattempo, potrebbero essersi regolarizzati. Ne' la condizione di clandestinita' puo' essere paragonata alla recidiva reiterata, unica altra causa ostativa alla sospensione «soggettiva», trovando in questo caso l'esclusione dal beneficio giustificazione nell'accertata maggior pericolosita' e nell'inefficacia deterrente delle precedenti condanne. Il profilo d'incostituzionalita' di maggior evidenza della norma in questione, tuttavia, lo si apprezza nel raffronto con il principio della finalita' rieducativa della pena enunciato nell'art. 27 Cost., che rappresenta la ratio ispiratrice del meccanismo della sospensione delle pene detentive brevi. Non si comprende, infatti, per quale ragione il percorso di espiazione della pena mediante misure alternative alla detenzione, che e' volto ad evitare il traumatico impatto con la realta' carceraria e a favorire la riabilitazione del condannato, debba essere precluso agli stranieri clandestini, costringendoli in ogni caso a far ingresso in carcere, magari per espiare una pena di durata minima, per la quale qualsiasi altro condannato otterrebbe senza difficolta' la concessione di una misura alternativa. Il divieto di sospensione dell'ordine di carcerazione, certamente, non preclude al condannato di avanzare l'istanza di cui all'art. 656, quinto comma c.p.p.: il fondamento dell'istituto della sospensione, tuttavia, e' quello d'evitare l'impatto con il carcere in tutti i casi in cui il condannato puo' beneficiare delle misure extramurarie. In merito. deve, inoltre, richiamarsi il consolidato orientamento della Corte di cassazione, ormai favorevole all'applicazione delle misure alternative alla detenzione, in quanto funzionali alla rieducazione, agli stranieri clandestini (vd. Cass. Pen. sez. 1, 14.122004 n. 782; Cass. Pen. sez. 1, 18 ottobre 2005 n. 42234; Cass. S.U. 28 marzo 2006 n. 14500; Cass. Sez. I 4 aprile 2006, n. 17334). In applicazione di tale orientamento, infatti, il clandestino chiamato ad espiare una pena detentiva di breve durata potrebbe, ricorrendone i presupposti, beneficiare di misure alternative alla detenzione, ma sarebbe costretto ad accedervi solo dopo aver fatto ingresso in carcere. La condizione clandestinita', in altri termini, non sarebbe ostativa alla concessione delle misure alternative, ma al meccanismo processuale che ne garantisce l'effettivita'. La norma censurata, dunque, non solo comporta un'irragionevole disparita' di trattamento del clandestino rispetto al non clandestino, ma non e' coerente con l'ordinamento penitenziario nel suo complesso, la cui finalita' rieducativa non puo' essere compromessa da scelte legislative finalizzate alla regolamentazione del fenomeno migratorio. Come osservato dalla Suprema Corte nella citata sentenza a sezioni unite, del resto, «le misure alternative alla detenzione in carcere, per la finalita' rieducativa e di risocializzazione che ad esse e' propria, devono essere applicate nei confronti di tutti coloro che si trovano ad espiare pene inflitte dal Giudice italiano in istituti italiani, senza differenza di nazionalita', non esistendo alcuna incompatibilita' tra l'espulsione da eseguire a pena espiata e le varie opportunita' trattamentali che l'ordinamento offre, dirette a favorire il reinserimento del condannato nella societa', posto che, in un'ottica transnazionale, la risocializzazione non puo' assumere connotati nazionali, ma va rapportata alla collaborazione tra gli Stati nel settore della giurisdizione penale». In ragione di quanto sopra, non potendo il procedimento essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione prospettata, ad avviso del Tribunale rilevante e non manifestamente infondata, e' necessario disporre l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, dichiarando, nelle more, la sospensione del giudizio in corso.
P. Q. M. Visti gli artt.134 della Costituzione e 23 della legge n. 87/1953; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e, per l'effetto; Dichiara la sospensione dell'emarginato procedimento di esecuzione. Manda alla Cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda alla Cancelleria per la notifica del presente provvedimento al condannato presso il difensore e al difensore. Bergamo, 8 giugno 2009 Il Giudice: Sanesi