N. 277 ORDINANZA 7 - 22 luglio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' -  Soggetti  condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  delle  norme
  censurate - Facolta' di  accesso  alla  definizione  agevolata  del
  procedimento  mediante  pagamento  di  una  percentuale  del  danno
  quantificato nella sentenza di primo grado - Mancata previsione  di
  analoga  possibilita'  per  il  caso  di  condanna  in  appello   -
  Denunciata irragionevolezza  nonche'  violazione  dei  principi  di
  parita' processuale delle parti e di imparzialita' e buon andamento
  della pubblica amministrazione - Questione astratta e prematura  e,
  pertanto, priva di attuale rilevanza - Manifesta inammissibilita'. 
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 231, 232 e 233. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111. 
(GU n.30 del 28-7-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1,  commi  231,
232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato -  legge
finanziaria 2006), promosso dalla Corte dei  conti  -  terza  sezione
centrale  d'appello,  nei  procedimenti  riuniti  vertenti   tra   il
Procuratore  regionale  presso  la  sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Calabria e G.S. ed altro, con ordinanza del  24  marzo  2009,
iscritta al n. 182 del registro ordinanze  2009  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  26, 1ª  serie   speciale,
dell'anno 2009. 
    Visti l'atto di costituzione di G.S. ed altro nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore
Paolo Maddalena; 
    Uditi l'avvocato Antonino Murmura per G.S. ed altro e  l'avvocato
dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    Ritenuto  che  la  Corte  dei  conti,  sezione   terza   centrale
d'appello, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  97  e  111
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre  2005,  n.
266  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), nella parte in cui
non prevede l'applicazione dell'istituto della definizione  agevolata
anche a coloro la cui sentenza di  assoluzione  in  primo  grado  sia
stata riformata in appello, a seguito dell'accoglimento  del  gravame
interposto dal pubblico ministero; 
        che, in punto di descrizione della fattispecie, il giudice  a
quo riferisce che la sezione giurisdizionale per la Regione  Calabria
della Corte dei conti, con  sentenza  in  data  14  maggio  2005,  ha
mandato assolti V.R., assessore ai lavori pubblici del Comune di  San
Calogero, ed il responsabile  dell'ufficio  tecnico  comunale,  S.G.,
essendo stata, nei loro confronti, esclusa la violazione di  obblighi
di servizio  quanto  alla  vigilanza  sulla  esecuzione  dei  singoli
adempimenti  connessi  a  una  procedura  acquisitiva  per   pubblica
utilita'; rileva ancora che,  avverso  tale  pronuncia,  il  pubblico
ministero ha proposto appello, chiedendo la  condanna  dei  convenuti
assolti in primo grado, mentre il  R.  ed  il  G.  hanno  chiesto  la
conferma della pronuncia assolutoria; 
        che le  norme  denunciate  prevedono,  con  riferimento  alle
sentenze di primo grado pronunciate nei  giudizi  di  responsabilita'
dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla
data di entrata in  vigore  della  legge,  che  i  soggetti  nei  cui
confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere
alla competente sezione di appello, in sede  d'impugnazione,  che  il
procedimento venga definito mediante il pagamento di  una  somma  non
inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per certo  del  danno
quantificato nella sentenza; che la sezione di appello,  con  decreto
in camera di consiglio, sentito il procuratore  competente,  delibera
in merito alla richiesta e, in caso  di  accoglimento,  determina  la
somma dovuta in misura non  superiore  al  30  per  cento  del  danno
quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per
il versamento; che  il  giudizio  di  appello  s'intende  definito  a
decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento  presso
la segreteria della sezione di appello; 
        che, quanto alla rilevanza del dubbio  di  costituzionalita',
il giudice a quo ne motiva la sussistenza, affermando che i convenuti
«erano stati assolti in primo grado ed ora l'appello principale della
parte pubblica ne chiede  una  condanna  che  verrebbe  eventualmente
pronunciata per la prima volta in questo secondo grado del giudizio»; 
        che, in punto di non manifesta infondatezza della  questione,
la  Corte  dei  conti  osserva  che  le  disposizioni  denunciate  si
propongono di "far  cassa",  vale  a  dire  di  far  conseguire  alle
pubbliche amministrazioni con immediatezza i proventi derivanti dalle
sentenze contabili di condanna pronunciate  a  loro  favore,  cui  si
aggiunge l'esigenza di porre sia pur  parziale  rimedio  all'asserita
esigua percentuale di realizzazioni di crediti erariali derivanti  da
tali sentenze: come ricorda la sentenza n. 242 del 2008  della  Corte
costituzionale, «la ratio delle norme in esame e' soltanto quella  di
ottenere   un'accelerazione   del   processo,   nonche'   un   rapido
incameramento da parte  dell'Erario  almeno  delle  somme  di  minore
entita' e non quello di configurare una ipotesi di condono»; 
        che, secondo il  giudice  rimettente,  rimane  «difficilmente
comprensibile come un soggetto la cui responsabilita' sia apparsa con
minore evidenza non possa giovarsi di una  normativa  di  favore,  ma
cio' possa invece fare un soggetto ritenuto colpevole sin  dal  primo
grado del  giudizio»:  infatti  «in  quest'ultimo  caso  il  pubblico
ministero contabile, avendo realizzato la propria pretesa, non potra'
proporre  appello,  ma  nel  primo  [caso],  non  avendo   conseguito
successo,  potra'  insistere  nella  sua  domanda»  e,  «se   dovesse
conseguire   il   risarcimento   in    extremis»,    lo    otterrebbe
«definitivamente  ed  incondizionatamente,  a  differenza  di  quanto
sarebbe avvenuto in primo grado, dove il risarcimento  immediatamente
conseguito  sarebbe  stato  esposto  al  concreto  rischio   di   una
diminuzione»; 
        che vi sarebbe una violazione del principio di eguaglianza  e
di  parita'  processuale  delle  parti,  giacche',   a   parita'   di
condizioni, un soggetto condannato in primo grado potrebbe  avvalersi
del beneficio, mentre un altro si vedrebbe  sottratta  tale  facolta'
soltanto  perche'  la  pretesa  della  parte  pubblica   ha   trovato
soddisfazione nel secondo grado del giudizio; 
        che sarebbe violato anche  il  principio  di  ragionevolezza,
poiche' l'esigenza di un rapido incameramento  da  parte  dell'Erario
permarrebbe anche in caso di condanna  solo  nel  grado  di  appello,
perche' anche in tal caso l'acquisizione nel processo e  prima  della
sua definizione di  una  parte  delle  somme  porrebbe  rimedio  alle
lungaggini  ad  ai  rischi  connessi  all'esecuzione  delle  sentenze
contabili,  consentendo  una  pronta  e  sicura,  pur  se   parziale,
riscossione; 
        che, secondo la Corte dei conti, non  potrebbe  negarsi  alla
parte privata  la  possibilita'  di  richiedere  di  avvalersi  della
procedura in esame perche' la pronuncia di  condanna  e'  intervenuta
solo in appello: le norme impugnate violerebbero pertanto  l'art.  24
Cost.,  perche'  il  soccombente  solo  in  secondo   grado   sarebbe
espropriato dell'accesso alla procedura agevolata; 
        che  nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello   Stato,   che   ha   concluso   per
l'inammissibilita'  e,  comunque,  per  la   non   fondatezza   della
questione; 
        che la difesa erariale ricorda che, secondo la giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 183 e n. 184 del 2007; ordinanza  n.  392
del 2007), le norme di cui all'art. 1, commi 231, 232  e  233,  della
legge n. 266 del 2005 non comportano alcuna deroga al  sistema  della
responsabilita'   amministrativa,   ma   hanno   una   finalita'   di
accelerazione dei relativi giudizi e di  garanzia  dell'incameramento
certo e immediato della quota  di  risarcimento  dovuto,  si  muovono
all'interno della discrezionalita' decisionale spettante  al  giudice
contabile  e  non  producono  alcun  ingiustificato   ed   automatico
meccanismo premiale, in quanto l'operativita' di esse presuppone  una
valutazione di merito del giudice contabile sul fatto che  l'esigenza
di giustizia possa ritenersi  soddisfatta  a  mezzo  della  procedura
accelerata, sicche' alla definizione in appello non puo' accedersi in
presenza di dolo del  condannato  o  di  particolare  gravita'  della
condotta; inoltre, la  riduzione  fino  al  trenta  per  cento  della
condanna di primo grado non e' automatica, ma  scaturisce  unicamente
da un esame della Corte dei conti in sede camerale, condotto in  base
al   normale   potere   del   giudice   contabile   di    determinare
equitativamente  quanta  parte  del  danno  accertato  debba   essere
addossato al convenuto (sentenza n. 242 del 2008); 
        che,  secondo  l'Avvocatura,  non  saremmo  in  presenza   di
situazioni uguali trattate in modo diverso o di situazioni omogenee o
assimilabili fra loro, ma di situazioni differenti  che  giustificano
una distinta disciplina: in un caso (condanna in  primo  grado)  c'e'
una determinazione del  debito  risarcitorio  da  parte  del  giudice
contabile, sicche', muovendosi all'interno del  perimetro  della  sua
discrezionalita' decisionale, il giudice d'appello potra' valutare se
accogliere  l'istanza  di  definizione  agevolata,   consentendo   di
soddisfare sia l'esigenza di giustizia,  di  accelerare  i  tempi  di
definizione del  giudizio  e  di  garantire  il  soddisfacimento  del
credito  erariale  con  l'incameramento  certo  e   immediato   della
percentuale ritenuta congrua del giudice d'appello stesso; nell'altro
caso (assoluzione in primo grado)  manca  l'elemento  fondamentale  e
imprescindibile della determinazione del debito risarcitorio da parte
del giudice  di  primo  grado  e  non  si  realizza  neanche  l'altro
indefettibile presupposto dell'accelerazione del  grado  di  giudizio
d'appello e dell'effetto deflattivo del  contenzioso,  che  dovrebbe,
invece, svolgersi compiutamente  proprio  per  quantificare  l'intero
danno subito dall'Amministrazione; 
        che,  ad  avviso  della  difesa  erariale,  le   disposizioni
impugnate sono coerenti,  non  contraddittorie  e  non  contrarie  al
principio di ragionevolezza:  il  giudice  rimettente  finirebbe  per
chiedere alla Corte costituzionale di «scrivere» una nuova e  diversa
norma, che dovrebbe avere anche presupposti diversi sotto il  profilo
sia qualitativo  che  quantitativo,  e  di  compiere  valutazioni  di
opportunita' riservate alla competenza esclusiva del legislatore; 
        che nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti S.G. e
V.R., i quali hanno concluso per la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale dei commi 231, 232 e 233 dell'art. 1  della  legge  n.
266 del 2005, instando, in subordine, per  «la  possibilita'  di  una
decisione   additiva   che    consenta,    su    esplicita    istanza
dell'interessato successiva alla pronuncia di accoglimento  totale  o
parziale dell'appello», «di ottenere il beneficio previsto»; 
        che, secondo la difesa delle parti private, la limitazione al
solo condannato in prima sede del beneficio riduttivo della  sanzione
violerebbe  lo  spirito  della   Costituzione,   poiche'   non   solo
derogherebbe alla norma generale  della  parita'  tra  le  parti  nel
processo, ma vulnererebbe canoni di logica,  di  senso  comune  e  di
ragionevolezza in ordine alla parita' di  trattamento  rispetto  alla
giurisdizione:  le  norme  denunciate,  quindi,  introdurrebbero  una
"pesante arbitrarieta'", realizzando un regime differenziato, e senza
un interesse apprezzabile determinerebbero  una  discriminazione  nei
confronti dell'assolto in primo grado. 
    Considerato  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
investe l'art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005,
n. 266  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato -  legge  finanziaria   2006),   il   quale
stabilisce, con riferimento alle sentenze di primo grado  pronunciate
nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per fatti
commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge,
che i soggetti nei cui confronti sia stata  pronunciata  sentenza  di
condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede
d'impugnazione,  che  il  procedimento  venga  definito  mediante  il
pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non  superiore
al 20 per certo del danno quantificato nella  sentenza  (comma  231);
che la sezione di  appello,  con  decreto  in  camera  di  consiglio,
sentito il procuratore competente, delibera in merito alla  richiesta
e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in  misura  non
superiore al 30 per cento del danno quantificato  nella  sentenza  di
primo grado, stabilendo il termine per il versamento (comma 232); che
il giudizio di appello s'intende definito a decorrere dalla  data  di
deposito della ricevuta di  versamento  presso  la  segreteria  della
sezione di appello (comma 233); 
        che la disposizione e'  impugnata  nella  parte  in  cui  non
prevede l'applicazione dell'istituto della  definizione  agevolata  a
coloro la cui sentenza  di  assoluzione  in  primo  grado  sia  stata
riformata  in  appello,  a  seguito  dell'accoglimento  del   gravame
interposto dal pubblico ministero; 
        che, ad avviso della Corte dei conti, sarebbero  violati  gli
artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, risultando
privo  di  logica  e  di  giustificazione  che  un  soggetto  la  cui
responsabilita' sia apparsa con minore evidenza non possa giovarsi di
una normativa di favore,  ma  cio'  possa  invece  fare  un  soggetto
ritenuto colpevole sin dal primo grado del giudizio; tanto  piu'  che
l'esigenza di un rapido incameramento  da  parte  dell'Erario  almeno
delle somme di minore entita' permarrebbe  anche  in  relazione  alle
somme dedotte in condanna solo nel grado di appello,  giacche'  anche
in tal caso l'acquisizione nel processo e prima della sua definizione
di una parte delle somme predette porrebbe rimedio alle lungaggini ad
ai  rischi  connessi   all'esecuzione   delle   sentenze   contabili,
consentendo un pronta e sicura, pur se parziale, riscossione; 
        che,  inoltre,  ad  avviso   del   rimettente,   la   mancata
applicazione della definizione agevolata  ai  condannati  in  appello
contrasterebbe con gli artt. 3 e 111  Cost.,  sotto  il  profilo  del
principio di  eguaglianza  e  di  parita'  processuale  delle  parti,
giacche' un soggetto condannato in primo grado potrebbe avvalersi del
beneficio, mentre  un  altro  si  vedrebbe  sottratta  tale  facolta'
perche' la pretesa della parte pubblica ha trovato soddisfazione solo
nel secondo grado del giudizio; 
        che, infine, sarebbe violato  l'art.  24  Cost.,  perche'  il
soccombente solo in secondo grado  sarebbe  espropriato  dell'accesso
alla procedura agevolata; 
        che il petitum avanzato dal giudice  rimettente  riguarda  la
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
censurata nella parte in  cui  non  consente  l'accesso  all'istituto
della definizione  agevolata  anche  a  coloro  la  cui  sentenza  di
assoluzione in primo grado sia stata riformata in appello, a  seguito
dell'accoglimento dell'impugnazione proposta dal pubblico ministero; 
        che  si  tratta  di  questione   che,   avuto   riguardo   al
procedimento principale, si presenta come astratta e prematura; 
        che il giudice del gravame non ha valutato se  l'impugnazione
appaia, almeno prima facie, non infondata; 
        che,  difettando  il  presupposto  prefigurato  dal   petitum
(accertamento  in  appello  della  responsabilita'   dei   convenuti,
destinatari di una pronuncia di assoluzione in primo grado), manca la
rilevanza attuale della questione per la definizione del  giudizio  a
quo (cfr. sentenza n. 317 del 2009; ordinanze n. 77, n. 39 e n. 3 del
2009); 
        che, pertanto,  la  questione  va  dichiarata  manifestamente
inammissibile. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233,  della
legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006),
sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  97  e  111   della
Costituzione,  dalla  Corte  dei  conti,   terza   sezione   centrale
d'appello, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Maddalena 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola