N. 229 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 febbraio 2010

Ordinanza del 4 febbraio 2010 emessa dal Giudice di pace di Gallarate
nel procedimento penale a carico di De Souza Vanda Jesus. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come  reato  -  Irragionevolezza
  sotto  diversi  profili,  anche  sotto   quello   sanzionatorio   -
  Disparita' di trattamento rispetto al reato  di  cui  all'art.  14,
  comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 - Violazione del  principio
  di uguaglianza e  del  principio  di  materialita'  -  Lesione  dei
  diritti inviolabili dell'uomo. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, e 25, comma secondo. 
(GU n.36 del 8-9-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel processo penale a carico di De  Souza  Vanda  Jesus,  nata  a
Altamira (Brasile il 2 dicembre 1970) in Italia senza  fissa  dimora,
elettivamente domiciliata presso l'avv. Ferrati Andrea  in  Gallarate
(Varese) Dif. Uff. Avv. Andrea  Ferrati  di  Gallarate  imputata  del
reato di cui all'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286/98  poiche'  essendo
cittadina  straniera  di  Paese  non  appartenente  all'U.E.,  faceva
ingresso ovvero si tratteneva sul territorio dello Stato senza essere
munita del prescritto visto di ingresso e/o permesso di soggiorno  in
violazione delle disposizioni del d.lgs.  n.  286/1998  e  successive
modifiche. 
    Accertato in Somma Lombardo (Malpensa) il 18 ottobre 2009. 
 
                              Ordinanza 
 
    Premesso che: 
        De Souza Vanda Jesus, indagata in stato di liberta', e' stata
identificata il 18 ottobre 2009 dalla Polizia di frontiera presso  lo
scalo aereo di Malpensa (Varese); ha  esibito  passaporto  brasiliano
rilasciato il 19 febbraio  2007  valido  sino  al  17  ottobre  2009,
risultato autentico; ha soggiornato irregolarmente in Trento  poiche'
priva di permesso di soggiorno o visto di ingresso; ha dichiarato  di
essere  coniugata  con  cittadino   italiano   esibendo   copia   del
certificato di matrimonio. 
    All'udienza  del  24  novembre  2009,  dichiarata  la  contumacia
dell'imputata  non   comparsa,   sull'eccezione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis d.lgs. n.  286/1998  come  introdotto
dall'art. 1, comma 16, legge 15 luglio 2009, n. 94 formulata dal  suo
difensore che si riservava  di  produrre  memoria,  la  causa  veniva
rinviata all'udienza del 4 febbraio  2010,  nella  quale  il  giudice
preso atto  della  questione  di  illegittimita'  costituzionale  ivi
sollevata, tenuto conto della varie ordinanze gia'  emesse  da  altri
giudici   sul   medesimo   tema,   aderendo   in   particolare   alle
argomentazioni dedotte dalla Procura della Repubblica  del  Tribunale
di Torino che fa proprie, osserva e ribadisce che: 
        l'art. 10-bis  del d.lgs.  n. 286/98  introdotto  dall'art.1,
comma 16,  della  legge  15  luglio  2009  n.  94  prevede  la  nuova
fattispecie  criminosa  dell'«ingresso  e  soggiorno   illegale   nel
territorio dello Stato» sanzionando con l'ammenda da 5.000  a  10.000
euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico
nonche' di quelle dell'art. 1 della legge 28 maggio 2007 n. 68»; 
        tale norma appare in contrasto  con  l'art.  3  della  Cost.,
sotto il profilo dell'irragionevolezza della  scelta  legislativa  di
criminalizzare l'ingresso e la permanenza dei clandestini nello Stato
italiano; 
        pur riconoscendo  che  compete  al  legislatore  un  generale
potere «di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione  ai
molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi  problemi
connessi ai flussi  migratori  incontrollati»  (Corte  costituzionale
sentenza n. 5/2004) facendo buon uso della sfera di  discrezionalita'
sua propria, l'azione di  tale  organo  costituzionale  trova  limiti
insuperabili nell'osservanza dei principi  fondamentali  del  sistema
penale stabiliti dalla  Costituzione  e  nell'adozione  di  soluzioni
orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica; 
        la irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  criminosa  e'
chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo  fondamento
giustificativo:  la   penalizzazione   di   una   condotta   dovrebbe
intervenire come estrema ratio, in  tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo. L'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie  incriminatrice
e' costituito  dall'allontanamento  dello  straniero  irregolare  dal
territorio  dello  Stato:  tale  misura  e'  prevista  come  sanzione
sostitutiva  irrogabile  dal  giudice  di  pace  ai  sensi  dell'art.
16 d.lgs. n. 286/98 appositamente modificato  per  comprendervi  trai
presupposti la sentenza di condanna per  il  reato  di  cui  all'art.
10-bis (cosi alterando anche con  l'espressa  introduzione  dell'art.
62-bis il sistema sanzionatorio designato dal d.lgs. n. 274/2000  che
prescriveva all'art. 62  l'espresso  divieto  di  applicazione  delle
altre  misure  sostitutive  di  pene  detentive  brevi);  inoltre  la
effettiva  espulsione   dello   straniero   in   via   amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  evidente  quale  sia  l'interesse  primario   perseguito   dal
legislatore; infine non e' richiesto alcun nulla osta  dell'Autorita'
Giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione, al chiaro scopo di  non
creare intralci alla predetta operazione. L'evidente finalita'  della
nuova  fattispecie  incriminatrice,  strumentale   all'allontanamento
dello straniero irregolare dal territorio dello Stato  ne  sottolinea
la  mancanza  di  una  ratio  giustificatrice,  perche'   lo   stesso
obbiettivo era perfettamente raggiungibile prima  della  introduzione
della nuova figura  di  reato,  mediante  l'adozione  dell'espulsione
coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4  d.lgs.
n. 286/98. L'ambito di applicazione della nuova fattispecie  coincide
perfettamente con quella  della  preesistente  misura  amministrativa
della espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari,  sia
sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa  che  c'era
gia' nell'ordinamento  italiano  uno  strumento  ritenuto  idoneo  al
raggiungimento dello scopo  (che  non  e'  stato  oggetto  di  alcuna
modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale  resta  privo
di ogni giustificazione; 
        l'irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  penale  emerge
anche sotto il profilo sanzionatorio; che comprende non solo la  pena
dell'ammenda  da  5.000  a  10.000  euro,  ma  anche  il  divieto  di
applicazione del beneficio della sospensione condizionale della  pena
e della facolta' concessa al giudice di pace di  sostituire  la  pena
pecuniaria con una sanzione piu' grave, quale quella  dell'espulsione
dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di
misura sostitutiva piu' grave della sanzione principale sostituita); 
        l'art.  3  Cost.  appare  violato  sotto  un  altro   profilo
specifico, concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra
la nuova fattispecie e quella dell'art. 14 comma 5-ter del  d.lgs. n.
286/98 che prevede  la  punibilita'  dello  straniero  inottemperante
all'ordine di allontanamento del Questore solo quando  lo  stesso  si
trattenga nel territorio dello Stato oltre  il  termine  stabilito  e
«senza giustificato motivo». Due condizioni che non si trovano  nella
nuova figura criminosa, cosicche' e' sufficiente il  venir  meno  per
qualche motivo del permesso di soggiorno perche'  sia  immediatamente
ed automaticamente integrata una ipotesi di  trattenimento  illecito,
senza alcuna possibilita' per l'interessato, di addurre  una  qualche
giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare. 
    Va richiamata al riguardo la sentenza della Corte  costituzionale
n. 5/2004 che ha salvato la  costituzionalita'  dell'art.  14,  comma
5, d.lgs. n. 286/98 proprio grazie all'interpretazione costituzionale
orientata della clausola «senza giustificato motivo»  considerata  al
pari di altre simili rinvenibile nell'ordinamento,  una  «valvola  di
sicurezza» del meccanismo repressivo atta ad evitare «che la sanzione
penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere  e
proprie cause di giustificazione - l'osservanza del  precetto  appaia
concretamente inesigibile» per i piu' svariati  motivi  riconducibili
«a situazioni ostative di particolare pregnanza  che  incidano  sulla
stessa   possibilita'   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempiere
all'intimazione,  escludendola  ovvero  rendendola   difficoltosa   o
pericolosa». Il nuovo reato di immigrazione  clandestina  non  appare
conforme alla Costituzione perche' punisce indiscriminatamente  tutti
i soggetti irregolarmente presenti nel territorio dello Stato,  senza
tenere conto della eventuale  esistenza  di  situazioni  legittimanti
tale presenza. 
    Il nuovo art. 10-bis d.lgs n.  286/98  appare  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost. nonche' con l'art.  25,  secondo  comma  Cost.,  avuto
riguardo   alla   configurazione   di    una    fattispecie    penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta'  del soggetto attivo; 
        infatti la nuova  fattispecie  incriminatrice  sanziona  solo
apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del
mancato allontanamento) in realta' in se' e per se' del tutto  neutra
agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto  dell'incriminazione
e' la mera  condizione  personale  dello  straniero,  costituita  dal
mancato possesso un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva
permanenza nel territorio dello  Stato,  che  e'  poi  la  condizione
tipica del migrante economico e dunque anche una condizione  sociale,
cioe' propria di una categoria di persone; una  situazione  priva  di
una qualche significativita' sotto  il  profilo  della  pericolosita'
sociale, difficilmente riconducibile ad  una  condotta  volontaria  e
consapevole  dello  straniero  migrante  essendo  costui  di   regola
costretto a fuggire dal proprio Stato di appartenenza per ragioni  di
sopravvivenza e a subire la sottrazione dei documenti (ove esistenti)
da parte delle compagini criminali che  organizzano  i  viaggi  della
speranza. La  criminalizzazione  del  migrante  economico  appare  in
contrasto sia con il principio di  uguaglianza  sancito  dall'art.  3
Cost.  che  vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra  l'altro   su
condizioni personali e sociali,  sia  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale secondo cui si  puo'  essere  puniti  solo  per  fatti
materiali (art. 25, secondo comma Cost.). 
    La Corte costituzionale si e' gia' espressa  in  modo  inequivoco
sul  punto  stabilendo  nella  sentenza  78  del  2007,  in  tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri  clandestini,  che  «il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva» «che  di  per  se'  non  e'  univocamente
sintomatica ... di una particolare pericolosita'  sociale»;  dal  che
consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di  rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in  detto  territorio
una  ragione  giustificativa  della  radicale  discriminazione  dello
straniero sul piano dell'accesso  al  percorso  rieducativo,  cui  la
concessione  delle  misure  alternative  e'  funzionale».  La   nuova
fattispecie renderebbe inapplicabile  la  citata  sentenza  della  C.
cost.  e  inaccessibili  le  misure  alternative  alla  detenzione  a
stranieri  clandestini   condannati   a   pene   detentive   perche',
sanzionando  penalmente  la  clandestinita'  dello  straniero,   essa
collega a tale  condizione  un  implicito,  quanto  ingiustificato  e
irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale, che  di  per  se'  e'
incompatibile - come ammesso dalla  stessa  Corte  cost.  -  «con  il
perseguimento  di  un  percorso  riabilitativo  attraverso  qualsiasi
misura alternativa». 
    La nuova fattispecie appare infine  in  contrasto  con  l'art.  2
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. Con parole lungimiranti  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita'  costituzionale  del  reato  di  mendicita'  di  cui
all'art. 670 c.p. non potendosi ritenere necessitato il ricorso  alla
regola penale per sanzionare la mera  mendicita'  non  invasiva  che,
risolvendosi in una semplice richiesta di  aiuto,  non  poteva  dirsi
porre seriamente in pericolo i  beni  giuridici  della  tranquillita'
pubblica  e  dell'ordine  pubblico.  Allo  stesso  modo  lo   spirito
solidaristico di cui e' impregnata la Carta  costituzionale  dovrebbe
impedire l'adozione di misure puramente repressive per  risolvere  il
problema dell'immigrazione; lo straniero  migrante  non  puo'  essere
considerato pericoloso per l'ordine e  la  tranquillita'  pubblica  e
colpevole per il solo fatto di esistere. 
    Le questioni di  costituzionalita'  sopra  enunciate  appaiono  a
questo giudice serie e comunque non  manifestamente  infondate:  esse
sono inoltre rilevanti  nel  processo  poiche'  se  accolte,  con  la
conseguente declaratoria di  illegittimita'  delle  norme  denunciate
comporterebbero l'assoluzione  dell'imputata  De  Souza  Vanda  Jesus
essendo la stessa chiamata a  rispondere  del  reato  di  ingresso  e
soggiorno illegale nel territorio  dello  Stato  ai  sensi  dell'art.
10-bis del d.lgs. n. 286/98 come introdotto dalla legge citata. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge cost.  9
febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la
rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998 n. 286 introdotto dall'art. 1 comma 16 a) della  legge
15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui prevede come reato il fatto
dello straniero che fa ingresso ovvero si  trattiene  nel  territorio
dello Stato in violazione delle norme citate, in relazione agli artt.
2, 3 primo comma, e 25 secondo comma della Costituzione; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
    Pronunciata in Gallarate nell'udienza del 4 febbraio 2010. 
 
                   Il Giudice di pace: Mastrangelo