N. 347 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 maggio 2010

Ordinanza del 6 maggio 2010 emessa dalla Corte d'appello di  L'Aquila
nel procedimento  civile  promosso  da  Di  Sabatino  Filippo  contro
Azienda USL di Pescara. 
 
Impiego pubblico  -  Norme  della  Regione  Abruzzo  -  Incarichi  di
  direttore  amministrativo,  direttore   sanitario   nelle   Aziende
  sanitarie, non conferiti dai direttori generali in carica alla data
  di entrata in vigore della legge censurata -  Prevista  cessazione,
  se non confermati, entro tre mesi dalla data  di  insediamento  del
  nuovo direttore generale - Prevista non spettanza  di  compenso  ed
  indennizzo al direttore amministrativo  o  direttore  sanitario  in
  caso di mancata conferma - Violazione dei principi di imparzialita'
  e buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -  Lesione  del
  principio  del  servizio  esclusivo  alla  Nazione   dei   pubblici
  impiegati. 
- Legge della Regione Abruzzo 23 giugno 2006, n. 20, art. 4, comma 1. 
- Costituzione, artt. 97, primo comma, e 98, primo comma. 
(GU n.46 del 17-11-2010 )
 
                         LA CORTE D'APPELLO 
 
    Sciogliendo la riserva, di cui al  verbale  dell'udienza  del  22
aprile 2010, ha pronunciato la seguente ordinanza in controversia  in
materia di lavoro, n. 359  del  ruolo  generale  dell'anno  2009,  su
appello  proposto  il  24  marzo  2009  dall'appellante  Di  Sabatino
Filippo, con l'avv. Franco Di Teodoro, contro la parte appellata AUSL
di Pescara, con l'avv. Tommaso Marchese, avverso sentenza n. 2035 del
di' 6 novembre 2008 del Giudice del Lavoro del Tribunale di Pescara. 
    Si controverte del risarcimento preteso da lavoratore  dipendente
appellante, assunto con contratto  di  lavoro  subordinato,  a  tempo
determinato per la durata di cinque anni, con mansioni  di  Direttore
Sanitario della AUSL. 
    Il risarcimento e' reclamato dall'appellante per avere subito  la
risoluzione del rapporto di lavoro, su iniziativa della  AUSL,  prima
del decorso del termine quinquennale. 
    La appellata AUSL ha receduto in forza dell'art. 4, comma  primo,
della Legge della Regione Abruzzo n. 20 del 23 giugno 2006. 
    Si dubita della  legittimita'  costituzionale  della  norma,  del
seguente tenore: 
    «Gli incarichi di direttore amministrativo,  direttore  sanitario
in  corso  nelle  Aziende  Sanitarie  d'Abruzzo  non  conferiti   dai
direttori generali in carica alla data della presente legge  cessano,
se non confermati, entro tre mesi  dalla  data  di  insediamento  del
nuovo direttore generale. Nessun compenso e indennizzo e' corrisposto
al direttore amministrativo o direttore sanitario in caso di  mancata
conferma». 
    La decisione sul punto e' pregiudiziale e rilevante;  se  venisse
espunta dall'ordinamento la norma in questione,  la  risoluzione  del
contratto di lavoro  sarebbe  illegittima,  perche'  non  prevista  e
consentita da norma alcuna, e  ne  deriverebbe  la  fondatezza  della
pretesa fatta valere in giudizio. 
    Il dubbio di costituzionalita' concerne la  compatibilita'  della
norma  con  i  principi  costituzionali  che  regolano  la   Pubblica
Amministrazione, e che statuiscono: 
      1) «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni  di
legge,  in  modo  che  siano   assicurati   il   buon   andamento   e
l'imparzialita' della amministrazione» (art. 97, comma primo); 
      2) «I pubblici  impiegati  sono  al  servizio  esclusivo  della
Nazione» (art. 98, comma primo). 
    Ci si domanda se  non  contrasti  con  tali  principi  il  potere
discrezionale, incondizionato ed assoluto, del soggetto che  subentri
nella carica di Direttore Generale di una AUSL,  di  espellere  dalle
loro   cariche   il   Direttore   Sanitario   ovvero   il   Direttore
Amministrativo o entrambi. 
    E' vero che la Corte Costituzionale ha  gia'  ritenuto  che  tale
potere  «concerne  l'organizzazione  della  struttura  amministrativa
regionale in materia sanitaria e mira  a  garantire,  all'interno  di
essa, la consonanza  di  impostazione  gestionale  tra  il  direttore
generale e i direttori amministrativi e sanitari delle stesse aziende
da lui nominati» (sentenza 233 del 2006). 
    Ma e' anche vero che la Corte Costituzionale  ha  poi  precisato,
con la sentenza n. 81 del 2010: 
    «Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, con la sentenza n.
103 del 2007, che la previsione di una cessazione automatica, ex lege
e generalizzata, degli incarichi dirigenziali  "interni"  di  livello
generale viola, in  carenza  di  idonee  garanzie  procedimentali,  i
principi costituzionali di buon andamento e di  imparzialita'  e,  in
particolare, il principio di continuita' dell'azione  amministrativa,
che e' strettamente correlato a quello di buon andamento  dell'azione
stessa». 
    Ed ancora: «come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare con
le citate sentenze n. 161 del 2008 e n. 103 del 2007, il rapporto  di
lavoro instaurato con l'amministrazione che attribuisce  la  relativa
funzione deve essere "connotato  da  specifiche  garanzie,  le  quali
presuppongono che esso sia regolato in modo  tale  da  assicurare  la
tendenziale  continuita'  dell'azione  amministrativa  e  una  chiara
distinzione  funzionale  tra  i   compiti   di   indirizzo   politico
amministrativo e quelli di gestione». 
    Deve  pertanto  ritenersi,  in  continuita'  logica  con   quanto
affermato  dalle  due  suindicate  pronunce,  che  anche   la   norma
denunciata,  prevedendo  la   immediata   cessazione   del   rapporto
dirigenziale ...in mancanza  di  riconferma,  violi,  in  carenza  di
idonee garanzie procedimentali, i  principi  costituzionali  di  buon
andamento  e  imparzialita'  e,  in  particolare,  «il  principio  di
continuita' dell'azione amministrativa che e' strettamente  correlato
a quello di buon andamento dell'azione stessa». 
    Cio' in quanto la previsione di una anticipata cessazione ex lege
del rapporto in corso - in assenza di una  accertata  responsabilita'
dirigenziale  -  impedisce  che  l'attivita'  del   dirigente   possa
espletarsi in  conformita'  ad  un  nuovo  modello  di  azione  della
pubblica  amministrazione,  che  misura   l'osservanza   del   canone
dell'efficacia e dell'efficienza  alla  luce  dei  risultati  che  il
dirigente deve perseguire, nel rispetto  degli  indirizzi  posti  dal
vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato,
modulato  in  ragione  della  peculiarita'  della  singola  posizione
dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita. 
    E' necessario, pertanto, garantire, come  questa  Corte  ha  gia'
chiarito, «la presenza di  un  momento  procedimentale  di  confronto
dialettico  tra  le  parti,  nell'ambito  del  quale,  da  un   lato,
l'amministrazione  esterni  le  ragioni  -  connesse  alle  pregresse
modalita'  di  svolgimento  del  rapporto  anche  in  relazione  agli
obiettivi programmati dalla nuovo  compagine  governativa  -  per  le
quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino  alla  scadenza
contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la
possibilita' di far valere  il  diritto  di  difesa,  prospettando  i
risultati delle proprie prestazioni e delle competenze  organizzative
esercitate per il raggiungimento degli  obiettivi  posti  dall'organo
politico  e  individuati,  appunto,  nel  contratto   a   suo   tempo
stipulato». 
    L'esistenza di una preventiva fase valutativa - ha  puntualizzato
la Corte con le suindicate sentenze - risulta  essenziale  anche  per
assicurare, specie dopo l'entrata in  vigore  della  legge  7  agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi), «il rispetto  dei
principi del giusto procedimento, all'esito del quale  dovra'  essere
adottato un  atto  motivato  che,  a  prescindere  dalla  sua  natura
giuridica,  di  diritto  pubblico  o  di  diritto  privato,  consenta
comunque  un  controllo  giurisdizionale.  Cio'  anche  al  fine   di
garantire - attraverso la esternazione delle ragioni che stanno  alla
base della  determinazione  assunta  dall'organo  politico  -  scelte
trasparenti e verificabili, in grado di  consentire  la  prosecuzione
dell'attivita' gestoria in ossequio al precetto costituzionale  della
imparzialita' dell'azione amministrativa». 
    Ad avviso di questa Corte  di  Appello  puo'  ben  dubitarsi  che
d'esigenza di «garantire la consonanza della impostazione gestionale»
consenta di eludere la necessita' che  la  azione  amministrativa  si
sviluppi secondo canoni suscettibili di oggettivo  riscontro,  e  nel
rispetto di quelle regole di civilta', prima ancora che  di  diritto,
eloquentemente espresse nella sentenza 81 del 2010, e  nella  recente
giurisprudenza costituzionale dalla stessa richiamata. 
    Ed appare assurda la tesi secondo  la  quale,  in  ipotesi  nelle
quali non entrano in considerazione progetti e programmi politici, le
cosi' dette "valutazioni personali" possano prevalere,  con  assoluta
discrezionalita',  e  conseguente  sostituzione  dell'arbitrio   alla
regola, giuridica o tecnica che essa sia. 
    Alla stregua delle esposte considerazioni, deve quindi ritenersi: 
      1) che il giudizio non possa essere definito  indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, e 
      2) che la questione non sia manifestamente infondata, 
    per quanto attiene al prospettato contrasto tra l'art. 4, comma 1
della Legge della Regione Abruzzo n. 20 del 23  giugno  2006,  e  gli
artt. 97, primo comma, e 98, primo comma, della Costituzione; 
 
                               P.Q.M. 
 
    Sospende il processo in corso; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
Costituzionale; 
    Ordina che l'ordinanza sia notificata: 
      1) alle parti in causa, 
      2) al Presidente del Consiglio dei Ministri, 
      3) ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deliberato in Camera di consiglio il 6 maggio 2010. 
 
                      Il Presidente: Jacovacci 
 
 
                                          Il cancelliere C1: D'Ulisse