N. 223 SENTENZA 8 - 11 ottobre 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Magistrati - Trattamento economico  -  Intervento  ad  adiuvandum  di
  soggetto intervenuto nel giudizio principale  con  atto  depositato
  solo  successivamente  all'ordinanza  di   rimessione   -   Mancata
  assunzione  della  qualita'  di  parte  nel  processo   a   quo   -
  Inammissibilita' dell'intervento. 
- D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30  luglio  2010
  n. 122), artt. 9, commi 2 e 22, e 12, commi 7 e 10. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 23, 36, 53, 97, 101 e 104. 
Magistrati - Trattamento economico - Prospettazione  di  censure  non
  rientranti fra i motivi di  ricorso  delle  parti  del  giudizio  -
  Questione sollevata in relazione ad una norma  di  cui  il  giudice
  rimettente  non  deve  fare  applicazione  nel  giudizio  a  quo  -
  Manifesta inammissibilita'. 
- D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio  2010,
  n. 122), art. 9, comma 2. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 23, 36, 42, 53, 97, 101, 104, 107, 108. 
Previdenza pubblica - Modalita' di corresponsione dell'indennita'  di
  buonuscita  -  Rateizzazione  senza  previsione  di   interessi   -
  Questione prospettata da giudici che non devono  fare  applicazione
  della norma impugnata - Assenza di un pregiudizio e di un interesse
  attuale a ricorrere - Manifesta inammissibilita'. 
- D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio  2010,
  n. 122), art. 12, comma 7. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 23, 24, 36, 41, 42,  53,  97,  100,  101,
  103, 104, 108, 111 e 113. 
Magistrati - Retribuzione - Adeguamento  automatico  -  Soppressione,
  senza possibilita' di recupero, degli acconti degli anni 2011, 2012
  e 2013 e del conguaglio del triennio 2010-2012 - Previsione che per
  il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 sia  pari
  alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e che il  conguaglio  per
  l'anno 2015 venga determinato con riferimento agli anni 2009,  2010
  e 2014 - Mancata esclusione che a detto personale sia applicato  il
  primo  periodo  del  comma  21  -  Irragionevole  decurtazione  del
  trattamento retributivo dei magistrati, oltre  i  limiti  tracciati
  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  che  consente  sacrifici  a
  condizione che  siano  eccezionali,  transeunti,  non  arbitrari  e
  consentanei  allo  scopo  prefisso  -  Violazione   del   principio
  dell'autonomia  ed  indipendenza  dei  giudici   -   Ingiustificata
  disparita' di trattamento fra la categoria dei magistrati e  quella
  del  pubblico  impiego  contrattualizzato,  che  vede  limitata  la
  possibilita'  di  contrattazione  soltanto  per   un   triennio   -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio  2010,
  n. 122), art. 9, comma 22. 
- Costituzione, artt. 3, 100, 101, 104 e 108. 
Magistrati - Retribuzione - Decurtazione dell'indennita'  giudiziaria
  prevista dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981, nella  misura  del
  15% per l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012 e del 32 % per  l'anno
  2013 - Prestazione patrimoniale imposta di  natura  sostanzialmente
  tributaria - Irragionevole discriminazione nei confronti  di  altri
  percettori di reddito di lavoro - Illegittimita' costituzionale  in
  parte qua - Assorbimento di ulteriori censure. 
- D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio  2010,
  n. 122), art. 9, comma 22. 
- Costituzione, artt. 3 e 53 (artt. 2, 23, 36, 97, 101,  103,  104  e
  111). 
Impiego pubblico - Magistrati -  Trattamento  economico  -  Riduzione
  nella misura del 5% per le retribuzioni  oltre  i  90.000  euro,  e
  nella misura del 10% per le retribuzioni oltre i 150.000 euro,  nel
  periodo dal 1° gennaio 2011  al  31  dicembre  2013  -  Prestazione
  patrimoniale  imposta  di  natura  sostanzialmente   tributaria   -
  Contrasto con il principio della "universalita' della  imposizione"
  - Discriminazione in danno  dei  dipendenti  pubblici  rispetto  ai
  dipendenti privati e, in generale, ai  cittadini  -  Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
- D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio  2010,
  n. 122), art. 9, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3 e 53. 
Previdenza pubblica - Trattamento di  fine  rapporto  in  favore  dei
  dipendenti dello Stato - Estensione del regime di cui all'art. 2120
  del codice civile - Anzianita' contributive maturate a  fare  tempo
  dal  1°  gennaio  2011  -  Applicazione  dell'aliquota  del   6,91%
  sull'intera   retribuzione   e   contestuale   mantenimento   della
  trattenuta a  carico  del  dipendente  pari  al  2,50%  della  base
  contributiva  della  buonuscita,  operata  a  titolo   di   rivalsa
  sull'accantonamento  per  l'indennita'  di  buonuscita  -   Mancata
  espressa esclusione del permanere della  trattenuta  a  carico  del
  lavoratore - Illogica riduzione della retribuzione e, nel contempo,
  diminuzione  della  quantita'  del  TFR  maturata   nel   tempo   -
  Ingiustificato  trattamento  deteriore  dei   dipendenti   pubblici
  rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa  da  parte  del
  datore di lavoro - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio  2010,
  n. 122), art. 12, comma 10. 
- Costituzione, artt. 3 e 36. 
(GU n.41 del 17-10-2012 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alfonso QUARANTA; 
Giudici :Franco GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,
  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  9,
commi 2, 21 e 22 e 12, commi 7 e 10 del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dalla legge
30  luglio  2010,  n.  122,  promossi  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  della  Campania,  sezione  distaccata  di   Salerno,   con
ordinanza del 23 giugno 2011, dal Tribunale amministrativo  regionale
del  Piemonte  con  ordinanza  del  28  luglio  2011,  dal  Tribunale
amministrativo regionale del Veneto con  ordinanza  del  15  novembre
2011, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa  di  Trento
con ordinanza del 14  dicembre  2011,  dal  Tribunale  amministrativo
regionale della Sicilia con  ordinanza  del  14  dicembre  2011,  dal
Tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo, sezione di  Pescara,
con ordinanza del 13  dicembre  2011,  dal  Tribunale  amministrativo
regionale dell'Umbria, con due ordinanze del  25  gennaio  2012,  dal
Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, con ordinanza  del
10  gennaio  2012,  dal  Tribunale  amministrativo  regionale   della
Liguria,  con  ordinanza  del  10   gennaio   2012,   dal   Tribunale
amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata  di  Reggio
Calabria, con due ordinanze  del  1°  febbraio  2012,  dal  Tribunale
amministrativo regionale della Emilia-Romagna,  sezione  staccata  di
Parma,  con  ordinanza  del   22   febbraio   2012,   dal   Tribunale
amministrativo  regionale  della  Lombardia,  con  ordinanza  dell'11
gennaio 2012 e dal Tribunale amministrativo regionale della  Liguria,
con ordinanza del 10 gennaio 2012, rispettivamente  iscritte  ai  nn.
219 e 248 del registro ordinanze 2011 ed ai nn. 11, 12, 20,  46,  53,
54, 56, 63, 74, 75, 76,  81  e  94  del  registro  ordinanze  2012  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  44  e  50,
prima serie speciale, dell'anno 2011 e nn. 7, 9, 14, 15, 17, 18, 19 e
21, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di costituzione  di  Allegro  Anna  ed  altri,  di
Baglivo Antonio ed altri, di Bruni Bruno Francesco ed altri, di Abate
Francesco ed altri, di Bruno Eleonora ed altri, di Campo  Lucia  Anna
ed altri, di Angeleri Alessandra ed altri, di Chiappiniello  Agostino
ed altri, di Anedda Ornella ed altri, di Casanova Cinzia ed altri, di
Arena Annalisa ed altri, di Ciccio' Giacomo, di  Interlandi  Caterina
ed altri, nonche' gli atti di intervento  di  Abbritti  Paolo  e  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2012 il Giudice relatore
Giuseppe Tesauro; 
    uditi gli avvocati Vittorio Angiolini per Allegro Anna ed  altri,
per Baglivo Antonio ed altri, per Bruni Bruno Francesco ed altri, per
Abate Francesco ed altri, per Bruno  Eleonora  ed  altri,  per  Campo
Lucia Anna ed altri, per Angeleri Alessandra  ed  altri,  per  Anedda
Ornella ed altri, per Casanova Cinzia ed altri, per Arena Annalisa ed
altri, per Ciccio' Giacomo, per Interlandi Caterina ed altri,  Sandro
Campilongo per Chiappiniello Agostino ed altri,  e  l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Campania,
sezione distaccata di Salerno, sezione I, con ordinanza del 23 giugno
2011, iscritta al reg.  ord.  n.  219  del  2011,  ha  sollevato,  in
riferimento agli articoli 3, 23, 36, 53 e  104,  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 9,  comma  22,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    1.1.- Il rimettente premette che i ricorrenti - tutti  magistrati
ordinari in servizio presso Uffici giudiziari ricompresi  nell'ambito
di competenza territoriale del giudice adito - chiedevano al  TAR  la
declaratoria di  illegittimita'  delle  decurtazioni  del  rispettivo
trattamento   retributivo,   derivanti   dalla   applicazione   delle
disposizioni finanziarie contenute nel comma 22 dell'art. 9 del  d.l.
n. 78 del 2010, domandando altresi' il consequenziale  riconoscimento
del diritto al  trattamento  retributivo,  senza  tener  conto  delle
riduzioni  contestate.  I   magistrati   istanti   prospettavano   in
particolare il vizio di violazione di legge  sotto  plurimi  profili,
nonche' l'illegittimita' costituzionale della normativa primaria. 
    Nel giudizio, costituitesi le Amministrazioni intimate, Ministero
della Giustizia e Ministero dell'Economia  e  delle  Finanze,  veniva
fissata udienza per la discussione dell'istanza  cautelare  e  veniva
spiegato atto di intervento. 
    1.1.1.-  Il  TAR  ritiene,  in  primo  luogo,  che  la  questione
prospettata  sia  rilevante,  in  quanto  la  disposizione  censurata
costituirebbe  «l'unico   ed   immediato   paradigma   normativo   di
riferimento  delle  contestate  misure  applicative».   Inoltre,   la
questione non sarebbe manifestamente infondata,  in  particolare  con
riguardo all'art.  9  comma  22  del  d.l.  n.  78  del  2010,  quale
risultante dalle modifiche introdotte con la legge di conversione. 
    1.1.2.- In particolare, per quanto riguarda le  misure  incidenti
sugli automatismi  stipendiali  che  caratterizzano  la  progressione
economica, il giudice a  quo  rileva  che  il  meccanismo  di  blocco
prefigurato si porrebbe in contrasto con  l'art.  104,  primo  comma,
Cost., in quanto violerebbe  il  principio  per  cui  il  trattamento
economico dei magistrati non sarebbe «nella libera disponibilita' del
potere, legislativo o maiori causa del potere esecutivo»  trattandosi
di un aspetto essenziale all'attuazione del  precetto  costituzionale
dell'indipendenza. Un tale assunto sarebbe stato piu' volte  ribadito
dalla Corte costituzionale, secondo  cui  il  cosiddetto  adeguamento
automatico rappresenterebbe un elemento  intrinseco  della  struttura
delle retribuzioni  dei  magistrati,  diretto  alla  «attuazione  del
precetto costituzionale dell'indipendenza» (sentenza n. 1 del  1978),
in  modo  da  evitare  che  questi  «siano  soggetti   a   periodiche
rivendicazioni nei confronti di altri poteri»  (sentenza  n.  42  del
1993), concretizzando dunque "una guarentigia" (sentenza n.  238  del
1990). Inoltre, tale  tradizione  costituzionale  sarebbe  confermata
dagli artt. 2 e 4 della cosiddetta Magna carta dei Giudici, approvata
a Strasburgo il 17 novembre 2010 dal Consiglio  d'Europa  -  Comitato
consultivo dei Giudici europei (CCJE), la  quale,  sebbene  priva  di
valore   cogente,    costituirebbe    comunque    una    fondamentale
deliberazione, utile al fine di interpretare le disposizioni interne,
esprimendo tale atto «tradizioni  costituzionali»  dei  quarantasette
Stati europei che ne sono membri. 
    Il rimettente  ritiene,  quindi,  che,  alla  luce  della  citata
giurisprudenza e dei  citati  principi,  dovrebbe  ritenersi  che  il
trattamento  economico  dei  magistrati  debba  essere  non  soltanto
«adeguato» alla quantita' e qualita' del lavoro prestato (ex art.  36
della Costituzione), ma anche «certo e costante, e  in  generale  non
soggetto a decurtazioni (tanto piu' se periodiche o ricorrenti)». 
    1.1.3.-  Quanto  alla   riduzione   percentuale   dell'indennita'
integrativa speciale (rectius giudiziaria), il rimettente ritiene, in
primo  luogo,  che,  alla  luce  del  contesto  normativo,  essa   si
concreterebbe in  una  prestazione  patrimoniale  imposta  di  natura
sostanzialmente tributaria  e,  quindi,  come  tale  assoggettata  ai
vincoli di cui agli artt. 23 e 53 della  Carta  costituzionale.  Tale
misura, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, avrebbe  dovuto
gravare su "tutti"  i  cittadini  in  ragione  della  loro  capacita'
contributiva, in virtu' del principio di generalita'  delle  imposte,
in un sistema informato a criteri di progressivita'. 
    A giudizio del TAR, il requisito della capacita' contributiva, di
cui all'art. 53 Cost., inteso quale "valore" diretto ad orientare  la
discrezionalita' del legislatore di fronte ai fenomeni tributari,  si
sostanzierebbe in quello per cui «a situazioni uguali,  corrispondono
tributi  uguali»,  sicche'  il  sacrificio  patrimoniale  che  incida
soltanto  sulla  condizione  e  sul  patrimonio  di  una  determinata
categoria di pubblici impiegati,  lasciando  indenni,  a  parita'  di
capacita' reddituale, altre categorie  di  lavoratori  ("segnatamente
autonomi"), risulterebbe arbitrario ed irragionevole, e  pertanto  in
contrasto, non solo con l'art.  53,  ma  anche  con  l'art.  3  della
Costituzione. 
    In  questo  caso,  inoltre,  trattandosi   di   una   indennita',
componente  essenziale  del  trattamento  retributivo  soltanto   dei
magistrati, l'intervento di  abbattimento  si  sostanzierebbe  in  un
selettivo ed odioso tributo speciale ratione subiecti. 
    Ancora,  a  giudizio  del  rimettente  tale   "tributo"   sarebbe
"sostanzialmente regressivo", in  quanto,  essendo  l'indennita'  (ex
art. 3 della legge 19  febbraio  1981,  n.  27  -Provvidenze  per  il
personale di magistratura)  corrisposta  in  misura  uguale  ad  ogni
magistrato, la sua decurtazione finisce in concreto  per  colpire  in
misura minore i magistrati con retribuzione complessiva piu'  elevata
ed in misura  maggiore  i  magistrati  con  retribuzione  complessiva
inferiore,  in  violazione,  del  canone  di  cui  al  secondo  comma
dell'art. 53 Cost. 
    Inoltre,  anche   tale   intervento   finanziario,   sarebbe   in
contraddizione  con  il  citato  principio  per  cui  il  trattamento
economico  dei  magistrati   «non   puo'   ritenersi   nella   libera
disponibilita' del Legislativo o dell'Esecutivo»,  trattandosi  anche
in  questo  caso  di  aspetto  essenziale  per  attuare  il  precetto
costituzionale dell'indipendenza (art. 104, primo comma, Cost.). 
    Per altro verso, poi, il rimettente evoca il contrasto con l'art.
36 della Costituzione, in quanto essendo il trattamento economico del
magistrato considerato  adeguato,  solo  in  quanto  integrato  dalla
indennita' in oggetto, la decurtazione di quest'ultima  non  potrebbe
che incidere sulla proporzione tra la  retribuzione  complessiva  del
magistrato  ed  il  lavoro  giudiziario  svolto,   determinando   una
alterazione dei principi di proporzione e adeguatezza degli stipendi. 
    Infine, il giudice a quo censura il citato art. 9, comma 22,  per
violazione dell'art. 3  Cost.,  anche  perche'  l'omogenea  riduzione
percentuale  di  un'indennita',  che  e'  evidentemente  destinata  a
compensare gli oneri del lavoro giudiziario, finirebbe per compensare
in modo minore  i  magistrati  con  minore  anzianita'  di  servizio,
notoriamente impegnati in sedi disagiate con esposizione a rischi  ed
oneri spesso di fatto maggiori dei colleghi piu' anziani. 
    1.2.- Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Piemonte,
sezione II, con ordinanza del 28 luglio 2011, iscritta al  reg.  ord.
n. 248 del 2011,  ha  analogamente  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3, 23, 36, 53, 97, 101, secondo comma, 104, primo  comma,  e
111 della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo  9,  comma  22,  del  decreto-legge  n.  78  del  2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    1.2.1.- Anche in questo caso il  rimettente  premette  di  essere
investito di ricorsi da parte di magistrati  appartenenti  all'ordine
giudiziario, per ottenere il  riconoscimento  delle  retribuzioni  ad
essi spettanti, senza le  riduzioni  operate  in  forza  delle  norme
censurate, di cui viene sospettata  l'illegittimita'  costituzionale.
In particolare, poi, l'ordinanza di  rimessione  precisa,  in  questo
caso, che le censure esposte in ricorso non riguardano i  "sacrifici"
economici richiesti a tutte le componenti del lavoro pubblico, bensi'
soltanto «la lesione che deriva all'indipendenza dei componenti della
Magistratura, alla quale e' funzionale la adeguatezza del trattamento
economico e soprattutto la sottrazione a  scelte  discriminatorie  di
altri poteri dello Stato». 
    1.2.2.- Il  giudice  a  quo  premette  ancora  che  la  normativa
censurata si  ricava  dal  coacervo  normativo  dei  commi  21  e  22
dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010,  in  quanto  per  i  magistrati,
cosi'  come  per  tutte  le  altre  categorie   del   personale   non
contrattualizzato, viene introdotto  il  blocco  dei  «meccanismi  di
adeguamento retributivo» previsto dal primo periodo del comma 21,  la
cui operativita' e' estesa sia a livello di acconto che a livello  di
conguaglio (e dunque con effetto retroattivo) dal primo  periodo  del
comma 22; per  i  soli  magistrati  (di  tutte  le  magistrature),  a
differenza delle altre categorie del personale non contrattualizzato,
sono poi salvaguardati i meccanismi di «progressione automatica dello
stipendio»,  ossia  gli  scatti  di  carriera,  non  applicandosi  ai
medesimi il periodo secondo e terzo del comma 21. 
    In definitiva, ai soli magistrati  viene  operata  una  riduzione
crescente nel tempo dell'indennita'  giudiziaria  (ex  art.  3  della
legge n. 27 del 1981), come previsto dal secondo  periodo  del  comma
22, vengono bloccati gli acconti (anni 2011, 2012 e 2013) e conguagli
(triennio 2010-2012) e vengono introdotti, sempre in forza del  comma
22, "tetti" all'acconto per l'anno 2014 (che non puo' superare quello
del  2010)  e  al  conguaglio  per  l'anno  2015   (determinato   con
riferimento agli  anni  2009,  2010  e  2014,  escludendo  quindi  il
triennio 2011-2013). 
    1.2.3.- In punto di rilevanza il TAR osserva che - trattandosi di
norme  di  immediata  applicazione,  giacche'  le  parti   ricorrenti
subiscono  nel  corrente  anno  2011  il  blocco  del  meccanismo  di
adeguamento retributivo, nonche' il blocco di acconti e conguagli cui
avrebbe avuto altrimenti diritto,  oltre  ad  avere  gia'  subito  la
decurtazione  della  indennita'   giudiziaria   -   la   domanda   di
riconoscimento  del  diritto   al   mantenimento   della   precedente
disciplina del trattamento economico non  potrebbe  essere  esaminata
senza il preventivo scrutinio di costituzionalita' del citato art. 9,
comma 22. 
    1.2.4.-  Nel  merito  l'ordinanza   ripercorre   le   motivazioni
dell'analogo atto di rimessione del TAR Campania,  gia'  sintetizzato
ed espressamente richiamato negli atti. 
    A giudizio del TAR Piemonte le norme censurate si  porrebbero  in
contraddizione  con  i  precetti  costituzionali   dell'autonomia   e
dell'indipendenza, di cui  agli  artt.  101  e  104,  Cost.,  valori,
peraltro,  a  loro  volta  funzionali  «all'esercizio  imparziale  ed
obiettivo della funzione giudicante, come  esigono  molteplici  norme
costituzionali anche in  vista  della  celebrazione  di  un  "giusto"
processo (cfr. artt. 24, 103 e 111 Cost.; sentenza n. 381 del 1999)».
In questo senso, il rimettente osserva che uno strumento  formalmente
incidente solo sulla  retribuzione  del  magistrato,  condurrebbe  in
realta' ad un indebito condizionamento sull'esercizio della  funzione
giurisdizionale,   costringendo   l'Ordine   di   appartenenza,    ed
addirittura il singolo magistrato, ad un confronto  con  il  pubblico
potere al fine di  ripristinare  le  proprie  condizioni  economiche,
«generando un sotterraneo conflitto tra  Istituzioni  che  mina  alla
radice la serenita' del Giudice». 
    Tali conseguenze, poi, sarebbero ancora piu' evidenti, in  quanto
«associando la riduzione stipendiale  alle  ben  note  polemiche  tra
poteri dello Stato», «la misura legislativa  potrebbe  apparire  come
una sorta di punizione  o  di  monito  per  il  Potere  giudiziario»,
rendendo manifesta ai cittadini una condizione di evidente supremazia
gerarchica di un Potere  sull'altro,  in  contrasto  «con  i  dettami
costituzionali che improntano i rapporti tra Poteri alla separazione,
all'equilibrio ed al bilanciamento». Del resto,  i  principi  evocati
sarebbero  volti  a  tutelare  anche  la  considerazione  di  cui  il
magistrato deve godere presso la pubblica  opinione,  assicurando  la
dignita' dell'intero ordine giudiziario.  In  tal  senso  si  sarebbe
peraltro espresso il Comitato dei Ministri  del  Consiglio  d'Europa,
nella raccomandazione del 17 novembre 2010. 
    1.2.5.- Quanto alla violazione degli artt. 3, 23, 36 e 53, Cost.,
il  rimettente  ripropone  in  misura  del   tutto   coincidente   le
argomentazioni sottese all'ordinanza iscritta al reg. ord. n. 219 del
2011,  in  particolare  quanto  alla   decurtazione   dell'indennita'
giudiziaria,  che  configurerebbe  un  prelievo  avente   natura   di
prestazione patrimoniale, imposta sostanzialmente tributaria, in  cui
il sacrificio patrimoniale incide  soltanto  su  di  una  determinata
categoria di pubblici impiegati,  lasciando  indenni,  a  parita'  di
capacita' reddituale, altre  categorie  di  lavoratori.  Inoltre,  il
contrasto con l'art. 36, Cost. sarebbe evidente in quanto  le  misure
adottate  finirebbero  per   alterare   la   "proporzione"   fra   la
retribuzione del magistrato ed  il  suo  lavoro  giudiziario,  inteso
complessivamente come  l'insieme  delle  attivita'  materiali,  delle
attivita' giuridiche, delle responsabilita' e degli oneri su di  esso
gravanti. 
    1.3.- Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Sicilia,
sezione I, con ordinanza del 14 dicembre 2011, iscritta al reg.  ord.
n. 20 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3,  36,
53, 97, 101, secondo comma, 104, primo comma, 111 e 117, primo comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo  9,  comma  22,  del  decreto-legge  n.  78  del  2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    1.3.1.- Il rimettente premette in questo  caso  che  non  risulta
oggetto di  specifica  domanda  nel  giudizio  a  quo  l'accertamento
dell'illegittimita' della trattenuta stipendiale operata su  tutti  i
pubblici dipendenti, ivi compresi i magistrati, in base  al  comma  2
dell'art. 9 del medesimo d.l. n. 78 del 2010. 
    1.3.2.- Secondo  il  giudice  rimettente,  la  questione  sarebbe
rilevante in  quanto  l'eventuale  pronuncia  di  incostituzionalita'
determinerebbe  de  plano  l'accertamento   dell'illegittimita'   del
mancato  adeguamento  degli  stipendi  e  delle  trattenute   ed   il
consequenziale   accoglimento   del    ricorso.    In    particolare,
limitatamente  alle  parti  della  norma   relative   all'adeguamento
triennale,  il  TAR  per  la   Sicilia   ritiene   di   non   seguire
l'interpretazione costituzionalmente  orientata  sollecitata  in  via
principale dai  ricorrenti,  secondo  cui  non  contenendo  la  norma
impugnata specificazioni in ordine a quali  siano  gli  acconti  e  i
conguagli oggetto di mancata erogazione, essa di fatto  non  potrebbe
trovare applicazione; cio' in quanto il  meccanismo  retributivo  del
personale di magistratura sarebbe  sufficientemente  chiaro,  perche'
determinato  in  base  degli  incrementi  conseguiti  nel  precedente
triennio dalle altre categorie  del  pubblico  impiego  e  realizzato
mediante due acconti di pari importo nel secondo e nel terzo anno del
triennio, con un successivo conguaglio. 
    1.3.3.- In primo luogo, il rimettente assume che le  disposizioni
riguardanti sia  il  blocco  degli  automatismi  stipendiali  per  il
triennio 2011-2013, sia il taglio della indennita'  speciale  di  cui
all'articolo 3 della  legge  n.  27  del  1981  contrastino  con  gli
articoli 101, secondo comma, e 104, primo comma,  Cost.,  espressione
dei  principi  di  autonomia  ed  indipendenza  della   magistratura,
funzionali a loro volta alla celebrazione del giusto processo di  cui
all'art 111, primo e secondo comma, Cost.  A  giudizio  del  TAR,  la
necessita' di garantire un processo giusto  ed  equo  davanti  ad  un
tribunale indipendente sarebbe rinvenibile anche  nell'art.  6  della
Convenzione europea  dei  diritti  dell'uomo,  che,  per  il  tramite
dell'art. 117, primo comma, della Costituzione,  «e'  entrata  a  far
parte diretta del nostro tessuto costituzionale». 
    La Corte costituzionale avrebbe,  in  piu'  occasioni,  precisato
come il precetto costituzionale dell'indipendenza della  magistratura
debba essere salvaguardato anche sotto il profilo  economico  ed,  in
particolare, in riferimento al meccanismo di adeguamento  automatico,
avrebbe ulteriormente osservato come esso, evitando che i  magistrati
siano soggetti a periodiche rivendicazioni  nei  confronti  di  altri
poteri, concretizzi «una guarentigia idonea a tale  scopo»  (sentenza
n. 238 del 1990, ordinanze n. 137 del 2008 e n. 346 del 1998). 
    Cio' posto, anche la speciale indennita'  giudiziaria  e  la  sua
rivalutazione, in quanto  intrinsecamente  connessa  allo  status  di
magistrati e parte essenziale e "normale" del trattamento  economico,
avrebbe tale scopo e le medesime esigenze di tutela. Anche in  questo
caso  la  Corte  costituzionale  avrebbe,  infatti,   ricondotto   la
rivalutazione  di  tale  indennita'  a   quella   ratio   di   tutela
dell'indipendenza,  che  non  potrebbe  essere  negata,   dunque   al
trattamento principale (in  particolare,  viene  invocata  la  citata
sentenza n. 238 del 1990). 
    Tale   tradizione   costituzionale   sarebbe   confermata   dalla
«Raccomandazione  CM/Rec  (2010)  12   sui   giudici:   indipendenza,
efficacia e responsabilita'», atto adottato a Strasburgo dal Comitato
dei Ministri il 17 novembre 2010, al cui punto 54 si afferma  che  la
retribuzione dei magistrati debba essere tale da «renderli immuni  da
qualsiasi pressione volta ad influenzare  le  loro  decisioni»  e  si
invita gli Stati membri ad adottare «specifiche disposizioni di legge
per garantire che non  possa  essere  disposta  una  riduzione  delle
retribuzioni rivolta specificamente ai giudici». 
    Analogamente concluderebbe la cosiddetta Magna Carta dei Giudici,
approvata a Strasburgo il 17 novembre 2010  dal  Comitato  consultivo
dei Giudici europei (CCJE), che, sebbene  priva  di  valore  cogente,
esprimerebbe comunque  le  tradizioni  costituzionali  dei  47  Stati
membri. 
    1.3.3.1.- Sotto altro profilo, poi, il giudice a quo ritiene  che
l'intervento finanziario in questione,  mediante  uno  strumento  che
apparentemente incide solo sulla retribuzione del magistrato,  e'  in
grado di operare un  indebito  condizionamento  sull'esercizio  della
funzione giurisdizionale, costringendo il magistrato ad un  confronto
con il pubblico potere al fine di elidere o attenuare le  conseguenze
negative  della  misura,  generando  in  tal  guisa  un   sotterraneo
conflitto tra Istituzioni che  mina  alla  radice  la  serenita'  del
giudice e rischia di veder diminuito il credito ed  il  prestigio  di
cui il singolo magistrato e l'Ordine giudiziario devono godere presso
la comunita' dei cittadini. 
    La disciplina censurata potrebbe, anzi, apparire come  una  sorta
di  punizione  o  di  monito  per  il  potere  giudiziario,  rendendo
manifesta  ai  cittadini  una  condizione  di   evidente   supremazia
gerarchica  di  un  potere  sull'altro,  ingenerando  l'idea  di   un
magistrato  "influenzabile"  dalla  consapevolezza  che   il   taglio
stipendiale disposto oggi potrebbe ben essere ripetuto o  addirittura
inasprito, in spregio proprio ai principi costituzionali di autonomia
ed indipendenza. Ritiene  il  rimettente,  infatti,  che  sebbene  al
legislatore sia consentito bilanciare tali principi con altri  valori
costituzionali  in  ipotesi  configgenti,  fra  i  quali  quelli  del
rispetto delle esigenze di bilancio e  di  contenimento  della  spesa
pubblica, tuttavia  un  intervento  sui  meccanismi  retributivi  dei
magistrati, avrebbe  dovuto  essere  adottato  «in  uno  scenario  di
coinvolgimento di tutti i contribuenti secondo  i  principi  di  pari
capacita' contributiva e progressivita'», nel rispetto  dei  principi
di proporzionalita', ragionevolezza ed eguaglianza e  non  attraverso
una manovra irrazionale, sproporzionata e discriminatoria. 
    1.3.4.-  Il  TAR  per  la  Sicilia  dubita   della   legittimita'
costituzionale  della  disciplina  in  esame   anche   perche'   essa
violerebbe  gli  artt.  3,  53,  primo   e   secondo   comma,   della
Costituzione. 
    Tutte le disposizioni contenute nel comma  22,  ma  anche  quelle
contenute nei commi 1 e 21 dell'art. 9 citato,  introdurrebbero,  nel
loro complesso, misure finalizzate ad incidere in maniera consistente
sul trattamento economico dei magistrati per gli anni  2011,  2012  e
2013 (ed anche per l'anno 2014). A giudizio del  collegio  rimettente
tali interventi, anche se presentati come mere  misure  di  riduzione
della spesa pubblica,  avrebbero  in  realta'  natura  tributaria,  e
conseguentemente avrebbero dovuto essere assoggettati ai principi  di
universalita',  capacita'  contributiva  e  progressivita'   di   cui
all'art. 53 della Costituzione. 
    Le disposizioni in oggetto  avrebbero  tutte  le  caratteristiche
elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte per  qualificare  come
tributarie alcune entrate. In  particolare,  si  tratterebbe  di  una
prestazione doverosa, in mancanza di un rapporto  sinallagmatico  tra
le  parti  e  collegata  alla  pubblica  spesa  in  relazione  ad  un
presupposto economicamente rilevante (sentenze n. 141  del  2009,  n.
335 del 2008, n. 64 del 2008, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005).  Non
vi sarebbe dubbio, infatti, in primo luogo, che le trattenute operate
siano state effettuate dallo Stato  «a  prescindere  da  qualsivoglia
rapporto sinallagmatico, nel senso che esse non  trovano  ragione  in
una controprestazione in favore del dipendente ma sono imposte in via
autorititativa». Inoltre, esse  si  collegherebbero  senz'altro  alla
spesa pubblica,  come  sarebbe  evidente  dall'incipit  del  comma  2
dell'art. 9, che giustifica l'intervento:  «In  considerazione  della
eccezionalita' della situazione  economica  internazionale  e  tenuto
conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica  concordati  in  sede  europea».  Tale  formulazione
renderebbe infatti evidente che la ratio delle  disposizioni  collega
la peculiarita' degli strumenti utilizzati dal legislatore  d'urgenza
del 2010 ad obiettivi di carattere finanziario, «ossia alla  messa  a
disposizione di risorse economiche per le esigenze dell'Erario». 
    L'imposizione di un sacrificio economico individuale,  realizzata
attraverso  un  atto  autoritativo  di  carattere  ablatorio,  e   la
destinazione del gettito scaturente da  tale  ablazione  al  fine  di
integrare la finanza pubblica, apprestando i mezzi per il  fabbisogno
finanziario necessario  a  coprire  spese,  costituirebbero,  dunque,
proprio quegli elementi  essenziali  dei  tributi  individuati  dalla
giurisprudenza costituzionale. 
    In definitiva, secondo il rimettente, la qualificazione come mera
riduzione di spesa non potrebbe elidere  la  vera  natura  tributaria
delle misure, poiche' «ogni imposizione tributaria (tassa, tributo  o
contributo),  che  incida  sugli  stipendi  dei  pubblici  dipendenti
decurtandoli, si risolve sul piano effettuale in una riduzione  della
spesa pubblica, ma per cio' solo non muta la propria natura», che non
potrebbe  essere  ricavata  dall'effetto   di   bilancio   che   tali
disposizioni producono, ma dalla loro natura intrinseca. 
    Cio' posto, secondo  il  TAR  sarebbe  evidente  l'illegittimita'
dell'art. 9, comma 22 (ed  anche  della  disposizione  non  censurata
riguardante il "contributo di solidarieta'"), in quanto incidente sul
reddito di una sola "micro categoria" sociale, quella dei magistrati.
Il legislatore avrebbe, infatti, a parita' di capacita'  contributiva
ed in violazione dell'art. 53 della Costituzione, deciso di  colpire,
con misure continuative -  prolungate  nel  triennio  2011-2013  (con
possibile estensione al 2014) ed in parte al biennio 2014-2015 - solo
una determinata classe sociale:  i  dipendenti  pubblici  (quanto  al
comma 2 dell'art. 9), e «con misure  ancora  piu'  incisive  rispetto
agli stessi  dipendenti  pubblici,  una  ancora  piu'  particolare  e
ristretta classe di  contribuenti,  i  magistrati»,  realizzando  «un
tributo odioso e speciale ratione subiecti» (TAR Campania,  ordinanza
di rimessione n. 1162 del 2011). Non solo ma tale violazione  sarebbe
ancor piu' grave in quanto riferita proprio  a  quella  categoria  di
contribuenti la cui tutela del trattamento stipendiale  risponderebbe
a quei principi di natura costituzionale specifici, di cui alla prima
censura. 
    1.3.4.1.-  Quanto  specificamente   al   taglio   dell'indennita'
giudiziaria, il  rimettente  ne  denuncia  anche  la  violazione  del
principio  di  progressivita'  e  di  ragionevolezza  intrinseca,  in
quanto, trattandosi di una componente della retribuzione  corrisposta
in misura fissa,  il  prelievo  inciderebbe  in  misura  inversamente
proporzionale alla capacita'  contributiva  del  singolo  magistrato.
Sebbene, infatti, i criteri di progressivita'  debbano  informare  il
''sistema tributario'' nel suo complesso e non i singoli tributi,  la
scelta adottata dal legislatore di incidere sul presupposto economico
del reddito da lavoro,  per  coerenza  di  sistema  e  ragionevolezza
avrebbe dovuto imporre la progressivita', «atteso che tale natura  ha
l'I.r.p.e.f., ossia la principale imposta sul reddito  delle  persone
fisiche, e quindi anche sul reddito da lavoro dipendente». 
    1.3.4.2.- Il TAR per la Sicilia dubita ancora della  legittimita'
costituzionale del comma  22  dell'art.  9  (ma  anche  del  predetto
contributo di solidarieta' non impugnato) per violazione dei principi
di eguaglianza, ragionevolezza legislativa e di solidarieta' sociale,
politica ed economica di cui agli artt. 2  e  3  della  Costituzione.
Posto che la matrice comune di  tali  interventi  finanziari  sarebbe
costituita dalla  straordinaria  necessita'  di  contenere  la  spesa
pubblica e di perseguire finalita' di stabilizzazione  finanziaria  e
rilancio della competitivita' economica, al fine di  fronteggiare  la
ben nota crisi economica nazionale ed internazionale, essi  avrebbero
dovuto riguardare la collettivita' nel suo  insieme,  in  virtu'  dei
"doveri inderogabili" di cui all'art. 2, e  non  solo  i  redditi  da
lavoro dipendente pubblico e, in misura maggiore, i redditi da lavoro
dipendente  dei  soli  magistrati,  con  esclusione  delle  identiche
condizioni  di  tutti  i  percettori  di  reddito  aventi  la  stessa
capacita' contributiva. 
    Sotto  altro  profilo,  l'art.  3,  Cost.  sarebbe   violato   in
considerazione del diverso trattamento riservato per altri redditi da
lavoro (autonomo  o  dipendente  privato),  non  essendo  rinvenibile
alcuna ratio giustificativa per la quale «i  lavoratori  del  settore
privato (dipendenti o autonomi) non  debbano  essere  assoggettati  a
riduzioni  stipendiali,  con  corrispondente  introito  a   vantaggio
dell'Erario», tenuto peraltro conto che le retribuzioni  del  settore
privato, «specialmente ai livelli dirigenziali  e  manageriali  delle
imprese, per  non  parlare  dei  professionisti  piu'  facoltosi  (ad
esempio i notai e i farmacisti ma anche  i  piu'  affermati  tra  gli
avvocati, i  medici  specialisti,  gli  ingegneri,  gli  architetti),
risultano enormemente piu' elevate di quelle del settore pubblico». 
    A giudizio del rimettente, la violazione degli artt. 2 e 3  della
Costituzione risulterebbe evidente in quanto gli interventi contenuti
nella manovra tratterebbero ingiustificatamente in maniera diversa le
categorie di pubblici  dipendenti,  pur  a  fronte  di  una  identica
situazione  reddituale.  Mentre,  infatti,  per  tutti   i   pubblici
dipendenti, nel triennio 2011-2013 i  trattamenti  retributivi,  sino
alla soglia di 90.000 euro lordi  annui  non  possono  aumentare,  ma
neppure  decrescono,  in   forza   del   combinato   disposto   delle
disposizioni censurate, l'unica categoria che vede ridursi il proprio
trattamento  economico  sarebbe  quella  dei   magistrati,   il   cui
trattamento stipendiale peraltro risponde ai  summenzionati  principi
di natura costituzionale.  Tale  disparita'  di  trattamento  sarebbe
peraltro ulteriormente confermata  anche  in  relazione  ai  pubblici
dipendenti che percepiscono piu' di 90.000 o 150.000 euro annui lordi
e che sono tenuti a versare il contributo di solidarieta'.  Anche  in
questo caso, infatti,  pur  in  presenza  della  medesima  situazione
reddituale e contributiva, i soli magistrati vedrebbero  sommarsi  al
contributo di solidarieta' ed al blocco dell'adeguamento  retributivo
anche i tagli all'indennita' giudiziaria, con la conseguenza che solo
per essi la riduzione dello stipendio sarebbe sensibilmente maggiore. 
    1.3.4.3.- Il TAR rimettente  invoca,  altresi',  l'art.  3  Cost.
anche quale espressione del canone di ragionevolezza legislativa. 
    Infatti, le impugnate disposizioni, per fare fronte ad una  crisi
che  grava  su  tutta  la  popolazione,   impongono   un   sacrificio
rilevantissimo solo ad una categoria ridotta di cittadini,  lasciando
indenni i redditi e le retribuzioni di tutti gli altri  contribuenti,
aventi medesima capacita' contributiva.  L'irragionevolezza  di  tale
intervento legislativo sarebbe vieppiu'  evidenziato  dal  fatto  che
essa verrebbe ad incidere su un trattamento stipendiale, che risponde
a principi di natura costituzionale. 
    L'irragionevolezza  delle  disposizioni  impugnate   deriverebbe,
inoltre,  dall'aver  "approfittato"  del  meccanismo  automatico   di
adeguamento  delle  retribuzioni,  previsto  come   guarentigia   del
particolare  status  e  della  funzione  costituzionale  svolta   dai
magistrati, per ridurre il trattamento economico dei magistrati senza
il loro consenso. 
    Ancora,   espressione    dell'irragionevolezza    dell'intervento
normativo sarebbe l'incisione in misura uguale su tutti i magistrati,
imponendo «un peso economico in termini proporzionali di  gran  lunga
superiore a coloro che percepiscono uno stipendio minore perche' agli
inizi della carriera». 
    1.3.5.-  Con  riferimento  alla  sola  riduzione  dell'indennita'
giudiziaria, poi, si deduce la violazione degli artt. 3  e  36  Cost.
Per un verso, infatti, la decurtazione sarebbe irragionevole  perche'
impedirebbe il raggiungimento dello scopo che la legge n. 27 del 1981
aveva inteso far assolvere all'indennita' stessa, ovvero compensare i
magistrati degli oneri che essi incontrano  nello  svolgimento  della
loro attivita', non risultando corrispondentemente ridotti gli  oneri
che  sui  magistrati  gravano  nel  triennio  di   riferimento.   Con
l'irragionevole conseguenza che, dovendo  i  singoli  magistrati  far
fronte a detti oneri gravanti sulla propria attivita', per  la  parte
ora non coperta dall'indennita', coloro  che  percepiscono  un  minor
trattamento economico complessivo avrebbero  maggiori  difficolta'  a
fronteggiare i relativi costi. 
    Per altro verso, poi, la decurtazione inciderebbe, in  violazione
dell'art.  36  Cost.,  sulla  proporzionalita'  tra   prestazione   e
retribuzione,  poiche'  inciderebbe  solo  sull'aspetto  quantitativo
della retribuzione, lasciando immutata la richiesta di  qualita'  del
servizio e della funzione, in tal  modo  minando  anche  la  dignita'
della persona-lavoratore nell'esercizio di una  delle  funzioni  piu'
delicate dello Stato. 
    Ancora, secondo il rimettente, la violazione degli artt. 3  e  36
Cost., rileverebbe anche sotto un diverso profilo. Sebbene,  infatti,
il legislatore sia abilitato a modificare la disciplina dei  rapporti
di durata e perfino situazioni di diritto  soggettivo  perfetto,  ivi
inclusa la variazione dell'entita'  e  della  distribuzione  in  voci
differenziate del trattamento economico di categorie prima egualmente
retribuite, non sarebbe consentito che tali modifiche  trasmodino  in
regole irrazionali o arbitrarie, come nel caso di specie in relazione
alle altre censure di irragionevolezza. 
    1.4.-  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per   l'Abruzzo,
sezione distaccata di  Pescara,  sezione  I,  con  ordinanza  del  13
dicembre 2011, iscritta al reg. ord. n. 46 del 2012, ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3, 23, 36, 53, 97,  101,  104,  107  e  108
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 9, commi 2 e 22, del  decreto-legge  n.  78  del  2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    1.4.1.- Il rimettente premette di essere investito di un  ricorso
proposto da alcuni magistrati ordinari. 
    Il TAR ritiene non manifestamente infondata la questione,  «anche
nella scia delle ordinanze del  TAR  Campania,  sezione  staccata  di
Salerno, n. 1162 del 23 giugno 2011, TAR Piemonte Sez. II, n. 846 del
28 luglio 2011 e TAR Veneto Sez. I, n. 1685 del 15 novembre 2011». 
    1.4.2.-  In  particolare,  quanto  ai  parametri   indicati   dai
ricorrenti, il TAR per l'Abruzzo afferma che rileverebbe il principio
desumibile dall'art. 104 della Costituzione, «per cui il  trattamento
economico  dei  magistrati  si  collega  strettamente   al   precetto
costituzionale dell'indipendenza dei  giudici,  che  viene  garantita
anche dall'adeguamento automatico delle retribuzioni, sostanzialmente
decurtato dalla normativa in questione». 
    Inoltre, la prevista  riduzione  dell'indennita'  sostanzierebbe,
sotto diverso profilo, anche  la  violazione  sia  del  principio  di
uguaglianza,  di  cui  all'art.  3  Cost.,  sia  del   principio   di
ragionevolezza e di trattamento uguale di situazioni uguali. 
    Ancora, viene evidenziato  il  contrasto  con  l'art.  36  Cost.,
essendo alterata in modo significativo la proporzione prevista fra il
trattamento economico dei magistrati e l'attivita' svolta. 
    1.4.3.- Il rimettente, inoltre, ritiene che  la  decurtazione  in
esame,  in   quanto   avente   natura   sostanzialmente   tributaria,
contrasterebbe con gli artt. 23 e 53 della  Costituzione,  in  quanto
riguarderebbe unicamente,  o  quasi,  la  categoria  dei  magistrati,
alterando  il  principio  di  progressivita'   delle   imposte,   con
un'evidente disparita' di trattamento rispetto  agli  alti  dirigenti
dello Stato e delle Aziende pubbliche. 
    Tanto  varrebbe,   a   maggior   ragione,   per   il   contributo
straordinario di cui all'art. 9, comma 2, per gli stipendi  superiori
ai  90.000  euro  annui;  esso  riguarderebbe  quasi   unicamente   i
magistrati e da cui sarebbero esenti, non solo i dipendenti privati e
gli autonomi, ma anche altri dipendenti pubblici, che  godrebbero  di
una diversa struttura retributiva. 
    1.5.-  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Veneto,
sezione I, con ordinanza del 15 novembre 2011, iscritta al reg.  ord.
n. 11 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 23, 36,
53, 97,  101,  104  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 9, commi 2 e 22, del decreto-legge n. 78
del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    Il rimettente censura  l'art.  9,  comma  22,  per  le  identiche
motivazioni contenute nelle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 219  e
n. 248  del  2011.  In  particolare,  richiamando  la  giurisprudenza
costituzionale in materia, assume che le norme impugnate  si  pongono
in contraddizione con il principio (desumibile dall'art.  104,  primo
comma, Cost.), secondo cui il trattamento  economico  dei  magistrati
non puo' ritenersi nella libera disponibilita' del potere legislativo
o del potere esecutivo, trattandosi  di  un  aspetto  essenziale  per
attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza. Il  legislatore
avrebbe operato  un  indebito  condizionamento  dell'esercizio  della
funzione  magistratuale,  mettendo  a  rischio  il  credito  e   quel
prestigio di cui la magistratura dovrebbe godere presso la  comunita'
dei cittadini. 
    Quanto, in particolare, all'indennita'  giudiziaria,  trattandosi
di  una  componente  "normale"  del  trattamento  economico,  sebbene
introdotta a titolo "speciale" (in quanto preordinata a compensare  i
magistrati degli «oneri che gli stessi incontrano  nello  svolgimento
della   loro   attivita'»),   la   sua   riduzione   la    renderebbe
inequivocabilmente  inidonea  allo  scopo  per  il  quale  era  stata
istituita, in violazione anche del principio di ragionevolezza. 
    L'ordinanza in questione, inoltre, ripercorre, in modo  in  larga
parte coincidente, le censure relative alla violazione degli artt.  3
e  36  esposte  dalla  ordinanza  n.  20  del  2012,   con   riguardo
all'indennita'  giudiziaria,  aggiungendo  che,  colpendo  in  misura
maggiore i magistrati all'inizio della carriera, conterrebbe  in  se'
anche un effetto discriminatorio, in violazione dell'art. 3 Cost. 
    1.6.- Anche il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di
Trento, con ordinanza del 14 dicembre 2011, iscritta al reg. ord.  n.
12 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli  3,  36,  53,
97, 101, 104, 108 e 111 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'articolo 9, commi 21, primo  periodo,  e  22  del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010, in un giudizio relativo anche in questo caso a
ricorsi  proposti  da  magistrati   ordinari,   in   relazione   alle
decurtazioni stipendiali subite. 
    Il rimettente premette di aver respinto la domanda incidentale di
misure cautelari e di aver disposto adempimenti istruttori  a  carico
dell'Amministrazione  finanziaria,  di  quella  della   giustizia   e
dell'INPDAP, che hanno risposto con note pervenute rispettivamente in
data 2 agosto, 21 giugno e 12 agosto 2011. 
    1.6.1.- Dopo aver  proceduto  ad  una  ricostruzione  del  quadro
normativo  in  cui  si   colloca   il   contenzioso,   il   Tribunale
amministrativo illustra le modalita' con le  quali  l'amministrazione
finanziaria ha applicato le norme in questione, come  riferite  dalle
amministrazioni in sede istruttoria. 
    All'esito dell'attivita' istruttoria, il TAR ritiene infondata la
prima pretesa dei ricorrenti, per l'accertamento della «intollerabile
incertezza circa le sorti del trattamento economico dei  magistrati»,
causato dal comma 22, che non sarebbe idoneo a definire il suo  campo
di applicazione a causa dell'indeterminatezza dei termini "acconti" e
"conguagli". 
    1.6.2.- Cio' posto, dopo aver motivato in ordine alla  rilevanza,
in virtu' dell'effettiva incidenza  sugli  stipendi  dei  ricorrenti,
solleva, in primo luogo, questione di legittimita' costituzionale del
comma 21, primo periodo, e del comma  22,  relativamente  al  mancato
adeguamento, per violazione dell'art. 101, secondo comma, 104,  primo
comma, e 108 della Costituzione, in quanto il  trattamento  economico
dei magistrati, assistito da "certezza" e da "continuita'" a garanzia
dell'autonomia  e  dell'indipendenza  dell'ordine  giudiziario,   non
sarebbe nella libera disponibilita'  del  Potere  legislativo  o  del
Potere esecutivo  e  non  potrebbe  essere  soggetto  a  irrazionali,
sbilanciate, sperequative e sostanzialmente inutili decurtazioni,  le
quali, in quanto tali, si presenterebbero  comunque  distoniche  alla
luce  dei  menzionati  principi,  che  costituiscono  presupposto   e
requisito essenziale di ogni giusto processo di cui  agli  artt.  24,
101 e 111 della Costituzione. 
    Peraltro, a giudizio del rimettente, le  decurtazioni  in  parola
non avrebbero tenuto  conto  della  giurisprudenza  della  Corte,  in
relazione  alla  necessita'  che  simili  interventi  debbano  essere
«eccezionali, transeunti, non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso» (cfr., sentenza n. 245 del 1997  e  ordinanza  n.  299  del
1999). La manovra in questione sarebbe, invece,  solo  apparentemente
temporanea,  secondo  una  logica   perennemente   emergenziale   non
incidente su alcun problema  strutturale  e  culturale  del  «sistema
Italia»,  come  «le  percussive  ed   ancora   contingenti»   manovre
successive avrebbero dimostrato. 
    Le norme in questione vengono, inoltre, censurate con riferimento
all'art.  36  della  Costituzione,  in  quanto  la  retribuzione  dei
magistrati, stabilita con  legge  formale  ed  aggiornata,  solo  per
relationem, sarebbe correlata non  solo  alla  generica  quantita'  e
qualita'  delle  funzioni  ma  anche   al   ruolo   istituzionale   e
costituzionale svolto, sicche' colpendo i  meccanismi  automatici  di
adeguamento si inciderebbe  sull'adeguatezza  e  la  proporzionalita'
della retribuzione, rispetto  alle  specifiche  funzioni  di  rilievo
costituzionale, delle  quali  il  legislatore  ha  tenuto  conto  nel
delineare i corrispondenti meccanismi retributivi. 
    1.6.3.-   Con   riguardo   alla   decurtazione    dell'indennita'
giudiziaria, il TAR trentino censura l'apparato normativo utilizzando
le  medesime  argomentazioni   impiegate   per   l'adeguamento,   che
ricalcano,  peraltro,  in  larga   misura   quanto   gia'   riportato
sinteticamente in relazione alle altre  ordinanze.  Tale  indennita',
che dovrebbe compensare gli oneri che i magistrati incontrano,  anche
in considerazione  di  un  modello  di  lavoro  "domestico",  in  cui
l'amministrazione non  mette  a  disposizione  sufficienti  mezzi  ed
uffici  in  cui  svolgere   l'attivita'   istituzionale,   perderebbe
irragionevolmente, attraverso la sua riduzione progressiva, il  ruolo
originario. 
    Inoltre, viene prospettata anche la violazione dell'art. 36 della
Costituzione,   che   impone   sia   l'obbligo   di   rispettare   la
proporzionalita' tra la retribuzione e il livello  quali-quantitativo
del lavoro  prestato,  che  il  correlato  divieto  di  diminuire  lo
stipendio se non in conseguenza della diminuzione  delle  prestazioni
richieste. 
    Infine,  il  rimettente   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale anche con riferimento  alla  violazione  dell'art.  53
Cost., in quanto si tratterebbe di un vero e proprio prelievo forzoso
di somme  stipendiali  ed  indennitarie  a  copertura  di  fabbisogni
finanziari indifferenziati dello Stato  apparato,  non  correlato  ad
alcuna "capacita' contributiva". Non si tratterebbe, infatti,  di  un
elemento di arricchimento della sfera del singolo, ma di un  semplice
ristoro o rimborso compensativo  di  oneri  che  il  magistrato  deve
necessariamente  sostenere,  non  rivelatore,  dunque,  di  ricchezza
statica o dinamica (patrimonio o reddito). 
    1.6.4.- La  norma  viene,  poi,  complessivamente  censurata  con
riferimento  alla  violazione  dell'art.  97,  primo   comma,   della
Costituzione, poiche' la manovra in questione avrebbe avuto  riflessi
negativi sul buon andamento degli uffici  dell'Amministrazione  della
giustizia. Le gravose misure finanziarie avrebbero, in  primo  luogo,
contribuito a determinare un "massiccio  esodo"  di  personale  dalla
magistratura, provocando in tal modo una repentina perdita  non  solo
di un ragguardevole numero dei giudici, ma anche di  un  inestimabile
bagaglio di conoscenze e di esperienze, determinando nel contempo  un
aggravio di lavoro sui giudici rimasti. Inoltre, avrebbe influito sul
buon andamento inteso come «regola di svolgimento della funzione», il
cui rispetto sarebbe assicurato da tutti gli  strumenti  di  garanzia
apprestati  dalla  complessiva  organizzazione   dell'Amministrazione
della giustizia, fra i quali rientrerebbero anche  le  condizioni  di
serenita' e di stabilita' delle proprie condizioni economiche,  senza
dover sopportare addirittura parte dei costi vivi del servizio. 
    1.6.5.-  A  giudizio  del  Tribunale   amministrativo   trentino,
inoltre, la disciplina in  questione,  complessivamente  considerata,
violerebbe anche  l'art.  3  della  Costituzione  per  disparita'  di
trattamento fra la categoria dei ricorrenti  e  quella  dei  pubblico
impiego contrattualizzato. Osserva in proposito che,  mentre  per  il
triennio 2011-2013 i dipendenti pubblici non subiranno aumenti  dello
stipendio ma neppure decurtazioni, in  quanto  la  loro  retribuzione
rimarra' complessivamente "cristallizzata" al  trattamento  dell'anno
2010, lo sblocco della contrattazione collettiva consentira' ad  essi
di  recuperare,  nelle  misure  stabilite  in  sede   di   trattativa
sindacale, quanto  sarebbe  loro  spettato  nel  periodo  precedente.
Diversamente,  i  magistrati,  non  potranno  recuperare  o   vedersi
riassegnate le decurtazioni, con  l'ulteriore  vincolo  peraltro  del
"tetto" dell'acconto spettante per l'anno 2014 e del  conguaglio  per
l'anno 2015. Conseguentemente vi sarebbe  una  palese  disparita'  di
trattamento fra pubblici  dipendenti  che  hanno  identica  capacita'
economica da lavoro dipendente. 
    Un simile assetto normativo, inoltre, sarebbe irragionevole  alla
luce   dell'orientamento    della    giurisprudenza    della    Corte
costituzionale, che ha considerato legittimo il blocco  per  un  anno
degli  incrementi   retributivi   in   conseguenza   di   automatismi
stipendiali,  collocando  tuttavia  tale  intervento  «in  un  ambito
estremo»,  purche'  limitato  nel  tempo  ad  un  solo  anno  e   non
«irrazionalmente  ripartito  fra  categorie  diverse  di   cittadini»
(ordinanza n. 299 del 1999). 
    1.6.6.-   Il   rimettente   dubita,   poi,   della   legittimita'
costituzionale delle disposizioni impugnate anche per violazione  del
canone della ragionevolezza intrinseca, in considerazione  del  fatto
che tali misure risulterebbero  incoerenti  rispetto  al  consolidato
sistema  retributivo  della  magistratura   rispondente   ai   valori
costituzionali gia' ricordati, e sarebbero sproporzionate,  illogiche
ed inadeguate in relazione agli effetti sostanzialmente irrisori  dei
prelievi sulla diminuzione della spesa pubblica. Tale  irrazionalita'
dell'intervento   celerebbe   una   ratio   punitiva   per   l'intera
magistratura, come dimostrato, peraltro dalla disposizione introdotta
(dopo la proposizione del giudizio in oggetto  e  di  altri  analoghi
presso vari TAR) dal comma 7 dell'art. 16 del decreto-legge 6  luglio
2011,  n.   98   (Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111, secondo cui: «qualora, per qualsiasi  ragione,  inclusa
l'emanazione di provvedimenti giurisdizionali diversi dalle decisioni
della  Corte  costituzionale;  non  siano  conseguiti   gli   effetti
finanziari  utili  conseguenti,  per  ciascuno  degli   stessi   anni
2011-2013, alle disposizioni di cui ai commi 2 e 22  dell'articolo  9
del  decreto-legge  31  maggio   2010,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, i medesimi effetti
finanziari  sono  recuperati,  con  misure  di   carattere   generale
nell'anno  immediatamente  successivo  nei  riguardi   delle   stesse
categorie di personale cui si applicano le predette disposizioni». 
    1.7.- Il Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria, sezione
I, con ordinanza del 25 gennaio 2012, iscritta al reg. ord. n. 53 del
2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3,  23,  36,  53,
97, 101, 104 e 108  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 9, commi 2, 21 (ove occorra) e  22,  del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010. 
    Il rimettente premette di trovarsi nelle identiche situazioni  in
fatto ed in diritto che hanno dato luogo alle ordinanza di rimessione
dei TAR per il Veneto, Campania,  Piemonte  e  Trento,  e  dopo  aver
premesso  brevi  cenni  sull'intervento   normativo   censurato   dai
ricorrenti, ritiene non  manifestamente  infondate  le  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'intervento complessivo. 
    Si tratterebbe, quanto  all'adeguamento,  di  un  intervento  non
ragionevole, in primo luogo, perche' operato  su  di  un  trattamento
retributivo strutturato con automatismi atti a garantire  l'autonomia
e l'indipendenza della magistratura. 
    In secondo luogo, perche'  aggredirebbe  le  retribuzioni,  senza
quella dimensione solidaristica determinata  dalla  ripartizione  fra
diverse categorie di cittadini, cui si riferiva  l'ordinanza  n.  299
del 1999. 
    Inoltre, i disposti blocchi stipendiali  violerebbero  l'art.  36
della Costituzione, vulnerando la proporzionalita' della retribuzione
alla qualita' e quantita' del lavoro prestato. 
    Con  riferimento  all'indennita'   giudiziaria,   poi,   il   TAR
sottolinea la violazione dell'art.  36  Cost.  in  quanto  componente
essenziale del trattamento  retributivo,  ovvero,  l'art.  53,  primo
comma, Cost. qualora si ravvisasse nella medesima una prestazione  di
natura tributaria. 
    Ancora, viene censurato l'art. 9, comma 2, del piu' volte  citato
decreto-legge, che dispone il prelievo sulle somme eccedenti i 90.000
e 150.000 euro, in relazione alle retribuzioni del pubblico  impiego.
Tale disposizione violerebbe, secondo il rimettente, gli artt. 2, 3 e
53,  Cost.,  poiche',  colpendo  la  sola  categoria  dei  dipendenti
pubblici, si porrebbe in contrasto con il principio di  universalita'
dell'imposizione  a  parita'   di   reddito,   creando   un   effetto
discriminatorio, reso evidente dalla diversa disciplina riservata  al
contributo di solidarieta', oltre i 300.000 euro di reddito, previsto
per gli altri cittadini, dall'art.  2  del  decreto-legge  13  agosto
2011,  n.  138  (Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148, il quale, sebbene giustificato dalla
medesima  ratio,  prevedrebbe  una  soglia   superiore,   un'aliquota
inferiore e la deducibilita' dal reddito complessivo. 
    Infine, il prelievo tributario in questione, lederebbe anche,  in
maniera  irragionevole  in  quanto  intervento  non  strutturale,  ma
temporaneo,  il  legittimo  affidamento   sul   proprio   trattamento
retributivo, in capo al pubblico dipendente  che  ha  parametrato  ad
esso il proprio tenore di vita. 
    1.8.- Il Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria, sezione
I, con ordinanza del 25 gennaio 2012, iscritta al reg. ord. n. 54 del
2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3,  23,  36,  53,
97,  101  e  104  della  Costituzione,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, commi 2, 21 (ove occorra) e  22,  nonche'
dell'articolo 12, commi 7 e 10, del decreto-legge  n.  78  del  2010,
convertito, con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010. 
    1.8.1.- Il rimettente  premette  che  il  ricorrente,  magistrato
contabile in servizio dal 1985, ha chiesto l'accertamento del proprio
diritto al trattamento retributivo  nella  sua  interezza,  senza  le
decurtazioni prodotte dalle norme di cui all'art. 9 del  d.l.  n.  78
del  2010,  consistenti,  a  far  tempo  dall'anno   2011,   in   una
decurtazione stipendiale di euro 8.671,64 per effetto della riduzione
di spesa coattivamente operata dall'art. 9,  comma  2,  del  predetto
d.l. n. 78 del  2010;  nel  blocco  per  il  triennio  2011-2013  dei
meccanismi di adeguamento retributivo previsto dall'art. 9, comma  2;
nella trattenuta della percentuale della  indennita'  giudiziaria  di
cui alla legge n. 27 del 1981, pari ad euro 2.013,07 per l'anno 2011,
euro 3.355,11 per l'anno 2012, euro  4.294,55  per  l'anno  2013,  in
applicazione dell'art. 9, comma 22. Infine, il ricorrente assume che,
al momento della  cessazione  del  rapporto,  il  ricorrente  subira'
l'applicazione dell'art. 12, comma 7, del d.l. n. 78  del  2010,  che
prevede la rateizzazione della corrispondente indennita', mentre  fin
da  subito  ne   subisce   gli   effetti   dannosi   in   conseguenza
dell'applicazione  del  comma  10,  che   dispone   la   sostituzione
dell'indennita' di buonuscita con il meno favorevole  trattamento  di
fine rapporto, pur perdurando sui dipendenti pubblici  la  trattenuta
aggiuntiva  del  2,50  sull'80%  della  retribuzione,   in   aggiunta
all'aliquota, a tutti i lavoratori dipendenti applicabile, del  6,91%
prevista dall'art. 2120 del codice civile. Sostiene, in  relazione  a
tali illegittimi ed incostituzionali effetti negativi,  l'eccesso  di
potere, l'ingiustizia manifesta e la violazione degli artt. 2, 3, 24,
36, 41, 42, 53, 97, 100, 101, 108, 111 e 113 della Costituzione.  Nel
giudizio e' intervenuto ad  adiuvandum,  Paolo  Abbritti,  magistrato
ordinario in servizio presso la Procura della Repubblica di  Perugia,
con atto depositato successivamente all'ordinanza di rimessione. 
    1.8.2.- Il rimettente assume, in primo luogo,  che  la  rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale sarebbe  di  intuitiva
evidenza e discenderebbe dal fatto che le norme di cui ai commi  2  e
22 dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 trovano applicazione dal primo
gennaio del 2011, di modo che il  ricorrente  ha  subito  il  mancato
incremento del 3,04% della voce stipendio (corrispondente al  secondo
acconto spettante ai sensi del decreto del Presidente  del  Consiglio
dei  ministri  23  giugno   2009),   la   riduzione   dell'indennita'
giudiziaria, nel corso del 2011 nella misura del 15%, e dal  corrente
anno  2012  nella  misura  del  25%,  oltre  che  la  riduzione   del
trattamento economico complessivo, del 5% una volta superati i 90.000
euro annui lordi, e del 10% una volta superati i 150.000 euro. 
    Il TAR evidenzia, altresi', che la disciplina introdotta dal d.l.
n. 78 del 2010 incidente sul trattamento retributivo, non  si  limita
alla disposizione del comma 22, specificamente rivolta  al  personale
di magistratura, ma si sviluppa in via generale anche  attraverso  la
misura di  cui  al  comma  2  del  medesimo  corpus  legislativo.  In
particolare, la manovra prevedrebbe che: a) per  tutti  i  dipendenti
pubblici (appartenenti alle amministrazioni  pubbliche  inserite  nel
conto  economico  consolidato  della  pubblica   amministrazione)   a
decorrere  dal  1º  gennaio  2011  e  sino  al  31  dicembre  2013  i
trattamenti economici complessivi superiori a 90.000 euro lordi annui
sono ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a
150.000 euro, nonche' del 10% per la  parte  eccedente  150.000  euro
(comma 2); b) per i soli magistrati il blocco degli acconti  per  gli
anni 2011/2013 e dei conguagli per il triennio 2010/2012  (comma  22,
primo periodo); c) per i soli magistrati un "tetto" per l'acconto per
l'anno 2014 che non puo' superare quello dell'anno 2010 ed un "tetto"
per  il  conguaglio  dell'anno  2015,  che  sara'   determinato   con
riferimento agli anni 2009,  2010  e  2014,  escludendo,  dunque,  il
triennio  2011/2013  (comma  22,  primo  periodo);  d)  per  i   soli
magistrati la riduzione annualmente progressiva (15%, 25% e 32%), per
il triennio 2011/2013, dell'indennita' giudiziaria di cui alla  legge
n. 27 del 1981 (comma 22, secondo periodo). 
    Il TAR assume che le misure di contenimento in questione incidono
significativamente  sul   trattamento   economico   dei   magistrati,
alterando  «l'euritmia  di  un  sistema  che  prevede  un  meccanismo
automatico di  determinazione  dello  stesso,  regolato  dalla  legge
ordinaria, al fine di assicurare  l'autonomia  e  l'indipendenza  dei
giudici». 
    1.8.3.- Cio' posto, viene censurato, in primo  luogo,  il  citato
comma 22, per le medesime  motivazioni  di  cui  alle  ordinanze  TAR
Trento, 14 dicembre 2011, n. 3107; TAR Campania, Salerno,  23  giugno
2011, n. 1162; TAR Piemonte, Sez. II, 28 luglio  2011,  n.  846;  TAR
Veneto, Sez. I, 15 novembre 2011, n. 1685. 
    Il rimettente osserva che, pur non  ignorando  l'orientamento  di
questa Corte su pregresse manovre che  disponevano  il  blocco  degli
incrementi retributivi  dovuti  ad  automatismi  stipendiali,  quella
medesima giurisprudenza avrebbe consentito l'imposizione di sacrifici
eccezionali,  soltanto  a  condizione  che  fossero   ragionevolmente
ripartiti tra diverse categorie  di  cittadini,  oltre  transeunti  e
idonei allo scopo prefisso (sentenza n. 245 del 1997 e  ordinanza  n.
299 del 1999). 
    Le  disposizioni  impugnate,  invece,  si  inserirebbero  in  una
manovra finanziaria priva di dimensione solidaristica,  che  colpisce
pesantemente solamente l'impiego pubblico,  senza  tenere  conto  del
fatto che ne rimarrebbero immuni (anche a seguito  del  c.d.  decreto
«salva-Italia» decreto legge 6 dicembre 2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito dalla  legge  22  dicembre  2011,  n.  214)  «i
soggetti che con le amministrazioni pubbliche intrattengono solamente
un  rapporto  di  servizio  onorario,   ovviamente   tutt'altro   che
gratuito». 
    In relazione a cio' la disposizione viene censurata  anche  sotto
il profilo della  violazione  del  principio  di  eguaglianza  e  del
principio solidaristico di cui agli artt. 3 e 2  della  Costituzione,
venendo discriminati  in  peius  i  magistrati,  frustrando  la  loro
legittima  aspettativa   all'ordinario   sviluppo   economico   della
carriera. 
    Allo  stesso  tempo,  a  giudizio  del  rimettente,   il   blocco
dell'adeguamento  automatico  violerebbe  anche   il   principio   di
proporzionalita' della retribuzione alla  quantita'  e  qualita'  del
lavoro   prestato,   sancito   dall'art.   36   della   Costituzione,
determinando un taglio lineare delle  retribuzioni  a  fronte  di  un
carico di lavoro che, come noto, risulta progressivamente  crescente,
anche  in  considerazione  della  mancata  copertura  dei  posti   in
organico. 
    1.8.4.- Quanto  al  taglio  dell'indennita'  giudiziaria  di  cui
all'art. 3 della legge n. 27 del 1981, il rimettente, ne  deduce,  in
primo luogo, la violazione dell'art. 36 Cost., in  quanto  componente
essenziale della retribuzione. 
    Inoltre, trattandosi di decurtazione  di  natura  tributaria,  in
quanto  consistente   in   una   prestazione   imposta,   consistente
nell'ablazione di somme con attribuzione  delle  stesse  ad  un  ente
pubblico e nella loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per
il fabbisogno finanziario dell'ente stesso  (secondo  la  definizione
delle sentenze 12 gennaio 1995, n. 11; 10 febbraio 1982, n.  26),  la
sua connotazione selettiva a danno dei magistrati, determinerebbe  la
violazione dell'art. 53, primo comma, Cost., che esprime il principio
della  generalita'  delle  imposte,  in   ragione   della   capacita'
contributiva. Non solo, ma  a  giudizio  del  TAR  per  l'Umbria,  vi
sarebbe anche una  violazione  dell'art.  53,  secondo  comma,  Cost.
trattandosi di un tributo sostanzialmente regressivo. 
    1.8.5.- Il rimettente censura, altresi', l'art. 9,  comma  2,  il
quale, piuttosto che caratterizzarsi come una  riduzione  stipendiale
(melius, come  una  riduzione  dei  trattamenti  economici),  avrebbe
natura  tributaria,  ricorrendone   i   due   elementi   fondamentali
dell'imposizione di un sacrificio  economico  individuale  realizzata
attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, nonche' della
destinazione del gettito scaturente da  tale  ablazione  al  fine  di
integrare la finanza pubblica. 
    Tale misura violerebbe gli  artt.  3  e  53  della  Costituzione,
trattandosi   di   prelievo   di    natura    tributaria,    peraltro
significativamente operato  con  progressivo  raggiungimento  di  due
differenti scaglioni  (90.000  e  150.000  euro),  cui  si  applicano
aliquote  crescenti,  e  colpirebbe  solamente   la   categoria   dei
dipendenti pubblici (nel  cui  novero  rientrano  i  magistrati),  in
contrasto con il principio della "universalita'  della  imposizione".
L'imposta  sarebbe,  inoltre,  discriminatoria,  sia   in   relazione
all'amplissima categoria  dei  "cittadini",  rispetto  alla  quale  i
dipendenti pubblici sarebbero discriminati ratione status  a  parita'
di  capacita'  economica,  sia  in  relazione  alla  categoria   piu'
ristretta  dei  "lavoratori",  risultando   i   dipendenti   pubblici
discriminati rispetto ai dipendenti privati, come pure ai  lavoratori
autonomi, i  quali,  a  parita'  di  reddito,  non  subiscono  alcuna
incisione patrimoniale. Tale  effetto  discriminatorio  sarebbe  reso
ancor piu' evidente dalla diversa disciplina riservata al  contributo
di solidarieta', oltre i 300.000 euro di reddito,  previsto  per  gli
altri cittadini, dall'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011. 
    Peraltro l'art. 2, comma 2, del d.l. n. 138 del 2011  disporrebbe
espressamente che «ai fini della verifica del superamento del  limite
di 300.000 euro rileva[no] anche il reddito di lavoro  dipendente  di
cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al
lordo  della  riduzione  ivi  prevista»,  sicche'  il  contributo  di
solidarieta' si applicherebbe anche ai redditi complessivi che  hanno
gia' subito la decurtazione di cui all'art. 9  del  d.l.  n.  78  del
2010, seppure allorche' raggiungano il superiore importo,  senza  che
si verifichi una doppia imposizione. 
    1.8.6.- Il rimettente censura,  infine,  le  modifiche  apportate
alla disciplina dell'indennita' di buonuscita dall'art. 12  del  d.l.
n. 78 del 2010. 
    Premette al  riguardo,  in  primo  luogo,  la  sussistenza  della
giurisdizione in tale materia, in quanto, pur essendo l'art. 6  della
legge 20 marzo 1980, n. 75 (Proroga del termine previsto dall'art.  1
della L. 6 dicembre 1979, n. 610, in materia di trattamento economico
del personale civile  e  militare  dello  Stato  in  servizio  ed  in
quiescenza; norme in materia di computo della tredicesima  mensilita'
e  di  riliquidazione  dell'indennita'  di  buonuscita  e  norme   di
interpretazione e di attuazione dell'art. 6 della L. 29 aprile  1976,
n. 177, sul trasferimento degli assegni vitalizi al Fondo  sociale  e
riapertura dei termini per la opzione), abrogato dall'art.  4,  comma
1, numero 12, dell'allegato 4 al decreto legislativo 2  luglio  2010,
n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18  giugno  2009,  n.
69,  recante  delega  al  governo  per  il  riordino   del   processo
amministrativo),   la    giurisdizione    esclusiva    del    giudice
amministrativo  risulterebbe  confermata  dall'art.  133,  comma   1,
lettera i), dello  stesso  codice  sulle  «controversie  relative  ai
rapporti di lavoro del personale  in  regime  di  diritto  pubblico».
Sarebbe, infatti, indubbia, anche secondo  la  Corte  di  cassazione,
l'inerenza della controversia sull'indennita'  di  buonuscita  ad  un
diritto attinente al rapporto di pubblico impiego (in questo senso si
citano Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27304; 2 luglio 2008, n.
18038). 
    Nel merito, in virtu' di quanto previsto dall'art. 12, comma  10,
del d.l. n. 78 del 2010, «con effetto sulle  anzianita'  contributive
maturate a decorrere  dal  1°  gennaio  2011»,  la  disciplina  della
buonuscita dei magistrati verrebbe ad essere assoggetta al differente
regime di  cui  all'art.  2120  del  codice  civile,  concernente  il
trattamento di fine rapporto. 
    Tale innovazione, modificando peggiorativamente il trattamento di
fine  servizio  dei  dipendenti  pubblici,  ed  in  particolare   dei
magistrati, renderebbe  dubbia  la  legittimita'  costituzionale  del
comma 7 dello stesso art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, che consente lo
scaglionamento  delle  corresponsione  dell'indennita'  (fino  a  tre
importi  annuali,  a   seconda   dell'ammontare   complessivo   della
prestazione),  in  quanto  determinerebbe  una  perdita  patrimoniale
certa, se non altro in ragione della mancata previsione di  interessi
per la dilazione del  pagamento,  in  deroga  alla  disciplina  delle
obbligazioni pecuniarie. 
    In  relazione  a  cio',  una  volta  intervenuta  la  scelta  del
legislatore di prevedere un regime comune  del  trattamento  di  fine
servizio applicabile a tutti  i  lavoratori  dipendenti,  pubblici  e
privati, sarebbe irragionevole imporre ai soli dipendenti pubblici lo
scaglionamento  dell'indennita'  di  buonuscita,  determinandosi  una
violazione dell'art. 3  della  Costituzione,  nonche'  dell'art.  36,
caratterizzandosi  la  buonuscita  come   "retribuzione   differita".
Siffatto differimento, inoltre, a giudizio del rimettente avrebbe  un
aggiuntivo  carattere  di  irragionevolezza  per  il   personale   di
magistratura, il  cui  pensionamento  e'  legato  al  compimento  del
settantacinquesimo anno di eta', epoca che, «naturalmente  oltre  che
statisticamente, abbrevia le prospettive di vita, e dunque  anche  di
effettiva fruibilita' di tale retribuzione differita». 
    Infine, viene censurato il comma 10 dell'art. 12 del d.l.  n.  78
del 2010, in quanto  la  menzionata  estensione  del  regime  di  cui
all'art. 2120 cod. civ. (ai fini del computo dei trattamenti di  fine
servizio) sulle anzianita' contributive maturate a fare tempo dal  1º
gennaio 2011,  con  applicazione  dell'aliquota  del  6,91%,  avrebbe
dovuto comportare il  venire  meno  della  trattenuta  a  carico  del
dipendente pari al 2,50% della base  contributiva  della  buonuscita,
costituita dall'80% dello stipendio. 
    A  giudizio  del  TAR,  sebbene  si  possa  sostenere  che   tale
trattenuta, operata  a  titolo  di  rivalsa  sull'accantonamento  per
l'indennita' di buonuscita, ai sensi dell'art.  37  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n.  1032  (Approvazione
del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a  favore
dei  dipendenti  civili  e   militari   dello   Stato),   sia   stata
implicitamente abrogata dalla normativa successiva, tuttavia, secondo
i consueti criteri ermeneutici, l'abrogazione  tacita  di  una  norma
andrebbe dedotta dalla diretta incompatibilita' logica,  ossia  dalla
impossibilita' di coesistenza della norma nuova  con  l'antica  sullo
stesso  oggetto,  per   l'assoluta   contraddittorieta'   delle   due
disposizioni, ovvero per il fatto che la nuova legge regola  l'intera
materia, anche se in modo non del tutto incompatibile con la  singola
norma precedente, e cio' perche' la disciplina complessiva importa il
coordinarsi delle varie disposizioni di cui essa consta in un insieme
unitario,  che  non  tollera  contaminazioni  con  norme  logicamente
ispirate a principi diversi (vengono citate: Cons. Stato, sez. IV,  5
luglio 1995, n. 538; sez. V, 21 giugno 2007, n. 3330). 
    Nel caso di specie, in primo luogo, l'art. 12, comma 10, del d.l.
n.  78  del  2010  non  conterrebbe  una  disciplina  organica  sulle
prestazioni previdenziali in favore dei dipendenti dello  Stato,  che
si sostituisca organicamente al d.P.R. n. 1032 del 1973.  In  secondo
luogo, non potrebbe essere affermato, senza  margine  di  incertezza,
che tra le norme considerate  sussista  una  contraddizione  tale  da
renderne impossibile la contemporanea  applicazione,  o,  per  meglio
dire, (tale che) dall'applicazione ed osservanza  della  nuova  legge
derivi necessariamente la disapplicazione o l'inosservanza dell'altra
(Cass., sez. I, 21 febbraio 2001, n.  2502;  sez.  lav.,  1°  ottobre
2002, n. 14129). 
    In assenza di antinomia tra le norme in esame, tale da  escludere
che l'applicazione dell'art. 12, comma 10, del d.l. n.  78  del  2010
consenta anche una parallela applicazione della rivalsa nei confronti
del dipendente, ai sensi dell'art. 37 del d.P.R. n. 1032 del 1973 (in
tale senso peraltro si orienterebbe l'INPDAP con la circolare  n.  17
dell'8 ottobre 2010), sarebbe non manifestamente infondato il  dubbio
di costituzionalita' connesso all'applicazione in combinato  disposto
dell'art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del  2010  con  la  rivalsa  a
carico del dipendente iscritto in misura pari  al  2,50%  della  base
contributiva, per violazione degli artt. 3 e 36  della  Costituzione,
consentendo   allo   Stato   datore   di   lavoro    una    riduzione
dell'accantonamento,  illogica  anche  perche'  in   nessuna   misura
collegata con la qualita' e quantita' del lavoro prestato. 
    1.9.- Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Sardegna,
sezione I, con ordinanza del 10 gennaio 2012, iscritta al  reg.  ord.
n. 56 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 23, 36,
53, 97,  101,  104,  108  e  111  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22, del  decreto-legge
n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del
2010. 
    Il rimettente premette di trovarsi nelle identiche situazioni  in
fatto ed in diritto che hanno dato luogo alle ordinanze di rimessione
dei TAR per il Veneto, Campania,  Piemonte  e  Trento,  e  dopo  aver
svolto  brevi   cenni   sull'intervento   normativo   censurato   dai
ricorrenti, ritiene non  manifestamente  infondate  le  questioni  di
legittimita' costituzionale del citato comma 22. 
    1.9.1.-  L'ordinanza,  in  primo  luogo,  solleva  questione   di
legittimita'  costituzionale  con  motivazione  ed  in  relazione   a
parametri in larga  parte  coincidenti  con  quelli  delle  ordinanze
iscritte al reg. ord. nn. 219 e 248 del 2011, nn. 11,  53  e  54  del
2012, con riferimento agli artt. 3, 23, 53, 101,  primo  comma,  104,
111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.  6
della CEDU. In  particolare,  si  tratterebbe  di  un  intervento  in
contraddizione con le guarentigie apprestate  dalla  legge  a  tutela
dell'autonomia ed indipendenza della magistratura, funzionali a  loro
volta  allo  svolgimento  imparziale  ed  obbiettivo  della  funzione
giudicante ed in definitiva di un "giusto processo",  in  adempimento
degli obblighi convenzionali di cui al citato art. 6. In quanto  poi,
prestazione patrimoniale  imposta  di  natura  tributaria,  sarebbero
violati i principi di progressivita' e di generalita'  che  informano
il sistema tributario. 
    1.9.2.- Il TAR rimettente, aggiunge che le disposizioni di cui al
comma  22  dell'art.  9  cit.,  sia  nella  parte  in  cui   incidono
sull'adeguamento automatico delle retribuzioni dei magistrati, sia in
ordine  alla  riduzione  progressiva   dell'indennita'   giudiziaria,
violerebbero il principio costituzionale di  tutela  dell'affidamento
ingenerato  dai  comportamenti   del   legislatore,   del   principio
costituzionale di leale collaborazione tra i poteri dello  Stato,  il
principio di ragionevolezza e di uguaglianza di fronte alla legge  di
cui all'art. 3 Cost. 
    In particolare, in materia di  retribuzione  dei  magistrati,  in
assenza di una espressa disposizione costituzionale,  il  riferimento
principe sarebbe costituito dall'ampia riserva di legge in materia di
ordinamento giudiziario, prevista dall'art. 108, primo comma, Cost. 
    La  tendenziale  attribuzione  al  legislatore  di  tale  materia
avrebbe, poi, determinato la sottrazione  del  trattamento  economico
dei magistrati alle  procedure  di  contrattazione  collettiva  o  di
categoria, in ossequio al principio per cui  occorre  evitare  che  i
magistrati siano soggetti a periodiche rivendicazioni  nei  confronti
di altri poteri (sentenza n. 1 del 1978). 
    Tuttavia, il potere di iniziativa unilaterale del legislatore  in
tema di trattamento economico dei magistrati, avrebbe  dovuto  essere
svolto nel rispetto del principio di affidamento e del  principio  di
leale collaborazione tra poteri costituzionalmente rilevanti. 
    In tale  contesto,  sussisterebbe  una  situazione  giuridica  di
affidamento tutelabile dei magistrati,  quantomeno  nel  senso  della
esistenza di aspettative generate dai  precedenti  comportamenti  del
legislatore. Il principio di tutela dell'affidamento,  a  sua  volta,
mentre sul piano della concreta disciplina legislativa avrebbe dovuto
svolgersi mediante il ragionevole bilanciamento tra opposte  esigenze
costituzionali   (indipendenza   ed   autonomia   dei    giudici    e
compatibilita'  con  gli  equilibri  della  finanza  pubblica),   non
potrebbe non riflettersi anche sul piano procedimentale attraverso la
previsione di  una  idonea  fase  del  procedimento  legislativo  che
preveda l'interlocuzione delle  rappresentanze  dei  magistrati,  che
corrisponderebbe alla effettiva  natura  di  legge-provvedimento  non
solo, per quanto qui rileva, dell'art. 9, comma 22,  ma  in  generale
delle disposizioni legislative che abbiano come oggetto  la  concreta
disciplina del trattamento economico di una circoscritta categoria di
lavoratori quali i magistrati. 
    La diversa soluzione adottata  dal  legislatore  in  questo  caso
determinerebbe, altresi', la violazione dell'art. 3 Cost. sotto i due
profili della violazione del  principio  di  ragionevolezza  e  della
violazione della parita' di trattamento rispetto ad  altre  categorie
di lavoratori, le quali sono protette dal contratto contro  eventuali
modificazioni in peius da parte dei datori di lavoro. 
    1.10.- Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Liguria,
sezione I, con due ordinanze del 10 gennaio 2012,  iscritte  al  reg.
ord. nn. 63 e 94 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli
3, 23, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111 della Costituzione,  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,  comma  22,   del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010. 
    Il rimettente premette di trovarsi nelle identiche situazioni  in
fatto ed in diritto che hanno dato luogo alle ordinanze di rimessione
dei TAR per il Veneto, Campania e Piemonte,  e  dopo  aver  enunciato
brevi  cenni  sull'intervento  normativo  censurato  dai  ricorrenti,
ritiene non manifestamente infondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale del citato comma 22. 
    Le   due   ordinanze   sollevano   questione   di    legittimita'
costituzionale con motivazione ed in relazione a parametri  in  larga
parte coincidenti con quelli delle ordinanze iscritte  al  reg.  ord.
nn. 219 e 248 del 2011, nn. 11, 20, 53 e 54 del 2012, con riferimento
agli artt. 3, 23 e 53, 101, primo comma, 104, 111 e 117, primo comma,
Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6   della   CEDU.   Si
tratterebbe di un intervento in  contraddizione  con  i  principi  di
autonomia ed indipendenza della magistratura, funzionali a loro volta
allo svolgimento imparziale ed obbiettivo della  funzione  giudicante
ed in definitiva di un "giusto processo". Censura  avvalorata,  anche
per il TAR Liguria, dai principi espressi dalla c.d. «Magna Carta dei
Giudici» approvata dal  CCJE,  nonche'  dalla  coeva  Raccomandazione
CM/Rec (2010)  12  del  Comitato  dei  Ministri  agli  Stati  membri.
Trattandosi  poi,  di  prestazione  patrimoniale  imposta  di  natura
tributaria, sarebbero violati  i  principi  di  progressivita'  e  di
generalita'. 
    Anche in questo caso, i rimettenti sottolineano la ratio punitiva
delle   misure   in   contestazione   e   ne   evocano   l'intrinseca
irragionevolezza, anche in considerazione del fatto  che  la  recente
riforma organica della magistratura realizzata nel 2006, ha  disposto
che alle periodiche valutazioni di professionalita' possa  conseguire
in  ipotesi  di  apprezzamento  negativo  la  perdita   del   diritto
all'aumento periodico di stipendio per un biennio. In  tale  contesto
il blocco indiscriminato nei confronti di tutti gli appartenenti alla
magistratura realizzerebbe, a giudizio  del  TAR,  l'effetto  di  una
valutazione negativa di professionalita' globale  e  complessiva,  in
spregio ai piu' fondamentali canoni dell'agire legislativo,  rendendo
manifesto «l'attentato ai valori di indipendenza della magistratura».
Del resto, l'intento punitivo sarebbe avvalorato dall'art. 16,  comma
7, del d.l. n. 98 del 2011, richiamato anche nelle altre ordinanze. 
    In definitiva, i rimettenti, con motivazioni coincidenti  con  le
ordinanze n. 20 e n. 56 del 2012, assumono  che  le  norme  censurate
avrebbero operato  una  compressione  dei  valori  costituzionalmente
garantiti dell'indipendenza ed autonomia della  Magistratura  in  una
maniera del tutto irrazionale, sproporzionata e discriminatoria,  con
particolare riferimento ai profili della disparita'  di  trattamento,
della  irrazionalita'  "quantitativa"  del   taglio,   irrazionalita'
"interna" alle misure, alterazione del rapporto  di  proporzionalita'
tra prestazione e retribuzione. 
    1.11.- Il Tribunale amministrativo  regionale  per  la  Calabria,
sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza  del  1°  febbraio
2012, iscritta al  reg.  ord.  n.  74  del  2012,  ha  sollevato,  in
riferimento agli articoli 2, 3, 24, 36, 41, 42,  53,  97,  100,  101,
103,  104,  108,  111  e  113  della   Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'articolo  9,  commi  2,  21,  primo
periodo, 22, primo, secondo e terzo periodo,  nonche'  dell'art.  12,
comma  7,  del  decreto-legge  n.  78  del  2010,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    Il  rimettente  premette  che  i  ricorrenti,  tutti   magistrati
amministrativi,  si  dolgono  delle  illegittime   decurtazioni   del
trattamento  retributivo  previste  dal  d.l.  n.  78  del  2010,  in
particolare dall'art. 9, commi 2, 21, 22 e dall'art. 12, comma 7,  in
relazione alle differenti anzianita' di servizio. 
    1.11.1.- Seguendo l'ordine di prospettazione delle parti, il  TAR
per la Calabria, dubita della legittimita' costituzionale,  in  primo
luogo, dell'art. 9, comma 2, secondo cui i trattamenti economici  ivi
indicati, sono ridotti del 5% per la parte eccedente  i  90.000  euro
lordi e del 10%, per la parte eccedente i 150.000 euro. 
    In via principale, il rimettente sostiene che, attesa  la  natura
tributaria della norma, sarebbero violati gli artt. 2, 3 e 53  Cost.,
con  particolare  riferimento  ai  principi  di  proporzionalita'   e
progressivita' dell'imposizione. 
    Cio'  posto,  ed   affermata   la   giurisdizione   del   giudice
amministrativo sulla domanda inerente le decurtazioni del trattamento
economico aventi natura tributaria, ai sensi dell'art.  133,  lettera
i), del codice del processo amministrativo, il rimettente assume,  in
primo luogo, che il prelievo sarebbe disposto esclusivamente in danno
di  una  ben  definita  categoria   socio-economica,   i   lavoratori
dipendenti del settore pubblico, ivi inclusi i  magistrati,  laddove,
utilizzando  il  termine  "tutti",  la  disposizione   costituzionale
individuerebbe tutta la platea dei contribuenti  da  assoggettare  al
prelievo  fiscale.  Non  varrebbe  osservare,  in  contrario,  che  i
magistrati e/o i dipendenti pubblici sarebbero  titolari  di  cespiti
economici  adeguati  al  prelievo,  in  quanto  in  possesso  di  una
condizione lavorativa connotata da "stabilita'",  trattandosi  di  un
argomento  politico  o  comunque  ideologico,   ma   non   certamente
giuridico. Inoltre, anche all'interno della  medesima  categoria  dei
magistrati, la norma conterrebbe aspetti sperequativi  e  regressivi,
perche',   prescinderebbe   dalla    considerazione    dell'eventuale
sussistenza di ulteriori proventi. 
    1.11.2.- In via subordinata, prosegue il  rimettente,  anche  non
riconoscendo alla norma natura tributaria (soluzione questa preferita
dal collegio),  sussisterebbero  comunque  i  menzionati  profili  di
illegittimita' costituzionale. 
    La disposizione, infatti, rideterminando, in senso  ablativo,  un
trattamento  economico  gia'  acquisito  alla  sfera   del   pubblico
dipendente  come  diritto  soggettivo,   inciderebbe   sullo   status
economico  dei  lavoratori  (anche  appartenenti  alla  magistratura)
alterando quel sinallagma che e' il proprium dei rapporti  di  durata
ed in particolare proprio dei rapporti di  lavoro.  Sebbene,  infatti
non sia interdetto al legislatore  di  emanare  disposizioni  atte  a
modificare in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata,
queste non potrebbero trasmodare in un regolamento irrazionale (Corte
costituzionale, sentenza n. 446 del 2002; ordinanza n. 327 del  2001;
sentenze n. 282 e n. 264 del 2005, n. 393 del 2000, n. 416 del 1999),
in violazione, non solo dell'art. 3, ma anche dell'art. 2 e 36  della
Costituzione. Cio', in quanto la novazione oggettiva  ed  unilaterale
del rapporto di lavoro, realizzata dal d.l. n. 78 del 2010,  oltre  a
tradursi nel grave  scardinamento  del  principio  costituzionale  di
proporzionalita' e adeguatezza della retribuzione, sacrificherebbe la
stessa  dignita'  sociale  della  persona-lavoratore,  che  si  trova
soggetto, senza possibilita' di difesa, ad  aggressioni  patrimoniali
arbitrarie non solo nelle modalita' del  prelievo,  ma  nello  stesso
presupposto, perche' a determinarlo e' lo stesso soggetto (Stato) che
opera il prelievo, avvalendosi della forza derivante  dall'essere  ad
un tempo datore di lavoro e legislatore. 
    1.11.3.- Inoltre, ancora nel caso in cui non si riconoscesse alla
norma  natura  tributaria,  secondo  il  rimettente  la  disposizione
violerebbe gli  artt.  42  e  97  Cost.,  per  lesione  dei  principi
costituzionali in materia di ablazione reale e dei principi  di  buon
andamento ed imparzialita' dell'amministrazione. 
    Se  la  norma  non  avesse   una   natura   tributaria,   sarebbe
incontestabile  la  sua  natura  sostanzialmente  espropriativa,  dal
momento che determinerebbe una vera e propria  ablazione  di  redditi
formanti oggetto di diritti quesiti, senza alcuna indennita'. In  tal
senso, infatti, non potrebbe dubitarsi  del  fatto  che  il  fenomeno
espropriativo  possa  astrattamente   colpire   anche   beni   mobili
fungibili, quali il denaro (nella  specie,  gli  stipendi  pubblici),
sicche' si  tratterebbe  altresi'  di  una  norma-provvedimento,  con
conseguente violazione dell'art. 97 Cost., avendo tale norma  mutuato
la natura del provvedimento, elidendone  la  fase  del  procedimento,
deputata, fra l'altro alla partecipazione degli interessati, al  fine
di interloquire sulla legittimita' e sull'opportunita'  delle  scelte
cui sono chiamati a contribuire con il loro sacrificio. 
    1.11.4.- Sotto ulteriore profilo, poi, il TAR  per  la  Calabria,
deduce la violazione degli artt. 2 e 3 Cost., indipendentemente dalla
natura tributaria o non tributaria  della  norma,  in  quanto  l'aver
attribuito la parte predominante dello sforzo "contributivo"  ad  una
minore  retribuzione  dei  dipendenti  pubblici,  e  tra   essi   dei
magistrati, introdurrebbe "forti discriminazioni",  per  le  seguenti
ragioni: il prelievo riguarderebbe ingiustificatamente una  categoria
di  sicura  "tassabilita'",  trascurando  del  tutto  di  colpire  le
ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da  rendite
ben  conosciute,  soltanto  perche'  misura   piu'   spendibile   con
l'opinione  pubblica  e  perche'   comodamente   qualificabile   come
"riduzione di spesa".  In  questo  senso  il  rimettente  sottolinea,
altresi',  che  sarebbe  consentito  al  legislatore  stabilire   una
diminuzione delle retribuzioni  dei  magistrati,  ma  attraverso  uno
strumento   specifico   destinato   a   novellare   organicamente   e
razionalmente l'intera disciplina di settore, regolando "a monte"  la
modalita' ed i presupposti,  con  appositi  moduli  di  procedura  da
osservarsi per il  caso  di  eventi  eccezionali,  che  impongano  il
coinvolgimento della categoria nello sforzo collettivo di risanamento
dei conti pubblici. 
    La dedotta  discriminazione  peraltro  contrasterebbe  anche  con
"orientamenti di matrice comunitaria" (recte europea),  con  riguardo
al   Comitato   dei   Ministri   del   Consiglio    d'Europa    nella
«Raccomandazione CM/Rec (2010)». 
    L'irragionevolezza dell'intervento,  ancora  sarebbe  evidenziata
anche dal fatto che sull'importo "tagliato" del 5% o del 10%  sarebbe
applicata la ritenuta previdenziale (ex Circolare n. 12 del 15 aprile
2011),  sicche'  l'importo  cosi'   risultante,   si   riverbererebbe
interamente sulla retribuzione netta, diminuendone  l'ammontare,  con
conseguenze assurde ed inopinate, poiche' prescriverebbe un  prelievo
contributivo applicato ad una retribuzione meramente  "figurativa"  e
non reale. 
    1.11.5.- Il  rimettente  ritiene,  altresi',  che,  mediante  uno
strumento  che  formalmente  incide  (solo)  sulla  retribuzione  dei
magistrati,  verrebbe  ad   operare   un   indebito   condizionamento
dell'esercizio   della   funzione   giurisdizionale,    poiche'    si
costringerebbe  l'ordine  di  appartenenza  ad  un  confronto  con  i
pubblici poteri al fine  di  ripristinare  le  condizioni  economiche
originarie, o  quantomeno  di  elidere  o  attenuare  le  conseguenze
negative   della   misura   disposta   in   violazione   dei   valori
dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura da  ogni  altro
potere dello Stato, in  particolare  con  riferimento  ai  magistrati
amministrativi,  di  cui  la  Costituzione  delinea  l'attivita'   di
consulenza giuridico-amministrativa (spettante in  via  esclusiva  al
Consiglio   di    Stato),    e    di    «tutela    della    giustizia
nell'amministrazione». 
    1.11.6.- Con riguardo ai commi 21 e 22  dell'art.  9  il  TAR  ne
deduce la violazione degli artt. 2, 3, 24, 36, 53, 97, 100, 101, 108,
111 e 113 Cost., con  motivazioni  in  larga  parte  coincidenti  con
quelle sottese alle ordinanze di rimessione iscritte al reg. ord. nn.
219 e 248 del 2011, nn. 11, 53, 54 e 63 del 2012. 
    Quanto  in  particolare   all'indennita'   giudiziaria,   sarebbe
evidente  l'irrazionalita'   derivante   dalla   previsione   di   un
progressivo accrescimento nel tempo del taglio in questione.  Sebbene
una simile progressione possa spiegarsi con la  necessita'  di  tener
conto delle promozioni nel triennio, anche tale giustificazione,  non
presente nella legge, sarebbe del tutto illogica ed incoerente con il
sistema. 
    Nello stesso  senso,  il  ricorrente,  conclude  che  neppure  la
motivazione della "crisi economica" sia adeguata a spiegare la  ratio
dei tagli crescenti,  in  quanto  la  norma  dovrebbe  consentire  un
risparmio  immediato  con   progressiva   mitigazione/riduzione   del
"taglio" fino a quando la crisi verra' superata. Del resto,  anche  a
ritenere che  l'invocazione  della  "crisi"  costituisca  l'effettiva
motivazione  della  manovra  non  dovrebbe  trascurarsi  la  "diversa
sensibilita' maturata in ambito  europeo",  nell'ambito  della  quale
andrebbe collocata la sentenza del 24 novembre 2010  della  Corte  di
giustizia UE (C-40/10), la quale ha  annullato  le  disposizioni  del
regolamento  1296/2009  UE,   che   avevano   ridotto   l'adeguamento
automatico annuale al costo della vita degli stipendi dei  funzionari
UE, abbattendolo dal  3,7%  all'1,85%,  ritenendo  che  la  pur  nota
situazione di crisi economica non potesse essere posta  a  fondamento
di poteri "eccezionali" del Consiglio. 
    Il TAR ripropone, poi, anche con riferimento ai commi 21 e 22, le
censure gia' esposte in riferimento all'art. 9, comma 2, specificando
con riferimento alla violazione dell'art.  36  Cost.  che,  nel  caso
della magistratura  amministrativa  la  falcidia  della  retribuzione
assumerebbe specifici  aspetti  paradossali,  poiche'  la  norma  che
dispone il taglio delle retribuzioni si colloca  in  un  contesto  di
progressivo aumento del carico di lavoro richiesto dallo Stato datore
di lavoro ai magistrati  dei  TAR  e  del  Consiglio  di  Stato  (con
riguardo  alle  innovazioni  introdotte  dal  codice   del   processo
amministrativo). 
    1.11.7.-  Infine,  con  riferimento  al  comma  7  dell'art.   12
(«Interventi in materia previdenziale») il rimettente premette che la
rilevanza della questione consisterebbe nel fatto  che  i  ricorrenti
subiranno con certezza assoluta l'applicazione delle disposizioni  in
argomento al momento della cessazione del rapporto,  comunque  ed  in
qualunque tempo essa avvenga. 
    A giudizio del TAR, disponendosi uno scaglionamento -  in  favore
del solo datore di lavoro pubblico  -  dell'onere  di  corresponsione
delle  indennita',  comunque  denominate,  di   fine   rapporto,   si
determinerebbe una diminuzione  patrimoniale  certa  con  la  mancata
corresponsione di interessi per la dilazione  del  pagamento  ed  una
"profonda compromissione  del  rapporto",  in  ragione  della  natura
retributiva, sia pure differita di tali indennita'. 
    In punto di non manifesta infondatezza, poi, vengono invocati gli
artt. 2, 3, 24, 36, 53, 97, 101, 104, 104, 108, 111 e 113 Cost.,  per
le medesime motivazioni afferenti all'art. 9, comma 2. 
    1.12.- Il Tribunale amministrativo  regionale  per  la  Calabria,
sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza  del  1°  febbraio
2012, iscritta al  reg.  ord.  n.  75  del  2012,  ha  sollevato,  in
riferimento agli articoli 2, 3, 24, 36, 41, 42,  53,  97,  100,  101,
103,  104,  108,  111  e  113  della   Costituzione,   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  commi  21   e   22   del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010. 
    Il  rimettente  premette  che  i  ricorrenti,  tutti   magistrati
ordinari, si dolgono delle illegittime decurtazioni  del  trattamento
retributivo  previste  dal  d.l.  n.  78  del  2010,  in  particolare
dall'art. 9, commi 21 e 22. Premette altresi' che  nella  udienza  e'
stata sollevata analoga questione, precisando che nel procedimento de
quo la questione di legittimita' sollevata concerne esclusivamente  i
commi 21 e 22 del citato art. 9. 
    1.13.   -   Il    Tribunale    amministrativo    regionale    per
l'Emilia-Romagna, sezione di Parma, con  ordinanza  del  22  febbraio
2012, iscritta al  reg.  ord.  n.  76  del  2012,  ha  sollevato,  in
riferimento agli articoli 2, 3, 23, 36, 53, 97, 101, 104 e 108  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
9, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 78 del 2010,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. 
    Il rimettente premette di trovarsi nelle identiche situazioni  in
fatto ed in diritto che hanno dato  luogo  alle  altre  ordinanze  di
rimessione, essendo  investito  da  ricorsi  proposti  da  magistrati
ordinari. 
    Cio'  posto,  il  giudice  a  quo  ripercorre  sinteticamente  le
motivazioni  in  larga  parte  sottese  alle   altre   ordinanze   di
rimessione,  assumendo  che  le  descritte  misure,  incidenti  sugli
automatismi   e   sull'indennita',   violerebbero,   realizzando   un
intervento discriminatorio, il principio di autonomia ed indipendenza
della magistratura, determinando una ingiustificata assimilazione  di
situazioni diseguali, ponendosi altresi' in contrasto con i  principi
di capacita' contributiva e di  progressivita'  di  cui  all'art.  53
Cost. 
    1.14.- Il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Lombardia,
sezione quarta, con ordinanza dell'11 gennaio 2012, iscritta al  reg.
ord. n. 81 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3,
36,  101  e  104  della  Costituzione,  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 9, commi 21 e 22, del  decreto-legge  n.
78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  122  del
2010. 
    Il giudice a quo colloca l'intervento in parola nell'ambito della
necessita'  di   adeguare   le   retribuzioni   dei   magistrati   al
deterioramento della situazione  economica  nazionale  in  modo  piu'
veloce rispetto alla riduzione che si avrebbe in via  riflessa,  come
conseguenza  del  blocco  delle  retribuzioni  del  pubblico  impiego
(interventi  analoghi  sarebbero  previsti  anche   dalla   normativa
comunitaria: Corte di giustizia, terza sezione, 24 novembre 2010,  in
causa C-40/10). 
    Ricorda  ancora  il   TAR   lombardo   come   la   giurisprudenza
costituzionale abbia affermato  che  norme  di  tale  natura  possono
ritenersi  non  lesive  del  principio  di  cui  all'art.   3   della
Costituzione  solo  a  condizione  che  i  suddetti  sacrifici  siano
eccezionali, transeunti,  non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso. Pertanto, in punto  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione, il rimettente procede, in primo luogo, ad un confronto con
il trattamento  riservato  alla  dirigenza  pubblica  privatizzata  a
parita' di condizioni economiche e sociali, al fine di verificare  la
non arbitrarieta' dell'intervento nei confronti dei magistrati, sotto
forma  di  irrazionale  riparto  dei  sacrifici  fra   categorie   di
cittadini. 
    L'esito di tale raffronto induce il giudice a quo a ritenere  che
mentre il personale di magistratura sarebbe soggetto ad una riduzione
complessiva  delle  retribuzioni,  l'impiego  pubblico   privatizzato
sarebbe soggetto  solo  ad  un  blocco  "temperato"  delle  dinamiche
retributive, con  conseguente  arbitrarieta'  ed  irrazionalita'  del
riparto dei sacrifici tra categorie diverse di cittadini,  oltre  che
in violazione dell'autonomia e dell'indipendenza della  magistratura.
Quanto, poi, alla decurtazione dell'indennita' giudiziaria, in quanto
prelievo  di  natura   tributaria,   violerebbe   l'art.   53   della
Costituzione, poiche'  non  collegata  alla  capacita'  contributiva,
trattandosi di indennita' compensativa di spese strumentali. 
    In  particolare,  con  riferimento  al  "tetto"   per   l'acconto
dell'adeguamento per  l'anno  2014  (che  non  puo'  superare  quello
dell'anno 2010) ed al "tetto" per il conguaglio dell'anno  2015,  che
sara' determinato con  riferimento  agli  anni  2009,  2010  e  2014,
escludendo pertanto il triennio 2011-2013, il rimettente  rileva  che
mediante questa disposizione i meccanismi di adeguamento  retributivo
riprenderebbero a decorrere come  se  il  tempo  non  fosse  decorso,
determinando un effetto irreversibile. Tale intervento supererebbe  i
limiti   temporali   dell'intervento   emergenziale   stabilito   dal
legislatore nel triennio 2011-2013, con violazione degli artt. 3 e 36
della Costituzione. Sotto ulteriore  profilo  poi  la  previsione  di
effetti   permanenti   del   blocco   dell'adeguamento    retributivo
trasformerebbe l'intervento eccezionale in una vera e propria  deroga
al meccanismo medesimo, che violerebbe l'art. 36 della Costituzione. 
    2.- Nei giudizi di cui alle ordinanze iscritte al reg.  ord.  nn.
219, 248 del 2011 e 20 del 2012, con identici atti, e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri,  concludendo  nel  merito  per
l'infondatezza della questione. 
    L'Avvocatura dello Stato  osserva,  in  primo  luogo  ed  in  via
generale, che  le  misure  contenute  nella  manovra  economica  2010
sarebbero  state  necessitate  dall'eccezionalita'  della  situazione
economica   internazionale   e    dall'esigenza    prioritaria    del
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea.  In  particolare  l'intervento  sul  settore  del   pubblico
impiego,  avrebbe  anticipato  quanto  successivamente  espressamente
chiesto con la lettera, in data 5 agosto 2011, della  Banca  centrale
europea  (BCE),  a  firma  congiunta  di  Mario  Draghi   (Presidente
designato) e di Jean-Claude Trichet (Presidente in  carica),  con  la
quale  sarebbe  stato  esplicitamente  indicato  di   «valutare   una
riduzione significativa dei costi  del  pubblico  impiego,  (...)  se
necessario, riducendo gli stipendi». In tale  contesto,  l'intervento
avrebbe  dovuto  necessariamente  investire  anche  il  personale  di
magistratura,  attraverso  misure  che  attengono   direttamente   al
rapporto d'impiego e non all'esercizio delle funzioni istituzionali. 
    Il Presidente del Consiglio ricorda, poi,  come  l'intervento  di
finanza pubblica in questione non appaia dissimile dalla manovra  del
1993 (art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992,  n.  384  -  Misure
urgenti in materia di previdenza, di sanita' e di  pubblico  impiego,
nonche' disposizioni fiscali -, convertito, con modificazioni,  dalla
legge 14 novembre  1992,  n.  438),  rispetto  alla  quale  la  Corte
costituzionale aveva  dichiarato  analoghe  questioni  manifestamente
infondate (ordinanza n. 299 del 1999), in quanto non lesive. 
    Quanto alla  decurtazione  dell'indennita'  giudiziaria,  la  cui
natura "componente del normale trattamento  economico"  sarebbe  gia'
stata affermata dalla Corte (sentenza n. 238  del  1990),  la  difesa
dello Stato osserva che la  sua  introduzione  sarebbe  correlata  al
fatto che per  il  solo  personale  di  magistratura,  risulterebbero
salvaguardati  sia  gli  automatismi  stipendiali  sia  gli   effetti
economici delle promozioni. 
    L'affermazione  secondo  cui  tale   riduzione   della   speciale
indennita'  sarebbe   una   prestazione   patrimoniale   "di   natura
sostanzialmente tributaria" non sarebbe corretta, giacche'  tutte  le
misure previste dal citato art. 9 sarebbero finalizzate a  conseguire
soltanto una riduzione di spesa di  tutti  gli  apparati  in  cui  si
articola la pubblica amministrazione. Tale assunto sarebbe del  resto
confermato  dal  fatto  che  tale  riduzione  non   opera   ai   fini
previdenziali. 
    Inoltre, in relazione all'eccepita disparita' di trattamento  fra
i magistrati, poiche' colpiti tutti senza  distinzione  nello  stesso
ammontare, la tesi sarebbe smentita  in  relazione  al  fatto  che  i
magistrati con retribuzioni meno elevate non  subirebbero  la  misura
della decurtazione percentuale prevista dal comma 2 del medesimo art.
9. 
    Quanto, invece, alla mancata erogazione per il triennio 2011-2013
dei miglioramenti economici previsti dalla legge n. 27 del  1981,  in
materia  di  adeguamento  di  diritto  del   trattamento   economico,
erroneamente definita come "decurtazione" e non, invece, come mancata
crescita  retributiva,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
osserva  che  la  disposizione  contestata  si  sarebbe  limitata   a
prevedere che, a fronte del  blocco  triennale  della  contrattazione
economica del pubblico impiego, altrettanto  dovesse  avvenire  anche
per la categoria dei magistrati. 
    2.1.- Nei giudizi di cui alle ordinanze iscritte al reg. ord. nn.
46, 53, 54, 56, 63, 74 e 75 del 2012, il Presidente del Consiglio dei
ministri   e'   intervenuto,   ripercorrendo    pedissequamente    le
osservazioni gia' sintetizzate. Ha, inoltre, osservato,  quanto  alla
violazione  dell'art.  36,  Cost.,  che   andrebbe   considerata   la
retribuzione nel suo complesso e non le singole sue componenti, tanto
piu' che l'origine storica  della  speciale  indennita'  sarebbe  del
tutto superata, avendone la Corte costituzionale riconosciuto la  sua
natura  retributiva,  onnicomprensiva.  L'intervento   in   questione
sarebbe poi stato imposto dalla necessita' di compensare  la  mancata
adozione  del  blocco   degli   automatismi   stipendiali   e   delle
progressioni di carriera previsto per altre categorie personale. 
    Infine, l'Avvocatura dello Stato osserva, quanto  alla  questione
concernente il comma 2 del citato art. 9, che si tratterebbe di  mera
riduzione di  spesa  imposta  dalla  necessita'  di  raggiungere  gli
obbiettivi   di   finanza   pubblica   prefissi,   per   fronteggiare
l'eccezionalita'  della  situazione  economica  internazionale,  come
sarebbe dimostrato dal fatto che tale  riduzione  non  opererebbe  ai
fini previdenziali. Di conseguenza dovrebbe essere esclusa la  natura
tributaria della medesima. 
    Con specifico riferimento all'ordinanza iscritta al reg. ord.  n.
54  del  2012  ed  alla  norma  contenuta  nell'art.  12,  comma  10,
l'Avvocatura generale dello Stato assume,  quanto  all'illegittimita'
del prelievo del 2,50% sull'80% della retribuzione, che la disciplina
innovata  non  avrebbe  modificato  la  natura   dell'indennita'   di
buonuscita. Il legislatore, gia' in  passato  (come  nel  caso  della
legge 8 agosto 1995 n. 335) avrebbe  disciplinato  il  passaggio  dal
sistema di TFS a quello di TFR, stabilendo che  la  retribuzione  del
personale in TFR fosse ridotta di una  ritenuta  figurativa  pari  al
contributo ex opera di previdenza. Conseguentemente, da  una  lettura
sistematica  delle  norme  vigenti,  non  deriverebbe  il  denunciato
contrasto (come confermato dalla circolare INPDAP n. 17  del  2010  e
dal parere del 21 dicembre 2011  del  Dipartimento  della  Ragioneria
dello Stato). 
    Nei giudizi iscritti al reg. ord. nn.  11  e  12  del  2012,  non
risulta intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.- In tutti i giudizi  si  sono  costituite  le  parti  private,
chiedendo la riunione con  le  altre  ordinanze  sollevate  da  altre
autorita' giudiziarie  e  riservandosi  ogni  piu'  ampia  successiva
deduzione. 
    Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 54 del 2012 e'  intervenuto
Paolo Abbritti, interventore ad adiuvandum nel giudizio  a  quo,  con
atto  depositato  presso  il  TAR  rimettente  successivamente   alla
pronuncia  dell'ordinanza  di  rimessione,  chiedendo  l'accoglimento
della  questione  di  legittimita'   costituzionale   sollevata   ed,
altresi', di «dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  ai  sensi
dell'art. 27 Cost. dell'art. 16 (comma 1, lettera b) e comma  7,  del
D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con L. 15 luglio 2011, n.  111,
per contrasto con gli artt. 3, 101, 104 e 118 Cost.» 
    4.- In prossimita' dell'udienza del 6 marzo 2012, fissata per  la
trattazione delle ordinanze reg.  ord.  nn.  219  e  248,  prima  del
disposto rinvio a nuovo ruolo, l'Avvocatura dello Stato ha presentato
ulteriore memoria, ribadendo le argomentazioni svolte in relazione  a
quei procedimenti e ricordando che analogo ricorso  proposto  innanzi
al TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, e' stato respinto  con
sentenza n. 1671/2011, in data 16 novembre 2011, depositata  in  data
28 novembre 2011. 
    A giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, le
misure censurate atterrebbero direttamente al  rapporto  d'impiego  e
non  all'esercizio  delle  funzioni  istituzionali,  con  particolare
riferimento al comma 22  dell'art.  9,  che  avrebbe  determinato  in
concreto   effetti   significativamente   meno   incisivi    rispetto
all'intervento  previsto  per  il  restante   personale   in   regime
pubblicistico. 
    Viene,  altresi',  richiamata  la  circolare   della   Ragioneria
generale dello Stato n. 12 del 15 aprile 2011, registrata alla  Corte
dei conti  il  16  giugno  2011,  quanto  al  bilanciamento  fra  gli
automatismi stipendiali determinati da classi e scatti e la riduzione
della speciale indennita' di cui fruisce la categoria dei magistrati. 
    Con  riferimento,  poi,  alla  c.d.  Magna  Carta  dei   Giudici,
l'Avvocatura ribadisce che essa non assumerebbe rilievo determinante,
essendo priva ex se di valore cogente e, con riguardo agli artt. 23 e
53 della Costituzione, si  ribadisce  che  l'intervento  non  avrebbe
natura tributaria. 
    Inoltre, non sussisterebbe neppure una  violazione  dell'art.  36
Cost., in quanto, indipendentemente dalla natura "retributiva" o meno
della indennita' c.d. giudiziaria, quest'ultima  costituirebbe  parte
integrante - perche' componente fissa e continuativa -del trattamento
economico, che andrebbe  valutato  nel  suo  complesso,  quanto  alla
proporzionalita'  ed  adeguatezza,   tenuto   conto   peraltro,   che
«l'applicazione delle disposizioni di contenimento  previste  per  il
personale di magistratura, non impedisce l'evoluzione della  relativa
dinamica retributiva (classi e progressioni di carriera), salvaguardi
gli effetti previdenziali delle riduzioni di cui  ai  commi  2  e  22
dell'articolo  9  (come  gia'  precisato  sopra  al  punto  4)  e  si
concretizzi (...) in misure  di  portata  piu'  limitata  rispetto  a
quelle previste per altre categorie,  per  le  quali  gli  interventi
stabiliti dal comma  21  dello  stesso  art.  9  hanno  effetti  piu'
incisivi e di  carattere  strutturale»  (relazione  della  Ragioneria
generale dello Stato). 
    Neppure, secondo l'Avvocatura, il blocco degli incrementi per  un
triennio  dovuto  all'esclusione  di  erogazione   degli   incrementi
nascenti dal sistema di automatico adeguamento stipendiale violerebbe
l'art.  36  Cost.:  da  un  lato,  perche'  esso  non  determinerebbe
riduzioni stipendiali, ma solo esclusione di incrementi  stipendiali;
dall'altro, perche' si tratterebbe di misura eccezionale, transeunte,
consentanea a uno scopo  e  a  una  situazione  che  la  rendono  non
arbitraria, ma ragionevole e rispondente al principio di solidarieta'
di cui all'art. 2 della Costituzione. 
    Da ultimo, in riferimento alla violazione dell'art. 97 Cost.,  si
esclude  che  tale  parametro  possa  riferirsi  anche  all'esercizio
dell'attivita' giurisdizionale. 
    5.- In prossimita' dell'udienza del 6 marzo 2012, fissata per  la
trattazione delle ordinanze r.o. nn. 219 e 248,  prima  del  disposto
rinvio a nuovo  ruolo,  anche  le  parti  ricorrenti  hanno  prodotto
ulteriori memorie, ribadendo nel complesso le argomentazioni  sottese
agli atti introduttivi dei giudizi ed alle ordinanze di rimessione. 
    In   particolare,   viene   contestata    la    tesi    difensiva
dell'Avvocatura, secondo cui la decurtazione dell'indennita' speciale
avrebbe  la  sola  funzione  di  ristabilire  l'eguaglianza  tra   il
trattamento economico dei magistrati e quello delle  altre  categorie
di personale "non contrattualizzato", limitandosi  a  "compensare"  i
"vantaggi" derivanti, dalla mancata applicazione  ai  magistrati  del
"blocco" delle progressioni  stipendiali  "automatiche"  ("classi"  e
"scatti" di stipendio) e degli effetti economici delle  "progressioni
di carriera" previsto, per tutte le altre categorie di personale "non
contrattualizzato", dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010. 
    L'argomento sarebbe, infatti, infondato: il mancato blocco  degli
"automatismi stipendiali" non rappresenterebbe affatto un particolare
trattamento di favore riservato ai magistrati, ma la conseguenza  del
fatto che, solo  per  tale  categoria,  le  progressioni  stipendiali
"automatiche" non esisterebbero piu'. 
    A  seguito  dell'entrata  in  vigore  dell'art.  11  del  decreto
legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina  dell'accesso  in
magistratura, nonche' in  materia  di  progressione  economica  e  di
funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1,  comma  1,  lettera
a), della  legge 25 luglio 2005, n. 150),  infatti,  la  progressione
stipendiale dei magistrati non sarebbe  piu'  automatica,  ma  legata
agli  esiti  delle  valutazioni   periodiche   di   professionalita',
effettuate dal CSM su parere del Consiglio giudiziario, e  che  hanno
ad oggetto la capacita', la laboriosita', la  diligenza  e  l'impegno
dimostrati  dal  magistrato  nell'esercizio   delle   sue   funzioni:
l'eventuale esito negativo della valutazione "comporta la perdita del
diritto all'aumento periodico di stipendio per un biennio" (art.  11,
comma 12, del d.lgs n. 160  del 2006). 
    Dovrebbe poi escludersi che la decurtazione dell'indennita' possa
essere giustificata con l'esigenza  di  compensare  il  fatto  che  i
magistrati, a differenza delle  altre  categorie  di  personale  "non
contrattualizzato",  sarebbero  esenti  dal  blocco   degli   effetti
economici delle  "progressioni  di  carriera".  Della  esenzione  dal
blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera non  si
gioverebbero, infatti, tutti i magistrati, ma solamente  coloro  che,
nel triennio 2011-2013, dovessero conseguire una simile progressione:
ossia alla stregua dei dati forniti  dall'Amministrazione,  solo  una
esigua minoranza (circa il 20% - poco  piu'  di  700  per  anno,  nel
triennio) del totale dei magistrati attualmente in servizio. 
    Sicche', nel corso del periodo di riferimento, la  maggior  parte
dei magistrati, nel corso del triennio 2011-2013, vedrebbe ridursi il
proprio trattamento economico complessivo. 
    Le  parti  ribadiscono,  poi,  che  i  meccanismi  normativi  che
assistono  le  retribuzioni  dei  magistrati  sarebbero   tesi   alla
«attuazione  del  precetto   costituzionale   dell'indipendenza   dei
magistrati, che va salvaguardato anche sotto  il  profilo  economico»
(sentenza n. 1 del  1978),  «evitando  tra  l'altro  che  essi  siano
soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di  altri  poteri»
(sentenza n. 42 del 1993) e concretizzando «una guarentigia idonea  a
tale scopo» (sentenza n. 238 del 1990). 
    Quanto, poi all'indennita'  giudiziaria,  si  sostiene  che  essa
sarebbe  entrata  a  far  parte  in  via  ordinaria  e  normale   del
trattamento economico ad un titolo appunto "speciale" poiche' diretta
a consentire di far fronte «agli  oneri  che  gli  stessi  incontrano
nello svolgimento della loro attivita'», imparziale,  indipendente  e
con «impegno senza precisi limiti temporali» (si citano  le  sentenze
n. 479 del 2000, n. 238 del 1990 e n.  57  del  1990;  nonche'  Cass.
civ., sez. lav., 16 febbraio 2002, n. 2287). 
    La  decurtazione  operata,  quindi,   farebbe   irragionevolmente
gravare sui magistrati "oneri" specifici dell'organizzazione del loro
lavoro, determinando anche la violazione degli artt. 23 e  53  Cost.,
in quanto non colpirebbe un  "sintomo  di  arricchimento",  ossia  un
elemento di potenziamento della sfera economica, ma il mero  recupero
di "oneri" che il magistrato incontra nello svolgimento delle proprie
funzioni. 
    6.- Il 12 giugno 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha
depositato atto di intervento nel giudizio iscritto al reg.  ord.  n.
94  del  2012,  riproponendo  pedissequamente  le  argomentazioni   a
sostegno dell'infondatezza, gia' sintetizzate  con  riferimento  agli
altri atti di intervento. 
    6.1.- In prossimita' dell'udienza del 3 luglio 2012  l'Avvocatura
dello Stato ha  depositato  ulteriori  memorie,  con  riferimento  ai
giudizi iscritti ai nn. 20, 46, 53, 54, 56, 63, 74, 76 del reg.  ord.
2012. 
    In tali  atti,  sostanzialmente  identici,  vengono  ribadite  le
argomentazioni  gia'  spese  a   sostegno   dell'infondatezza   delle
questioni. 
    In aggiunta alle gia' sintetizzate  argomentazioni,  l'Avvocatura
dello Stato si sofferma anche sulle censure  riguardanti  l'art.  12,
commi 7 e 10. 
    In particolare, quanto alla trattenuta del 2,50%,  si  evidenzia,
richiamando la circolare INPS n. 17/2010, come  la  nuova  disciplina
non abbia mutato la natura del trattamento di  fine  servizio  e,  si
sostiene che analogamente a quanto avvenuto nel passato, il complesso
normativo risultante ha stabilito che la retribuzione  del  personale
assoggettato a TFR sia ridotta "di una ritenuta  figurativa  pari  al
contributo ex opera previdenza". Conclusivamente, dunque, il prelievo
del  2,50%  avrebbe  natura  di  contributo  solidaristico  a  favore
dell'istituto  previdenziale,  che  il  legislatore  avrebbe   voluto
mantenere.  Del  resto,  osserva  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, la stessa  Corte  costituzionale  avrebbe  riconosciuto  la
legittimita' costituzionale di una simile disciplina, con riferimento
ai lavoratori dipendenti della societa' Poste s.p.a., con la sentenza
n. 259 del 2002. 
    In conclusione, l'Avvocatura, ribadisce che tutti gli  interventi
normativi censurati sarebbero giustificati dall'eccezionalita'  della
situazione economica da affrontare e limitati nel tempo. 
    6.2.- In pari data, anche le parti  private  del  giudizio  hanno
depositato memorie, in prossimita' dell'udienza del  3  luglio  2012,
ribadendo complessivamente le argomentazioni sottese  alle  ordinanze
di  rimessione.  In  aggiunta,   si   contesta   che   la   riduzione
dell'indennita' speciale sia connessa in qualche modo al mantenimento
del meccanismo automatico di progressione per classi e  scatti.  Tale
assunto dell'Avvocatura sarebbe, infatti, smentito dal  fatto  che  a
seguito dell'art. 11 del d.lgs n. 160 del 2006 tale progressione  non
sarebbe affatto automatica,  quanto  piuttosto  legata  al  procedere
positivo delle valutazioni quadriennali di professionalita'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Sono  sottoposte  all'esame  della  Corte  15  ordinanze  di
rimessione (reg. ord. n. 219, 248 del 2011; 11, 12, 20, 46,  53,  54,
56, 63, 74, 75, 76, 81 e 94 del 2012), con le  quali  i  TAR  per  la
Campania,  Piemonte,  Sicilia,  Abruzzo,  Veneto,   Trento,   Umbria,
Sardegna,  Liguria,  Calabria,  Emilia-Romagna  e   Lombardia   hanno
sollevato questioni di legittimita' costituzionale: dell'articolo  9,
commi 22 (tutte le ordinanze - alcune  di  esse  indicando  anche  il
comma 21), nonche' del comma 2 (le sole ordinanze r.o. n. 46, 53, 54,
73, 74 e 75 del 2012); dell'articolo 12, comma 7 (le  ordinanze  r.o.
nn. 54 e 74 del 2012); dell'articolo 12, comma 10 (la sola  ordinanza
r.o. n. 54 del 2012) del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 24, 36, 42, 53, 97,
100, 101, 104, 108, 111, 113 e 117, primo comma, della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU. 
    1.1.- Le questioni hanno ad oggetto, in parte, le  stesse  norme,
censurate con argomentazioni in larga misura coincidenti, e,  quindi,
va disposta la riunione dei giudizi, ai fini di un'unica  trattazione
e di un'unica pronuncia. 
    2.- Tutte le ordinanze in esame,  emesse  nel  corso  di  giudizi
proposti  da  magistrati  ordinari,  contabili   ed   amministrativi,
censurano,  sotto  diversi  profili,  l'art.   9,   comma   22,   del
decreto-legge summenzionato (quelle iscritte al reg. ord. nn. 12, 53,
74 e 75 del 2012 in combinato  con  il  comma  21);  alcune  di  esse
censurano anche il comma 2 dell'art. 9; le ordinanze nn. 54 e 74  del
2012 hanno ad oggetto anche l'art.  12,  comma  7;  infine,  la  sola
ordinanza n. 54 dubita della legittimita'  costituzionale  anche  del
comma 10 del medesimo articolo 12. 
    2.1.- I rimettenti premettono  che  la  disciplina  censurata  si
ricaverebbe dal complesso normativo dei commi 21 e 22 del d.l. n.  78
del 2010, in quanto per i magistrati, cosi' come per tutte  le  altre
categorie del personale non contrattualizzato, verrebbe introdotto un
"blocco" dei "meccanismi di  adeguamento  retributivo"  previsto  dal
primo periodo del comma 21, la cui operativita' sarebbe estesa sia  a
livello di acconto che a livello di conguaglio (e dunque con  effetto
retroattivo)  dal  primo  periodo  dell'art.  22.  Inoltre,  ai  soli
magistrati  verrebbe  operata  una  riduzione  crescente  nel   tempo
dell'indennita' giudiziaria e verrebbero introdotti, sempre in  forza
dell'art. 22, "tetti" all'acconto per l'anno 2014. 
    In  relazione  a  tale  disciplina,  vengono,  in  primo   luogo,
sollevate  questioni  di  legittimita'  costituzionale  relative   al
complessivo intervento riguardante sia il  cosiddetto  "blocco  degli
adeguamenti", sia la  riduzione  della  speciale  indennita'  di  cui
all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27  (Provvidenze  per
il personale di magistratura). 
    In particolare, le ordinanze iscritte al reg. ord. nn. 219 e  248
del 2011, nn. 11, 46, 53, 54, 56, 63, 76, 81 e 94 del 2012,  assumono
che la disciplina in questione contrasterebbe con l'art.  104,  primo
comma,  della  Costituzione,  in  quanto,  rappresentando   il   c.d.
adeguamento automatico un elemento intrinseco della  struttura  delle
retribuzioni dei magistrati, diretto alla  «attuazione  del  precetto
costituzionale dell'indipendenza», la misura adottata  violerebbe  il
principio in virtu' del quale il trattamento economico dei magistrati
non sarebbe «nella libera disponibilita' del  potere  legislativo»  e
dovrebbe non soltanto essere «adeguato» alla quantita' e qualita' del
lavoro prestato (ex art. 36 della Costituzione), ma anche va «certo e
costante, e in generale non soggetto a decurtazioni  (tanto  piu'  se
periodiche o ricorrenti)». 
    Tale disciplina contrasterebbe, altresi', con gli artt.  3,  100,
101, 104 e 108,  della  Costituzione,  in  quanto  realizzerebbe  una
irragionevole   decurtazione   del   trattamento   retributivo    dei
magistrati, il quale e' caratterizzato da un automatismo legale,  che
si  pone  «come  guarentigia   idonea   a   garantire   il   precetto
costituzionale dell'autonomia ed indipendenza dei giudici, valore che
deve  essere  salvaguardato  anche  sul  piano  economico»,  con   la
conseguenza che una simile manovra obbligherebbe il magistrato  (come
singolo o come Ordine) a rivendicazioni economiche verso  i  pubblici
poteri. 
    Viene, inoltre, evocata (ordinanze r.o. nn. 54, 63 e 94 del 2012)
la violazione degli artt.  2  e  3  Cost.,  in  quanto  tali  misure,
intrinsecamente irragionevoli,  sarebbero  inserite  in  una  manovra
priva di dimensione solidaristica. 
    3.- A tutte queste censure che, come detto, riguardano  il  comma
22 complessivamente considerato,  si  aggiungono  altri  profili  che
specificano    ulteriormente    la     prospettata     illegittimita'
costituzionale,  anche  con  riferimento  al  principio   di   tutela
dell'affidamento   ed   all'esercizio   imparziale   della   funzione
giudiziaria, necessario  a  garantire  un  processo  giusto  ed  equo
davanti ad un tribunale indipendente, come previsto dall'art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    4.- Con specifico riferimento al meccanismo di blocco  temporaneo
degli adeguamenti stipendiali, i rimettenti, oltre  a  richiamare  il
nucleo fondamentale di censura costituito dalla  asserita  violazione
degli artt. 3, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione, sostengono che
la disciplina in esame non avrebbe tenuto conto della  giurisprudenza
di questa Corte, in relazione alla necessita' che  simili  interventi
debbano essere «eccezionali, transeunti, non arbitrari e  consentanei
allo scopo prefisso». 
    5.- Con riguardo all'indennita' giudiziaria prevista dall'art.  3
della legge n. 27  del  1981,  a  giudizio  dei  TAR  rimettenti,  le
decurtazioni operate avrebbero  tutte  le  caratteristiche  elaborate
dalla giurisprudenza di questa Corte per qualificare come  tributarie
alcune entrate. In particolare, si  tratterebbe  di  una  prestazione
doverosa, in mancanza di un rapporto  sinallagmatico  tra  le  parti,
collegata  alla  pubblica  spesa  in  relazione  ad  un   presupposto
economicamente rilevante. 
    Secondo i rimettenti, la qualificazione come  mera  riduzione  di
spesa non riuscirebbe ad escludere la reale natura  tributaria  delle
misure. 
    Cio' posto, sarebbe evidente l'illegittimita' dell'art. 9,  comma
22  (ed  anche  della  disposizione  riguardante  il  "contributo  di
solidarieta'" di cui al comma 2), in quanto il legislatore, a parita'
di  capacita'  contributiva  ed  in  violazione  dell'art.  53  della
Costituzione, avrebbe deciso di  colpire,  con  misure  continuative,
solo una particolare e ristretta classe di contribuenti. 
    Sussisterebbe, dunque, la violazione degli artt. 3, 23 e 53 della
Costituzione,  in   quanto,   indipendentemente   dal   nomen   iuris
utilizzato, la misura adottata si concreterebbe  in  una  prestazione
patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria. 
    I rimettenti sostengono che sarebbe violato, altresi', l'art.  36
della Costituzione, poiche', essendo  il  trattamento  economico  del
magistrato  considerato  adeguato  solo  in  quanto  integrato  dalla
indennita'   giudiziaria,    la    decurtazione    di    quest'ultima
determinerebbe  un'alterazione  dei   principi   di   proporzione   e
adeguatezza degli stipendi, incidendo solo sull'aspetto  quantitativo
della retribuzione. 
    La misura  violerebbe,  inoltre,  l'art.  3  della  Costituzione,
perche' la riduzione percentuale di un'indennita' fissa, destinata  a
compensare gli oneri  del  lavoro  giudiziario,  colpirebbe  in  modo
maggiore i magistrati con minore anzianita' di servizio, notoriamente
impegnati in sedi disagiate con esposizione a rischi ed oneri  spesso
di fatto maggiori dei colleghi piu' anziani. 
    6.- I TAR per l'Abruzzo, Umbria e Calabria (reg. ord. nn. 46, 53,
54, 74 e 75 del 2012) impugnano, anche l'art. 9, comma 2, del  citato
decreto-legge n. 78 del 2010, in relazione al taglio del  trattamento
economico complessivo oltre i 90.000 euro ed oltre i 150.000 euro. 
    I rimettenti assumono che tale intervento finanziario,  piuttosto
che caratterizzarsi come una riduzione stipendiale (melius, come  una
riduzione dei trattamenti economici), avrebbe natura tributaria. 
    Tale misura violerebbe gli  artt.  3  e  53  della  Costituzione,
trattandosi  di  prelievo  di  natura  tributaria,   che   colpirebbe
solamente la  categoria  dei  dipendenti  pubblici  (nel  cui  novero
rientrano  i  magistrati),  in  contrasto  con  il  principio   della
«universalita'  della  imposizione».  L'imposta   sarebbe,   inoltre,
discriminatoria,  sia  in  relazione  all'amplissima  categoria   dei
"cittadini", rispetto alla  quale  i  dipendenti  pubblici  sarebbero
discriminati ratione status a parita' di capacita' economica, sia  in
relazione alla categoria piu' ristretta dei "lavoratori",  risultando
i dipendenti pubblici discriminati rispetto  ai  dipendenti  privati.
Tale effetto discriminatorio sarebbe ancor piu'  evidente  alla  luce
della diversa disciplina  riservata  al  contributo  di  solidarieta'
oltre i 300.000 euro di reddito, previsto per  gli  altri  cittadini,
dall'art. 2 del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138 (Ulteriori misure
urgenti per  la  stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo),
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 14 settembre 2011, n. 148, il quale, sebbene giustificato dalla
medesima  ratio,  prevedrebbe  una  soglia   superiore,   un'aliquota
inferiore e la deducibilita' dal reddito complessivo. 
    7.- I TAR per l'Umbria e per la Calabria (reg. ord. nn. 54  e  74
del 2012) censurano anche il comma 7  dell'art.  12  del  piu'  volte
citato d.l. n. 78 del 2010, che consentendo lo  scaglionamento  delle
corresponsione dell'indennita' (fino a tre importi annuali, a seconda
dell'ammontare complessivo  della  prestazione),  determinerebbe  una
perdita patrimoniale certa, se non altro  in  ragione  della  mancata
previsione di interessi per la dilazione  del  pagamento,  in  deroga
alla disciplina delle obbligazioni pecuniarie. 
    8.- Infine, il solo TAR per l'Umbria, con l'ordinanza iscritta al
reg. ord. n. 54 del 2012, censura il comma 10 dell'art. 12  del  d.l.
n. 78 del 2010, il quale dispone che  sulle  anzianita'  contributive
maturate a fare tempo dal 1º gennaio 2011, si applica l'aliquota  del
6,91%, senza determinare il venire meno della trattenuta a carico del
dipendente pari al 2,50% della base  contributiva  della  buonuscita,
operata a titolo di rivalsa sull'accantonamento per  l'indennita'  di
buonuscita, in combinato con l'art. 37  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032  (Approvazione  del  testo
unico delle  norme  sulle  prestazioni  previdenziali  a  favore  dei
dipendenti civili e  militari  dello  Stato).  Il  regime  risultante
violerebbe gli articoli 3 e  36  della  Costituzione,  in  quanto  la
trattenuta  a  carico  del  dipendente  pari  al  2,50%  della   base
contributiva   della   buonuscita,    produrrebbe    una    riduzione
dell'accantonamento,  illogica  anche  perche'  in   nessuna   misura
collegata con la qualita' e quantita' del lavoro prestato. 
    9.- In via preliminare, con riferimento al giudizio  iscritto  al
reg. ord. n. 54 del 2012, va dichiarata l'inammissibilita'  dell'atto
di intervento ad adiuvandum spiegato da  Abbritti  Paolo,  magistrato
ordinario, intervenuto nel giudizio a quo con  atto  depositato  solo
successivamente all'ordinanza di rimessione e, quindi, allorche' tale
giudizio era stato gia' sospeso. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «sono ammessi
a intervenire nel giudizio incidentale di legittimita' costituzionale
le sole parti del giudizio principale ed  i  terzi  portatori  di  un
interesse   qualificato,   immediatamente   inerente   al    rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle norme  oggetto  di  censura»  (per
tutte, sentenze n. 304, n. 293 e n. 199 del 2011; n. 151 del 2009). 
    In applicazione di detto principio, poiche' nel caso  di  specie,
tenuto conto del tempo in cui  e'  stato  spiegato  l'intervento  nel
giudizio principale e della mancata pronuncia sullo stesso  da  parte
del TAR, non puo' ritenersi  che  Abbritti  Paolo  abbia  assunto  la
qualita' di parte nel processo a quo, l'intervento da questi spiegato
nel giudizio davanti  a  questa  Corte  va  dichiarato  inammissibile
(sentenza n. 220 del 2007 e ordinanza n. 393 del 2008). 
    9.1.- Ancora in  via  preliminare,  con  riferimento  ai  giudizi
iscritti al reg. ord.  nn.  46  e  53  del  2012,  va  dichiarata  la
manifesta inammissibilita' della questione avente ad  oggetto  l'art.
9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010. 
    In particolare, il TAR per l'Abruzzo, dopo aver  premesso  che  i
ricorsi   proposti    riguardano    le    decurtazioni    conseguenti
all'applicazione dell'art. 9, comma 22, conclude  affermando  che  le
medesime  censure  enucleate  con  riguardo  a  tale   ultima   norma
varrebbero, «a maggior ragione», per il prelievo disposto  dal  comma
2, in quanto incidente direttamente sul trattamento  stipendiale  dei
ricorrenti. 
    Analogamente, il TAR per l'Umbria (reg.  ord.  n.  53  del  2012)
premette  che  i  ricorrenti  si  dolgono  del  mancato   adeguamento
automatico delle proprie  retribuzioni,  nonche'  della  decurtazione
subita  dall'indennita'  giudiziaria  ad  essi  spettante.  Prosegue,
altresi', affermando come  risulti  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  del  comma  22
dell'art. 9 e, tuttavia, procede in conclusione ad impugnare anche la
norma contenuta nel citato  comma  2,  relativa  alla  riduzione  del
trattamento economico  complessivo  superiore  a  90.000  euro  ed  a
150.000 euro. 
    In  entrambi  i  casi,  poiche'  tale  profilo  del   trattamento
economico non aveva fatto parte dei motivi di ricorso delle parti del
giudizio,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale   risulta
manifestamente inammissibile, in quanto sollevata in relazione ad una
norma di cui il giudice rimettente non  deve  fare  applicazione  nel
giudizio a quo (ex pluribus ordinanze n. 256 del 2009 e  n.  265  del
2008). 
    10.- Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riferimento  alle
questioni sollevate dalle ordinanze dei TAR per  l'Umbria  e  per  la
Calabria, aventi  ad  oggetto  l'art.  12,  comma  7,  inerenti  alle
modalita' di corresponsione dell'indennita' di buonuscita. 
    In particolare, secondo i giudici a quibus, la questione  sarebbe
rilevante poiche' detta norma  dovra'  essere  sicuramente  applicata
all'atto di cessazione dal servizio dei ricorrenti,  comunque  ed  in
qualsiasi tempo avvenga. Tuttavia, nessuno dei  rimettenti  riferisce
di essere investito di una domanda  da  parte  di  un  magistrato  in
quiescenza, per qualunque causa, in epoca successiva al  30  novembre
2010, che abbia subito gli  effetti  della  norma.  L'assenza  di  un
pregiudizio e di un interesse attuale a ricorrere rende evidente come
i rimettenti non debbano fare  applicazione  della  norma  impugnata.
Inoltre, neppure  risulta  individuato  alcun  immediato  pregiudizio
subito dai magistrati in servizio, diverso dalla  rateizzazione,  che
essi subiranno nel momento del collocamento a  riposo  per  raggiunti
limiti di eta', il giorno successivo  a  quello  del  compimento  del
settantesimo anno di eta' o a quello  fissato  nel  provvedimento  di
trattenimento in servizio, ovvero per anzianita' di servizio,  ovvero
per dimissioni. 
    Anche tale  questione  va,  pertanto,  dichiarata  manifestamente
inammissibile. 
    11.- Nel merito, le questioni relative all'art. 9, comma 22,  del
citato d.l. n. 78 del 2010, sollevate con riferimento alla violazione
degli artt. 3, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione, sono fondate. 
    11.1.- La norma stabilisce che, per  il  personale  di  cui  alla
legge n. 27 del 1981, «non [siano]  erogati,  senza  possibilita'  di
recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed  il  conguaglio
del triennio 2010-2012»; e che «per il triennio  2013-2015  l'acconto
spettante per l'anno 2014 [sia] pari alla misura  gia'  prevista  per
l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 [venga]  determinato  con
riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014». Infine, il  medesimo  comma
dispone che nei confronti del predetto personale non si applicano  le
disposizioni di cui ai commi 1 e 21, secondo e terzo periodo. 
    11.2.-  Il  meccanismo  di  adeguamento  delle  retribuzioni  dei
magistrati ordinari, nonche' dei magistrati del Consiglio  di  Stato,
della Corte dei conti, della giustizia militare e  degli  Avvocati  e
Procuratori dello Stato e' stabilito dagli artt. 11 e 12 della  legge
2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico  dei  magistrati  e
sul trattamento economico dei magistrati ordinari  e  amministrativi,
dei magistrati  della  giustizia  militare  e  degli  avvocati  dello
Stato), come sostituiti dall'art. 2 della  citata  legge  n.  27  del
1981. Tali norme dispongono che  gli  stipendi  dei  magistrati  sono
adeguati automaticamente ogni triennio, nella misura percentuale pari
alla  media  degli  incrementi  delle   voci   retributive,   esclusa
l'indennita' integrativa  speciale,  ottenuti  dagli  altri  pubblici
dipendenti (appartenenti alle amministrazioni statali,  alle  aziende
autonome dello  Stato,  universita',  regioni,  provincie  e  comuni,
ospedali ed enti  di  previdenza).  La  percentuale  viene  calcolata
dall'Istituto centrale di statistica  rapportando  il  complesso  del
trattamento economico medio per unita' corrisposto  nell'ultimo  anno
del  triennio  di  riferimento   al   trattamento   economico   medio
dell'ultimo anno del  triennio  precedente,  ed  ha  effetto  dal  1°
gennaio successivo a quello di riferimento. La determinazione di tale
percentuale e' poi disposta entro il 30 aprile del primo anno di ogni
triennio con decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  di
concerto con il Ministro della giustizia e con quello dell'economia e
delle finanze. Sulla base di questo provvedimento, gli stipendi al 1°
gennaio del secondo e del terzo anno di ogni triennio sono aumentati,
a titolo di acconto sull'adeguamento triennale, per  ciascun  anno  e
con riferimento sempre allo stipendio in vigore  al  1°  gennaio  del
primo  anno,  per  il  30  per  cento  della  variazione  percentuale
verificatasi fra le retribuzioni dei dipendenti pubblici nel triennio
precedente, con conseguente conguaglio a decorrere dal 1° gennaio del
triennio successivo. 
    11.3.-  Posta  questa  premessa,  va  osservato  che,  nonostante
l'imprecisione della normativa denunciata, la  quale  considera  come
anno di acconto il 2012, correttamente i  rimettenti  hanno  ritenuto
che tale disciplina non possa  ingenerare  dubbi  in  relazione  alle
modalita' della sua applicazione, trattandosi comunque di  un  blocco
della corresponsione di somme, indipendentemente dal fatto  che  esse
siano dovute a titolo di acconto o di conguaglio. 
    11.4.- Nel merito, va ricordato che questa  Corte,  nel  decidere
questioni concernenti norme aventi ad oggetto la  retribuzione  e  la
disciplina  dell'adeguamento  retributivo  dei  magistrati,  anche  e
soprattutto in riferimento  a  misure  economico-finanziarie  che  ne
hanno ritardato o comunque disciplinato gli  effetti  nel  tempo,  ha
affermato,   in   generale,   che   l'indipendenza    degli    organi
giurisdizionali  si  realizza  anche  mediante  «l'apprestamento   di
garanzie  circa  lo   status   dei   componenti   nelle   sue   varie
articolazioni, concernenti, fra l'altro, oltre alla  progressione  in
carriera, anche il trattamento economico» (sentenza n. 1 del 1978). 
    La  sentenza  n.  238  del  1990   ha   delineato   la   funzione
dell'adeguamento  triennale  e  dei  meccanismi  rivalutativi   della
retribuzione dei  magistrati,  affermando  che,  «In  attuazione  del
precetto costituzionale  dell'indipendenza  dei  magistrati,  che  va
salvaguardata anche sotto il profilo  economico  (...)  evitando  tra
l'altro che essi  siano  soggetti  a  periodiche  rivendicazioni  nei
confronti di altri poteri,  il  legislatore  ha  col  citato  art.  2
predisposto   un   meccanismo   di   adeguamento   automatico   delle
retribuzioni dei magistrati che, in quanto configurato con  l'attuale
ampiezza di  termini  di  riferimento,  concretizza  una  guarentigia
idonea a tale scopo». 
    Successivamente, la sentenza n. 42 del 1993 ha  ribadito  che  il
sistema di adeguamento automatico e' caratterizzato dalla garanzia di
un aumento periodico delle retribuzioni,  che  viene  assicurato  per
legge, sulla base di  un  meccanismo  che  costituisce  un  «elemento
intrinseco della struttura delle retribuzioni» la cui ratio  consiste
nella «attuazione del precetto costituzionale  dell'indipendenza  dei
magistrati, che va salvaguardato anche  sotto  il  profilo  economico
(...) evitando tra l'altro  che  essi  siano  soggetti  a  periodiche
rivendicazioni nei confronti di altri poteri». La  Corte,  in  quella
occasione, ha altresi' ribadito che il meccanismo di cui  all'art.  2
«in  quanto  configurato  con  l'attuale  ampiezza  di   termini   di
riferimento, concretizza una guarentigia idonea  a  tale  scopo».  Lo
stesso principio e' stato ancora di recente  enunciato  in  relazione
alla disciplina dell'indennita' di funzione (ordinanze n.  137  e  n.
346 del 2008). 
    Secondo  una  univoca  giurisprudenza  costituzionale,  pertanto,
sussiste  un  collegamento  fra  tale  disciplina   ed   i   precetti
costituzionali  summenzionati,  nel  senso  della  imprescindibilita'
dell'esistenza  di  un  meccanismo,  sia   pure   non   a   contenuto
costituzionalmente imposto, che svincoli la progressione  stipendiale
da una contrattazione  e,  comunque,  in  modo  da  evitare  il  mero
arbitrio di un potere sull'altro.  Va  aggiunto,  poi,  che  siffatti
principi sono confortati dai lavori  preparatori  della  Costituente,
dai   quali   traspare    che    l'omessa    indicazione    specifica
dell'indipendenza economica delle  magistrature  non  ha  significato
l'esclusione di tale aspetto dal complesso di  condizioni  necessario
per realizzare l'autonomia ed indipendenza  delle  stesse  (resoconti
dei lavori dell'Assemblea 6 novembre 1947, nella seduta  pomeridiana;
20 novembre 1947, nella seduta pomeridiana; 26 novembre  1947,  nella
seduta antimeridiana; 7 novembre 1947, nella seduta  pomeridiana;  13
novembre 1947, nella seduta antimeridiana; 14  novembre  1947,  nella
seduta antimeridiana; 21 novembre 1947, nella seduta pomeridiana;  11
novembre 1947, nella seduta pomeridiana). 
    La specificita' di tale disciplina costituisce,  peraltro,  anche
conseguenza del fatto che la magistratura, nell'organizzazione  dello
Stato  costituzionale,  esercita  una  funzione  ad   essa   affidata
direttamente dalla Costituzione. Per questa  ragione,  attraverso  un
meccanismo di adeguamento automatico del  trattamento  economico  dei
magistrati, la legge, sulla  base  dei  principi  costituzionali,  ha
messo al riparo l'autonomia e l'indipendenza  della  magistratura  da
qualsiasi   forma   di   interferenza,   che   potesse,   sia    pure
potenzialmente, menomare tale  funzione,  attraverso  una  dialettica
contrattualistica.  In  tale  assetto  costituzionale,  pertanto,  il
rapporto fra lo Stato e la  magistratura,  come  ordine  autonomo  ed
indipendente, eccede i connotati di un mero rapporto  di  lavoro,  in
cui il contraente-datore di lavoro possa al contempo essere  parte  e
regolatore di tale rapporto. 
    11.5.- In occasione  di  pregresse  manovre  economiche,  recanti
deroghe temporanee a tali  meccanismi  rivalutativi  di  adeguamento,
disposte,  in  particolare,  in  occasione  della  grave  congiuntura
economica del 1992, questa Corte ha gia' indicato i  limiti  entro  i
quali un tale intervento puo' ritenersi rispettoso dei principi sopra
sintetizzati. 
    In particolare, l'ordinanza n. 299  del  1999,  premesso  che  il
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'  disposizioni
fiscali), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  14  novembre
1992, n. 438, era stato emanato in un momento molto delicato  per  la
vita economico-finanziaria del Paese, caratterizzato dalla necessita'
di  recuperare  l'equilibrio  di  bilancio,  ha  affermato  che  «per
esigenze cosi' stringenti il legislatore ha imposto a tutti sacrifici
anche onerosi (sentenza n. 245 del 1997) e che norme di  tale  natura
possono ritenersi non lesive del principio di cui  all'art.  3  della
Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarieta' sia  al
principio  di  uguaglianza  sostanziale,  sia  a  quello  della   non
irragionevolezza),  a  condizione  che  i  suddetti  sacrifici  siano
eccezionali, transeunti,  non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso».  In  particolare,  la  pronuncia  ha  precisato  che  tale
intervento, «pur collocandosi in un ambito estremo, non lede tuttavia
alcuno dei precetti indicati, in  quanto  il  sacrificio  imposto  ai
pubblici dipendenti dal comma 3 del citato art. 7 e' stato limitato a
un anno; cosi' come  limitato  nel  tempo  e'  stato  il  divieto  di
stipulazione di nuovi  accordi  economici  collettivi,  previsto  dal
comma 1  dell'art.  7  e  che,  quindi,  tale  norma  ha  imposto  un
sacrificio non irragionevolmente esteso nel tempo (sentenza n. 99 del
1995),  ne'  irrazionalmente  ripartito  fra  categorie  diverse   di
cittadini». 
    Sempre con riferimento al decreto-legge n. 384 del 1992, e' stato
altresi'  sottolineato  che  il  cosiddetto  "blocco"  dallo   stesso
stabilito, di cui era evidente il carattere provvedimentale del tutto
eccezionale,  esauriva  i   suoi   effetti   nell'anno   considerato,
limitandosi a impedire erogazioni per esigenze  di  riequilibrio  del
bilancio (sentenza n.  245  del  1997),  riconosciute  meritevoli  di
tutela a condizione che le  disposizioni  adottate  non  risultassero
arbitrarie (sentenze n. 417 del 1996, n. 99 del 1995, n. 6 del 1994). 
    11.6.-  Il  meccanismo  di  adeguamento  delle  retribuzioni  dei
magistrati puo', dunque, a certe  condizioni  essere  sottoposto  per
legge  a  limitazioni,  in  particolare  quando  gli  interventi  che
incidono su  di  esso  siano  collocati  in  un  quadro  di  analoghi
sacrifici imposti sia al pubblico impiego (attraverso il blocco della
contrattazione - sulla base della  quale  l'ISTAT  calcola  l'aumento
medio da applicare), sia a tutti i cittadini, attraverso  correlative
misure, anche di carattere fiscale. 
    Allorquando  la  gravita'  della  situazione   economica   e   la
previsione  del  suo  superamento  non  prima  dell'arco   di   tempo
considerato impongano un intervento  sugli  adeguamenti  stipendiali,
anche in un  contesto  di  generale  raffreddamento  delle  dinamiche
retributive  del  pubblico  impiego,  tale  intervento  non  potrebbe
sospendere le garanzie stipendiali oltre il periodo  reso  necessario
dalle esigenze di riequilibrio di bilancio. 
    Nel  caso  di  specie,  i  ricordati   limiti   tracciati   dalla
giurisprudenza   di   questa   Corte   risultano    irragionevolmente
oltrepassati. 
    11.7.- In primo luogo, la disciplina censurata ha posto nel nulla
la determinazione  gia'  disposta  con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  del  23  giugno  2009,  che  aveva  fissato
l'incremento con decorrenza dal 1° gennaio 2009, incidendo quindi sul
conguaglio  del  2012.   Pertanto,   assume   rilievo   decisivo   la
constatazione che, in relazione a questo aspetto, l'intervento per il
solo personale della magistratura eccede l'obiettivo di realizzare un
"raffreddamento" della dinamica retributiva ed ha, invece, comportato
una  vera  e  propria  irragionevole   riduzione   di   quanto   gia'
riconosciuto sulla base delle norme che disciplinano l'adeguamento. 
    In  secondo  luogo,  oltre  ad  essere  disposto  non   solo   un
raffreddamento della dinamica retributiva, bensi'  una  riduzione  di
quanto gia' spettante  per  il  2012,  e'  stato  impedito  qualsiasi
recupero di tale progressione, con l'imposizione di un "tetto" per il
conguaglio dell'anno 2015,  determinato  con  riferimento  agli  anni
2009, 2010 e 2014; escludendo pertanto il triennio 2011-2013 e con un
effetto irreversibile. 
    La  fissazione  di  un  "tetto"  per  l'acconto  dell'adeguamento
relativo all'anno 2014 e di un "tetto" per  il  conguaglio  dell'anno
2015, scollegato peraltro dalle esigenze di bilancio che governano il
provvedimento,  costituisce,  infatti,   un   ulteriore   illegittimo
superamento  dei  limiti   temporali   dell'intervento   emergenziale
stabilito dal legislatore per il triennio 2011-2013. Tale disciplina,
in quanto suscettibile di determinare effetti permanenti  del  blocco
dell'adeguamento soltanto per le categorie interessate  dal  medesimo
blocco, determina per cio' stesso la violazione  dell'art.  3  Cost.,
nonche'  dei  ricordati  principi  costituzionali  posti  a  presidio
dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. La  disciplina
in  esame  realizza,  infatti,  una  ingiustificata   disparita'   di
trattamento fra la categoria dei magistrati  e  quella  del  pubblico
impiego contrattualizzato, che, diversamente dal primo, vede limitata
la possibilita' di contrattazione soltanto per un triennio. 
    Inoltre, l'intervento  normativo  in  questione  non  solo  copre
potenzialmente un arco di tempo superiore alle  individuate  esigenze
di bilancio, ma soltanto apparentemente e' limitato nel tempo, se  si
considerano le analoghe misure  pregresse  che  hanno  interessato  i
meccanismi di adeguamento, in particolare, con  riferimento  all'art.
1, comma 576, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2007), che riduceva  la  corresponsione  dell'adeguamento
maturato. 
    In tale contesto, il fatto che i magistrati,  in  quanto  esclusi
dalla possibilita' di interloquire in sede contrattuale,  si  giovino
degli aumenti contrattuali soltanto con un triennio di ritardo, salva
la  previsione  di  acconti,  non   puo'   consentire   di   arrecare
esclusivamente ad essi  un  ulteriore  pregiudizio,  consistente  non
soltanto nella mancata progressione relativa al triennio  precedente,
ma anche conseguente all'impossibilita' di giovarsi di quella che  la
contrattazione nel pubblico impiego  potrebbe  raggiungere  oltre  il
triennio  di  blocco.  In  questo   senso,   l'intervento   normativo
censurato, oltre a superare i limiti  costituzionali  indicati  dalla
giurisprudenza di questa Corte, che collocava in ambito  estremo  una
misura incidente su un solo  anno,  travalica  l'effetto  finanziario
voluto, trasformando  un  meccanismo  di  guarentigia  in  motivo  di
irragionevole discriminazione. 
    In definitiva,  la  disciplina  censurata  eccede  i  limiti  del
raffreddamento delle dinamiche retributive,  in  danno  di  una  sola
categoria di pubblici dipendenti. 
    11.8.- Va, pertanto, dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, nella  parte  in  cui
dispone che, per il personale di cui alla legge n. 27 del  1981,  non
sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli  anni
2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e  che  per
tale personale, per il triennio 2013-2015,  l'acconto  spettante  per
l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista per l'anno  2010  e  il
conguaglio per l'anno 2015 viene  determinato  con  riferimento  agli
anni 2009, 2010 e 2014; nonche' nella parte in cui non esclude che  a
detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21. 
    12.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,
comma 22, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui
stabilisce la decurtazione dell'indennita' prevista dall'art. 3 della
legge 19 febbraio 1981, n. 27, sollevata in riferimento agli articoli
3 e 53 Cost., e' fondata. 
    12.1.- In limine, va osservato che la  giurisprudenza  di  questa
Corte ha dapprima definito tale indennita'  come  voce  collegata  al
"servizio istituzionale svolto dai magistrati" (ordinanza n.  57  del
1990). 
    Successivamente, la sentenza n. 238  del  1990  ha  ulteriormente
precisato che la "speciale" indennita' di cui si tratta, correlandosi
al peculiare status dei magistrati, costituisce  una  componente  del
loro normale trattamento economico, soggetto ad una  regolamentazione
autonoma.  Tale  componente,   tuttavia,   secondo   la   Corte,   e'
necessariamente correlata al concreto esercizio  delle  funzioni,  in
quanto  espressamente  collegata  ai  particolari   "oneri"   che   i
magistrati "incontrano nello svolgimento della  loro  attivita'",  la
quale  comporta  peraltro  un  impegno  senza   prestabiliti   limiti
temporali. La corresponsione della stessa  e',  dunque,  strettamente
connessa all'effettiva prestazione del servizio (sentenza n. 407  del
1996 e ordinanza n. 106 del 1997). 
    Con riferimento alla erogazione di tale indennita'  nel  caso  di
astensione obbligatoria  dal  lavoro  dei  magistrati,  la  Corte  ha
ribadito la peculiarita' di tale voce stipendiale, sia dal  punto  di
vista del regime di corresponsione e di rivalutazione, sia dal  punto
di  vista  della  specialita'  della  sua  ispirazione  al   precetto
costituzionale di autonomia ed indipendenza  (ordinanze  n.  346  del
2008, n. 137 del 2008, n. 290 del 2006). 
    Ai fini della decisione occorre, dunque, tenere conto  del  fatto
che tale indennita', sebbene sia stata nel  tempo  considerata  anche
come una componente normale della retribuzione, non ha perso  la  sua
natura  particolare,  conseguente  all'essere  la  stessa  diretta  a
compensare un  complesso  di  oneri  inscindibilmente  connessi  alle
modalita' di esercizio delle funzioni svolte dai magistrati. 
    12.2.- Cio' posto, occorre preliminarmente  stabilire  la  natura
giuridica del prelievo stabilito  dalla  norma  impugnata,  la  quale
statuisce che l'indennita' «spettante negli anni 2011, 2012  e  2013,
e' ridotta del 15% per l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012 e del 32%
per l'anno 2013». 
    12.3.- Questa Corte non ritiene  che  la  disposizione  in  esame
preveda una mera progressiva riduzione dell'indennita'. 
    In primo luogo, la formula utilizzata dal legislatore non  lascia
adito a dubbi sul fatto che l'indennita' continui ad assolvere la sua
originaria funzione di compensare i  particolari  oneri  connessi  al
servizio  istituzionale  svolto  dai  magistrati.   La   "riduzione",
infatti, non opera ai fini previdenziali e, pertanto, integra non una
decurtazione retributiva, ma un prelievo triennale straordinario  per
aliquote crescenti. 
    In secondo  luogo,  confinare  la  misura  finanziaria  in  esame
nell'ambito   retributivo   significherebbe    incorrere    in    una
contraddizione, dato  che  dovrebbero  ritenersi  corrispondentemente
ridotti, nel periodo considerato, quei particolari oneri che essa  e'
diretta a compensare, riduzione che, all'evidenza, e'  esclusa.  Tale
opzione  ermeneutica,  inoltre,  condurrebbe   ad   una   conclusione
altrettanto irragionevole, poiche' essa attribuirebbe al  legislatore
l'intento  di  ridurre  una  componente  connessa  ad  una  soluzione
organizzativa in cui l'amministrazione pubblica, piuttosto che optare
per un diretto impiego di  moduli  organizzativi  e  strumentali  che
tengano indenni economicamente i magistrati dai  predetti  oneri,  ha
ritenuto piu' vantaggioso affidarne a  questi  ultimi  una  porzione,
previo specifico ristoro economico, sottratto, dunque, ad imposizioni
tributarie diverse da quelle che gia' colpiscono, a  mezzo  ritenuta,
tali somme. 
    Per  altro  verso,  poi,  trattandosi  di  una   componente   del
trattamento  economico  collegata  ai  principi   di   autonomia   ed
indipendenza  della  magistratura,  la  sua  riduzione,  in  se',  in
aggiunta alla  mancata  rivalutazione,  determinerebbe  un  ulteriore
vulnus della Costituzione. 
    Vero e' che, esclusa la configurabilita' di un  prelievo  forzoso
sine  causa,  deve  ritenersi  che  la  decurtazione  oggetto   della
questione di costituzionalita', nonostante il riferimento testuale ad
una "riduzione" e ad un "contenimento delle spese", rivesta carattere
tributario, trattandosi all'evidenza di una prestazione  patrimoniale
imposta, realizzata attraverso  un  atto  autoritativo  di  carattere
ablatorio, destinata a sovvenire le pubbliche spese. La  ratio  della
disposizione censurata, in  altri  termini,  e'  quella  di  reperire
risorse per l'erario. 
    La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente precisato  che
gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre:  la
disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare
una (definitiva) decurtazione  patrimoniale  a  carico  del  soggetto
passivo; la decurtazione  non  deve  integrare  una  modifica  di  un
rapporto sinallagmatico (nella specie, di una voce retributiva di  un
rapporto di lavoro ascrivibile ad un dipendente  di  lavoro  pubblico
statale  "non  contrattualizzato");  le  risorse   connesse   ad   un
presupposto  economicamente  rilevante  e  derivanti  dalla  suddetta
decurtazione sono destinate a sovvenire pubbliche spese. 
    Questi  tre  richiamati  requisiti,  congiuntamente  considerati,
ricorrono  nella  misura  in  esame,  considerato  che   l'indennita'
giudiziaria  partecipa  di  una   natura   retributiva   e   la   sua
decurtazione, ai fini del «contenimento delle  spese  in  materia  di
impiego pubblico» (come  reca  la  rubrica  dell'art.  9  censurato),
costituisce il  dichiarato  e  prevalente  intento  del  legislatore.
Inoltre,  la  misura  denunciata  neppure  ha  modificato  l'istituto
dell'indennita' giudiziaria, perche' alla temporanea  diminuzione  di
alcuni  punti  percentuali  della  entita'  di  tale  indennita'  non
corrisponde, come sopra precisato, ne' la correlativa riduzione degli
obblighi e prestazioni previdenziali, ne' la  riduzione  dei  carichi
lavorativi  che  l'indennita'  e'  diretta  a   compensare.   Infine,
l'assenza  di  una  espressa  indicazione  della  destinazione  delle
maggiori  risorse  conseguite  dallo  Stato  non  esclude  che  siano
destinate  a  sovvenire  pubbliche  spese,  e,  in   particolare,   a
stabilizzare  la  finanza  pubblica,   trattandosi   di   un   usuale
comportamento del legislatore quello di non prevedere, per i proventi
delle imposte, una destinazione diversa dal generico  "concorso  alle
pubbliche spese" desumibile dall'art. 53  Cost.  Nella  specie,  tale
destinazione si desume anche dal  titolo  stesso  del  decreto-legge:
«Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica», in  coerenza  con  le  finalita'  generali
delle imposte. 
    12.4.- Ritenuta la  natura  tributaria  della  misura  in  esame,
questa non e' immune dalle censure di  illegittimita'  costituzionale
prospettate da tutti i rimettenti con riferimento agli articoli  3  e
53 Cost. 
    Il tributo che  interessa  incide  su  una  particolare  voce  di
reddito di lavoro, che e' parte di un reddito lavorativo  complessivo
gia' sottoposto ad imposta in condizioni di  parita'  con  tutti  gli
altri percettori di reddito di lavoro;  e  introduce,  quindi,  senza
alcuna giustificazione, un elemento di  discriminazione  soltanto  ai
danni  della  particolare  categoria  di   dipendenti   statali   non
contrattualizzati che beneficia dell'indennita' giudiziaria.  Con  la
sua applicazione, infatti, viene colpita piu' gravemente,  a  parita'
di capacita' contributiva per redditi di lavoro, esclusivamente detta
categoria. Ove, poi, si potesse  prescindere  da  tale  pur  decisiva
considerazione,  la   previsione   di   siffatto   tributo   speciale
comporterebbe comunque una ingiustificata disparita'  di  trattamento
con  riguardo  alle  indennita'  percepite  dagli  altri   dipendenti
statali, non assoggettate, negli stessi periodi d'imposta,  ad  alcun
prelievo  tributario  aggiuntivo.  E'  opportuno   sottolineare   che
l'indicata disparita' di trattamento e' tanto piu' ingiustificata  in
quanto  proprio   la   sopra   ricordata   funzione   dell'indennita'
giudiziaria di compenso all'attivita'  dei  magistrati  di  supplenza
alle gravi lacune organizzative dell'apparato della giustizia,  esige
il piu' scrupoloso rispetto da parte del legislatore dei canoni della
ragionevolezza e dell'uguaglianza. 
    12.5.- Va, pertanto, dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, nella  parte  in  cui
dispone che l'indennita' speciale di cui all'articolo 3  della  legge
n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge,  negli
anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l'anno 2011, del  25%
per l'anno 2012 e del 32% per l'anno 2013. 
    Restano assorbite le ulteriori censure. 
    13.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,
comma 2, del d.l. n. 78  del  2010,  sollevata  in  riferimento  agli
articoli 3 e 53 Cost., e' del pari fondata. 
    13.1.- La disposizione, nella parte  censurata,  prevede  che  «a
decorrere  dal  1°  gennaio  2011  e  sino  al  31  dicembre  2013  i
trattamenti economici complessivi dei singoli  dipendenti,  anche  di
qualifica dirigenziale, previsti dai  rispettivi  ordinamenti,  delle
amministrazioni pubbliche, inserite nel conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del  comma  3  dell'art.  1
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000  euro  lordi
annui sono ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto  importo
fino a 150.000 euro, nonche' del 10% per la parte  eccedente  150.000
euro». 
    13.2.-  Anche  la   decisione   su   tale   questione   richiede,
preliminarmente, di accertare se la norma censurata preveda una  mera
riduzione del trattamento economico, incidente solo sul contenuto del
rapporto lavorativo dei dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche
(come afferma l'Avvocatura generale dello Stato), oppure introduca un
vero  e  proprio  prelievo  tributario   (come   sostengono   i   TAR
rimettenti). 
    13.2.1.- Come gia' osservato in precedenza, questa Corte ha  piu'
volte affermato che, indipendentemente dal nomen  iuris  attribuitole
dal legislatore, al fine di valutare se una decurtazione patrimoniale
definitiva integri un tributo,  occorre  interpretare  la  disciplina
sostanziale che la prevede  alla  luce  dei  criteri  indicati  dalla
giurisprudenza  costituzionale  come   caratterizzanti   la   nozione
unitaria di tributo:  cioe'  la  doverosita'  della  prestazione,  in
mancanza di un rapporto  sinallagmatico  tra  le  parti,  nonche'  il
collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in  relazione
ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis, sentenze  n.
141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del  2006,  n.  73  del
2005). Un tributo consiste, quindi, in un «prelievo coattivo  che  e'
finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico  di
un soggetto passivo in base ad  uno  specifico  indice  di  capacita'
contributiva» (sentenza n. 102 del 2008); indice che  deve  esprimere
l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria (sentenze n.
91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del  1965,  n.  45
del 1964). 
    13.2.2.-  Tanto  premesso,  va  constatato  che  la  disposizione
impugnata (introdotta dal medesimo incipit e sorretta dalla  medesima
ratio del contributo di solidarieta' di cui all'art. 2, comma 2,  del
decreto-legge 13 agosto  2011,  n.  138,  recante  «Ulteriori  misure
urgenti per la stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo»  e
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,
la cui natura tributaria e' indubitabile) partecipa di tutti i  sopra
indicati elementi caratteristici del prelievo tributario. 
    In primo luogo,  e'  stata  stabilita  in  via  autoritativa  una
decurtazione patrimoniale («riduzione»  del  trattamento  economico),
senza che rilevi la volonta' -  in  ordine  all'an,  al  quantum,  al
quando ed al quomodo - di chi la subisce. 
    In secondo  luogo,  la  norma  stabilisce  che  le  risorse  rese
disponibili  dalla  «riduzione»  del   trattamento   economico   sono
acquisite al bilancio dello Stato, senza operare  alcuna  distinzione
tra le diverse categorie di dipendenti pubblici  e,  in  particolare,
tra i dipendenti pubblici statali e non statali.  Ne  deriva  che  la
misura finanziaria in esame non puo' integrare una  nuova  disciplina
del rapporto  sinallagmatico  tra  datore  di  lavoro  e  dipendente,
perche'  lo  Stato  non  avrebbe  titolo  per   modificare   con   la
disposizione in esame i trattamenti economici di rapporti  lavorativi
di cui non e' parte. In altri termini, gli enti pubblici non  statali
(territoriali o no), nella loro qualita' di  datori  di  lavoro,  non
traggono alcun beneficio economico  dalla  predetta  «riduzione»,  ma
agiscono come «sostituti  d'imposta»  per  le  imposte  sui  redditi,
trattenendo  gli  importi  indicati  dalla  norma  denunciata  (quali
«ritenute alla fonte») e provvedendo  al  loro  «versamento  diretto»
all'erario per conto dei "sostituiti"  propri  dipendenti  (ai  sensi
degli artt. 1, lettera b, e 3 del d.P.R. 29 settembre 1973,  n.  602,
recante «Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul  reddito»).
Inoltre, la permanenza degli obblighi previdenziali  al  lordo  della
«riduzione» (terzo periodo  dell'impugnato  comma  2:  «La  riduzione
[...] non opera  ai  fini  previdenziali»)  costituisce  ulteriore  e
definitiva  dimostrazione  che   la   temporanea   decurtazione   del
trattamento economico integra, in realta', un prelievo a  carico  del
dipendente pubblico e non una  modificazione  (peraltro  unilaterale)
del contenuto del rapporto  di  lavoro,  alla  quale  avrebbe  dovuto
necessariamente    conseguire,    secondo     ragionevolezza,     una
corrispondente modificazione di  tali  obblighi.  Ne'  a  conclusioni
diverse puo' giungersi per i soli dipendenti statali cosiddetti  "non
contrattualizzati",  per  i  quali  una  modifica   del   trattamento
economico   avrebbe   necessariamente   richiesto    un    intervento
legislativo. E' evidente, infatti, che l'unitarieta' della disciplina
posta dalla norma censurata (che, come gia' osservato, non  distingue
tra diverse categorie  di  dipendenti  pubblici  ed  ha  riguardo  al
«trattamento  economico  complessivo»,  comprensivo  anche  di   voci
stipendiali ed  indennitarie  corrisposte  allo  stesso  soggetto  da
diverse amministrazioni pubbliche) e la permanenza in ogni caso degli
obblighi previdenziali al  lordo  della  «riduzione»  impediscono  di
ritenere che per i soli dipendenti statali non  contrattualizzati  la
norma impugnata abbia introdotto una  nuova,  temporanea  e  parziale
disciplina del rapporto  lavorativo.  L'unica  particolarita'  per  i
dipendenti statali (contrattualizzati o no) consiste nel  fatto  (non
rilevante  ai  fini  del  presente  giudizio)  che  il  prelievo   e'
effettuato dallo Stato mediante «ritenuta diretta»,  ai  sensi  degli
artt. 1, lettera a), e 2 del d.P.R. n. 602 del 1973. 
    In terzo luogo, sussiste il  collegamento  del  prelievo  con  la
pubblica spesa, in quanto lo stesso legislatore afferma che la  norma
impugnata risponde alla dichiarata ratio di destinare le risorse rese
disponibili dalla decurtazione patrimoniale del trattamento economico
complessivo dei dipendenti  pubblici  al  bilancio  dello  Stato  per
raggiungere, nei tempi previsti, gli  obiettivi  concordati  in  sede
europea,  cioe'  il  pareggio  di  bilancio  e,  in  particolare,  la
diminuzione del debito pubblico. 
    In quarto  luogo,  il  presupposto  economicamente  rilevante  in
relazione al quale e' previsto il prelievo e', con tutta evidenza, il
complessivo reddito di lavoro conseguito dal dipendente pubblico  nel
periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013. Le stesse  modalita'
applicative della misura seguite dal Ministero dell'economia e  delle
finanze, includendo nel montante lordo liquidato nel corso dell'anno,
anche gli arretrati sia  relativi  all'anno  corrente  che  per  anni
precedenti, sia delle competenze  fisse  che  di  quelle  accessorie,
ricollega  la  misura,  piu'  che  al   trattamento   economico   del
dipendente, al reddito da lavoro pubblico, che concorre a formare  il
calcolo del risultato impositivo. 
    Occorre, percio', concludere  che  la  normativa,  nonostante  la
formulazione letterale della norma in esame,  non  puo'  considerarsi
una riduzione delle retribuzioni, come  sostiene  l'Avvocatura  dello
Stato, allorche', nella memoria difensiva,  individua  la  necessita'
dell'intervento nel suggerimento dei presidenti (uscente e  nominato)
della BCE (banca centrale per la moneta unica europea)  contenuto  in
una lettera al Governo italiano. 
    Si tratta, invece, di una imposta speciale prevista nei confronti
dei soli pubblici dipendenti. 
    13.3.- Ritenuta la natura tributaria del prelievo stabilito dalla
norma censurata, occorre valutarne la  conformita'  con  i  parametri
evocati. 
    13.3.1.- In proposito va ricordato che, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, «la Costituzione non impone affatto  una  tassazione
fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e  proporzionali
per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece  un
indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di
sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale (artt. 2 e 3 della  Costituzione)»  (sentenza  n.
341 del 2000). Pertanto, il controllo  della  Corte  in  ordine  alla
lesione dei principi di cui all'art. 53  Cost.,  come  specificazione
del fondamentale principio di uguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.,
consiste in  un  «giudizio  sull'uso  ragionevole,  o  meno,  che  il
legislatore stesso abbia  fatto  dei  suoi  poteri  discrezionali  in
materia tributaria, al fine di verificare la coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la
non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del
1997). 
    Nella specie, pure considerando  al  giusto  la  discrezionalita'
legislativa in materia,  la  norma  impugnata  si  pone  in  evidente
contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost. L'introduzione di una imposta
speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione  soltanto
ai redditi di lavoro dei dipendenti delle  pubbliche  amministrazioni
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione  viola,  infatti,  il  principio  della  parita'   di
prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante.
Tale violazione si manifesta sotto due diversi profili. 
    Da un lato, a parita'  di  reddito  lavorativo,  il  prelievo  e'
ingiustificatamente limitato ai  soli  dipendenti  pubblici.  D'altro
lato, il legislatore, pur avendo richiesto (con l'art. 2 del d.l.  n.
138 del 2011) il  contributo  di  solidarieta'  (di  indubbia  natura
tributaria) del 3% sui redditi annui superiori a 300.000,00 euro,  al
fine di reperire  risorse  per  la  stabilizzazione  finanziaria,  ha
inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per  la
medesima finalita', l'ulteriore speciale prelievo tributario  oggetto
di censura. Nel caso in esame, dunque, l'irragionevolezza non risiede
nell'entita'  del  prelievo  denunciato,  ma   nella   ingiustificata
limitazione  della  platea  dei  soggetti  passivi.  La   sostanziale
identita' di ratio dei differenti interventi "di solidarieta'",  poi,
prelude  essa  stessa  ad  un   giudizio   di   irragionevolezza   ed
arbitrarieta'  del  diverso   trattamento   riservato   ai   pubblici
dipendenti, foriero peraltro di un risultato di bilancio che  avrebbe
potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato, laddove  il
legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini
e  di  solidarieta'  economica,  anche  modulando   diversamente   un
"universale" intervento impositivo. L'eccezionalita' della situazione
economica che lo Stato  deve  affrontare  e',  infatti,  suscettibile
senza  dubbio  di  consentire  al  legislatore  anche  il  ricorso  a
strumenti eccezionali,  nel  difficile  compito  di  contemperare  il
soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e
la protezione  di  cui  tutti  cittadini  necessitano.  Tuttavia,  e'
compito  dello  Stato  garantire,  anche  in  queste  condizioni,  il
rispetto dei principi fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale,
il quale,  certo,  non  e'  indifferente  alla  realta'  economica  e
finanziaria, ma con altrettanta certezza non puo' consentire  deroghe
al principio di  uguaglianza,  sul  quale  e'  fondato  l'ordinamento
costituzionale. 
    In conclusione, il tributo  imposto  determina  un  irragionevole
effetto discriminatorio. 
    13.4.-   Di   conseguenza,   va   pronunciata    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del  2010,  nella
parte in cui dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31
dicembre  2013  i  trattamenti  economici  complessivi  dei   singoli
dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai  rispettivi
ordinamenti, delle  amministrazioni  pubbliche,  inserite  nel  conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT),  ai  sensi
del comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n.  196  (Legge
di contabilita' e finanza pubblica), superiori a  90.000  euro  lordi
annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo
fino a 150.000 euro, nonche' del 10% per la parte  eccedente  150.000
euro. 
    14.- Anche la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
12,  comma  10,  del  citato  d.l.  n.  78  del  2010,  sollevata  in
riferimento agli articoli 3 e 36 Cost. e' fondata. 
    La premessa interpretativa del TAR per l'Umbria e', innanzitutto,
corretta in punto di ricostruzione del quadro normativo,  poiche'  la
mancata espressa esclusione del permanere della trattenuta  a  carico
del lavoratore non  potrebbe  indurre  a  far  uso  dell'argomento  a
silentio    sia    pure     per     perseguire     un'interpretazione
costituzionalmente orientata. Il perdurare del  prelievo  di  cui  si
discute, infatti, oltre a derivare dall'astratta  compatibilita'  fra
il nuovo regime e la disciplina contenuta  nel  d.P.R.  n.  1032  del
1973, e' avvalorato dal fatto che il citato art. 12,  comma  10,  non
contiene  affatto   una   disciplina   organica   sulle   prestazioni
previdenziali in favore dei  dipendenti  dello  Stato,  in  grado  di
sostituirsi, in senso novativo, al d.P.R. n. 1032 del 1973, come  del
resto ritenuto dall'Amministrazione in sede applicativa. 
    Cio' posto,  va  osservato  che  fino  al  31  dicembre  2010  la
normativa imponeva al datore di  lavoro  pubblico  un  accantonamento
complessivo del 9,60% sull'80%  della  retribuzione  lorda,  con  una
trattenuta a carico del dipendente pari al  2,50%,  calcolato  sempre
sull'80%  della  retribuzione.  La  differente  normativa   pregressa
prevedeva dunque un accantonamento determinato su una base di computo
inferiore e, a fronte di un miglior  trattamento  di  fine  rapporto,
esigeva la rivalsa sul dipendente di cui si discute. 
    Nel  nuovo  assetto   dell'istituto   determinato   dalla   norma
impugnata, invece, la percentuale di accantonamento opera sull'intera
retribuzione, con la conseguenza che il  mantenimento  della  rivalsa
sul dipendente, in assenza peraltro della "fascia esente",  determina
una diminuzione della retribuzione e, nel  contempo,  la  diminuzione
della quantita' del TFR maturata nel tempo. 
    La disposizione censurata, a fronte dell'estensione del regime di
cui all'art.  2120  del  codice  civile  (ai  fini  del  computo  dei
trattamenti di fine rapporto) sulle anzianita' contributive  maturate
a  fare  tempo  dal  1º  gennaio  2011,  determina  irragionevolmente
l'applicazione  dell'aliquota  del  6,91%  sull'intera  retribuzione,
senza escludere nel contempo la vigenza della trattenuta a carico del
dipendente pari al 2,50% della base  contributiva  della  buonuscita,
operata a titolo di rivalsa sull'accantonamento per  l'indennita'  di
buonuscita, in combinato con l'art. 37 del d.P.R. 29  dicembre  1973,
n. 1032. 
    Nel consentire  allo  Stato  una  riduzione  dell'accantonamento,
irragionevole perche' non collegata con la qualita' e  quantita'  del
lavoro prestato e perche' - a parita' di retribuzione - determina  un
ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto
a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da  parte  del  datore  di
lavoro, la disposizione impugnata viola per cio' stesso gli  articoli
3 e 36 della Costituzione. 
    14.1.- Va, quindi,  pronunciata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte  in  cui
non esclude l'applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari
al 2,50% della base contributiva, prevista dall'art. 37, comma 1, del
d.P.R. n. 1032 del 1973. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara inammissibile  l'intervento  spiegato,  nel  giudizio
iscritto al reg. ord. n. 54 del 2012, da Abbritti Paolo; 
    2)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,
comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui
alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il  personale  di
magistratura) non sono erogati, senza possibilita' di  recupero,  gli
acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il  conguaglio  del  triennio
2010-2012 e  che  per  tale  personale,  per  il  triennio  2013-2015
l'acconto spettante per l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista
per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con
riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonche' nella parte  in  cui
non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo  del
comma 21; 
    3)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,
comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte  in  cui  dispone  che
l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della  legge  n.  27  del
1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011,
2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l'anno 2011, del 25% per  l'anno
2012 e del 32% per l'anno 2013; 
    4)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,
comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui  dispone  che  a
decorrere  dal  1°  gennaio  2011  e  sino  al  31  dicembre  2013  i
trattamenti economici complessivi dei singoli  dipendenti,  anche  di
qualifica dirigenziale, previsti dai  rispettivi  ordinamenti,  delle
amministrazioni pubbliche, inserite nel conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3,  dell'art.  1,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita' e finanza
pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti  del  5%
per la parte eccedente il  predetto  importo  fino  a  150.000  euro,
nonche' del 10% per la parte eccedente 150.000 euro; 
    5) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  12,
comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte  in  cui  non  esclude
l'applicazione a carico del dipendente della rivalsa  pari  al  2,50%
della base contributiva, prevista dall'art. 37, comma 1, del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  29   dicembre   1973,   n.   1032
(Approvazione  del  testo  unico  delle   norme   sulle   prestazioni
previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato); 
    6) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 9, comma 2, del d.l. n.  78
del 2010, sollevata, nei giudizi iscritti al reg. ord. nn.  46  e  53
del 2012, dai TAR per l'Abruzzo e per l'Umbria; 
    7) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 12, comma 7, del d.l. n. 78
del 2010, sollevata, nei giudizi iscritti al reg. ord. nn.  54  e  74
del 2012, dai TAR per l'Umbria e per la Calabria. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2012. 
 
                                F.to: 
                    Alfonso QUARANTA, Presidente 
                     Giuseppe TESAURO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2012. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI