N. 160 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 ottobre 2012

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria  il  19  ottobre  2012  (della  Regione  autonoma   della
Sardegna). 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa  pubblica  -  Obbligo  per  le  Regioni  di
  procedere allo scioglimento, o in alternativa, alla privatizzazione
  di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate, che
  abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato  di  prestazioni  di
  servizi in  favore  della  p.a.  superiore  al  novanta  per  cento
  dell'intero fatturato - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata
  violazione dell'autonomia organizzativa e  di  funzionamento  delle
  Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di  servizi  pubblici
  locali - Denunciata violazione del principio  di  ragionevolezza  -
  Denunciata  violazione  della  competenza   legislativa   esclusiva
  regionale nelle materie dell'ordinamento degli uffici e degli  enti
  amministrativi della Regione,  stato  giuridico  ed  economico  del
  personale,  ordinamento  degli  enti  locali,  trasporti  su  linee
  automobilistiche e tranviarie, nonche' della  potesta'  legislativa
  concorrente regionale nelle  materie  dell'assunzione  di  pubblici
  servizi e linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e  gli
  scali della Regione - Denunciata violazione della volonta' popolare
  espressa in consultazione referendaria  per  la  reintroduzione  di
  disciplina  oggetto  di  abrogazione  referendaria   -   Denunciata
  elusione del giudicato della sentenza della Corte costituzionale n.
  199 del  2012  relativa  agli  effetti  del  referendum  abrogativo
  dell'anno 2011. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 75, 117, 119 e 136;  Statuto  della  Regione
  Sardegna, artt. 3, 4, 7 e 8. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione   della   spesa   pubblica   -   Previsione    che    ove
  l'amministrazione non proceda, secondo quanto  stabilito  ai  sensi
  del comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le predette  societa'
  non possono comunque ricevere affidamenti diretti di  servizi,  ne'
  possono fruire del rinnovo di affidamenti di cui  sono  titolari  -
  Ricorso   della   Regione   Sardegna   -   Denunciata    violazione
  dell'autonomia organizzativa e di funzionamento delle Regioni e  di
  enti pubblici regionali,  nonche'  di  servizi  pubblici  locali  -
  Denunciata violazione del principio di ragionevolezza -  Denunciata
  violazione della competenza legislativa esclusiva  regionale  nelle
  materie dell'ordinamento degli uffici e degli  enti  amministrativi
  della  Regione,  stato  giuridico  ed  economico   del   personale,
  ordinamento degli enti locali, trasporti su linee  automobilistiche
  e  tranviarie,  nonche'  della  potesta'  legislativa   concorrente
  regionale nelle materie dell'assunzione di pubblici servizi e linee
  marittime ed aeree di cabotaggio fra i  porti  e  gli  scali  della
  Regione - Denunciata violazione della volonta' popolare espressa in
  consultazione referendaria  per  la  reintroduzione  di  disciplina
  oggetto di  abrogazione  referendaria  -  Denunciata  elusione  del
  giudicato della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012
  relativa agli effetti del referendum abrogativo dell'anno 2011. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 75, 117, 119 e 136;  Statuto  della  Regione
  Sardegna, artt. 3, 4, 7 e 8. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Limitazione  dell'affidamento  dei
  sevizi pubblici locali alle sole ipotesi in cui il valore economico
  del servizio sia complessivamente pari o inferiore a  200.000  euro
  annui - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione  del
  principio  di  ragionevolezza   -   Denunciata   violazione   della
  competenza   legislativa   esclusiva   regionale   nelle    materie
  dell'ordinamento degli uffici e  degli  enti  amministrativi  della
  Regione, stato giuridico ed economico  del  personale,  ordinamento
  degli  enti  locali,  trasporti   su   linee   automobilistiche   e
  tranviarie,  nonche'   della   potesta'   legislativa   concorrente
  regionale nelle materie dell'assunzione di pubblici servizi e linee
  marittime ed aeree di cabotaggio fra i  porti  e  gli  scali  della
  Regione - Denunciata violazione della volonta' popolare espressa in
  consultazione referendaria  per  la  reintroduzione  di  disciplina
  oggetto di  abrogazione  referendaria  -  Denunciata  elusione  del
  giudicato della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012
  relativa agli effetti del referendum abrogativo dell'anno 2011. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 8. 
- Costituzione, artt. 3, 75, 117, 119 e 136;  Statuto  della  Regione
  Sardegna, artt. 3, 4, 7 e 8. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Previsione che a decorrere dal  1°
  ottobre 2012 il valore dei buoni  pasto  attribuiti  al  personale,
  anche di qualifica dirigenziale,  delle  amministrazioni  pubbliche
  inserite   nel   conto   economico   consolidato   della   pubblica
  amministrazione,  come  individuate  dall'Istituto   nazionale   di
  Statistica (ISTAT) ai sensi dell'art. 1, comma 2,  della  legge  n.
  196 del 2009, nonche' le  autorita'  indipendenti  ivi  inclusa  la
  Commissione nazionale per le societa' e la borsa (Consob) non  puo'
  superare il valore nominale di 7,00 euro -  Ricorso  della  Regione
  Sardegna - Denunciata violazione dei  principi  di  ragionevolezza,
  dell'affidamento  e  della   sicurezza   giuridica   -   Denunciata
  violazione  del  principio  di  buon   andamento   della   pubblica
  amministrazione - Denunciata violazione del principio di  autonomia
  contrattuale  dei  rapporti  tra  dipendenti   ed   amministrazione
  regionale  -  Denunciata  violazione  della  sfera  di   competenza
  legislativa esclusiva regionale in materia di  stato  giuridico  ed
  economico del  personale  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia
  finanziaria regionale. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 5, comma 7. 
- Costituzione, artt. 3, 39, 41, 97, 117 e 119; Statuto della Regione
  Sardegna, artt. 3 e 7. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Previsione che le  convenzioni  di
  cui all'art. 1, comma  5-bis,  lett.  f),  del  d.l.  n.  125/2010,
  convertito, con modificazioni, nella legge n.  163/2010,  stipulate
  con i soggetti aggiudicatari dei compendi  aziendali  si  intendono
  approvate e producono effetti a far data dalla sottoscrizione e che
  ogni  successiva  modifica  ovvero  integrazione  delle  stesse  e'
  approvata con decreto  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei
  trasporti  di  concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle
  finanze, sentite le Regioni interessate  -  Ricorso  della  Regione
  Sardegna - Denunciata violazione dei principi di  ragionevolezza  e
  di leale collaborazione - Denunciata  violazione  della  competenza
  legislativa esclusiva regionale  in  materia  di  turismo,  nonche'
  della competenza legislativa concorrente regionale  in  materia  di
  linee marittime ed aree di cabotaggio fra i porti e gli scali della
  Regione e di assunzione di pubblici servizi - Denunciata violazione
  della norma statutaria che impone la diretta  partecipazione  della
  Regione ai procedimenti che interessano i trasporti  da  e  per  il
  continente - Denunciato impedimento delle funzioni sia  legislative
  che amministrative nella materia della "continuita' territoriale". 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 6, comma 19. 
- Costituzione, artt. 3 e 117; Statuto della Regione Sardegna,  artt.
  3, 4, 6 e 53, in riferimento all'art. 1, comma 837, della legge  27
  dicembre 2006, n. 296. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione  della  spesa  pubblica  -  Previsione  che  le  Regioni,
  Province  e  Comuni  sopprimono  o  accorpano  o,  in  ogni   caso,
  assicurano la riduzione dei relativi oneri  finanziari,  in  misura
  non inferiore al 20 per cento, enti, agenzie e  organismi  comunque
  denominati che esercitano, alla  data  di  entrata  in  vigore  del
  decreto-legge  impugnato,  anche  in  via   strumentale,   funzioni
  fondamentali di cui all'art. 117, comma secondo,  lett.  p),  della
  Costituzione,  o  funzioni  amministrative  spettanti   a   Comuni,
  Province e  Citta'  metropolitane  ai  sensi  dell'art.  118  della
  Costituzione - Previsione di apposita procedura articolata  in  tre
  fasi: a) ricognizione, entro tre mesi dall'entrata  in  vigore  del
  decreto-legge impugnato, di tutti gli enti, agenzie  ed  organismi;
  b) definizione mediante intese da adottarsi in sede  di  Conferenza
  unificata dei costi e  delle  tempistiche  per  l'attuazione  delle
  norme; c) soppressione ope legis di  tutti  gli  enti,  agenzie  ed
  organismi,   con   conseguente   nullita'   di   tutti   gli   atti
  successivamente adottati, qualora le  Regioni,  le  Province  ed  i
  Comuni, decorsi nove mesi dall'entrata in vigore del  decreto,  non
  abbiano dato attuazione  al  precetto  normativo  -  Ricorso  della
  Regione  Sardegna  -  Denunciata  violazione   del   principio   di
  ragionevolezza - Denunciata violazione dell'autonomia  finanziaria,
  organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di  enti  pubblici
  regionali, nonche' di servizi pubblici locali. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 9. 
- Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della  Regione  Sardegna,
  artt. 3 e 7. 
Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  e  riduzione   della   spesa
  sanitaria - Previsione che il livello del fabbisogno  del  servizio
  nazionale e del correlato  finanziamento,  previsto  dalla  vigente
  legislazione, e' ridotto di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di
  1.800 milioni di euro per l'anno 2013, di 2.000 milioni di euro per
  l'anno 2014 e di 2.100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 -
  Previsione che, qualora la proposta di riparto non intervenga entro
  i  termini  indicati  dalla  disposizione,   all'attribuzione   del
  concorso alla manovra di correzione dei conti alle singole  Regioni
  e Province autonome,  alla  ripartizione  del  fabbisogno  e  delle
  disponibilita'  finanziarie  annue  per   il   Servizio   Sanitario
  Nazionale, si provvede secondo i criteri previsti  dalla  normativa
  vigente - Previsione  che  le  Regioni  a  statuto  speciale  e  le
  Province  autonome,  ad   esclusione   della   Regione   Siciliana,
  assicurano il concorso di cui sopra mediante le procedure  previste
  dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009 e che  fino  all'emanazione
  delle norme di attuazione previste dal predetto art. 27,  l'importo
  del concorso alla  manovra  stessa  e'  annualmente  accantonato  a
  valere sulle quote  di  compartecipazione  ai  tributi  erariali  -
  Ricorso  della  Regione  Sardegna  -  Denunciata   violazione   del
  principio di  leale  collaborazione  -  Denunciata  violazione  del
  principio  di  tutela  della   salute   -   Denunciata   violazione
  dell'autonomia finanziaria della Provincia autonoma, nonche'  della
  sfera di  competenza  provinciale  in  materia  di  standard  delle
  prestazioni assistenziali ospedaliere e di politiche tariffarie dei
  servizi. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 15, comma 22. 
- Costituzione, artt.  3,  32,  117  e  119;  Statuto  della  Regione
  Sardegna, artt. 6, 7 e 8, in riferimento  all'art.  1,  comma  836,
  della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 
Sanita'  pubblica  -  Razionalizzazione  e  riduzione   della   spesa
  sanitaria - Previsione che con le procedure previste  dall'art.  27
  della legge n. 42 del 2009, le Regioni  a  statuto  speciale  e  le
  Province autonome di Trento e Bolzano assicurano un  concorso  alla
  finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni  di  euro
  per l'anno 2012, 1.200 milioni  di  euro  per  l'anno  2013,  1.000
  milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere
  dall'anno 2015  e  che  l'importo  del  concorso  alla  manovra  e'
  annualmente accantonato a valere sulle quote  di  compartecipazione
  ai tributi erariali - Ricorso della Regione Sardegna  -  Denunciata
  violazione  dell'autonomia  organizzativa   e   finanziaria   della
  Regione, della potesta' legislativa in materia di ordinamento degli
  uffici e degli enti dipendenti della Regione e stato  giuridico  ed
  economico del personale - Denunciata  violazione  dei  principi  di
  leale collaborazione e di ragionevolezza. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16, comma 3. 
- Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della  Regione  Sardegna,
  artt. 6, 7 e 8. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Riduzione della spesa  degli  enti
  territoriali - Previsione per tutte le Regioni a statuto  speciale,
  in caso di mancato accordo sul concorso agli obiettivi  di  finanza
  pubblica, delle modalita' di definizione degli obiettivi stessi con
  riferimento   agli   obiettivi    fissati    nell'ultimo    accordo
  ulteriormente migliorati dai contributi a  carico  delle  Autonomie
  speciali stabiliti dalle manovre precedenti e  da  altri  ulteriori
  contributi - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione
  dell'autonomia organizzativa e  finanziaria  della  Regione,  della
  potesta' legislativa in materia di ordinamento degli uffici e degli
  enti dipendenti della Regione e stato giuridico  ed  economico  del
  personale  -  Denunciata   violazione   dei   principi   di   leale
  collaborazione e di ragionevolezza. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della  Regione  Sardegna,
  artt. 6, 7 e 8. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Riordino  delle  Province  e  loro
  funzioni - Previsione del  riordino  di  tutte  le  Province  delle
  Regioni a statuto ordinario, mediante decreto  da  emanarsi,  entro
  dieci giorni dall'entrata in vigore  del  decreto-legge  impugnato,
  con deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri,  sulla  base  dei
  requisiti minimi da individuarsi nella  dimensione  territoriale  e
  nella popolazione residente in ciascuna provincia (individuati  con
  la deliberazione  predetta,  rispettivamente,  in  2500  km.  e  in
  350.000 abitanti)  -  Prevista  partecipazione  al  riordino  delle
  Province  mediante  atto  legislativo  ad  iniziativa  governativa,
  all'esito di una  procedura  cui  partecipano  il  Consiglio  delle
  autonomie locali delle singole Regioni a  statuto  ordinario  e  le
  Regioni stesse mediante la presentazione di ipotesi di  riordino  e
  previo parere della Conferenza unificata -  Ricorso  della  Regione
  Sardegna  -  Denunciata  violazione  del  principio  di   autonomia
  costituzionale degli enti territoriali, nella specie delle Province
  -   Denunciata   violazione    dell'assetto    costituzionale    ed
  ordinamentale della Regione - Denunciata violazione  del  principio
  di leale  collaborazione  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia
  regionale in relazione ai principi di sussidiarieta' verticale e di
  adeguatezza - Denunciata lesione della potesta' regolamentare delle
  Province  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia  costituzionale
  regionale -  Denunciata  violazione  della  competenza  legislativa
  esclusiva regionale in materia di ordinamento degli uffici e  degli
  enti amministrativi regionali e di ordinamento degli enti locali  e
  delle  relative   circoscrizioni   -   Violazione   del   principio
  costituzionale della partecipazione della  popolazione  interessata
  alla procedura di  mutamento  delle  circoscrizioni  provinciali  e
  degli altri enti territoriali previsti dalla Costituzione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 17. 
- Costituzione, artt. 116, 117, 118, 119, 132 e  133;  Statuto  della
  Regione Sardegna, artt. 3, 43 e 54. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica -  Soppressione  delle  Province  di
  Roma, Torino, Milano,  Venezia,  Genova,  Bologna,  Firenze,  Bari,
  Napoli  e  Reggio  Calabria  con  contestuale   istituzione   delle
  corrispondenti Citta' metropolitane a far data dal 1° gennaio  2014
  - Ricorso  della  Regione  Sardegna  -  Denunciata  violazione  del
  principio di autonomia costituzionale  degli  enti  territoriali  -
  Denunciata   violazione    dei    presupposti    di    legittimita'
  costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del
  decreto-legge  -  Denunciata  violazione  del  principio  di   buon
  andamento della pubblica amministrazione  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Violazione
  del principio costituzionale della partecipazione della popolazione
  interessata  alla  procedura  di  mutamento  delle   circoscrizioni
  provinciali  e  degli  altri  enti  territoriali   previsti   dalla
  Costituzione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 18. 
- Costituzione, artt. 116 e  117;  Statuto  della  Regione  Sardegna,
  artt. 3, 43 e 54. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica -  Riorganizzazione  delle  funzioni
  fondamentali dei Comuni ai  sensi  dell'art.  117,  comma  secondo,
  lett.  p),  della  Costituzione  -  Previsione  per  i  Comuni  con
  popolazione inferiore ai 5000 abitanti dell'esercizio  obbligatorio
  in forma associata delle funzioni fondamentali,  mediante  riunione
  dei comuni o convenzioni di durata triennale  -  Previsione  per  i
  Comuni con  popolazione  fino  a  1000  abitanti,  dell'obbligo  di
  esercizio in forma associata, mediante unione di tutte le  funzioni
  amministrative e di tutti i servizi pubblici ad  essi  spettanti  -
  Previsione che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi
  terzo e  quarto,  della  Costituzione,  individuano  le  dimensioni
  territoriali ottimali  per  l'esercizio  delle  funzioni  in  forma
  obbligatoriamente  associata,  mediante  unioni  e  convenzioni   -
  Ricorso   della   Regione   Sardegna   -   Denunciata    violazione
  dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Denunciata
  violazione della  sfera  di  competenza  regionale  in  materia  di
  associazionismo degli enti locali - Istanza di sospensione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 19. 
- Costituzione, art. 117; Statuto della Regione Sardegna, art. 3. 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della spesa pubblica - Previsione che fermo  restando  il
  contributo delle  Regioni  a  statuto  speciale  e  delle  Province
  autonome di Trento e di Bolzano  all'azione  di  risanamento  cosi'
  come determinata dagli artt. 15 e 16, comma 1, le disposizioni  del
  decreto-legge  impugnato  si  applicano  alle  predette  Regioni  e
  Province autonome secondo  le  procedure  previste  dai  rispettivi
  statuti speciali e dalle relative norme di  attuazione,  anche  con
  riferimento  agli  enti  locali  delle   autonomie   speciali   che
  esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli  enti  ed
  organismi strumentali dei predetti enti territoriali ed agli  altri
  enti od organismi ad ordinamento regionale o provinciale -  Ricorso
  della  Regione  Sardegna  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia
  organizzativa  e  finanziaria   della   Regione,   della   potesta'
  legislativa in materia di ordinamento degli  uffici  e  degli  enti
  dipendenti della Provincia  e  stato  giuridico  ed  economico  del
  personale  -  Denunciata   violazione   dei   principi   di   leale
  collaborazione e di  ragionevolezza  -  Denunciata  violazione  del
  principio di tutela della salute. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 24-bis. 
- Costituzione, artt.  3,  32,  117  e  119;  Statuto  della  Regione
  Sardegna, artt. 6, 7 e 8. 
(GU n.50 del 19-12-2012 )
    Ricorso  della  Regione  autonoma  della  Sardegna  (cod.   fisc.
80002870923),  in  persona  del  Presidente  pro-tempore  dott.   Ugo
Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta  procura  a  margine  del
presente   atto,   dagli   avv.ti   Tiziana   Ledda   (cod.    fisc.:
LDDTZN52T59B354Q; fax: 070.6062418;  posta  elettronica  certificata:
tledda@pec.regione.sardegna.it) e prof. Massimo Luciani (cod.  fisc.:
LCNMSM52L23F1501G; fax: 06.90236029; posta  elettronica  certificata:
massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), ed elettivamente  domiciliata
presso lo studio del secondo in  00153  Roma,  Lungotevere  Raffaello
Sanzio, n. 9; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in  persona  del
Presidente  del   Consiglio   pro-tempore,   per   la   dichiarazione
dell'illegittimita' costituzionale degli artt. 4, 5, 6,  9,  15,  16,
17, 18,  19  e  24-bis  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,
pubblicato in G.U. 6  luglio  2012,  n.  156,  S.O.,  convertito  con
modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata in  G.U.  14
agosto 2012, n. 189, S.O. 
 
                                Fatto 
 
    1. Il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, pubblicato  in  G.U.  6
luglio 2012, n. 156, S.O., convertito con modificazioni  in  legge  7
agosto 2012, n. 135, pubblicata in G.U. 14 agosto 2012, n. 189, S.O.,
recante "Disposizioni urgenti per la revisione della  spesa  pubblica
con  invarianza  dei  servizi  ai   cittadini   nonche'   misure   di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del  settore  bancario",  e'
intervenuto in una vasta pluralita' di materie, che - per citare solo
alcuni  degli  esempi  che  qui  interessano  direttamente  -   vanno
dall'organizzazione  delle  societa'   strumentali   della   pubblica
Amministrazione (art. 4) all'affidamento dei servizi pubblici  locali
(ancora art. 4); dal trattamento del personale impiegato al  servizio
della P.A. (art. 5) ai trasporti pubblici (art. 6); dalle misure  per
la  riduzione  della  spesa   pubblica   (artt.   15   e   16)   alla
ristrutturazione del sistema degli Enti locali (artt. 17, 18 e 19). 
    E' agevole constatare che alla realizzazione del vasto  programma
delineato  da  tale  decreto-legge  sono  state  chiamate  anche   le
autonomie territoriali. Non e' giustificabile, pero', che per  alcuni
significativi profili il concorso di tali autonomie  (in  particolare
di quelle regionali,  e  ancor  piu'  in  particolare  della  Regione
Sardegna) sia stato strutturato in forme e con  contenuti  del  tutto
illegittimi. 
    Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni  della
ricorrente,  sono,  nelle  parti  che  appresso  si  identificheranno
specificamente, gli articoli 4, 5, 6, 9, 15, 16, 17, 18, 19 e  24-bis
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con  modificazioni
in legge  7  agosto  2012,  n.  135.  Essi  debbono  essere  pertanto
dichiarati costituzionalmente illegittimi per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    Premessa. In via del tutto preliminare, al fine di  agevolare  lo
svolgimento  delle  ulteriori  argomentazioni  senza  dover   tediare
codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale  con  inutili  ripetizioni,  si
osserva che varra' di qui in avanti la precisazione che gli  articoli
della Costituzione che riconoscono attribuzioni  costituzionali  alle
Regioni ordinarie sono richiamati ai sensi dell'art. 10  della  legge
Cost. n. 3 del 2001, che estende alle Regioni a statuto  speciale  le
disposizioni di maggior favore  previste  per  le  Regioni  ordinarie
nelle more della revisione dei loro statuti. 
    Ancora  in  via  preliminare,  e'  opportuno  precisare  che   la
ricorrente non ignora la particolare congiuntura del ciclo  economico
ne' la situazione economico-finanziaria in cui versa  la  Repubblica.
Questi fattori, del resto, sono invocati dall'atto impugnato al  fine
di giustificare  l'impiego  della  decretazione  d'urgenza  ai  sensi
dell'art. 77 Cost. Si legge, infatti, nel preambolo del decreto-legge
n. 95 del 2012 quanto segue: "Ritenuta la straordinaria necessita' ed
urgenza di emanare disposizioni, nell'ambito dell'azione del  Governo
volta all'analisi ed alla revisione  della  spesa  pubblica,  per  la
razionalizzazione della stessa, attraverso la riduzione  delle  spese
per acquisti di beni e servizi, garantendo al contempo l  'invarianza
dei servizi ai cittadini, nonche' per garantire il contenimento e  la
stabilizzazione della finanza pubblica, anche attraverso misure volte
a  garantire  la  razionalizzazione,  l'efficienza  e  l'economicita'
dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici" [...]. 
    La Regione Sardegna non intende certo sottrarsi al contributo che
tutti gli  enti  territoriali,  ivi  comprese  le  Regioni  autonome,
debbono assumersi per migliorare lo stato della finanza pubblica. 
    Nondimeno, la situazione economico-finanziaria generale non  puo'
certo costringere la ricorrente a rinunciare a difendere  le  proprie
attribuzioni costituzionali e statutarie,  violate  dallo  Stato  con
l'impugnato  decreto,  ne'  puo'  essere  tollerato  che  lo   Stato,
invocando la necessita' di agire per affrontare la  crisi  economica,
rompa l'ordine costituzionale, violando principi e disposizioni della
Costituzione e dello Statuto d'autonomia. 
    La stessa recentissima giurisprudenza costituzionale ha affermato
che "Le norme costituzionali [...] non attribuiscono  allo  Stato  il
potere di derogare al riparto delle competenze fissato dal  Titolo  V
della Parte II della Costituzione, neppure in situazioni eccezionali.
In particolare, il principio salus rei publicae suprema lex esto  non
puo' essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali
di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione. Lo
Stato,   pertanto,   deve    affrontare    l'emergenza    finanziaria
predisponendo   rimedi   che   siano   consentiti    dall'ordinamento
costituzionale" (sent. n. 151 del 2012). 
    Del resto, si deve notare  che  lo  stesso  legislatore  statale,
proprio con il decreto-legge n. 95 del  2012,  ha  inteso  rimodulare
l'impegno al miglioramento dei conti pubblici, tanto che (lo si legge
gia'  nel  preambolo),  ha  ritenuto  "di   sospendere   l'incremento
dell'imposta sul valore aggiunto, gia' disposto dal  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  15
luglio 2011, n. 111, nonche' di garantire le necessarie  risorse  per
la prosecuzione di interventi indifferibili". 
    1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012,  n.  135,  per
violazione degli artt. 3, 4, 7 e 8 della legge Cost. n. 3  del  1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna, 3, 75, 117, 119 e 136 Cost.
L'art. 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 disciplina la riduzione  di
spese, la messa in liquidazione  e  la  privatizzazione  di  societa'
pubbliche. 
    In particolare, il comma  1  prevede  che  "Nei  confronti  delle
societa' controllate direttamente o  indirettamente  dalle  pubbliche
amministrazioni  di  cui  all'articolo  1,  comma  2,   del   decreto
legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un
fatturato  da  prestazione  di  servizi   a   favore   di   pubbliche
amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero  fatturato,  si
procede, alternativamente: 
        a) allo scioglimento della  societa'  entro  il  31  dicembre
2013. Gli atti e le  operazioni  posti  in  essere  in  favore  delle
pubbliche amministrazioni di cui al presente comma  in  seguito  allo
scioglimento della societa' sono esenti da imposizione fiscale, fatta
salva l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, e assoggettati
in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali; 
        b) all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle
partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore  del  presente
decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione  del
servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio
2014. Il bando di gara  considera,  tra  gli  elementi  rilevanti  di
valutazione dell'offerta,  l'adozione  di  strumenti  di  tutela  dei
livelli  di  occupazione.  L'alienazione  deve  riguardare   l'intera
partecipazione della pubblica amministrazione controllante". 
    Il successivo comma 2 precisa  che,  "ove  l'amministrazione  non
proceda secondo quanto stabilito ai sensi del comma  1,  a  decorrere
dal 1°  gennaio  2014  le  predette  societa'  non  possono  comunque
ricevere affidamenti diretti  di  servizi,  ne'  possono  fruire  del
rinnovo di affidamenti di cui sono titolari. I servizi gia'  prestati
dalle   societa',    ove    non    vengano    prodotti    nell'ambito
dell'amministrazione, devono  essere  acquisiti  nel  rispetto  della
normativa comunitaria e nazionale". 
    Il comma 5, poi, prevede che, "fermo restando quanto diversamente
previsto  da  specifiche  disposizioni  di  legge,  i   consigli   di
amministrazione  delle  altre  societa'   a   totale   partecipazione
pubblica, diretta ed indiretta,  devono  essere  composti  da  tre  o
cinque membri, tenendo conto della  rilevanza  e  della  complessita'
delle attivita' svolte.  Nel  caso  di  consigli  di  amministrazione
composti da tre membri, la composizione e' determinata sulla base dei
criteri del precedente comma. Nel caso di consigli di amministrazione
composti da cinque  membri,  la  composizione  dovra'  assicurare  la
presenza di almeno tre dipendenti dell'amministrazione titolare della
partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti  d'intesa
tra le amministrazioni medesime, per  le  societa'  a  partecipazione
diretta,   ovvero   almeno   tre   membri   scelti   tra   dipendenti
dell'amministrazione titolare  della  partecipazione  della  societa'
controllante o di poteri di indirizzo e  vigilanza,  scelti  d'intesa
tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della  stessa  societa'
controllante per le societa'  a  partecipazione  indiretta.  In  tale
ultimo caso le cariche di Presidente  e  di  Amministratore  delegato
sono disgiunte e al Presidente potranno essere affidate dal Consiglio
di  amministrazione  deleghe  esclusivamente  nelle  aree   relazioni
esterne e istituzionali e supervisione delle attivita'  di  controllo
interno.  Resta  fermo  l'obbligo  di   riversamento   dei   compensi
assembleari di cui al comma precedente. La disposizione del  presente
comma si applica con decorrenza dal primo  rinnovo  dei  consigli  di
amministrazione  successivo  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto". 
    Il comma 8, infine, dispone che "A decorrere dal 1° gennaio  2014
l'affidamento diretto puo' avvenire  solo  a  favore  di  societa'  a
capitale interamente pubblico, nel rispetto dei  requisiti  richiesti
dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in
house e a condizione che il valore economico del servizio o dei  beni
oggetto dell'affidamento sia  complessivamente  pari  o  inferiore  a
200.000 euro annui. Sono fatti salvi gli affidamenti in  essere  fino
alla scadenza naturale e comunque fino  al  31  dicembre  2014.  Sono
altresi' fatte salve le acquisizioni in via diretta di beni e servizi
il cui valore complessivo sia pari o  inferiore  a  200.000  euro  in
favore delle associazioni di promozione sociale di cui alla  legge  7
dicembre 2000, n. 383, degli enti di volontariato di cui  alla  legge
11 agosto 1991, n. 266, delle associazioni sportive  dilettantistiche
di cui all'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002,  n.  289,  delle
organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n.
49, e delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.
381". Le disposizioni in esame,  nel  loro  complesso,  regolano  nel
dettaglio  le  procedure  di  ristrutturazione   delle   societa'   a
partecipazione  pubblica,   disciplinandone   la   soppressione,   la
privatizzazione e la riorganizzazione  dei  singoli  organi  interni,
aggiungendo anche la regolamentazione  dell'affidamento  dei  servizi
pubblici locali. 
     Nel caso  della  privatizzazione,  il  legislatore  ha  previsto
l'intera cessione della struttura privatizzata, escludendo ogni forma
di  partenariato   pubblico/privato   e   arrivando   addirittura   a
determinare  alcune  clausole  del  bando  per   la   selezione   del
contraente. Nel caso delle societa' mantenute in vita, il legislatore
non solo determina la composizione degli  organi  sociali,  ma  anche
l'attribuzione dei poteri e delle funzioni all'interno del  consiglio
di amministrazione e la possibilita'  di  conferire  deleghe  per  lo
svolgimento di attivita' societarie. 
    E' del tutto evidente la violazione delle attribuzioni regionali,
dovuta al superamento del  limite  dei  "principi  fondamentali"  che
circoscrive la potesta' legislativa nelle  materie  di  cui  all'art.
117, comma 3, Cost. e - quindi  -  all'invasione  del  dominio  della
normazione di dettaglio. 
    Sono, altresi', usurpate le  competenze  della  Regione  Sardegna
conferite in via esclusiva dallo Statuto (art. 3, comma 1, lett. a, b
e  g)  nelle  materie  "ordinamento  degli  uffici   e   degli   enti
amministrativi della Regione  e  stato  giuridico  ed  economico  del
personale", "ordinamento degli  Enti  Locali",  "trasporti  su  linee
automobilistiche e tranviarie", nonche' in via concorrente  (art.  4,
comma 1, lett. f e g) nelle materie "assunzione di pubblici  servizi"
e "linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i  porti  e  gli  scali
della Regione". La normativa censurata, infatti, per un verso,  entra
in  un  dominio  riservato  all'autonomia  esclusiva  regionale;  per
l'altro, laddove le competenze legislative sono condivise, si  spinge
- come detto - sino alla  regolamentazione  di  dettaglio,  riservata
alla legge regionale. 
    Tanto il regime della  sorte  delle  societa'  pubbliche,  quanto
quello dell'affidamento (alle stesse o ad altre societa') dei servizi
pubblici locali risultano violativi,  poi,  dell'art.  75  Cost.,  in
relazione agli artt. 117 Cost. e 3 e 4 dello Statuto. 
    A  questo  proposito  si  deve   considerare   che   in   seguito
all'abrogazione dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112  del  2008,
"che riduceva le possibilita'  di  affidamenti  diretti  dei  servizi
pubblici  locali,  con  conseguente  delimitazione  degli  ambiti  di
competenza legislativa residuale delle Regioni e regolamentare  degli
enti locali, le competenze regionali e degli enti locali nel  settore
dei servizi pubblici locali si sono  riespanse.  Infatti,  a  seguito
della predetta abrogazione,  la  disciplina  applicabile  era  quella
comunitaria, piu' «favorevole» per le Regioni e per gli enti  locali"
(cosi' ha ricostruito gli effetti del referendum abrogativo del  2011
codesta Ecc.ma Corte costituzionale, nella sent. n. 199 del 2012). La
disposizione qui  impugnata,  invece,  ha  nuovamente  innalzato  una
barriera nei confronti dell'affidamento c.d.  in  house  dei  servizi
pubblici locali, sia prevedendo la liquidazione o la  privatizzazione
delle societa' in essere, sia,  quanto  all'affidamento  dei  servizi
pubblici,  fissando  un  limite  di   valore   complessivo   pari   a
€ 200.000,00. 
    Con "la reintroduzione da parte  del  legislatore  statale  della
medesima disciplina oggetto dell'abrogazione referendaria  (anzi,  di
una   regolamentazione   ancor   piu'    restrittiva,    frutto    di
un'interpretazione ancor  piu'  estesa  dell'ambito  di  operativita'
della materia della tutela della concorrenza  di  competenza  statale
esclusiva)", pero', non e' stata solamente  trascurata  "la  volonta'
popolare espressa attraverso la consultazione referendaria", ma vi e'
stata anche una "lesione delle [...] sfere di  competenza  sia  delle
Regioni che degli enti locali" (cosi', nella sent. n. 199  del  2012,
sono state riassunte e condivise le  censure  avverso  l'art.  4  del
decreto-legge n. 138 del 2011). Non e'  violato  soltanto  l'art.  75
Cost., dunque, ma anche il successivo  art.  136,  che  presidia  gli
effetti del giudicato costituzionale, che il legislatore  statale  ha
tenuto del tutto in non cale. 
    Va da se' che la  violazione  dei  parametri  costituzionali  ora
indicati ben puo' essere lamentata nel presente  gravame,  in  quanto
essi sono intimamente collegati ad altri paradigmi che sono  posti  a
garanzia  delle  attribuzioni  costituzionali  della  ricorrente.  In
particolare,  le  attribuzioni  della  Regione  Sardegna  lese  dalla
normativa censurata sono quelle garantite  dall'art.  117,  comma  3,
Cost., in materia di "coordinamento della finanza pubblica",  nonche'
quelle tutelate dagli artt. 3, comma 1, lett. a), b) e g), e 4, comma
1, lett. f) e g) dello Statuto, che  attribuiscono  alla  Regione  la
competenza rispettivamente esclusiva nelle materie "ordinamento degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed
economico del personale", "ordinamento degli Enti Locali", "trasporti
su linee automobilistiche e tranviarie", e concorrente nelle  materie
"assunzione di pubblici servizi"  e  "linee  marittime  ed  aeree  di
cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione". 
    E' in ragione di tale articolato complesso  di  attribuzioni  che
non puo' sottrarsi all'odierna  ricorrente  qualunque  competenza  in
materia di regime pubblicistico delle societa'  pubbliche  di  ambito
regionale e di affidamento (ad esse o ad altre societa') dei  servizi
pubblici locali. E' quanto fanno, invece, le disposizioni  censurate,
che disciplinano la materia  con  previsioni  di  estremo  dettaglio,
oltretutto in violazione dello stesso giudicato costituzionale. 
    Si aggiunga che la normativa censurata impinge anche, violandole,
nelle garanzie costituzionali (art. 119) e statutarie (artt. 7  e  8)
dell'autonomia finanziaria della ricorrente, atteso che  la  gestione
dei servizi in favore della Regione e dei servizi  pubblici  generali
comporta oneri per la finanza regionale, che solo la ricorrente  puo'
legittimamente  apprezzare,  conformando  a  tale  apprezzamento   la
disciplina sostanziale della materia. Ne' manca la vulnerazione della
competenza in materia di "coordinamento della finanza  pubblica",  di
cui all'art. 117, comma  3  Cost.,  attesa  la  segnalata  natura  di
estremo dettaglio delle norme censurate. 
    2.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma  7,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,  convertito  in  legge  7  agosto
2012, n. 135, per violazione del principio di ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 Cost.; del principio dell'affidamento  e  della  sicurezza
giuridica; del principio di buon andamento della P.A. di cui all'art.
97 Cost.; degli artt. 39, 41, 97 e 117 e 119 Cost.; 3 e 7 della legge
Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale  per  la  Sardegna.  Il
comma 7 dell'art. 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 dispone  che  "A
decorrere dal 1° ottobre 2012 il valore dei buoni pasto attribuiti al
personale, anche di  qualifica  dirigenziale,  delle  amministrazioni
pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato  della  pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge  31
dicembre 2009, n. 196, nonche' le autorita' indipendenti ivi  inclusa
la Commissione nazionale per le societa' e la borsa (Consob) non puo'
superare il valore nominale  di  7,00  euro.  Eventuali  disposizioni
normative  e  contrattuali   piu'   favorevoli   cessano   di   avere
applicazione a decorrere dal 1° ottobre 2012. I  contratti  stipulati
dalle   amministrazioni    di    cui    al    primo    periodo    per
l'approvvigionamento dei buoni pasto  attribuiti  al  personale  sono
adeguati alla presente disposizione, anche eventualmente prorogandone
la  durata  e  fermo  restando  l'importo  contrattuale   complessivo
previsto. A decorrere dalla  medesima  data  e'  fatto  obbligo  alle
universita' statali di riconoscere il buono pasto  esclusivamente  al
personale contrattualizzato. I risparmi  derivanti  dall'applicazione
del presente articolo  costituiscono  economie  di  bilancio  per  le
amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti  diversi  dalle
amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio.  Tali
somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi  per  la
contrattazione integrativa". 
    L'articolo in esame, nella misura in  cui  si  applica  anche  al
personale della Regione e degli enti pubblici tutti che  operano  nel
territorio  sardo,  viola  la  competenza  legislativa  regionale  in
materia di "stato giuridico ed economico  del  personale",  conferita
dall'art. 3, comma 1, lett. a) dello Statuto. E' del tutto  evidente,
infatti, che l'utilizzo del sistema dei buoni  pasto  come  forma  di
rimborso spese per i dipendenti attiene  al  complessivo  trattamento
retributivo del personale e,  di  conseguenza,  al  relativo  statuto
economico-normativo. 
    Ne' si potrebbe obiettare che  la  disposizione  censurata  possa
annoverarsi   tra    le    "norme    fondamentali    delle    riforme
economico-sociali della Repubblica" ai  sensi  dell'art.  3,  alinea,
dello Statuto, in quanto trattasi di intervento affatto  marginale  e
di dettaglio. A questo proposito, violato e' anche l'art. 117,  comma
3 Cost., perche' la disposizione in  esame  impinge  nella  sfera  di
competenza  regionale  nella  materia  "coordinamento  della  finanza
pubblica". 
    Non basta. Le garanzie dell'autonomia della Regione Sardegna sono
ancor piu' robuste di quelle statutarie, delle quali ora si e' detto.
Codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  ha  affermato,   proprio   in
riferimento alla Regione Sardegna, che, "ai sensi dell'art. 10  della
legge  costituzionale  n.  3  del  2001,  la  particolare  «forma  di
autonomia» cosi' emergente dal nuovo art. 117 della  Costituzione  in
favore delle Regioni  ordinarie  si  applica  anche  alle  Regioni  a
statuto speciale, come la Sardegna, ed  alle  Province  autonome,  in
quanto  «piu'  ampia»  rispetto  a  quelle  previste  dai  rispettivi
statuti. 
    Da  questa  ricostruzione  (pienamente   conforme   al   criterio
interpretativo enunciato dalla sentenza n. 103 del 2003) discende che
- essendo la materia dello stato giuridico ed economico del personale
della Regione Sardegna, e degli enti regionali,  riservata  dall'art.
3, lett. a), dello statuto alla legislazione esclusiva della Regione,
ed essendo l'analoga materia, per le  Regioni  a  statuto  ordinario,
riconducibile al quarto comma dell'art. 117 - la tesi  sostenuta  nel
ricorso, secondo cui la legge regionale avrebbe dovuto rispettare  le
disposizioni  statali   recanti   norme   fondamentali   di   riforme
economico-sociali, non puo' essere accolta" (sent. n. 274 del 2003). 
    Da cio' consegue che la Regione Sardegna, che  gia'  prima  della
revisione del Titolo V della Costituzione era titolare di  competenza
esclusiva nella  materia  dello  stato  giuridico  ed  economico  del
personale, ora la esercita senza essere soggetta  nemmeno  al  limite
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica, perche' quella materia  e',  per  le  Regioni  ordinarie,
residuale. 
    Per questa ragione, dunque, violato e'  senz'altro  anche  l'art.
117, comma 4,  Cost.,  in  quanto  la  materia  "stato  giuridico  ed
economico del personale della Regione e degli  enti  regionali"  deve
essere ricondotta alla competenza residuale della ricorrente. 
    In ogni caso, quand'anche si volesse far ricadere la disposizione
censurata nella materia "coordinamento della finanza pubblica",  essa
rimarrebbe illegittima, in quanto la disciplina dei buoni pasto cosi'
adottata dal legislatore statale  non  si  limita  a  determinare  un
contenimento complessivo della spesa corrente, ma  entra  addirittura
nel merito  della  singola  voce  di  spesa  dell'ente  autonomo  con
previsioni di estremo dettaglio,  cosi'  certamente  esorbitando  dai
"principi fondamentali" che delimitano la  competenza  statale  nelle
materie di competenza concorrente. 
    Ne risulta violato, per cio' solo, anche l'art. 7 dello  Statuto,
il  quale  riconosce   alla   Regione   una   particolare   autonomia
finanziaria, che subisce  immediatamente  una  deminutio  in  ragione
della disposizione censurata,  dato  che  nell'autonomia  finanziaria
rientra senz'altro anche il potere di  decidere  l'allocazione  delle
risorse economiche dell'Ente. Per  le  medesime  ragioni  e'  violato
l'art. 119 Cost., anch'esso volto a tutelare l'autonomia  finanziaria
delle Regioni. Ne' potrebbe obiettarsi che  la  disciplina  censurata
sarebbe giustificata da superiori esigenze di equilibrio  finanziario
connesse all'attuale congiuntura economica. Se, infatti, e'  pacifico
che il legislatore (sia statale che regionale) puo'  intervenire  per
far fronte a situazioni di difficolta' economico-finanziaria, non  e'
meno pacifico (e lo si e' gia' osservato in apertura) che debba farlo
nel rispetto dei  precetti  costituzionali,  che  non  possono  certo
essere cancellati in forza di condizioni congiunturali negative. 
    Non basta. L'intero comma impugnato, e  specialmente  il  periodo
che prevede che "Eventuali disposizioni normative e contrattuali piu'
favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dal  1°  ottobre
2012", viola anche il principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3
Cost. e il principio di buon andamento della P.A. di cui all'art.  97
Cost., in relazione agli artt. 117 e 119 Cost. e 3 e 7 dello Statuto.
Si deve infatti tenere conto del fatto che la Regione ricorrente, per
quanto specificamente concerne il personale alle sue  dipendenze,  ha
regolato attraverso il contratto collettivo regionale di  lavoro  del
personale  la  corresponsione  del  buono  pasto  in  ragione   delle
modalita'  di   organizzazione   degli   uffici,   dell'articolazione
dell'orario di lavoro e delle ipotesi  di  presenza  pomeridiana  dei
dipendenti (i quali sono obbligati a  due  rientri  post  meridiem  a
settimana), limitando nel numero massimo di 100  il  monte  annuo  di
buoni pasto erogati, numero su  cui  e'  stato  impostato  il  valore
nominale dei buoni, cosi' da tenere sotto controllo la spesa pubblica
per questa voce (si veda  l'art.  55  del  CCRL  personale  dirigente
2006-2009: "Art. 55 - Buono mensa: Ai dirigenti spettano un numero di
buoni  pasto  calcolato  su  base  annua  nella  misura  di  due  per
settimana, per un totale di 100; essi vengono utilizzati  nel  numero
massimo di 10 al mese, in relazione al servizio pomeridiano prestato.
Il valore del buono e'  pari  a  9,30  euro",  e  il  CCRL  personale
dipendente 2006-2009: "Art. 26 - Servizio mensa: [...] Il numero  dei
buoni e' calcolato convenzionalmente su base annua nel numero di  100
per dipendente"). La disciplina regionale, dunque, e' calibrata sulle
esigenze  degli  uffici  e  della  corretta  gestione  dell'attivita'
amministrativa, che sono state apprezzate in concreto.  L'astratta  e
generale    determinazione    della    nonna    impugnata    comporta
l'irragionevole sacrificio di tali esigenze. 
    Infine,  sono   violati   anche   il   principio   dell'autonomia
contrattuale della Regione (e dei suoi dipendenti) di cui agli  artt.
39 e 41 della Costituzione, nonche' il principio di affidamento e  di
sicurezza giuridica. Il primo, in quanto la norma censurata  pretende
di porre nel nulla  una  disciplina  contrattuale  dei  rapporti  fra
dipendenti e Amministrazione  regionale.  Il  secondo  (pacificamente
consolidato nella giurisprudenza costituzionale ed eurounitaria),  in
quanto  tale  disciplina  e'  attualmente  in  essere  e  sulla   sua
stabilita'  i  contraenti  hanno  fatto   -   appunto   -   legittimo
affidamento. 
    3. Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  comma  19,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,  convertito  in  legge  7  agosto
2012, n. 135, per violazione del principio di  leale  collaborazione,
dell'art. 3 Cost. e degli artt. 3, 4, 6 e 53 della legge Cast.  n.  3
del 1948, in riferimento all'art. 1, comma 837, della  legge  n.  296
del 2006. L'art. 6, comma  19,  del  decreto-legge  n.  95  del  2012
prevede che "Le convenzioni, di  cui  all'articolo  1,  comma  5-bis,
lettera f) del decreto-legge 5 agosto 2010, n.  125,  convertito  con
modificazioni dalla legge 1° ottobre 2010, n. 163,  stipulate  con  i
soggetti aggiudicatari dei compendi aziendali, si intendono approvate
e producono effetti a far data dalla sottoscrizione. Ogni  successiva
modificazione  ovvero  integrazione  delle  suddette  convenzioni  e'
approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture  e  trasporti
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le
regioni interessate". 
    Per comodita' d'esposizione si riporta anche il  testo  dell'art.
1, comma 5-bis, lett. f), del decreto-legge n. 125 del 2010: "Al fine
di assicurare il conseguimento degli obiettivi di privatizzazione  di
cui all'articolo 19-ter del decreto-legge 25 settembre 2009, n.  135,
convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n.  166,
garantendo  la  continuita'  del  servizio  pubblico   di   trasporto
marittimo e la continuita' territoriale con le isole nel rispetto dei
limiti delle risorse finanziarie di cui ai  commi  da  16  a  18  del
medesimo articolo 19-ter, tenuto conto della  intervenuta  ammissione
alla procedura di amministrazione  straordinaria  della  Tirrenia  di
navigazione Spa e della Siremar-Sicilia regionale marittima Spa: 
        a) i compendi aziendali di Tirrenia di  navigazione  Spa,  in
amministrazione  straordinaria,  e   di   Siremar-Sicilia   regionale
marittima Spa,  in  amministrazione  straordinaria,  che  nell'ambito
della procedura di  amministrazione  straordinaria  saranno  definiti
necessari  alla  gestione  del  servizio  pubblico   previsto   dalle
convenzioni di  cui  alla  lettera  f),  possono  essere  ceduti  dal
commissario straordinario anche separatamente; 
        b) il commissario straordinario  contiene  nei  tempi  minimi
consentiti dalla procedura di amministrazione straordinaria, e con la
stessa comunque coerenti, la procedura competitiva, trasparente e non
discriminatoria occorrente per le cessioni di cui alla lettera a); 
        c) le regioni Sardegna, Toscana, Lazio e Campania  completano
le rispettive procedure di privatizzazione nel piu' breve tempo ed in
ogni caso non oltre la conclusione della procedura competitiva di cui
alla lettera b); 
        d) le convenzioni di cui al comma  6  del  predetto  articolo
19-ter del decreto-legge n. 135/2009, convertito, con  modificazioni,
dalla legge n.  166/2009,  sono  conseguentemente  prorogate  dal  1°
ottobre 2010 fino al completamento della procedura competitiva di cui
alla lettera b) limitatamente alle clausole necessarie alla  gestione
del servizio pubblico per assicurare la continuita' territoriale; 
        e) fino al completamento delle procedure di cui alla  lettera
b),   gli   eventuali   finanziamenti   attivati   dal    commissario
straordinario assistiti dalla garanzia  di  cui  all'articolo  2-bis,
secondo comma, del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 aprile 1979,  n.  95,  e  successive
modificazioni,  sono  impiegati  per  fare   fronte   alle   esigenze
necessarie alla gestione del  servizio  pubblico  per  assicurare  la
continuita' territoriale per tutto il periodo  di  svolgimento  della
procedura competitiva di cui alla lettera b); 
        f) gli schemi di convenzione di Tirrenia di navigazione Spa e
Siremar-Sicilia regionale marittima Spa, approvati in data  10  marzo
2010, ai sensi dell'articolo 19-ter, comma 9,  del  decreto-legge  n.
135/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166/2009, con
decreto  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle  finanze,  sono  fatti
salvi e le  relative  convenzioni  saranno  stipulate  dal  Ministero
concedente con i soggetti che risulteranno aggiudicatari dei compendi
aziendali di cui alla lettera a), a seguito delle  procedure  di  cui
alla lettera b)". 
    E' evidente che  la  disposizione  censurata  e  sopra  riportata
determina l'esclusione - in tutto o in parte  assai  significativa  -
della ricorrente dal procedimento di approvazione  delle  convenzioni
con i soggetti che gestiscono il servizio di trasporto marittimo  fra
la Sardegna e il continente. 
    L'esclusione e' totale nella parte in cui  si  prevede  che  tali
convenzioni si intendano approvate e producano effetti  "a  far  data
dalla sottoscrizione", senza la minima partecipazione  della  Regione
(e si consideri che la ricorrente e' stata  addirittura  costretta  a
richiedere, con nota dell'Assessorato ai  trasporti  n.  6223  del  3
agosto 2012, la copia sottoscritta della  convenzione  fra  Ministero
dei trasporti e Societa' Tirrenia, che il primo non  si  era  neppure
peritato di trasmettere). L'esclusione e'  altresi'  parziale,  nella
parte  in  cui  si  prevede  che  le   successive   modificazioni   o
integrazioni siano approvate una volta  che  le  Regioni  interessate
sono state semplicemente "sentite", senza che di esse  sia  acquisita
l'intesa  (intesa  che,   invece,   e'   essenziale,   per   costante
giurisprudenza, perche' le attribuzioni regionali siano adeguatamente
tutelate). 
    Orbene,  la  situazione  della  Regione  Sardegna  in  ordine  ai
collegamenti marittimi  e'  affatto  peculiare,  a  causa  della  sua
insularita', che rende la  corretta  gestione  di  tali  collegamenti
essenziale per lo sviluppo (industriale e turistico) dell'isola e per
il soddisfacimento dei diritti dei suoi residenti. Tale situazione di
fatto trova puntuale riconoscimento  anche  in  diritto,  atteso  che
l'art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006  (Legge  finanziaria
per il 2007) ha disposto che "alla regione Sardegna  sono  trasferite
le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie  Sardegna
e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuita'
territoriale". Gia' prima di tale  novita'  normativa,  peraltro,  lo
Statuto aveva ben chiara la necessita' del riconoscimento di un ruolo
centrale  alla  Regione  in  materia  di  continuita'   territoriale,
stabilendo  all'art.  53  che  "La  Regione  e'  rappresentata  nella
elaborazione delle tariffe ferroviarie e della  regolamentazione  dei
servizi nazionali di comunicazione e trasporti  terrestri,  marittimi
ed  aerei  che  possano  direttamente  interessarla"   e   con   cio'
comportando  la  diretta  presenza   della   Regione   nei   relativi
procedimenti. 
    La continuita' territoriale e' dunque competenza specifica  della
Regione, sia sul piano  legislativo  che  su  quello  della  gestione
amministrativa. Tanto, sia per l'espressa  previsione  normativa  ora
riportata, sia in forza del c.d. "principio del parallelismo" di  cui
all'art. 6 dello Statuto, in base al quale  la  Regione  ha  potesta'
legislativa (anche) nelle materie in cui ha  potesta'  amministrativa
(si veda la sentenza di codesta Ecc.ma Corte n. 51 del 2006). 
    La disposizione censurata,  proprio  in  una  materia  di  sicura
spettanza regionale, esclude del tutto la ricorrente dal procedimento
approvativo delle convenzioni ad oggi sottoscritte e - comunque -  la
riduce al  ruolo  di  soggetto  meramente  udito  nel  successivo  ed
eventuale  procedimento  di  integrazione   e   modificazione   delle
convenzioni stesse. 
    Tutto cio'  considerato,  appare  evidente  che  la  disposizione
censurata viola: 
        il principio di leale  collaborazione  di  cui  all'art.  117
Cost.,  perche'  dispone  l'approvazione  della  convenzione  tra  il
Ministero dei trasporti e la Societa' Tirrenia senza  prevedere,  nel
corso del relativo procedimento,  alcun  tipo  di  partecipazione  da
parte della Regione; 
        il principio di leale  collaborazione  di  cui  all'art.  117
Cost.,   per   un   ulteriore   profilo,    perche'    prevede    che
l'Amministrazione statale determini le variazioni  della  concessione
senza  dover  raggiungere  l'intesa  con  la  Regione,   ma   potendo
semplicemente limitarsi a "sentirla"; 
        l'art. 53 dello Statuto di autonomia, che impone  la  diretta
partecipazione  della  Regione  ai  procedimenti  che  interessano  i
trasporti da e per il continente; 
        l'art. 3, comma 1, lett. p),  dello  Statuto,  che  riconosce
alla Regione potesta' legislativa esclusiva nella materia  "turismo",
in quanto e' specifico interesse  regionale  assicurare  collegamenti
efficienti ed economici, tali da alimentare l'industria turistica; 
        l'art. 4,  comma  1,  lett.  f)  e  g),  dello  Statuto,  che
attribuisce alla Regione la competenza legislativa concorrente  nelle
materie "linee marittime ed aeree di cabotaggio ,fra i  porti  e  gli
scali della Regione" e  "assunzione  di  pubblici  servizi",  sia  in
quanto lo stato dei collegamenti di cabotaggio  e'  condizionato  dai
collegamenti da e per il continente, sia in quanto tali  collegamenti
sono, sine dubio, servizi pubblici (dai quali la  Regione  e'  invece
estromessa); 
        l'art. 6 dello Statuto, in relazione all'art. 3 e all'art. 1,
comma 837, della legge  n.  296  del  2006,  perche'  impedisce  alla
Regione   l'esercizio   delle   funzioni   (sia    legislative    che
amministrative) nella materia "continuita' territoriale" che ad  essa
- pure - e' stata trasferita. 
    4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012,  n.  135,  per
violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.,
degli artt. 117 e 119 Cost. e 3 e 7 della legge Cost. n. 3 del  1948,
recante Statuto speciale per la Sardegna.  L'art.  9,  comma  1,  del
decreto-legge n. 95 del 2012 dispone che "Al fine  di  assicurare  il
coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica,
il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle  funzioni
amministrative, le regioni, le  province  e  i  comuni  sopprimono  o
accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri
finanziari in misura non inferiore al 20 per cento, enti,  agenzie  e
organismi comunque denominati e di qualsiasi  natura  giuridica  che,
alla data di entrata in  vigore  del  presente  decreto,  esercitano,
anche in via strumentale, funzioni fondamentali di  cui  all'articolo
117,  comma  secondo,  lettera  p),  della  Costituzione  o  funzioni
amministrative spettanti a comuni, province, e  citta'  metropolitane
ai sensi dell'articolo 118, della Costituzione". 
    Il successivo comma 2 prevede che "Entro tre mesi dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto, al fine di dare attuazione al
comma 1, con accordo sancito in sede di Conferenza unificata ai sensi
dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997,  n.  281,  si
provvede alla complessiva ricognizione degli enti,  delle  agenzie  e
degli organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura  giuridica
di cui al comma 1". 
    Il comma 3, poi, dispone che "al fine di dare attuazione al comma
2, in sede di Conferenza unificata si  provvede  mediante  intesa  ai
sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131,  e
sulla base del principio di leale collaborazione,  all'individuazione
dei criteri e della tempistica per l'attuazione del presente articolo
e alla definizione delle modalita' di monitoraggio", mentre il  comma
4 precisa che "se, decorsi nove mesi dalla data di entrata in  vigore
del presente decreto, le regioni, le province e i  comuni  non  hanno
dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e
gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono soppressi. Sono nulli
gli atti successivamente adottati dai medesimi". 
    Il  successivo  comma  5,  invece,  dispone  che  "ai  fini   del
coordinamento della finanza  pubblica,  le  regioni  si  adeguano  ai
principi di cui al  comma  1  relativamente  agli  enti,  agenzie  ed
organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai
sensi dell'articolo 118, della Costituzione, funzioni  amministrative
conferite alle medesime regioni". 
    Infine, il comma 6 fa "divieto  agli  enti  locali  di  istituire
enti, agenzie e organismi comunque denominati e di  qualsiasi  natura
giuridica, che esercitino una o piu' funzioni fondamentali e funzioni
amministrative loro  conferite  ai  sensi  dell'articolo  118,  della
Costituzione". 
    Le    menzionate    disposizioni    regolano    nel     dettaglio
l'organizzazione amministrativa degli  enti  territoriali,  imponendo
alle Regioni e agli enti locali non solo una quota  di  risparmio  di
gestione delle funzioni amministrative cosi esercitate, ma obbligando
all'accorpamento o alla soppressione di enti e organizzazioni,  senza
considerare che la Regione, nell'esercizio della  propria  competenza
legislativa esclusiva nelle materie "ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi della Regione", "ordinamento degli enti locali  e
delle relative circoscrizioni" e "biblioteche e musei di enti locali"
(art. 3, comma 1,  lett.  a),  b),  e  q)  dello  Statuto),  potrebbe
conseguire il medesimo risultato di contenimento della spesa pubblica
utilizzando le forme di gestione delle  funzioni  pubbliche  ritenute
piu' idonee allo scopo. 
    Per tale motivo la disposizione menzionata viola l'art. 3,  comma
1, lett. a), b), e q) dello Statuto, ove si attribuisce alla  Regione
la competenza legislativa esclusiva nelle materie "ordinamento  degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione", "ordinamento degli
enti locali e delle relative circoscrizioni" e "biblioteche  e  musei
di enti locali", e, all'un tempo, anche l'art. 117, comma  3,  Cost.,
nella misura in cui detta norme per il  coordinamento  della  finanza
pubblica che travalicano i "principi fondamentali" della materia. 
    L'imposizione, ai fini del contenimento degli oneri della finanza
pubblica,   di   obblighi   che    si    ripercuotono    direttamente
sull'organizzazione degli enti  locali  fa  si  che  sia  lesa  anche
l'autonomia finanziaria della Regione, cosa che implica la violazione
dell'art. 7 dello Statuto e dell'art. 119 Cost., che  tale  autonomia
tutelano. A questo proposito  si  rileva  che  codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale ha  chiarito  quali  sono  i  rapporti  economici  che
intercorrono tra Stato e Regioni a Statuto speciale nella materia del
coordinamento della finanza pubblica nella sent. n. 82 del  2007.  In
tale pronuncia si afferma, da una parte, che "non e' contestabile «il
potere del legislatore statale di imporre  agli  enti  autonomi,  per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti», e che,  «in
via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di  riequilibrio
della finanza pubblica perseguiti dal legislatore  statale»,  possono
anche imporsi limiti complessivi alla crescita della  spesa  corrente
degli enti autonomi (sentenza n. 36 del  2004).  Tali  vincoli,  come
questa Corte da tempo ha avuto modo  di  chiarire,  devono  ritenersi
applicabili  anche  alle  autonomie   speciali,   in   considerazione
dell'obbligo generale di partecipazione  di  tutte  le  Regioni,  ivi
comprese quelle a statuto speciale, all'azione di  risanamento  della
finanza pubblica (sentenza n. 416 del 1995 e  successivamente,  anche
se non con specifico riferimento alle Regioni a statuto speciale,  le
sentenze n. 417 del 2005 e numeri 353, 345 e 36 del  2004).  Un  tale
obbligo, pero', deve essere contemperato e coordinato con la speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le  predette  Regioni,
in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, come questa Corte  ha
avuto occasione di affermare,  la  previsione  normativa  del  metodo
dell'accordo tra  le  Regioni  a  statuto  speciale  e  il  Ministero
dell'economia e delle finanze,  per  la  determinazione  delle  spese
correnti e in conto capitale, nonche' dei  relativi  pagamenti,  deve
considerarsi un'espressione della descritta autonomia  finanziaria  e
del contemperamento di tale principio con  quello  del  rispetto  dei
limiti alla  spesa  imposti  dal  cosiddetto  «patto  di  stabilita'»
(sentenza n. 353 del 2004)". 
    Se  cio'  e',  come  e',  vero,  il  legislatore  statale,   onde
conseguire il maggior  risparmio  nello  svolgimento  delle  funzioni
pubbliche  degli  enti  locali,  doveva  limitarsi  ad  indicare   il
risparmio  atteso,  rispettando   l'autonomia   organizzativa   delle
Regioni. 
    Ne' si potrebbe dire, ovviamente, che con l'articolo censurato il
legislatore statale  abbia  inteso  esercitare  la  propria  potesta'
esclusiva in materia di `funzioni fondamentali di Comuni, Province  e
Citta' metropolitane", di cui all'art. 117, comma 2, lett. p)  Cost.,
per la semplice ragione che tale competenza generale non  puo'  certo
prevalere (secondo i comuni principi di risoluzione delle  antinomie)
su quella speciale dettata, in materia, dall'art. 3, comma  1,  lett.
a) e b) dello Statuto sardo, che  affida  alla  competenza  esclusiva
della Regione Sardegna le materie "ordinamento degli uffici  e  degli
enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico  del
personale"  e  "ordinamento  degli  enti  locali  e  delle   relative
circoscrizioni". Tanto, senza considerare che l'art.  117,  comma  2,
lett.  p)  Cost.,  concerne  l'istituzione  e  la  regolazione  delle
funzioni amministrative, il procedimento da  seguire,  gli  interessi
pubblici da perseguire, etc., mentre la disposizione censurata agisce
sul versante dell'organizzazione degli enti al fine di conseguire  un
ipotetico vantaggio di finanza pubblica. 
    Per quest'ultimo profilo, poi, si deve evidenziare che violato e'
anche  il  principio  di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  della
Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 1, lett. a),  b),  e  q)
dello Statuto, in quanto il divieto per gli enti locali di  istituire
enti strumentali impedisce che province e comuni, anche  in  ossequio
alla normativa regionale, possano esercitare le proprie  funzioni  in
regime di intercomunalita', istituendo un apposito ente  associativo,
laddove tale modello organizzativo comportasse significative economie
di scala. 
    5. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  15,  comma  22,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,  convertito  in  legge  7  agosto
2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione di
cui all'art. 117 sgg. Cost., degli artt. 32, 117 e 119 Cost. e  degli
artt. 6, 7 e 8 della legge cost.  n.  3  del  1948,  recante  Statuto
speciale per la Sardegna, anche in relazione all'art. 1,  comma  836,
della legge n. 296 del 2006. L'art. 15, comma 22,  del  decreto-legge
n. 95 del 2012 prevede che "In funzione delle disposizioni recate dal
presente articolo il livello del fabbisogno  del  Servizio  sanitario
nazionale e  del  correlato  finanziamento,  previsto  dalla  vigente
legislazione, e' ridotto di 900 milioni di euro per l'anno  2012,  di
1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2.000 milioni di euro  per
l'anno 2014 e 2.100 milioni di euro a decorrere  dall'anno  2015.  Le
predette riduzioni sono  ripartite  fra  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano secondo criteri e modalita'  proposti
in sede di autocoordinamento dalle regioni  e  province  autonome  di
Trento e di Bolzano medesime, da recepire,  in  sede  di  espressione
dell'Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano  per  la
ripartizione  del  fabbisogno  sanitario   e   delle   disponibilita'
finanziarie annue per il Servizio sanitario nazionale,  entro  il  30
settembre 2012, con riferimento all'anno 2012 ed entro il 30 novembre
2012  con  riferimento  agli  anni  2013  e  seguenti.  Qualora   non
intervenga  la  predetta   proposta   entro   i   termini   predetti,
all'attribuzione del concorso alla manovra di  correzione  dei  conti
alle singole regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano,
alla  ripartizione  del  fabbisogno   e   alla   ripartizione   delle
disponibilita' finanziarie annue per il Servizio sanitario  nazionale
si provvede secondo i criteri previsti dalla  normativa  vigente.  Le
Regioni a statuto  speciale  e  le  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano,  ad  esclusione  della  regione  Siciliana,  assicurano   il
concorso di cui al presente  comma  mediante  le  procedure  previste
dall'articolo  27  della  legge  5   maggio   2009,   n.   42.   Fino
all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto  articolo
27, l'importo del concorso alla manovra di cui al presente  comma  e'
annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali". 
    Per comprendere le  ragioni  per  le  quali  la  disposizione  in
commento  appare  particolarmente  lesiva  delle  attribuzioni  della
ricorrente si deve premettere che l'art. 1, comma 836, della legge n.
296 del 2006 (finanziaria per il 2007) ha  stabilito  che  "dall'anno
2007 la regione Sardegna provvede  al  finanziamento  del  fabbisogno
complessivo del Servizio sanitario nazionale sul  proprio  territorio
senza alcun apporto a carico del bilancio  dello  Stato".  Cio'  vuol
dire  che  il  legislatore,  con  la  disposizione   in   esame,   ha
disciplinato non tanto la spesa statale per la  salute  pubblica  nel
territorio sardo, ma ha direttamente posto un onere su un capitolo di
spesa che ormai e' gestito e finanziato autonomamente  dalla  Regione
Sardegna. In altri termini, la Regione Sardegna, che e' stata onerata
dal 2006 del finanziamento della  spesa  sanitaria  regionale,  sara'
costretta a stornare una quota  parte  di  questo  finanziamento  per
utilizzarlo  come  contributo  di  finanza  pubblica,  con   evidente
compromissione del diritto alla salute dei suoi cittadini, in una con
quella delle sue attribuzioni costituzionali. 
    A questo proposito, si deve ricordare che  codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale si e' pronunciata in un caso analogo gia' con la sent.
n. 133 del 2010. In tale caso  si  controverteva  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 22, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 78 del
2009: "La predetta norma, nel prevedere l'istituzione di un fondo con
dotazione di 800 milioni di euro - «destinato ad interventi  relativi
al  settore  sanitario»  ed  alimentato  con  le  economie  di  spese
derivanti, tra l'altro, dall'applicazione del decreto-legge 28 aprile
2009, n. 39 [...] - dispone che «in sede di stipula del Patto per  la
salute e' determinata la quota che le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano  riversano  all'entrata  del
bilancio dello Stato per  il  finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale»" (cosi' e' riassunta la questione nel  Ritenuto  in  fatto
della menzionata  sent.  n.  133  del  2010).  Codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale, a quel proposito, rilevo' che "lo Stato,  quando  non
concorre al finanziamento della spesa sanitaria, «neppure  ha  titolo
per dettare norme di coordinamento finanziario» (sentenza n. 341  del
2009)". 
    Similmente nel caso giudicato con  sent.  n.  341  del  2009,  si
controverteva sulla legittimita' costituzionale dell'art.  61,  comma
14, del decreto-legge n. 112 del 2008, ove si  prevedeva  che  "siano
ridotti del 20 per cento, rispetto all'ammontare risultante alla data
del 30 giugno 2008 e a decorrere dalla data di conferimento o rinnovo
degli incarichi, i trattamenti  economici  complessivi  spettanti  ai
direttori   generali,   ai   direttori   sanitari,    ai    direttori
amministrativi, ed i compensi spettanti  ai  componenti  dei  collegi
sindacali delle aziende sanitarie locali, delle aziende  ospedaliere,
delle aziende ospedaliero universitarie, degli istituti di ricovero e
cura a  carattere  scientifico  e  degli  istituti  zooprofilattici".
Codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale,  rilevato  che  "Le   risorse
provenienti dalla riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle
strutture sanitarie, prevista dalla disciplina  impugnata"  sarebbero
state  poi  utilizzate  per  consentire  che   le   "Regioni   stesse
concorr[essero] con lo Stato alla copertura  dei  relativi  oneri"  e
considerato che la Provincia autonoma di Trento (ricorrente in quella
vicenda) "provvede interamente al finanziamento del proprio  servizio
sanitario provinciale, «senza alcun apporto  a  carico  del  bilancio
dello Stato» (art. 34, comma 3, della legge n.  724  del  1994)",  ha
affermato che "In tale diverso e peculiare  contesto,  l'applicazione
alla Provincia autonoma di Trento  del  comma  14  dell'art.  61  non
risponderebbe alla funzione che la misura in questione assolve per le
altre Regioni. Dal momento che lo Stato non concorre al finanziamento
del  Servizio  sanitario  provinciale,  ne'  quindi  contribuisce   a
cofinanziare una eventuale  abolizione  o  riduzione  del  ticket  in
favore degli utenti dello stesso, esso neppure ha titolo per  dettare
norme di coordinamento finanziario che definiscano  le  modalita'  di
contenimento di una spesa  sanitaria  che  e'  interamente  sostenuta
dalla Provincia autonoma di Trento". Tanto, e' evidente, deve  valere
anche nel caso qui in esame. 
    5.1. Non basta. Il contributo  richiesto  alle  Regioni,  tra  le
quali e' la ricorrente, non e' straordinario  o  limitato  nel  tempo
(del resto, la c.d. spending review che si e' intesa avviare  con  il
decreto-legge n. 95 del 2012 non e' una manovra di  finanza  pubblica
temporanea, ma una rideterminazione complessiva della spesa pubblica,
che si intende strutturalmente applicabile  di  qui  in  avanti),  ma
cresce fino a toccare l'enorme somma di due miliardi e cento  milioni
di euro "a decorrere dall'anno 2015" (e quindi di li' in avanti). 
    Se questo e', come e', vero, sono violati i principi che  codesta
Ecc.ma Corte costituzionale ha ricavato dal  testo  costituzionale  a
presidio dei rapporti finanziari tra Stato  e  Regione.  Gia'  si  e'
detto, riportando un brano  della  sent.  n.  82  del  2007,  che  le
"limitazioni indirette all'autonomia di spesa  degli  enti"  (ma,  si
noti, in questione vi e' addirittura una limitazione  diretta,  della
quale si conoscono il settore di spesa cui imputarla e  l'ammontare!)
possono  darsi  solamente  "in  via  transitoria  e  in  vista  degli
specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti
dal legislatore statale". La disposizione in esame, invece, non  pone
vincoli transitori, ma definitivi. Nella recentissima  sent.  n.  193
del 2012, poi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale  ha  ricordato  di
essersi "espressa sulla  non  incompatibilita'  con  la  Costituzione
delle misure disposte con l'art. 14, commi 1 e 2,  del  decreto-legge
n. 78 del 2010, sul presupposto - richiesto  dalla  propria  costante
giurisprudenza - che possono essere ritenute principi fondamentali in
materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi  del  terzo
comma dell'art.  117  Cost.,  le  norme  che  «si  limitino  a  porre
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di
un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della
spesa  corrente  e  non  prevedano  in  modo  esaustivo  strumenti  o
modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi»  (sentenza  n.
148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del  2011  e  n.
326 del 2010)". 
    5.2. Si deve poi considerare che il meccanismo di  accantonamento
delle risorse "a valere sulle quote di compartecipazione  ai  tributi
erariali" e' particolarmente odioso per la Regione Sardegna. Come  si
e' gia' detto e come e' noto a codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale
(si v. le sentt. n. 99 e 118 del 2012, nonche'  il  pendente  ricorso
rubricato al Reg. Confl. Enti n. 9/2012), la Regione  ancora  attende
(ormai da due anni e nove mesi) che lo Stato dia completa e  corretta
esecuzione al nuovo regime di compartecipazione alle entrate erariali
previsto dall'art. 8 dello Statuto, come riformato dall'art. 1, comma
834, della legge n. 296 del 2006. Il fatto che lo Stato, inadempiente
ai doveri cui si e' autovincolato con la riforma dello Statuto,  oggi
accampi nuove pretese illegittime da farsi valere proprio sul  regime
delle  compartecipazioni  rende  ancor  piu'  evidenti  i  vizi   ora
contestati. 
    5.2.1. Ai sensi del novellato art. 8 dello  Statuto,  invero,  le
entrate della Regione Sardegna derivano  "a)  dai  sette  decimi  del
gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito
delle persone giuridiche riscosse nel territorio  della  regione;  b)
dai nove decimi del gettito delle imposte  sul  bollo,  di  registro,
ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e  delle  tasse  sulle
concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai
cinque decimi delle imposte sulle successioni  e  donazioni  riscosse
nel territorio della regione; d)  dai  nove  decimi  dell'imposta  di
fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta  nel
territorio della regione; e) dai  nove  decimi  della  quota  fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli
dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del  gettito
dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da
determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie  rilevati
annualmente  dall'ISTAT;   g)   dai   canoni   per   le   concessioni
idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri  tributi
propri che la regione ha facolta' di istituire con legge  in  armonia
con i principi del sistema tributario dello  Stato;  i)  dai  redditi
derivanti dal  proprio  patrimonio  e  dal  proprio  demanio;  l)  da
contributi straordinari dello Stato per particolari  piani  di  opere
pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte
le entrate erariali, dirette o  indirette,  comunque  denominate,  ad
eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici". 
    5.2.2. E' appena il caso di rievocare la vicenda che  -  come  e'
ben  noto  a  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  -  ha  condotto
all'approvazione del novellato testo statutario, ora riportato. 
    La riforma dell'art. 8 dello Statuto, invero, si rese  necessaria
per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione  complessiva
della realta'  economico-finanziaria  territoriale  e  nazionale.  Di
questo e' testimonianza il carteggio intervenuto  tra  il  Ragioniere
generale dello  Stato  e  la  medesima  Regione  tra  l'agosto  e  il
settembre del  2005,  relativamente  alla  misura  delle  entrate  di
maggiore rilevanza per le  finanze  regionali:  la  compartecipazione
all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. 
    Con nota del 3 agosto  2005,  prot.  n.  0102482,  il  Ragioniere
generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente
sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva  una
determinazione annuale in merito,  una  proposta  di  quantificazione
delle quote di compartecipazione I.V.A. "nell'attesa che  si  proceda
alla  revisione  dell'ordinamento   finanziario   che   consenta   di
trasformare la compartecipazione  IVA  da  quota  variabile  a  quota
fissa", e che tale proposta era stata predisposta "abbandonando [...]
il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel
tempo la  progressiva  svalutazione  in  termini  reali  del  cespite
regionale, ha di fatto svilito  lo  strumento  di  garanzia  previsto
dallo Statuto, che mirava  a  consentire  il  tempestivo  adeguamento
delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di  spesa  derivanti
dall'espletamento delle funzioni normali della Regione". 
    Con nota del 2  settembre  2005,  prot.  n.  0112371,  ancora  il
Ragioniere generale rappresentava che  "il  gettito  IRPEF  regionale
[...]  registra  una  crescita,   nell'arco   temporale   considerato
[1991-2003],  pari  all'1,9%,  avallando,  pertanto,  la  tesi  della
Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a  quello
nazionale". 
    E'  proprio  in   considerazione   della   palese   insufficienza
(esplicitamente riconosciuta  dallo  Stato)  del  quadro  finanziario
delle entrate regionali che si e' addivenuti  alla  seconda  modifica
dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e'  gia'  detto,  nel
2006, con la quale - fra l'altro  -  si  e'  aggiunto  il  canale  di
finanziamento relativo ai "sette decimi di tutte le entrate erariali,
dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di  quelle  di
spettanza di altri enti pubblici" e - per l'appunto in coerenza con i
rilievi sopra  riportati  -  si  e'  introdotta  la  quota  fissa  di
compartecipazione all'I.V.A. maturata  nella  Regione  Sardegna  (v.,
rispettivamente,  lett.  m)  e  f)  dell'art.  8,  comma   1,   nella
formulazione vigente). 
    Risulta dunque per tabulas, sia  dalla  posizione  assunta  dallo
Stato nell'interlocuzione con la Regione,  sia  (e  soprattutto)  dal
contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il  regime
delle entrate regionali e' stato modificato al fine  permettere  alla
Sardegna  di  assolvere   ai   propri   compiti   istituzionali,   in
considerazione delle condizioni fattuali  e  normative  maturate  nel
tempo (in particolare, dell'accollo alla Regione di  alcune  funzioni
supplementari, come tutte quelle in materia di sanita', di  trasporti
e di continuita' territoriale). 
    Orbene:  non  solo,  allo  stato,  e   nonostante   le   puntuali
affermazioni di codesta Ecc.ma Corte nelle sentt. n.  99  e  112  del
2012, il  nuovo  regime  statutario  non  ha  ancora  avuto  compiuta
esecuzione, ma si pretende anche, adesso, di sottrarre  alla  Regione
Sardegna ulteriori risorse, quando lo stesso Stato - come si e' visto
- ha riconosciuto la necessita' di assegnarne  di  supplementari.  Il
che, si ripete, determina la violazione dell'art. 8 dello Statuto, ma
si risolve anche  in  violazione  (in  combinato)  del  principio  di
ragionevolezza   di   cui   all'art.   3   Cost.,   per    l'evidente
contraddittorieta' degli interventi normativi succedutisi nel tempo. 
    5.2.3. Per mero tuziorismo, e' infine  opportuno  precisare,  sul
punto, che la violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia  puo'
e deve essere censurata sebbene l'art. 8 di tale  Statuto  sia  stato
modificato con legge ordinaria, ai sensi del successivo art. 54. 
    La  qualita'   di   parametri   dei   giudizi   di   legittimita'
costituzionale,  invero,  deve   essere   riconosciuta   anche   alle
disposizioni del Titolo III dello  Statuto  speciale  della  Sardegna
che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo,  possono
essere modificate con legge ordinaria, previo parere  della  Regione.
Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e'  stato
definito un  processo  di  "decostituzionalizzazione"  (come  codesta
Ecc.ma Corte ha affermato nella sent. n. 70 del 1987),  costituiscono
pur sempre precetti che il legislatore statale  deve  rispettare,  in
quanto il procedimento di modificazione  della  norma  statutaria  e'
comunque "assistito da una garanzia  del  tutto  peculiare  a  favore
della Regione sarda", sicche' la legge statale non puo'  derogare  la
norma  in  questione,  ma  puo'  solo  modificarla  con  lo  speciale
procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi' ancora  la  cit.
sent. n. 70 del 1987, cui adde le pur meno dirette affermazioni della
sent. n. 215 del 1996). 
    5.3. In definitiva, l'art. 15, comma 22 del decreto-legge  n.  95
del   2012   e'   palesemente   lesivo   dell'autonomia   finanziaria
costituzionalmente riconosciuta alla ricorrente in quanto  impone  la
partecipazione regionale alla riduzione della spesa sanitaria per  un
periodo di tempo indeterminato, nonostante che la Regione provveda al
servizio di tutela del diritto alla salute senza oneri a  carico  del
bilancio statale. 
    Per questa ragione: 
        sono  violati  gli  artt.  7  dello  Statuto  e   119   della
Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della
Regione Sardegna; 
        e' violato l'art. 8 dello Statuto, e con esso il principio di
leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., perche'  lo  scomputo
del contributo previsto dall'art. 15, comma 22, del decreto-legge  n.
95  del  2012  e'  fatto   valere   direttamente   sulle   quote   di
compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo  Stato  non
abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime,
fissato, appunto, dall'art. 8; 
        e' violato l'art. 119, comma 4, Cost., anche in relazione con
l'art. 32 Cost., in quanto il contributo  richiesto  dallo  Stato,  a
valere   sul   finanziamento   della   spesa   sanitaria   regionale,
contravviene al principio di integrale finanziamento  delle  funzioni
pubbliche, con la  conseguente  violazione  dell'art.  32  Cost.,  in
ragione dei pregiudizi recati al diritto alla  salute  dei  cittadini
sardi; 
        e' violato  l'art.  6  dello  Statuto,  in  quanto  il  minor
finanziamento della spesa sanitaria impedisce di fatto  alla  Regione
di esercitare la sua potesta' amministrativa in materia; 
        e' violato l'art. 117, comma 3, Cost., nonche'  il  principio
di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., anche in relazione
all'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006, perche' lo  Stato
impone oneri su un capitolo di spesa che e' integralmente  finanziato
dalla Regione, cosi esorbitando dalla competenza  a  fissare  i  soli
"principi fondamentali" nella materia  "coordinamento  della  finanza
pubblica" e impedendo alla  Regione  lo  svolgimento  autonomo  delle
funzioni (anche economico finanziarie) direttamente attribuite  dallo
Stato. 
    6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 3 e  4,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,  convertito  in  legge  7  agosto
2012, n. 135, per violazione del principio di  leale  collaborazione,
degli artt. 117 e 119 Cost. e degli artt. 6, 7 e 8 della legge  Cost.
n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna.  L'art.  16,
comma 3, del decreto-legge  n.  95  del  2012  dispone  che  "Con  le
procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42,
le Regioni a statuto speciale e le  Province  autonome  di  Trento  e
Bolzano assicurano un concorso alla finanza  pubblica  per  l'importo
complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni  di
euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e  1.575
milioni di euro a decorrere dall'anno 2015. Fino all'emanazione delle
norme di attuazione di cui al predetto  articolo  27,  l'importo  del
concorso complessivo di cui al primo periodo del  presente  comma  e'
annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali, sulla base  di  apposito  accordo  sancito  tra  le
medesime autonomie speciali in sede di Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano e recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle
finanze entro il 30 settembre 2012. In caso  di  mancato  accordo  in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di  Bolzano,  l'accantonamento  e'
effettuato, con decreto del Ministero dell'economia e  delle  finanze
da emanare entro il  15  ottobre  2012,  in  proporzione  alle  spese
sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal  SIOPE.
Fino all'emanazione delle  norme  di  attuazione  di  cui  al  citato
articolo 27, gli obiettivi del  patto  di  stabilita'  interno  delle
predette autonomie speciali sono rideterminati  tenendo  conto  degli
importi derivanti dalle predette procedure". 
    Valgono anche per il presente  comma  i  vizi  gia'  elencati  in
relazione all'art. 15, comma 22, del decreto-legge qui impugnato.  In
particolare, il legislatore statale, anche in questo caso, ha imposto
un ulteriore contributo aggiuntivo agli obiettivi di finanza pubblica
a carico del bilancio  regionale,  senza  delimitare  il  periodo  di
questo particolare sforzo finanziario cosi'  fissato  (che,  infatti,
sara' massimo "a decorrere dal 2015"). Inoltre, anche in questo caso,
Io Stato fa valere le proprie pretese con accantonamenti sulle  quote
di compartecipazione alle  entrate  erariali,  che,  nel  caso  della
Regione Sardegna, ancora attendono di essere versate dopo la  riforma
dell'art. 8 dello Statuto avvenuta del 2010. 
    Pertanto anche l'art. 16, comma 3, del decreto-legge  n.  95  del
2012    e'    palesemente    lesivo    dell'autonomia     finanziaria
costituzionalmente riconosciuta alla ricorrente in quanto  impone  la
partecipazione ad un nuovo onere di finanza pubblica per  un  periodo
di tempo indeterminato. 
    Per questa ragione: 
        sono  violati  gli  artt.  7  dello  Statuto  e   119   della
Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della
Regione Sardegna; 
        e' violato l'art. 8 dello Statuto, e con esso il principio di
leale collaborazione, perche' il contributo alla finanza pubblica  e'
fatto valere  direttamente  sulle  quote  di  compartecipazione  alle
entrate erariali nonostante  che  lo  Stato  non  abbia  ancora  dato
completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto,
dall'art. 8; 
        e'  violato  l'art.  119,  comma  4,  Cost.,  in  quanto   il
contributo richiesto dallo Stato impedisce, di fatto, alla Regione di
provvedere all'integrale finanziamento delle  funzioni  pubbliche  di
cui e' titolare in ragione della Costituzione, dello Statuto e  della
legge in generale; 
        e' violato l'art. 6 dello Statuto, in quanto l'accantonamento
delle somme ivi previste in sulla  quota  di  compartecipazione  alle
entrate erariali prevista dall'art.  8  dello  Statuto  impedisce  di
fatto alla Regione di esercitare  la  potesta'  amministrativa  nelle
materie di sua competenza; 
        e'  violato  l'art.  117,  comma  3,  Cost.,  in  quanto   il
legislatore, determinando un obbligo finanziario  indefinito  per  la
Regione, ha esorbitato dalla  propria  competenza  concorrente  nella
materia "coordinamento della finanza pubblica". 
    6.1. Il successivo comma 4 dell'art. 16, poi, prevede  che  "dopo
il comma 12 dell'articolo 32 della legge 12 novembre 2011, n 183,  e'
aggiunto il seguente comma: «12-bis. In caso di  mancato  accordo  di
cui ai commi 11 e 12 entro il 31 luglio, gli obiettivi delle  regioni
a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano sono
determinati applicando agli obiettivi definiti nell'ultimo accordo il
miglioramento di cui: a)  al  comma  10  del  presente  articolo;  b)
all'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201,
convertito in legge, con modificazioni,  dall'articolo  1,  comma  1,
della  legge  22  dicembre   2011,   n.   214,   come   rideterminato
dall'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012,  n.  1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012,  n.  27,  e
dall'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2  marzo  2012,  n.  16,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44;  d)
agli  ulteriori  contributi  disposti  a   carico   delle   autonomie
speciali.»". 
    Il comma in esame disciplina il caso in cui le Regioni e lo Stato
non  conseguano  l'accordo  sul  "livello  complessivo  delle   spese
correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti"  e  sul
"saldo programmatico  calcolato  in  termini  di  competenza  mista",
ossia, in termini  piu'  generali,  sulle  componenti  del  patto  di
stabilita' interno. Ove, appunto, non si raggiunga tale accordo,  tra
di esse vale l'ultimo patto stipulato, modificato  per  tenere  conto
degli  ulteriori  contributi  alla   finanza   pubblica   determinati
dall'art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011 (€ 314.234.000,00
per  l'anno  2012;  €  368.156.000,00  annui  per  gli  anni  2013  e
successivi) e dall'art. 28, comma 3, del  decreto-legge  n.  201  del
2011 (860 milioni di euro annui a decorrere dal 2012 da dividere  per
il comparto delle autonomie speciali). 
    La modificazione del patto, che il legislatore statale, dalla sua
prospettiva, ha chiamato  "miglioramento",  nella  prospettiva  della
Regione e' senz'altro peggiorativa del  patto  di  stabilita'  (e  da
tanto deriva l'interesse all'impugnazione). 
    Lo Stato ha previsto, poi, che tali misure decorressero "in  caso
di mancato accordo di cui ai commi 11  e  12  entro  il  31  luglio",
termine che e' ormai gia' decorso. A questo proposito, pero', si deve
tenere conto che il decreto-legge n. 95 del 2012 e' stato  pubblicato
in G.U. il 6 luglio 2012 e che e' stato convertito in legge 7  agosto
2012, pubblicata in G.U.  solo  il  14  agosto  2012.  E'  del  tutto
evidente che la scansione dei tempi  necessari  per  evitare  che  le
Regioni fossero vincolate al precedente patto di stabilita', ma con i
saldi peggiorati  in  ragione  del  presente  comma,  e'  stata  cosi
ristretta da impedire di fatto  che  fosse  conseguito  l'accordo  in
questione e da imporre l'applicazione della normativa unilateralmente
imposta dallo Stato. 
    Questa  difesa  non  ignora  il  consolidato  orientamento  della
giurisprudenza costituzionale che vuole che il termine di conclusione
del patto sia ordinatorio e non  perentorio.  Scrutinando  l'art.  1,
comma 148, della legge n. 266 del 2005, che disponeva, circa il patto
di stabilita' 2006-2008, che "in caso di mancato accordo si applicano
[alle Regioni ad autonomia speciale] le disposizioni stabilite per le
Regioni a statuto ordinario", codesta Ecc.ma Corte costituzionale  ha
infatti affermato che "la mancata conclusione dell'accordo  entro  il
termine previsto non comporta [...] la  definitiva  applicazione  del
regime  di  spesa   delle   Regioni   a   statuto   ordinario.   Tale
interpretazione trova conferma nella  prassi  applicativa,  dato  che
fino al 2006 gli accordi in concreto stipulati da Stato e  Regioni  a
statuto speciale sono stati conclusi quasi tutti alcuni mesi dopo  lo
scadere del termine del 31 marzo. Deve dunque ritenersi che, in  base
alla  norma  censurata,  sostanzialmente  omogenea  a   quella   gia'
scrutinata da questa Corte [cfr. sent. n.  353  del  2004],  e  dalla
stessa ritenuta non contraria a  Costituzione,  in  caso  di  mancata
tempestiva definizione dell'accordo entro il termine del 31 marzo  si
applicano i limiti  di  spesa  previsti  per  le  Regioni  a  statuto
ordinario, ma cio' solo in via  provvisoria,  fino  alla  conclusione
dell'accordo, che puo' intervenire anche successivamente". 
    Purtuttavia, la norma in esame non e' affatto omogenea  a  quella
di cui all'art. 1, comma 148, della legge n.  266  del  2005,  ne'  a
quella scrutinata con sent. n. 353 del 2004 (ci si riferisce all'art.
29, comma 18, della legge n. 289 del  2002:  "le  regioni  a  statuto
speciale e le province autonome di Trento e Bolzano concordano, entro
il 31 marzo di ciascun anno, con il Ministero dell'economia  e  delle
finanze, per gli esercizi 2003, 2004 e 2005, il livello  delle  spese
correnti e dei relativi pagamenti. Fino a quando  non  sia  raggiunto
l'accordo, i flussi di cassa verso  gli  enti  sono  determinati  con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, in  coerenza  con
gli obiettivi di finanza pubblica per il  triennio  2003-2005"),  per
due ordini di motivi. In primo luogo,  come  gia'  si  accennava,  il
termine del 31 luglio 2012 segue quello gia'  fissato  del  31  marzo
2012, sicche' vi e' motivo di ritenere che questo secondo termine sia
perentorio. In secondo luogo, il  nuovo  termine  e'  stato  fissato,
strumentalmente, ad un momento temporale impossibile  da  rispettare,
sicche' la disciplina unilaterale dettata dallo Stato non costituisce
un  aspetto  eventuale  del  mancato  accordo,   bensi'   la   fatale
conseguenza del (rapido) fluire del tempo. 
    Per tali motivi, il principio  di  leale  collaborazione  risulta
violato per due differenti profili: perche' il legislatore ha fissato
un termine sostanzialmente impossibile da rispettare  al  momento  in
cui il decreto-legge n. 95 del 2012  e'  stato  emanato;  perche'  un
termine perentorio contravviene al principio dell'accordo,  cui  sono
ispirati i rapporti finanziari  tra  Stato  e  Regioni  ad  autonomia
speciale. 
    7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17 del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012,  n.  135,  per
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art.  117
sgg. Cost., degli artt. 116 e 133 Cost., degli artt. 3, 43 e 54 della
legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la  Sardegna.
L'art. 17 del decreto-legge n. 95  del  2012  reca  disposizioni  sul
riordino delle province e delle loro  funzioni.  In  particolare,  il
legislatore ha demandato al Governo la determinazione  dei  requisiti
minimi di popolazione residente e di estensione territoriale  che  le
province dovranno avere (comma 2) e  ha  richiesto  alle  Regioni  di
trasmettere una proposta di riordino delle province ubicate nel  loro
territorio (comma 3). Tenuto conto di tali iniziative, un  successivo
"atto legislativo di iniziativa governativa" determinera' il riordino
delle  province,  con  contestuale  ridefinizione  dell'ambito  delle
citta' metropolitane (comma 4). Nel  caso  di  accorpamento  di  piu'
province, il comune piu' popoloso tra i due che gia' erano  capoluogo
di provincia rimarra' comune capoluogo (comma 4-bis). 
    Il "riordino" previsto  con  l'articolo  in  esame  sottende  una
radicale  diminuzione  del  numero  delle  province,  attraverso   la
soppressione di molte  di  esse  e  il  relativo  accorpamento  delle
circoscrizioni  territoriali  ad  altro   Ente.   Tanto   si   deriva
direttamente dal comma 2 dell'art. 17, in cui si demanda al Consiglio
dei Ministri la "apposita deliberazione" relativa al  riordino  delle
province  dei  requisiti  minimi  di  popolazione  residente   e   di
estensione territoriale. Il Governo ha attuato tale previsione con la
deliberazione 20 luglio  2012,  in  G.U.  24  luglio  2012,  n.  171,
fissando il minimo di duemilacinquecento chilometri  quadrati  quanto
al  requisito  della  dimensione  territoriale,  e   un   minimo   di
trecentocinquantamila abitanti quanto alla popolazione residente.  In
questo modo, dunque il riordino delle province non e' divenuto  altro
che l'operazione di individuazione delle province che non superano  i
requisiti cosi' stabiliti, le quali saranno soppresse con conseguente
accorpamento del loro territorio ad altro ente provinciale.  Che  sia
cosi' e' vieppiu' confermato dall'art. 1, commi 5  e  6,  della  cit.
deliberazione  20  luglio  2012,  nei  quali  si  prescrive  che  "Le
iniziative di riordino delle province stabiliscono  le  denominazioni
delle province esistenti in esito al riordino" (comma 5)  e  che  "In
esito al riordino [...] assume il ruolo  di  comune  capoluogo  delle
singole province il comune gia' capoluogo delle province  oggetto  di
riordino con maggior  popolazione  residente".  E'  evidente  che  la
determinazione di un unico nome e di un unico capoluogo si giustifica
in ragione della necessita' di soppressione di alcune province  e  di
conseguente accorpamento con quelle che rimangono attive. 
    Tutto questo complesso procedimento (che, come si e' evidenziato,
passa necessariamente per la soppressione di  alcune  province  e  il
relativo accorpamento dei territori) si applica, ai sensi del comma 1
dell'articolo in esame, a "tutte le province delle regioni a  statuto
ordinario esistenti alla data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto". Il successivo comma 5, pero', prescrive che "Le  Regioni  a
statuto speciale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore  del
presente decreto, adeguano i propri ordinamenti ai principi di cui al
presente  articolo,  che  costituiscono   principi   dell'ordinamento
giuridico  della  Repubblica   nonche'   principi   fondamentali   di
coordinamento della finanza  pubblica.  Le  disposizioni  di  cui  al
presente articolo non trovano applicazione per le  province  autonome
di Trento e Bolzano". 
    Orbene, si deve tenere conto che le province "esistenti alla data
di  entrata  in  vigore"  erano,  nella  Regione  Sardegna,  le  c.d.
"province storiche", ossia Cagliari, Sassari, Nuoro  e  Oristano.  Le
province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell'Ogliastra  e
di Olbia-Tempio, infatti, sono state soppresse dal referendum  del  6
maggio 2012, che ha abrogato (tra le altre) la legge reg.  n.  9  del
2001, che le aveva istituite. 
    Di queste  quattro  province,  tre  sono  espressamente  previste
dall'art. 43 dello Statuto, che prevede che "Le province di Cagliari,
Nuoro e Sassari conservano l'attuale struttura di enti  territoriali.
Con legge regionale possono essere modificate le circoscrizioni e  le
funzioni  delle  province,  in  conformita'   alla   volonta'   delle
popolazioni di  ciascuna  delle  province  interessate  espressa  con
referendum.". La Provincia di Oristano e' stata istituita  con  legge
(statale) n. 306 del 1974. 
    Cosi' ricostruito il contesto normativo in cui  si  inserisce  la
disposizione impugnata, i suoi vizi  di  legittimita'  costituzionale
appaiono palesi. 
    In primo luogo, per poter effettuare l'"adeguamento  del  proprio
ordinamento", che potrebbe comportare anche l'eventuale  soppressione
o l'accorpamento fosse pure di una sola delle Province  di  Cagliari,
Sassari e  Nuoro  sarebbe,  invero,  necessaria  la  revisione  dello
Statuto. Alla legge  regionale,  infatti,  compete  la  modificazione
delle circoscrizioni delle tre  Province  statutarie,  non  certo  la
soppressione dell'una o dell'altra. Ne' la legge  regionale,  per  lo
stesso motivo, potrebbe determinare la fusione di due o  di  tutte  e
tre le Province statutarie. 
    Cio' premesso, e' agevole osservare che la Regione  Sardegna  non
ha nella sua disponibilita' il  relativo  procedimento.  Lo  Statuto,
infatti, ai sensi dell'art. 54 dello stesso, si puo'  riformare  solo
con legge costituzionale, sicche'  la  Regione  Sardegna  non  ha  la
possibilita' di adeguarsi all'art. 17, del decreto-legge  n.  95  del
2012 (ai sensi dell'art. 54, ultimo comma, dello  Statuto,  solamente
"le disposizioni del Titolo III)", ossia gli artt.  da  7  a  14  del
medesimo,  relativi  a  finanze,  demanio  e  patrimonio   regionale,
"possono essere modificate con leggi ordinarie  della  Repubblica  su
proposta del Governo  o  della  Regione,  in  ogni  caso  sentita  la
Regione"). 
     A questo proposito si deve considerare che la recentissima sent.
n.  198  del  2012  ha  dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 14, comma  2,  del  decreto-legge  n.  138  del  2011,  che
imponeva alle Regioni, compresa la Sardegna, di'  ridurre  il  numero
dei  consiglieri  regionali  e  degli  assessori,  nonche'   i   loro
emolumenti, per poter essere considerate Enti virtuosi  ai  fini  del
coordinamento  della   finanza   pubblica.   Codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale,  in  quel  caso,  ha  affermato  che  "la  disciplina
relativa agli organi delle Regioni  a  statuto  speciale  e  ai  loro
componenti e' contenuta nei rispettivi statuti. Questi, adottati  con
legge costituzionale, ne garantiscono le  particolari  condizioni  di
autonomia, secondo quanto disposto dall'art. 116 Cost.  L'adeguamento
da parte delle Regioni a statuto speciale e delle  Province  autonome
ai parametri di cui all'art. 14, comma 1, del  decreto-legge  n.  138
del  2011  richiede,  quindi,  la  modifica   di   fonti   di   rango
costituzionale. A tali fonti una legge  ordinaria  non  puo'  imporre
limiti e condizioni". 
    Quand'anche il riordino delle province sarde dovesse  contemplare
la sola soppressione della Provincia di  Oristano  e  il  conseguente
accorpamento della sua intera circoscrizione territoriale o di  parti
di essa ad una o piu' delle altre tre province  statutarie,  poi,  la
procedura  decisionale  per  il  riassetto  del  territorio  dovrebbe
comunque rispettare l'art. 43 dello Statuto che, come  si  e'  visto,
impone lo svolgimento  di  un  referendum  in  cui  sia  definita  la
volonta' delle popolazioni interessate. E' del tutto evidente che  la
consultazione elettorale non si  puo'  tenere  nel  brevissimo  tempo
messo a disposizione dall'art. 17, comma 5, del decreto-legge  n.  95
del 2012 (sei mesi a decorrere dalla data di entrata  in  vigore  del
decreto-legge n. 95 del 2012, nemmeno dalla data  di  conversione  in
legge del medesimo). 
    Ne' si potrebbe obiettare che, a questo proposito,  possa  essere
utile il referendum consultivo regionale celebratosi, ai sensi  della
legge reg. n. 20 del 1957, in data 6 maggio 2012. Il  quesito  n.  5,
relativo  al  tema  qui  in  esame,  era  di  siffatta  formulazione:
"Referendum n. 5: «Siete voi favorevoli all'abolizione delle  quattro
province  'storiche'  della  Sardegna,  Cagliari,  Sassari,  Nuoro  e
Oristano?»". E' del tutto evidente che la formulazione della proposta
referendaria  non  e'  in  alcun  modo  sovrapponibile  all'eventuale
soppressione della Provincia di Oristano e  annessione  del  relativo
territorio ad una o piu' delle altre  province  statutarie,  sicche',
per effettuare il "riordino" delle province in ossequio  all'art.  43
dello  Statuto,   sarebbe   senz'altro   necessaria   una   ulteriore
consultazione popolare. Per tale motivo, dunque, appare evidente  che
il comma 5 dell'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 2012, come pure i
commi da 1 a 4-bis, nella misura  in  cui  pretendono  di  costituire
"principi  dell'ordinamento  giuridico   della   Repubblica   nonche'
principi  fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica",
violano il principio di leale collaborazione, in una con gli artt. 43
e 54 dello Statuto, nella misura in cui  impongono  alla  Regione  di
conformarsi a principi di coordinamento della  finanza  pubblica  che
postulano  o  la  revisione  dello  Statuto  o  lo   svolgimento   di
consultazioni referendarie che  non  sono  certamente  possibili  nel
limitatissimo periodo di tempo che  e'  messo  a  disposizione  delle
Regioni a statuto speciale dall'art. 17, comma 5,  del  decreto-legge
n. 95 del 2012. 
    Non basta. Si deve considerare che l'art. 133 Cost.  prevede  che
"Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e  la  istituzione  di
nuove Province nell'ambito di una Regione sono  stabiliti  con  leggi
della  Repubblica,  su  iniziative  dei  Comuni,  sentita  la  stessa
Regione". Premesso che la competenza a  istituire  nuove  province  e
modificare le circoscrizioni provinciali, in ragione del principio di
specialita' e visto l'art. 45 dello Statuto, deve essere riconosciuta
in capo al legislatore regionale e non al legislatore statale,  anche
il primo comma dell'art.  133  Cost.  fa  salvo  il  principio  della
consultazione delle comunita' locali (seppure attraverso l'iniziativa
legislativa dei comuni e non tramite referendum), cosa che  non  puo'
certo avvenire nei ristrettissimi tempi previsti dall'art. 17,  comma
5, del decreto-legge n. 95 del 2012. 
    In definitiva, e in sintesi, dunque, il comma 5 dell'art. 17  del
decreto-legge n. 95 del 2012, come pure i commi da 1 a  4-bis,  nella
misura in cui pretendono  di  costituire  "principi  dell'ordinamento
giuridico  della  Repubblica   nonche'   principi   fondamentali   di
coordinamento  della  finanza  pubblica",  violano  l'art.  43  dello
Statuto, in una con l'art. 54 dello stesso e  l'art.  116  Cost.,  in
quanto dispongono circa il riassetto di  Enti  provinciali  che  sono
direttamente disciplinati dallo Statuto di autonomia. Gli artt. 43  e
54 dello Statuto  e  116  Cost.  sono  violati,  poi,  anche  per  un
ulteriore profilo, perche' l'art. 17  del  decreto-legge  n.  95  del
2012, commi da 1 a 5, dispone in ordine al riassetto  delle  province
sarde  senza  contemplare  lo  svolgimento  del  referendum  previsto
dall'art. 43 dello Statuto medesimo. Violato e' anche il principio di
leale collaborazione, perche' il legislatore ha imposto alla  Regione
Sardegna  un  termine  per  ottemperare  ai  principi   fissati   con
l'articolo qui censurato che  non  consentono  lo  svolgimento  degli
adempimenti previsti dall'art. 43 dello Statuto. Infine,  e'  violato
l'art. 133, comma 1 Cost., anche in relazione al principio  di  leale
collaborazione, in quanto l'art. 5 del decreto-legge n. 95 del  2012,
specie per la  rigida  scansione  dei  tempi  del  procedimento,  non
consente la consultazione delle comunita' locali, nemmeno sotto forma
delle "iniziative dei comuni". 
    7.2. Illegittimi  sono  anche  i  successivi  commi  da  6  a  12
dell'art. 17  qui  censurato.  In  quelle  disposizioni  si  porta  a
compimento la riforma delle funzioni provinciali (commi da 6 a 11)  e
si conferma la riforma degli organi di governo delle province  (comma
12) gia' varata con l'art. 23 del decreto-legge n. 201 del 2011. Come
ben sa codesta Ecc.ma Corte costituzionale, la  Regione  Sardegna  ha
gia' impugnato l'art. 23  del  decreto-legge  n.  201  del  2011  con
ricorso  tuttora  pendente  e  rubricato  al  n.  47/2012  Reg.  Ric.
Pertanto, in questa sede, non si puo' che  insistere  nei  motivi  di
ricorso gia' formulati.  In  particolare,  si  deve  sottolineare  il
palmare contrasto di queste previsioni con le norme che  garantiscono
alla Regione Sardegna una sfera di  autonomia  legislativa  esclusiva
nelle materie "ordinamento degli uffici e degli  enti  amministrativi
della Regione" e "ordinamento degli  enti  locali  e  delle  relative
circoscrizioni" (art. 3, comma 1, lett. a) e b), dello Statuto). 
    L'autoritativa  e  unilaterale  determinazione,  da  parte  dello
Stato, della riforma degli organi e delle funzioni delle  province  e
l'esclusione      della       remunerazione       delle       cariche
politico-amministrative degli enti  territoriali  gia'  disposta  con
l'art. 23 del  decreto-legge  n.  201  del  2011  e  oggi  confermata
dall'art. 17 (in particolare: commi 6 e 12), del decreto-legge n.  95
del 2012 e' violativa della previsione statutaria  che  riserva  alla
Regione l'ordinamento degli enti locali. Ne'  si  potrebbe  obiettare
che la norma  impugnata  appartenga  a  quelle  "fondamentali"  delle
"riforme economico-sociali della Repubblica", poiche' essa  entra  in
estremo dettaglio nell'ordinamento degli enti locali, senza che  cio'
risulti necessario per la realizzazione degli obiettivi  di  maggiore
efficienza perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe  potuto
e dovuto lasciare alla Regione il potere di determinare le  modalita'
di riforma dell'ordinamento degli enti locali del  territorio  sardo,
nel rispetto di alcuni principi e criteri generali,  anche  attinenti
al contenimento dei costi, cosi' da poterli adattare  alle  variegate
realta' locali). 
    Sono, poi, particolarmente lesivi delle attribuzioni regionali  i
commi 6 e 7 e 8 dell'articolo in esame, come gia' lo erano i commi 18
e 19  dell'art.  23  del  decreto-legge  n.  201  del  2011  (le  cui
determinazioni sono per l'appunto  confermate  e  fatte  salve  dalle
disposizioni  qui  impugnate),  nella  parte  in   cui   operano   il
trasferimento ai comuni delle funzioni gia' attribuite alle  province
e le connesse le risorse umane, finanziarie e strumentali. 
    Ne' si potrebbe ritenere che il legislatore statale fosse a  cio'
legittimato in ragione dell'art. 117, comma 2,  lett.  p)  Cost.,  in
quanto  in  detta  disposizione  generale  si  fa  riferimento   alle
"funzioni fondamentali" degli Enti locali e qui trova applicazione la
disciplina speciale dello Statuto di autonomia. 
    8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 18 del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012,  n.  135,  per
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art.  117
sgg. Cost., dell'art. 116 Cost., degli artt.  43  e  54  della  legge
Cost. n. 3 del 1948. L'art. 18  del  decreto-legge  n.  95  del  2012
disciplina l'istituzione delle citta' metropolitane di Roma,  Torino,
Milano, Venezia, Genova, Bologna,  Firenze,  Bari,  Napoli  e  Reggio
Calabria (comma 1), disciplinando il loro territorio  (comma  2),  le
forme di approvazione dello statuto di autonomia (commi 2-bis  e  9),
la composizione e le attribuzioni degli organi (comma 3),  il  regime
transitorio   di   funzionamento   dell'Ente,   anche   nelle    more
dell'adozione  dello  Statuto   (commi   3-bis,   3-ter,   3-quater),
l'elezione del sindaco (comma  4),  la  composizione  del  "consiglio
metropolitano" (commi 5 e  6)  e  le  attribuzioni  dei  "consiglieri
metropolitani" (comma 10),  le  funzioni  attribuite  al  nuovo  Ente
(comma 7), le funzioni che, invece,  rimangono  di  competenza  della
Regione  (comma  7-bis),  la  dotazione  patrimoniale  e  finanziaria
dell'Ente (comma 8),  la  disciplina  applicabile  in  via  residuale
(comma 11), l'attribuzione di ulteriori funzioni (comma 11-bis). 
    Si e' gia' detto  che  la  disposizione  in  esame  non  menziona
direttamente una citta' metropolitana  da  istituirsi  nella  Regione
Sardegna. Tuttavia si deve ricordare che l'art. 17,  comma  5,  della
legge n. 142 del 1990, prima fonte dell'ordinamento, a quanto consta,
a disciplinare questo tipo di  Ente,  prevedeva  che  "In  attuazione
dell'art. 43 della  legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3
(statuto speciale per la Sardegna),  la  regione  Sardegna  puo'  con
legge  dare  attuazione  a  quanto  previsto  nel  presente  articolo
delimitando l'area metropolitana di Cagliari". Questo comma e'  stato
poi modificato e trasfuso nel d.lgs. n. 267 del  2000,  recante  T.U.
sull'ordinamento  degli  Enti  locali,  il  cui  art.  22,  comma  1,
prevedeva  che:  "Sono  considerate  aree   metropolitane   le   zone
comprendenti i comuni di Torino, Milano,  Venezia,  Genova,  Bologna,
Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri  comuni  i  cui  insediamenti
abbiano con essi rapporti di stretta integrazione territoriale  e  in
ordine alle attivita' economiche, ai  servizi  essenziali  alla  vita
sociale, nonche' alle  relazioni  culturali  e  alle  caratteristiche
territoriali".  Il  successivo  comma  2  demandava  alle  Regioni  i
successivi adempimenti, mentre il  comma  3  prevedeva  che  "Restano
ferme le citta' metropolitane e le aree metropolitane definite  dalle
regioni a statuto speciale". L'art. 22 del T.U.E.L. e' oggi  abrogato
in forza dell'art. 18, comma 1, ult. cap., del  decreto-legge  n.  95
del 2012 ("Sono abrogate le disposizioni di cui agli articoli 22 e 23
del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000,
nonche' agli articoli 23 e 24, commi 9 e 10,  della  legge  5  maggio
2009, n. 42,  e  successive  modificazioni".  Con  tale  abrogazione,
evidentemente,  alla  Regione  Sardegna  dovrebbe  rimanere  preclusa
l'istituzione di citta' metropolitane nel territorio  regionale,  tra
cui quella di Cagliari. 
    In questo modo, pero', e' violato l'art. 45 dello Statuto, in cui
si prevede che "La Regione, sentite le popolazioni interessate,  puo'
con legge istituire nel proprio territorio nuovi comuni e  modificare
le loro circoscrizioni e denominazioni". E' di immediata evidenza che
l'articolo  ora  menzionato  non  contempla  direttamente  le  citta'
metropolitane.  Tuttavia,  se  si   tiene   conto   che   le   citta'
metropolitane, nel territorio su cui insistono, modificano in maniera
sensibile sia l'ordinamento della  provincia  sia  l'ordinamento  dei
comuni che ne faranno parte, appare egualmente evidente che l'art. 45
dello  Statuto  deve  essere  interpretato  nel  senso  che,  tra  le
attribuzioni della Regione, e' compresa  l'istituzione  delle  citta'
metropolitane,   non   espressamente   menzionata   solo   a    causa
dell'anteriorita' dello Statuto rispetto alla introduzione nel nostro
ordinamento della nuova tipologia di ente locale. 
    Date queste premesse, l'art. 18 del decreto-legge n. 95 del 2012,
nella parte in cui abroga l'art. 22 (specie il comma 3) del  T.U.E.L.
e nella misura in cui disciplina l'istituzione e l'ordinamento  delle
citta' metropolitane escludendo la possibilita'  per  la  Regione  di
istituire simili Enti nel proprio territorio e, anzitutto, la  citta'
metropolitana di Cagliari, viola l'art. 45 dello Statuto, in una  con
l'art. 54 dello stesso e l'art. 116 Cost., in quanto dispone circa il
riassetto di Enti territoriali senza  tenere  conto  che  lo  Statuto
sardo conferisce tale competenza alla Regione,  anche  giusta  l'art.
116 Cost. (come ha affermato la cit. sent.  n.  198  del  2012).  Gli
artt. 45 e 54 dello Statuto e 116 Cost. sono  violati  anche  per  un
ulteriore profilo, nella misura in cui l'art. 18 del decreto-legge n.
95 del 2012, nel definire il procedimento di istituzione della citta'
metropolitana  (commi  2,  2-bis,  3-bis,  3-ter  e  3-quater),   non
contempla lo svolgimento  preventivo  di  una  consultazione  tra  le
popolazioni interessate, come previsto, appunto, dall'art.  45  dello
Statuto, che regola la  maggiore  autonomia  conferita  alle  Regioni
speciali tutelata e riconosciuta anche dall'art. 116 Cost. 
    9. Illegittimita' costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012,  n.  135,  per
violazione dell'art. 117 Cost. e dell'art. 3 della legge Cost.  n.  3
del  1948.  L'art.  19  del  decreto-legge  n.  95  del  2012   detta
disposizioni sulle funzioni fondamentali dei Comuni e sulle modalita'
di esercizio associato di funzioni e servizi comunali. 
    In particolare, i commi da 2 a 4 e 6 disciplinano  l'istituzione,
l'organizzazione e le funzioni delle unioni di comuni. 
    Il comma 2, piu' precisamente, sostituisce i commi da 1 a 16  del
decreto-legge n. 138 del 2011, introducendo, pero',  alcune  limitate
modifiche all'impianto  della  disciplina  gia'  in  vigore,  che  e'
opportuno riportare, seppure in sintesi estrema. 
    i) Non e' venuto meno il carattere obbligatorio  dell'unione  dei
Comuni. Vero e' che l'art. 16, comma 1,  del  decreto-legge  n.  138,
nella nuova formulazione prevede che i comuni con popolazione fino  a
1000  abitanti  "possono  esercitare  in  forma  associata"  le  loro
funzioni, ma tale possibilita'  configura  solo  una  "alternativa  a
quanto previsto dall'articolo 13 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78". Unica eccezione alla costituzione dell'unione e' disciplinata al
comma 12 dell'art. 16  del  decreto-legge  n.  138  del  2011,  nella
formulazione oggi vigente, laddove si  prevede  che  "l'esercizio  in
forma associata di cui  al  comma  1  puo'  essere  assicurato  anche
mediante una o piu' convenzioni ai sensi dell'articolo 30  del  testo
unico [delle leggi sugli Enti Locali, d.lgs. n. 267  del  2000],  che
hanno durata  almeno  triennale.  Ove,  alla  scadenza  del  predetto
periodo, non  sia  comprovato,  da  parte  dei  comuni  aderenti,  il
conseguimento di significativi livelli  di  efficacia  ed  efficienza
nella gestione [...] agli stessi si applica la disciplina di  cui  al
comma 1". L'eccezione e', a ben vedere,  insignificante,  perche',  o
nella forma dell'unione  di  comuni  disciplinata  dall'art.  16  del
decreto-legge n. 138 del 2011, o nella forma  dell'unione  di  comuni
disciplinata dall'art. 14, comma 28,  del  decreto-legge  n.  78  del
2010, o, ancora, nella forma della convenzione ex art.  30  T.U.E.L.,
lo svolgimento in  forma  associata  (o  consociata)  delle  funzioni
finisce per essere inderogabile. 
    ii) Il comma 2 dell'art. 16 del dcreto-legge  n.  138  del  2011,
come modificato dall'articolo qui  censurato,  enumera  le  ulteriori
funzioni affidate  alle  unioni  di  comuni,  in  particolare  quelle
concernenti il bilancio e la programmazione economico-finanziaria. 
    iii) Il comma 3 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138  del  2011,
come  modificato  dall'articolo  qui  impugnato,  poi,  ribadisce  il
principio di successione universale dell'unione  ai  comuni  in  essa
associati, limitatamente ai servizi esercitati e alle funzioni svolte
in forma associativa, gia' contenuto nel comma  5  dell'art.  16  del
decreto-legge n. 138 del 2011, per come convertito in  legge  n.  148
del 2011. 
    iv) Il comma 4 dell'art. 16 del decreto-legge n.  138  del  2011,
come modificato dall'articolo in esame,  definisce  alcuni  parametri
minimi delle istituende unioni di comuni, quanto  al  criterio  della
popolazione residente,  in  questo  riproducendo  sostanzialmente  le
norme gia' previste nel comma 6 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138
del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011. 
    v) Il comma 5 dell'art. 16 del decreto-legge  n.  138  del  2011,
come  modificato   dall'articolo   qui   censurato,   disciplina   il
procedimento di costituzione delle unioni di comuni,  prevedendo  che
"I  comuni  [...],  con  deliberazione  del  consiglio  comunale,  da
adottare a maggioranza dei componenti [...] avanzano alla regione una
proposta di aggregazione, di identico  contenuto,  per  l'istituzione
della rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31 dicembre 2013,
la regione  provvede,  secondo  il  proprio  ordinamento,  a  sancire
l'istituzione  di  tutte  le  unioni  del  proprio  territorio   come
determinate nelle proposte  di  cui  al  primo  periodo.  La  regione
provvede anche in caso di proposta di  aggregazione  mancante  o  non
conforme alle disposizioni  di  cui  al  presente  articolo".  Questa
disposizione, lo si anticipa, oltre  a  confermare  l'obbligatorieta'
delle unioni di comuni (sembrando la Regione tenuta a  provvedere  in
presenza della proposta comunale) e' particolarmente  invasiva  delle
competenze della ricorrente,  in  quanto  limita  la  potesta'  della
Regione  alla  mera  istituzione  dell'unione,  secondo  le  proposte
provenienti dagli enti comunali, senza che vi sia una  partecipazione
alla fase istruttoria e decisoria del procedimento. 
    vi) I commi da 6 a 13 del decreto-legge n.  138  del  2011,  come
modificato dall'articolo qui impugnato, poi, disciplinano gli  organi
dell'unione, le loro competenze e la  loro  composizione,  come  gia'
facevano,  in  maniera  analoga  (sovente  anche  con   le   medesime
formulazioni testuali), i commi da 10 a 16 del decreto-legge  n.  138
del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011. 
    Sono, invece, rimasti intatti i  commi  da  17  a  21,  25  e  26
dell'art. 16 del decreto-legge  n.  138  del  2011,  ove  si  dettano
disposizioni relative alla composizione degli organi di governo e  di
controllo dei comuni che non sono obbligati a  costituire  un'unione,
nonche' allo svolgimento delle loro  funzioni  istituzionali  e  alla
rendicontazione delle spese di rappresentanza. Il comma 27  dell'art.
16 del decreto-legge n.  138  del  2011,  anch'esso  non  modificato,
stabilisce i criteri di definizione degli enti locali  cui  e'  fatto
divieto  di  costituire  societa'  per  lo  svolgimento  di  funzioni
pubbliche.  Il  comma  28,  anch'esso  non  modificato,  prevede   la
verifica, da  parte  del  Prefetto,  dell'avvenuta  soppressione  dei
consorzi di funzioni tra gli enti locali, di cui  all'art.  2,  comma
186, lett. e), della legge n. 191 del 2009, e  l'eventuale  esercizio
di poteri sostitutivi da  parte  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri. I commi 30  e  31,  infine,  prevedono  che  l'applicazione
dell'articolo non debba  produrre  nuovi  o  maggiori  oneri  per  la
finanza pubblica e che siano  assoggettati  al  patto  di  stabilita'
interno tutti i comuni con popolazione superiore a 1000 abitanti. 
    Non e' stato modificato nemmeno il  comma  29  dell'art.  16  del
decreto-legge n. 138 del 2011, ove si prevede  che  "le  disposizioni
[...] si applicano ai comuni  appartenenti  alla  regioni  a  statuto
speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano  nel  rispetto
degli statuti delle regioni e province medesime, delle relative norme
di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della  legge
5 maggio 2009, n. 42". 
    9.2. All'interpolazione dell'art. 16 del decret-legge n. 138  del
2011, l'articolo qui impugnato somma ulteriori interventi, ancora  in
tema di unioni di comuni. Ad opera  del  comma  3  dell'art.  19  del
decreto-legge n. 95 del 2012 e' interamente novellato l'art.  32  del
T.U.E.L., ove e' disciplinata le caratteristiche generali dell'unione
di comuni. 
    Il successivo comma 4, vieppiu' confermando  il  principio  della
sostanziale obbligatorieta' dello svolgimento delle funzioni comunali
in forma associata, nelle  forme  gia'  sopra  brevemente  descritte,
prevede che "i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti che fanno
parte di un'unione di comuni gia' costituita alla data di entrata  in
vigore del presente decreto optano, ove ne ricorrano  i  presupposti,
per la disciplina di cui all'articolo 14 del decreto-legge 31  maggio
2010, n. 78 [...] ovvero  per  quella  di  cui  all'articolo  16  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 [...]". 
    Il comma 6, poi, concede ai comuni il "termine perentorio" di sei
mesi "dalla data di entrata  in  vigore  del  presente  decreto"  per
deliberare circa la proposta di costituzione dell'unione di comuni. 
    Il solo comma 5 contempla una  partecipazione  della  Regione  al
procedimento di istituzione delle unioni di  Comuni,  prevedendo  che
"Entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto,
ciascuna  regione  ha  facolta'  di  individuare  limiti  demografici
diversi rispetto a quelli di cui all'articolo 16, comma 4, del citato
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge 14  settembre  2011,  n.  148,  come  modificato  dal  presente
decreto". 
    9.3. Come questa Ecc.ma Corte costituzionale ben sa,  la  Regione
Sardegna ha gia' impugnato l'art. 16 del  decreto-legge  n.  138  del
2011, con il ricorso (in parte qua) tuttora pendente e  rubricato  al
n. 47 del Reg. Ric. 2012. Anche cio' considerato, la Regione  non  si
puo' esimere dal denunciare nuovamente i vizi  di  legittimita'  gia'
lamentati nei confronti dell'art. 16 del  decreto-legge  n.  138  del
2011 come convertito in legge n.  148  del  2011,  rivolgendoli  alle
nuove disposizioni. 
    9.4. L'art. 19 del decreto-legge n. 95 del 2012,  in  definitiva,
nel novellare l'art. 16 del decreto-legge  n.  138  del  2011  e  nel
dettare ulteriori disposizioni  in  tema  di  unioni  di  comuni,  ha
ulteriormente    modificato    in    profondita'     l'organizzazione
politico-amministrativa dei comuni minori della Sardegna,  attraverso
una disciplina di estremo dettaglio e particolarmente stringente. 
    E' agevole constatare il palmare contrasto di  queste  previsioni
con le norme che garantiscono alla  Regione  Sardegna  una  sfera  di
autonomia legislativa esclusiva in materia di "ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni" (art. 3, comma 1,  lett.  b),
dello Statuto). L'istituzione obbligatoria di unioni  di  comuni,  la
contestuale  riduzione  dei  consigli  comunali  a  puri  organi   di
partecipazione  e  del  sindaco  a  semplice  ufficiale  di   Governo
producono l'effetto di  determinare  di  fatto  la  soppressione  dei
comuni  che  partecipano  a  questa  forma  associativa  e  la   loro
sostituzione con un nuovo tipo di ente  territoriale,  in  violazione
esplicita della competenza in  materia  di  "ordinamento  degli  enti
locali e delle relative circoscrizioni" di cui al piu'  volte  citato
art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto. 
    Quanto  ora  affermato  trova   conferma   nella   giurisprudenza
costituzionale, in cui  a  piu'  riprese  si  e'  statuito  che  alla
disposizione statutaria ora richiamata si deve dare l'interpretazione
piu' ampia  che  sia  consentita,  tanto  che  in  essa  deve  essere
ricompresa anche la potesta' di istituire nuove  province  (sent.  n.
230 del 2001), nonche' quella di regolare la finanza locale (sent. n.
275 del 2007). 
    Si deve aggiungere, infine, che il comma 2, ult. cpv.,  dell'art.
16 del decreto-legge n. 138  del  2011,  nella  formulazione  vigente
(come gia' il comma 4, ult. cpv., dell'art. 16 del  decreto-legge  n.
138  del  2011  come  convertito  in  legge  n.  148  del  2011)   e'
specificamente illegittimo, in quanto prevede un regolamento  statale
in materia di (esclusiva) competenza regionale (e precisamente quanto
al  "procedimento  amministrativo-contabile  di   formazione   e   di
variazione del documento  programmatico",  ai  "poteri  di  vigilanza
sulla   sua   attuazione"   e   alla   "successione   nei    rapporti
amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione", tutti ambiti
ricompresi  nella  materia  "ordinamento  degli  enti  locali"),   in
violazione dell'art. 117, comma 6 Cost. (in una con quella  dell'art.
3, comma 1,  lett.  b),  dello  Statuto),  che  esclude  la  potesta'
regolamentare dello Stato nelle materie di competenza regionale. 
    Violato e' anche l'art. 117, comma 4 Cost. Codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale, infatti, nella sent. n. 456 del  2005,  ha  affermato
che, l'art. 117, comma 2, lett. p) Cost. "deve innanzitutto ritenersi
- in linea con quanto affermato con la citata  sentenza  n.  244  del
2005 - non conferente [...] nella parte in cui prevede, tra  l'altro,
che rientra nella competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  la
materia relativa alla "legislazione elettorale"  e  agli  "organi  di
governo" degli enti territoriali subregionali. Cio' in quanto in essa
si fa espresso riferimento ai Comuni, alle  Province  e  alle  Citta'
metropolitane e l'indicazione deve ritenersi  tassativa.  Da  qui  la
conseguenza  che  la  disciplina  delle  Comunita'  montane,  pur  in
presenza della loro qualificazione come  enti  locali  contenuta  nel
d.lgs. n. 267 del 2000,  rientra  ora  nella  competenza  legislativa
residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma,  della
Costituzione". E' evidente che l'argomentazione svolta nei  confronti
delle comunita' montane deve estendersi  pianamente  alle  unioni  di
comuni.  Pertanto   il   legislatore,   disciplinando   il   fenomeno
associativo tra  comuni,  ha  travalicato  i  confini  della  propria
competenza legislativa, non solo violando l'art. 3,  comma  1,  dello
Statuto sardo, ma  anche  usurpando  la  competenza  residuale  delle
Regioni ordinarie, che, ai sensi dell'art. 10 della legge Cost. n.  3
del 2001, e' garantita anche alla ricorrente. 
    Ne'  la  previsione  di  cui  al  comma  29  dell'art.   16   del
decreto-legge n. 138 del 2011, che vorrebbe essere  una  clausola  di
salvaguardia delle attribuzioni delle Regioni a statuto  speciale,  a
ben vedere, riesce ad escludere la lesione delle  attribuzioni  della
Sardegna, per due ordini di motivi. 
    In primo luogo si deve ribadire che l'art. 3, comma 1, lett.  b),
dello Statuto della Sardegna conferisce alla ricorrente  la  potesta'
legislativa esclusiva nella materia "ordinamento degli enti locali  e
delle relative circoscrizioni". E' dunque evidente  che  la  semplice
applicazione dell'art. 16 agli  enti  territoriali  sardi,  ancorche'
nelle modalita' di cui al  comma  29,  e'  gia'  di  per  se'  lesiva
dell'autonomia regionale. La previsione del comma 29 appare,  dunque,
meramente di stile, perche' la normativa statale,  nella  materia  di
cui al citato art 3, comma 1, lett. b), dello Statuto, non puo' avere
alcun ingresso, nemmeno nelle forme cautelative della previsione  qui
censurata. 
    In secondo luogo, l'articolo in esame non introduce una normativa
di carattere generale o  limitata  ai  principi  di  semplificazione,
accorpamento di funzioni e riduzione degli enti non necessari, bensi'
un'autoritativa e unilaterale  determinazione  delle  forme  e  delle
modalita' di attuazione della c.d. intercomunalita',  cui  segue  una
regolamentazione di estremo dettaglio, della quale la Regione,  anche
attivando  le  procedure  necessarie  per  il  rispetto  del  proprio
Statuto, e pur applicandosi quanto previsto dall'art. 27 della  legge
n. 42 del 2009, non potrebbe che prendere  atto  e  recepire  in  via
automatica. 
    Proprio per questa ragione non si potrebbe obiettare che la norma
impugnata  appartenga  a   quelle   "fondamentali"   delle   "riforme
economico-sociali  della  Repubblica"  e  nemmeno   che   costituisca
esercizio dell'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., poiche' essa regola
con  estremo  dettaglio  l'ordinamento  degli  enti   locali,   senza
limitarsi all'essenziale e senza che cio' risulti necessario  per  la
realizzazione degli obiettivi di maggiore efficienza  perseguiti  dal
legislatore statale (ben si sarebbe potuto  e  dovuto  lasciare  alla
Regione il potere di determinare le modalita' di concreta  attuazione
del  principio  dell'intercomunalita',  adattandolo  alle   variegate
realta' locali). 
    10.   Illegittimita'   costituzionale   dell'art.   24-bis    del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,  convertito  in  legge  7  agosto
2012, n. 135, in riferimento all'illegittimita' costituzionale  degli
artt. 15, comma 22, e 16, commi 3 e 4,  del  decreto-legge  6  luglio
2012, n.  95,  convertito  in  legge  7  agosto  2012,  n.  135,  per
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art.  117
sgg., degli artt. 32, 117 e 119 Cost. degli artt.  6,  7  e  8  della
legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la  Sardegna,
3, 117 e 119 Cost. All'art. 24-bis del decreto-legge n. 95 del  2012,
si prevede che, "fermo restando il contributo delle regioni a statuto
speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano  all'azione
di risanamento cosi' come determinata dagli articoli 15 e  16,  comma
3, le disposizioni del presente decreto si  applicano  alle  predette
regioni  e  province  autonome  secondo  le  procedure  previste  dai
rispettivi statuti speciali e dalle  relative  norme  di  attuazione,
anche con riferimento agli enti locali delle autonomie  speciali  che
esercitano le funzioni in materia di finanza  locale,  agli  enti  ed
organismi strumentali dei predetti enti  territoriali  e  agli  altri
enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale". 
    Tale  previsione,   oltre   a   costituire   una   "clausola   di
salvaguardia" meramente apparente, perche' - come si e'  visto  -  il
decreto-legge n. 95 del  2012  compromette  direttamente  l'autonomia
delle Regioni speciali, lascia ferme le previsioni degli artt.  15  e
16. Essa e',  pertanto,  illegittima  per  le  medesime  ragioni  che
sorreggono le censure nei confronti di tali articoli  e  precisamente
(in sintesi, e rimandando, pel resto, ai parr. 6 e 7): 
        l'art. 15, comma 22 del  decreto-legge  n.  95  del  2012  e'
palesemente  lesivo  dell'autonomia  finanziaria   costituzionalmente
riconosciuta alla  ricorrente  in  quanto  impone  la  partecipazione
regionale alla riduzione della spesa  sanitaria  per  un  periodo  di
tempo indeterminato, nonostante che la Regione provveda  al  servizio
di tutela del diritto alla salute senza oneri a carico  del  bilancio
statale. Per questa ragione: 
i) sono violati gli artt. 7 dello Statuto e 119  della  Costituzione,
che tutelano  la  particolare  autonomia  finanziaria  della  Regione
Sardegna; 
ii) l'art. 8  dello  Statuto,  e  con  esso  il  principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 117 Cost.,  perche'  lo  scomputo  del
contributo previsto dall'art. 15, comma 22, del decreto-legge  n.  95
del   2012   e'   fatto   valere   direttamente   sulle   quote    di
compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo  Stato  non
abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime,
fissato, appunto, dall'art. 8; 
iii) e' violato l'art. 119, comma 4 Cost.,  anche  in  relazione  con
l'art. 32 Cost., in quanto il contributo  richiesto  dallo  Stato,  a
valere   sul   finanziamento   della   spesa   sanitaria   regionale,
contravviene al principio di integrale finanziamento  delle  funzioni
pubbliche, con la  conseguente  violazione  dell'art.  32  Cost.,  in
ragione dei pregiudizi recati al diritto alla  salute  dei  cittadini
sardi; 
iv)  e'  violato  l'art.  6  dello  Statuto,  in  quanto   il   minor
finanziamento della spesa sanitaria impedisce di fatto  alla  Regione
di esercitare la sua potesta' amministrativa in materia; 
v) e' violato l'art. 117, comma 3, Cost.,  nonche'  il  principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost.,  anche  in  relazione
all'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006, perche' lo  Stato
impone oneri su un capitolo di spesa che e' integralmente  finanziato
dalla Regione, cosi' esorbitando dalla competenza a  fissare  i  soli
"principi fondamentali" nella materia  "coordinamento  della  finanza
pubblica" e impedendo alla  Regione  lo  svolgimento  autonomo  delle
funzioni (anche economico finanziarie) direttamente attribuite  dallo
Stato; 
        l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, invece,
impone un ulteriore contributo aggiuntivo agli obiettivi  di  finanza
pubblica a carico del bilancio regionale, senza delimitare il periodo
di contribuzione e  detraendo  le  somme  pretesamente  dovute  dalle
Regioni direttamente dalle quote di  compartecipazione  alle  entrate
erariali, che, nel caso della Regione Sardegna, ancora  attendono  di
essere versate dopo la riforma dell'art. 8 dello Statuto avvenuta del
2010. Pertanto anche l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95  del
2012: 
i) viola gli artt. 7 dello Statuto  e  119  della  Costituzione,  che
tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna; 
ii) viola l'art. 8 dello Statuto, e con esso il  principio  di  leale
collaborazione, perche' il contributo alla finanza pubblica e'  fatto
valere direttamente sulle quote  di  compartecipazione  alle  entrate
erariali nonostante che lo  Stato  non  abbia  ancora  dato  completa
esecuzione  al  nuovo  regime  delle  medesime,   fissato,   appunto,
dall'art. 8; 
iii) viola l'art.  119,  comma  4  Cost.,  in  quanto  il  contributo
richiesto dallo Stato impedisce, di fatto, alla Regione di provvedere
all'integrale  finanziamento  delle  funzioni  pubbliche  di  cui  e'
titolare in ragione della Costituzione, dello Statuto e  della  legge
in generale; 
iv) viola l'art. 6 dello Statuto, in  quanto  l'accantonamento  delle
somme ivi previste in sulla quota di compartecipazione  alle  entrate
erariali prevista dall'art. 8 dello Statuto impedisce di  fatto  alla
Regione di esercitare la potesta' amministrativa nelle materie di sua
competenza; 
        il successivo comma 4 dell'art. 16, infine, come si  e'  gia'
detto, prevede che, qualora lo Stato e  le  Regioni  non  addivengano
entro il 31 luglio 2012 ad un accordo sul patto  di  stabilita',  sia
applicato l'ultimo patto stipulato, modificato  con  ulteriori  oneri
per le Regioni. Ne viene, pertanto, la violazione  del  principio  di
leale collaborazione sia perche' il legislatore ha fissato un termine
sostanzialmente impossibile  da  rispettare  al  momento  in  cui  il
decreto-legge n. 95 del 2012 e' stato emanato; sia perche' un termine
perentorio contravviene al principio dell'accordo, cui sono  ispirati
i rapporti finanziari tra Stato e Regioni ad autonomia speciale. 
    L'art. 24-bis del decreto-legge n. 95 del 2012,  tenendo  "ferme"
le previsioni dei precedenti artt. 15 e 16,  risulta  dunque  affetto
dai medesimi vizi, gia' riportati,  e  va  -  pertanto  -  dichiarato
illegittimo. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale,  in  accoglimento
del   presente   ricorso,    voglia    dichiarare    l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 4, 5, 6, 9, 15, 16, 17, 18,  19  e  24-bis
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, pubblicato in G.U.  6  luglio
2012, n. 156, S.O., convertito con modificazioni in  legge  7  agosto
2012, n. 135, pubblicata in G.U. 14 agosto 2012, n.  189,  S.O.,  per
violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.;
del principio  dell'affidamento  e  della  sicurezza  giuridica;  del
principio di  buon  andamento  della  pubblica  Amministrazione;  del
principio di leale collaborazione di cui  all'art.  117  sgg.  Cost.;
degli artt. 3, 32, 39, 41, 75, 97, 116, 117, 119, 133  e  136  Cost.;
degli artt. 3, 4, 6, 7, 8, 43, 45, 53 e 54 della legge Cost. n. 3 del
1948, recante Statuto speciale per la Sardegna,  anche  in  relazione
all'art. 1, commi 834, 836 e 837, della  legge  n.  296  del  2006  e
all'art. 10 della legge Cost. n. 3 del 2001. 
    Si produce la deliberazione della Giunta regionale della  Regione
autonoma  della  Sardegna,  n.  40/14  dell'11   ottobre   2012,   di
proposizione   del   gravame   e   di   conferimento    dell'incarico
defensionale. 
        Cagliari - Roma, 12 ottobre 2012 
 
                   Avv. Ledda - Avv. prof. Luciani