N. 160 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 ottobre 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 19 ottobre 2012 (della Regione autonoma della Sardegna). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Obbligo per le Regioni di procedere allo scioglimento, o in alternativa, alla privatizzazione di tutte le societa' direttamente o indirettamente controllate, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato di prestazioni di servizi in favore della p.a. superiore al novanta per cento dell'intero fatturato - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza - Denunciata violazione della competenza legislativa esclusiva regionale nelle materie dell'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione, stato giuridico ed economico del personale, ordinamento degli enti locali, trasporti su linee automobilistiche e tranviarie, nonche' della potesta' legislativa concorrente regionale nelle materie dell'assunzione di pubblici servizi e linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione - Denunciata violazione della volonta' popolare espressa in consultazione referendaria per la reintroduzione di disciplina oggetto di abrogazione referendaria - Denunciata elusione del giudicato della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012 relativa agli effetti del referendum abrogativo dell'anno 2011. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 75, 117, 119 e 136; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione che ove l'amministrazione non proceda, secondo quanto stabilito ai sensi del comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le predette societa' non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, ne' possono fruire del rinnovo di affidamenti di cui sono titolari - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza - Denunciata violazione della competenza legislativa esclusiva regionale nelle materie dell'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione, stato giuridico ed economico del personale, ordinamento degli enti locali, trasporti su linee automobilistiche e tranviarie, nonche' della potesta' legislativa concorrente regionale nelle materie dell'assunzione di pubblici servizi e linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione - Denunciata violazione della volonta' popolare espressa in consultazione referendaria per la reintroduzione di disciplina oggetto di abrogazione referendaria - Denunciata elusione del giudicato della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012 relativa agli effetti del referendum abrogativo dell'anno 2011. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 75, 117, 119 e 136; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Limitazione dell'affidamento dei sevizi pubblici locali alle sole ipotesi in cui il valore economico del servizio sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza - Denunciata violazione della competenza legislativa esclusiva regionale nelle materie dell'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione, stato giuridico ed economico del personale, ordinamento degli enti locali, trasporti su linee automobilistiche e tranviarie, nonche' della potesta' legislativa concorrente regionale nelle materie dell'assunzione di pubblici servizi e linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione - Denunciata violazione della volonta' popolare espressa in consultazione referendaria per la reintroduzione di disciplina oggetto di abrogazione referendaria - Denunciata elusione del giudicato della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012 relativa agli effetti del referendum abrogativo dell'anno 2011. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 4, comma 8. - Costituzione, artt. 3, 75, 117, 119 e 136; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione che a decorrere dal 1° ottobre 2012 il valore dei buoni pasto attribuiti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di Statistica (ISTAT) ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, nonche' le autorita' indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le societa' e la borsa (Consob) non puo' superare il valore nominale di 7,00 euro - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza, dell'affidamento e della sicurezza giuridica - Denunciata violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Denunciata violazione del principio di autonomia contrattuale dei rapporti tra dipendenti ed amministrazione regionale - Denunciata violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva regionale in materia di stato giuridico ed economico del personale - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria regionale. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 5, comma 7. - Costituzione, artt. 3, 39, 41, 97, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3 e 7. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione che le convenzioni di cui all'art. 1, comma 5-bis, lett. f), del d.l. n. 125/2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 163/2010, stipulate con i soggetti aggiudicatari dei compendi aziendali si intendono approvate e producono effetti a far data dalla sottoscrizione e che ogni successiva modifica ovvero integrazione delle stesse e' approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Regioni interessate - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione - Denunciata violazione della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di turismo, nonche' della competenza legislativa concorrente regionale in materia di linee marittime ed aree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione e di assunzione di pubblici servizi - Denunciata violazione della norma statutaria che impone la diretta partecipazione della Regione ai procedimenti che interessano i trasporti da e per il continente - Denunciato impedimento delle funzioni sia legislative che amministrative nella materia della "continuita' territoriale". - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 6, comma 19. - Costituzione, artt. 3 e 117; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 4, 6 e 53, in riferimento all'art. 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione che le Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari, in misura non inferiore al 20 per cento, enti, agenzie e organismi comunque denominati che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto-legge impugnato, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione, o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118 della Costituzione - Previsione di apposita procedura articolata in tre fasi: a) ricognizione, entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge impugnato, di tutti gli enti, agenzie ed organismi; b) definizione mediante intese da adottarsi in sede di Conferenza unificata dei costi e delle tempistiche per l'attuazione delle norme; c) soppressione ope legis di tutti gli enti, agenzie ed organismi, con conseguente nullita' di tutti gli atti successivamente adottati, qualora le Regioni, le Province ed i Comuni, decorsi nove mesi dall'entrata in vigore del decreto, non abbiano dato attuazione al precetto normativo - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria, organizzativa e di funzionamento delle Regioni e di enti pubblici regionali, nonche' di servizi pubblici locali. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 9. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3 e 7. Sanita' pubblica - Razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria - Previsione che il livello del fabbisogno del servizio nazionale e del correlato finanziamento, previsto dalla vigente legislazione, e' ridotto di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per l'anno 2013, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2014 e di 2.100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 - Previsione che, qualora la proposta di riparto non intervenga entro i termini indicati dalla disposizione, all'attribuzione del concorso alla manovra di correzione dei conti alle singole Regioni e Province autonome, alla ripartizione del fabbisogno e delle disponibilita' finanziarie annue per il Servizio Sanitario Nazionale, si provvede secondo i criteri previsti dalla normativa vigente - Previsione che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, ad esclusione della Regione Siciliana, assicurano il concorso di cui sopra mediante le procedure previste dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009 e che fino all'emanazione delle norme di attuazione previste dal predetto art. 27, l'importo del concorso alla manovra stessa e' annualmente accantonato a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione - Denunciata violazione del principio di tutela della salute - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria della Provincia autonoma, nonche' della sfera di competenza provinciale in materia di standard delle prestazioni assistenziali ospedaliere e di politiche tariffarie dei servizi. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 15, comma 22. - Costituzione, artt. 3, 32, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 6, 7 e 8, in riferimento all'art. 1, comma 836, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Sanita' pubblica - Razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria - Previsione che con le procedure previste dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di euro per l'anno 2013, 1.000 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 e che l'importo del concorso alla manovra e' annualmente accantonato a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione, della potesta' legislativa in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti della Regione e stato giuridico ed economico del personale - Denunciata violazione dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16, comma 3. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 6, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riduzione della spesa degli enti territoriali - Previsione per tutte le Regioni a statuto speciale, in caso di mancato accordo sul concorso agli obiettivi di finanza pubblica, delle modalita' di definizione degli obiettivi stessi con riferimento agli obiettivi fissati nell'ultimo accordo ulteriormente migliorati dai contributi a carico delle Autonomie speciali stabiliti dalle manovre precedenti e da altri ulteriori contributi - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione, della potesta' legislativa in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti della Regione e stato giuridico ed economico del personale - Denunciata violazione dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 6, 7 e 8. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riordino delle Province e loro funzioni - Previsione del riordino di tutte le Province delle Regioni a statuto ordinario, mediante decreto da emanarsi, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge impugnato, con deliberazione del Consiglio dei ministri, sulla base dei requisiti minimi da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia (individuati con la deliberazione predetta, rispettivamente, in 2500 km. e in 350.000 abitanti) - Prevista partecipazione al riordino delle Province mediante atto legislativo ad iniziativa governativa, all'esito di una procedura cui partecipano il Consiglio delle autonomie locali delle singole Regioni a statuto ordinario e le Regioni stesse mediante la presentazione di ipotesi di riordino e previo parere della Conferenza unificata - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione del principio di autonomia costituzionale degli enti territoriali, nella specie delle Province - Denunciata violazione dell'assetto costituzionale ed ordinamentale della Regione - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione - Denunciata violazione dell'autonomia regionale in relazione ai principi di sussidiarieta' verticale e di adeguatezza - Denunciata lesione della potesta' regolamentare delle Province - Denunciata violazione dell'autonomia costituzionale regionale - Denunciata violazione della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi regionali e di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni - Violazione del principio costituzionale della partecipazione della popolazione interessata alla procedura di mutamento delle circoscrizioni provinciali e degli altri enti territoriali previsti dalla Costituzione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 17. - Costituzione, artt. 116, 117, 118, 119, 132 e 133; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 43 e 54. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria con contestuale istituzione delle corrispondenti Citta' metropolitane a far data dal 1° gennaio 2014 - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione del principio di autonomia costituzionale degli enti territoriali - Denunciata violazione dei presupposti di legittimita' costituzionale della straordinarieta' ed urgenza per l'adozione del decreto-legge - Denunciata violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Violazione del principio costituzionale della partecipazione della popolazione interessata alla procedura di mutamento delle circoscrizioni provinciali e degli altri enti territoriali previsti dalla Costituzione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 18. - Costituzione, artt. 116 e 117; Statuto della Regione Sardegna, artt. 3, 43 e 54. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riorganizzazione delle funzioni fondamentali dei Comuni ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione - Previsione per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti dell'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante riunione dei comuni o convenzioni di durata triennale - Previsione per i Comuni con popolazione fino a 1000 abitanti, dell'obbligo di esercizio in forma associata, mediante unione di tutte le funzioni amministrative e di tutti i servizi pubblici ad essi spettanti - Previsione che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individuano le dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio delle funzioni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Denunciata violazione della sfera di competenza regionale in materia di associazionismo degli enti locali - Istanza di sospensione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 19. - Costituzione, art. 117; Statuto della Regione Sardegna, art. 3. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Previsione che fermo restando il contributo delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano all'azione di risanamento cosi' come determinata dagli artt. 15 e 16, comma 1, le disposizioni del decreto-legge impugnato si applicano alle predette Regioni e Province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali ed agli altri enti od organismi ad ordinamento regionale o provinciale - Ricorso della Regione Sardegna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione, della potesta' legislativa in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti della Provincia e stato giuridico ed economico del personale - Denunciata violazione dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza - Denunciata violazione del principio di tutela della salute. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 24-bis. - Costituzione, artt. 3, 32, 117 e 119; Statuto della Regione Sardegna, artt. 6, 7 e 8.(GU n.50 del 19-12-2012 )
Ricorso della Regione autonoma della Sardegna (cod. fisc. 80002870923), in persona del Presidente pro-tempore dott. Ugo Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto, dagli avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc.: LDDTZN52T59B354Q; fax: 070.6062418; posta elettronica certificata: tledda@pec.regione.sardegna.it) e prof. Massimo Luciani (cod. fisc.: LCNMSM52L23F1501G; fax: 06.90236029; posta elettronica certificata: massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in 00153 Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale degli artt. 4, 5, 6, 9, 15, 16, 17, 18, 19 e 24-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, pubblicato in G.U. 6 luglio 2012, n. 156, S.O., convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata in G.U. 14 agosto 2012, n. 189, S.O. Fatto 1. Il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, pubblicato in G.U. 6 luglio 2012, n. 156, S.O., convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata in G.U. 14 agosto 2012, n. 189, S.O., recante "Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario", e' intervenuto in una vasta pluralita' di materie, che - per citare solo alcuni degli esempi che qui interessano direttamente - vanno dall'organizzazione delle societa' strumentali della pubblica Amministrazione (art. 4) all'affidamento dei servizi pubblici locali (ancora art. 4); dal trattamento del personale impiegato al servizio della P.A. (art. 5) ai trasporti pubblici (art. 6); dalle misure per la riduzione della spesa pubblica (artt. 15 e 16) alla ristrutturazione del sistema degli Enti locali (artt. 17, 18 e 19). E' agevole constatare che alla realizzazione del vasto programma delineato da tale decreto-legge sono state chiamate anche le autonomie territoriali. Non e' giustificabile, pero', che per alcuni significativi profili il concorso di tali autonomie (in particolare di quelle regionali, e ancor piu' in particolare della Regione Sardegna) sia stato strutturato in forme e con contenuti del tutto illegittimi. Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni della ricorrente, sono, nelle parti che appresso si identificheranno specificamente, gli articoli 4, 5, 6, 9, 15, 16, 17, 18, 19 e 24-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 135. Essi debbono essere pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi per i seguenti motivi di Diritto Premessa. In via del tutto preliminare, al fine di agevolare lo svolgimento delle ulteriori argomentazioni senza dover tediare codesta Ecc.ma Corte costituzionale con inutili ripetizioni, si osserva che varra' di qui in avanti la precisazione che gli articoli della Costituzione che riconoscono attribuzioni costituzionali alle Regioni ordinarie sono richiamati ai sensi dell'art. 10 della legge Cost. n. 3 del 2001, che estende alle Regioni a statuto speciale le disposizioni di maggior favore previste per le Regioni ordinarie nelle more della revisione dei loro statuti. Ancora in via preliminare, e' opportuno precisare che la ricorrente non ignora la particolare congiuntura del ciclo economico ne' la situazione economico-finanziaria in cui versa la Repubblica. Questi fattori, del resto, sono invocati dall'atto impugnato al fine di giustificare l'impiego della decretazione d'urgenza ai sensi dell'art. 77 Cost. Si legge, infatti, nel preambolo del decreto-legge n. 95 del 2012 quanto segue: "Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni, nell'ambito dell'azione del Governo volta all'analisi ed alla revisione della spesa pubblica, per la razionalizzazione della stessa, attraverso la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi, garantendo al contempo l 'invarianza dei servizi ai cittadini, nonche' per garantire il contenimento e la stabilizzazione della finanza pubblica, anche attraverso misure volte a garantire la razionalizzazione, l'efficienza e l'economicita' dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici" [...]. La Regione Sardegna non intende certo sottrarsi al contributo che tutti gli enti territoriali, ivi comprese le Regioni autonome, debbono assumersi per migliorare lo stato della finanza pubblica. Nondimeno, la situazione economico-finanziaria generale non puo' certo costringere la ricorrente a rinunciare a difendere le proprie attribuzioni costituzionali e statutarie, violate dallo Stato con l'impugnato decreto, ne' puo' essere tollerato che lo Stato, invocando la necessita' di agire per affrontare la crisi economica, rompa l'ordine costituzionale, violando principi e disposizioni della Costituzione e dello Statuto d'autonomia. La stessa recentissima giurisprudenza costituzionale ha affermato che "Le norme costituzionali [...] non attribuiscono allo Stato il potere di derogare al riparto delle competenze fissato dal Titolo V della Parte II della Costituzione, neppure in situazioni eccezionali. In particolare, il principio salus rei publicae suprema lex esto non puo' essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione. Lo Stato, pertanto, deve affrontare l'emergenza finanziaria predisponendo rimedi che siano consentiti dall'ordinamento costituzionale" (sent. n. 151 del 2012). Del resto, si deve notare che lo stesso legislatore statale, proprio con il decreto-legge n. 95 del 2012, ha inteso rimodulare l'impegno al miglioramento dei conti pubblici, tanto che (lo si legge gia' nel preambolo), ha ritenuto "di sospendere l'incremento dell'imposta sul valore aggiunto, gia' disposto dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonche' di garantire le necessarie risorse per la prosecuzione di interventi indifferibili". 1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli artt. 3, 4, 7 e 8 della legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, 3, 75, 117, 119 e 136 Cost. L'art. 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 disciplina la riduzione di spese, la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche. In particolare, il comma 1 prevede che "Nei confronti delle societa' controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, si procede, alternativamente: a) allo scioglimento della societa' entro il 31 dicembre 2013. Gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni di cui al presente comma in seguito allo scioglimento della societa' sono esenti da imposizione fiscale, fatta salva l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, e assoggettati in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali; b) all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio 2014. Il bando di gara considera, tra gli elementi rilevanti di valutazione dell'offerta, l'adozione di strumenti di tutela dei livelli di occupazione. L'alienazione deve riguardare l'intera partecipazione della pubblica amministrazione controllante". Il successivo comma 2 precisa che, "ove l'amministrazione non proceda secondo quanto stabilito ai sensi del comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le predette societa' non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, ne' possono fruire del rinnovo di affidamenti di cui sono titolari. I servizi gia' prestati dalle societa', ove non vengano prodotti nell'ambito dell'amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale". Il comma 5, poi, prevede che, "fermo restando quanto diversamente previsto da specifiche disposizioni di legge, i consigli di amministrazione delle altre societa' a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta, devono essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessita' delle attivita' svolte. Nel caso di consigli di amministrazione composti da tre membri, la composizione e' determinata sulla base dei criteri del precedente comma. Nel caso di consigli di amministrazione composti da cinque membri, la composizione dovra' assicurare la presenza di almeno tre dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, per le societa' a partecipazione diretta, ovvero almeno tre membri scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione della societa' controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa societa' controllante per le societa' a partecipazione indiretta. In tale ultimo caso le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al Presidente potranno essere affidate dal Consiglio di amministrazione deleghe esclusivamente nelle aree relazioni esterne e istituzionali e supervisione delle attivita' di controllo interno. Resta fermo l'obbligo di riversamento dei compensi assembleari di cui al comma precedente. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto". Il comma 8, infine, dispone che "A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto puo' avvenire solo a favore di societa' a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014. Sono altresi' fatte salve le acquisizioni in via diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a 200.000 euro in favore delle associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, degli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, delle associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, delle organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381". Le disposizioni in esame, nel loro complesso, regolano nel dettaglio le procedure di ristrutturazione delle societa' a partecipazione pubblica, disciplinandone la soppressione, la privatizzazione e la riorganizzazione dei singoli organi interni, aggiungendo anche la regolamentazione dell'affidamento dei servizi pubblici locali. Nel caso della privatizzazione, il legislatore ha previsto l'intera cessione della struttura privatizzata, escludendo ogni forma di partenariato pubblico/privato e arrivando addirittura a determinare alcune clausole del bando per la selezione del contraente. Nel caso delle societa' mantenute in vita, il legislatore non solo determina la composizione degli organi sociali, ma anche l'attribuzione dei poteri e delle funzioni all'interno del consiglio di amministrazione e la possibilita' di conferire deleghe per lo svolgimento di attivita' societarie. E' del tutto evidente la violazione delle attribuzioni regionali, dovuta al superamento del limite dei "principi fondamentali" che circoscrive la potesta' legislativa nelle materie di cui all'art. 117, comma 3, Cost. e - quindi - all'invasione del dominio della normazione di dettaglio. Sono, altresi', usurpate le competenze della Regione Sardegna conferite in via esclusiva dallo Statuto (art. 3, comma 1, lett. a, b e g) nelle materie "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale", "ordinamento degli Enti Locali", "trasporti su linee automobilistiche e tranviarie", nonche' in via concorrente (art. 4, comma 1, lett. f e g) nelle materie "assunzione di pubblici servizi" e "linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione". La normativa censurata, infatti, per un verso, entra in un dominio riservato all'autonomia esclusiva regionale; per l'altro, laddove le competenze legislative sono condivise, si spinge - come detto - sino alla regolamentazione di dettaglio, riservata alla legge regionale. Tanto il regime della sorte delle societa' pubbliche, quanto quello dell'affidamento (alle stesse o ad altre societa') dei servizi pubblici locali risultano violativi, poi, dell'art. 75 Cost., in relazione agli artt. 117 Cost. e 3 e 4 dello Statuto. A questo proposito si deve considerare che in seguito all'abrogazione dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, "che riduceva le possibilita' di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali, con conseguente delimitazione degli ambiti di competenza legislativa residuale delle Regioni e regolamentare degli enti locali, le competenze regionali e degli enti locali nel settore dei servizi pubblici locali si sono riespanse. Infatti, a seguito della predetta abrogazione, la disciplina applicabile era quella comunitaria, piu' «favorevole» per le Regioni e per gli enti locali" (cosi' ha ricostruito gli effetti del referendum abrogativo del 2011 codesta Ecc.ma Corte costituzionale, nella sent. n. 199 del 2012). La disposizione qui impugnata, invece, ha nuovamente innalzato una barriera nei confronti dell'affidamento c.d. in house dei servizi pubblici locali, sia prevedendo la liquidazione o la privatizzazione delle societa' in essere, sia, quanto all'affidamento dei servizi pubblici, fissando un limite di valore complessivo pari a € 200.000,00. Con "la reintroduzione da parte del legislatore statale della medesima disciplina oggetto dell'abrogazione referendaria (anzi, di una regolamentazione ancor piu' restrittiva, frutto di un'interpretazione ancor piu' estesa dell'ambito di operativita' della materia della tutela della concorrenza di competenza statale esclusiva)", pero', non e' stata solamente trascurata "la volonta' popolare espressa attraverso la consultazione referendaria", ma vi e' stata anche una "lesione delle [...] sfere di competenza sia delle Regioni che degli enti locali" (cosi', nella sent. n. 199 del 2012, sono state riassunte e condivise le censure avverso l'art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011). Non e' violato soltanto l'art. 75 Cost., dunque, ma anche il successivo art. 136, che presidia gli effetti del giudicato costituzionale, che il legislatore statale ha tenuto del tutto in non cale. Va da se' che la violazione dei parametri costituzionali ora indicati ben puo' essere lamentata nel presente gravame, in quanto essi sono intimamente collegati ad altri paradigmi che sono posti a garanzia delle attribuzioni costituzionali della ricorrente. In particolare, le attribuzioni della Regione Sardegna lese dalla normativa censurata sono quelle garantite dall'art. 117, comma 3, Cost., in materia di "coordinamento della finanza pubblica", nonche' quelle tutelate dagli artt. 3, comma 1, lett. a), b) e g), e 4, comma 1, lett. f) e g) dello Statuto, che attribuiscono alla Regione la competenza rispettivamente esclusiva nelle materie "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale", "ordinamento degli Enti Locali", "trasporti su linee automobilistiche e tranviarie", e concorrente nelle materie "assunzione di pubblici servizi" e "linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e gli scali della Regione". E' in ragione di tale articolato complesso di attribuzioni che non puo' sottrarsi all'odierna ricorrente qualunque competenza in materia di regime pubblicistico delle societa' pubbliche di ambito regionale e di affidamento (ad esse o ad altre societa') dei servizi pubblici locali. E' quanto fanno, invece, le disposizioni censurate, che disciplinano la materia con previsioni di estremo dettaglio, oltretutto in violazione dello stesso giudicato costituzionale. Si aggiunga che la normativa censurata impinge anche, violandole, nelle garanzie costituzionali (art. 119) e statutarie (artt. 7 e 8) dell'autonomia finanziaria della ricorrente, atteso che la gestione dei servizi in favore della Regione e dei servizi pubblici generali comporta oneri per la finanza regionale, che solo la ricorrente puo' legittimamente apprezzare, conformando a tale apprezzamento la disciplina sostanziale della materia. Ne' manca la vulnerazione della competenza in materia di "coordinamento della finanza pubblica", di cui all'art. 117, comma 3 Cost., attesa la segnalata natura di estremo dettaglio delle norme censurate. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; del principio dell'affidamento e della sicurezza giuridica; del principio di buon andamento della P.A. di cui all'art. 97 Cost.; degli artt. 39, 41, 97 e 117 e 119 Cost.; 3 e 7 della legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna. Il comma 7 dell'art. 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 dispone che "A decorrere dal 1° ottobre 2012 il valore dei buoni pasto attribuiti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonche' le autorita' indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le societa' e la borsa (Consob) non puo' superare il valore nominale di 7,00 euro. Eventuali disposizioni normative e contrattuali piu' favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dal 1° ottobre 2012. I contratti stipulati dalle amministrazioni di cui al primo periodo per l'approvvigionamento dei buoni pasto attribuiti al personale sono adeguati alla presente disposizione, anche eventualmente prorogandone la durata e fermo restando l'importo contrattuale complessivo previsto. A decorrere dalla medesima data e' fatto obbligo alle universita' statali di riconoscere il buono pasto esclusivamente al personale contrattualizzato. I risparmi derivanti dall'applicazione del presente articolo costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa". L'articolo in esame, nella misura in cui si applica anche al personale della Regione e degli enti pubblici tutti che operano nel territorio sardo, viola la competenza legislativa regionale in materia di "stato giuridico ed economico del personale", conferita dall'art. 3, comma 1, lett. a) dello Statuto. E' del tutto evidente, infatti, che l'utilizzo del sistema dei buoni pasto come forma di rimborso spese per i dipendenti attiene al complessivo trattamento retributivo del personale e, di conseguenza, al relativo statuto economico-normativo. Ne' si potrebbe obiettare che la disposizione censurata possa annoverarsi tra le "norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica" ai sensi dell'art. 3, alinea, dello Statuto, in quanto trattasi di intervento affatto marginale e di dettaglio. A questo proposito, violato e' anche l'art. 117, comma 3 Cost., perche' la disposizione in esame impinge nella sfera di competenza regionale nella materia "coordinamento della finanza pubblica". Non basta. Le garanzie dell'autonomia della Regione Sardegna sono ancor piu' robuste di quelle statutarie, delle quali ora si e' detto. Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha affermato, proprio in riferimento alla Regione Sardegna, che, "ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la particolare «forma di autonomia» cosi' emergente dal nuovo art. 117 della Costituzione in favore delle Regioni ordinarie si applica anche alle Regioni a statuto speciale, come la Sardegna, ed alle Province autonome, in quanto «piu' ampia» rispetto a quelle previste dai rispettivi statuti. Da questa ricostruzione (pienamente conforme al criterio interpretativo enunciato dalla sentenza n. 103 del 2003) discende che - essendo la materia dello stato giuridico ed economico del personale della Regione Sardegna, e degli enti regionali, riservata dall'art. 3, lett. a), dello statuto alla legislazione esclusiva della Regione, ed essendo l'analoga materia, per le Regioni a statuto ordinario, riconducibile al quarto comma dell'art. 117 - la tesi sostenuta nel ricorso, secondo cui la legge regionale avrebbe dovuto rispettare le disposizioni statali recanti norme fondamentali di riforme economico-sociali, non puo' essere accolta" (sent. n. 274 del 2003). Da cio' consegue che la Regione Sardegna, che gia' prima della revisione del Titolo V della Costituzione era titolare di competenza esclusiva nella materia dello stato giuridico ed economico del personale, ora la esercita senza essere soggetta nemmeno al limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, perche' quella materia e', per le Regioni ordinarie, residuale. Per questa ragione, dunque, violato e' senz'altro anche l'art. 117, comma 4, Cost., in quanto la materia "stato giuridico ed economico del personale della Regione e degli enti regionali" deve essere ricondotta alla competenza residuale della ricorrente. In ogni caso, quand'anche si volesse far ricadere la disposizione censurata nella materia "coordinamento della finanza pubblica", essa rimarrebbe illegittima, in quanto la disciplina dei buoni pasto cosi' adottata dal legislatore statale non si limita a determinare un contenimento complessivo della spesa corrente, ma entra addirittura nel merito della singola voce di spesa dell'ente autonomo con previsioni di estremo dettaglio, cosi' certamente esorbitando dai "principi fondamentali" che delimitano la competenza statale nelle materie di competenza concorrente. Ne risulta violato, per cio' solo, anche l'art. 7 dello Statuto, il quale riconosce alla Regione una particolare autonomia finanziaria, che subisce immediatamente una deminutio in ragione della disposizione censurata, dato che nell'autonomia finanziaria rientra senz'altro anche il potere di decidere l'allocazione delle risorse economiche dell'Ente. Per le medesime ragioni e' violato l'art. 119 Cost., anch'esso volto a tutelare l'autonomia finanziaria delle Regioni. Ne' potrebbe obiettarsi che la disciplina censurata sarebbe giustificata da superiori esigenze di equilibrio finanziario connesse all'attuale congiuntura economica. Se, infatti, e' pacifico che il legislatore (sia statale che regionale) puo' intervenire per far fronte a situazioni di difficolta' economico-finanziaria, non e' meno pacifico (e lo si e' gia' osservato in apertura) che debba farlo nel rispetto dei precetti costituzionali, che non possono certo essere cancellati in forza di condizioni congiunturali negative. Non basta. L'intero comma impugnato, e specialmente il periodo che prevede che "Eventuali disposizioni normative e contrattuali piu' favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dal 1° ottobre 2012", viola anche il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e il principio di buon andamento della P.A. di cui all'art. 97 Cost., in relazione agli artt. 117 e 119 Cost. e 3 e 7 dello Statuto. Si deve infatti tenere conto del fatto che la Regione ricorrente, per quanto specificamente concerne il personale alle sue dipendenze, ha regolato attraverso il contratto collettivo regionale di lavoro del personale la corresponsione del buono pasto in ragione delle modalita' di organizzazione degli uffici, dell'articolazione dell'orario di lavoro e delle ipotesi di presenza pomeridiana dei dipendenti (i quali sono obbligati a due rientri post meridiem a settimana), limitando nel numero massimo di 100 il monte annuo di buoni pasto erogati, numero su cui e' stato impostato il valore nominale dei buoni, cosi' da tenere sotto controllo la spesa pubblica per questa voce (si veda l'art. 55 del CCRL personale dirigente 2006-2009: "Art. 55 - Buono mensa: Ai dirigenti spettano un numero di buoni pasto calcolato su base annua nella misura di due per settimana, per un totale di 100; essi vengono utilizzati nel numero massimo di 10 al mese, in relazione al servizio pomeridiano prestato. Il valore del buono e' pari a 9,30 euro", e il CCRL personale dipendente 2006-2009: "Art. 26 - Servizio mensa: [...] Il numero dei buoni e' calcolato convenzionalmente su base annua nel numero di 100 per dipendente"). La disciplina regionale, dunque, e' calibrata sulle esigenze degli uffici e della corretta gestione dell'attivita' amministrativa, che sono state apprezzate in concreto. L'astratta e generale determinazione della nonna impugnata comporta l'irragionevole sacrificio di tali esigenze. Infine, sono violati anche il principio dell'autonomia contrattuale della Regione (e dei suoi dipendenti) di cui agli artt. 39 e 41 della Costituzione, nonche' il principio di affidamento e di sicurezza giuridica. Il primo, in quanto la norma censurata pretende di porre nel nulla una disciplina contrattuale dei rapporti fra dipendenti e Amministrazione regionale. Il secondo (pacificamente consolidato nella giurisprudenza costituzionale ed eurounitaria), in quanto tale disciplina e' attualmente in essere e sulla sua stabilita' i contraenti hanno fatto - appunto - legittimo affidamento. 3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 19, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione, dell'art. 3 Cost. e degli artt. 3, 4, 6 e 53 della legge Cast. n. 3 del 1948, in riferimento all'art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. L'art. 6, comma 19, del decreto-legge n. 95 del 2012 prevede che "Le convenzioni, di cui all'articolo 1, comma 5-bis, lettera f) del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125, convertito con modificazioni dalla legge 1° ottobre 2010, n. 163, stipulate con i soggetti aggiudicatari dei compendi aziendali, si intendono approvate e producono effetti a far data dalla sottoscrizione. Ogni successiva modificazione ovvero integrazione delle suddette convenzioni e' approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le regioni interessate". Per comodita' d'esposizione si riporta anche il testo dell'art. 1, comma 5-bis, lett. f), del decreto-legge n. 125 del 2010: "Al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di privatizzazione di cui all'articolo 19-ter del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, garantendo la continuita' del servizio pubblico di trasporto marittimo e la continuita' territoriale con le isole nel rispetto dei limiti delle risorse finanziarie di cui ai commi da 16 a 18 del medesimo articolo 19-ter, tenuto conto della intervenuta ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria della Tirrenia di navigazione Spa e della Siremar-Sicilia regionale marittima Spa: a) i compendi aziendali di Tirrenia di navigazione Spa, in amministrazione straordinaria, e di Siremar-Sicilia regionale marittima Spa, in amministrazione straordinaria, che nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria saranno definiti necessari alla gestione del servizio pubblico previsto dalle convenzioni di cui alla lettera f), possono essere ceduti dal commissario straordinario anche separatamente; b) il commissario straordinario contiene nei tempi minimi consentiti dalla procedura di amministrazione straordinaria, e con la stessa comunque coerenti, la procedura competitiva, trasparente e non discriminatoria occorrente per le cessioni di cui alla lettera a); c) le regioni Sardegna, Toscana, Lazio e Campania completano le rispettive procedure di privatizzazione nel piu' breve tempo ed in ogni caso non oltre la conclusione della procedura competitiva di cui alla lettera b); d) le convenzioni di cui al comma 6 del predetto articolo 19-ter del decreto-legge n. 135/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166/2009, sono conseguentemente prorogate dal 1° ottobre 2010 fino al completamento della procedura competitiva di cui alla lettera b) limitatamente alle clausole necessarie alla gestione del servizio pubblico per assicurare la continuita' territoriale; e) fino al completamento delle procedure di cui alla lettera b), gli eventuali finanziamenti attivati dal commissario straordinario assistiti dalla garanzia di cui all'articolo 2-bis, secondo comma, del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 aprile 1979, n. 95, e successive modificazioni, sono impiegati per fare fronte alle esigenze necessarie alla gestione del servizio pubblico per assicurare la continuita' territoriale per tutto il periodo di svolgimento della procedura competitiva di cui alla lettera b); f) gli schemi di convenzione di Tirrenia di navigazione Spa e Siremar-Sicilia regionale marittima Spa, approvati in data 10 marzo 2010, ai sensi dell'articolo 19-ter, comma 9, del decreto-legge n. 135/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166/2009, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono fatti salvi e le relative convenzioni saranno stipulate dal Ministero concedente con i soggetti che risulteranno aggiudicatari dei compendi aziendali di cui alla lettera a), a seguito delle procedure di cui alla lettera b)". E' evidente che la disposizione censurata e sopra riportata determina l'esclusione - in tutto o in parte assai significativa - della ricorrente dal procedimento di approvazione delle convenzioni con i soggetti che gestiscono il servizio di trasporto marittimo fra la Sardegna e il continente. L'esclusione e' totale nella parte in cui si prevede che tali convenzioni si intendano approvate e producano effetti "a far data dalla sottoscrizione", senza la minima partecipazione della Regione (e si consideri che la ricorrente e' stata addirittura costretta a richiedere, con nota dell'Assessorato ai trasporti n. 6223 del 3 agosto 2012, la copia sottoscritta della convenzione fra Ministero dei trasporti e Societa' Tirrenia, che il primo non si era neppure peritato di trasmettere). L'esclusione e' altresi' parziale, nella parte in cui si prevede che le successive modificazioni o integrazioni siano approvate una volta che le Regioni interessate sono state semplicemente "sentite", senza che di esse sia acquisita l'intesa (intesa che, invece, e' essenziale, per costante giurisprudenza, perche' le attribuzioni regionali siano adeguatamente tutelate). Orbene, la situazione della Regione Sardegna in ordine ai collegamenti marittimi e' affatto peculiare, a causa della sua insularita', che rende la corretta gestione di tali collegamenti essenziale per lo sviluppo (industriale e turistico) dell'isola e per il soddisfacimento dei diritti dei suoi residenti. Tale situazione di fatto trova puntuale riconoscimento anche in diritto, atteso che l'art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 (Legge finanziaria per il 2007) ha disposto che "alla regione Sardegna sono trasferite le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie Sardegna e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuita' territoriale". Gia' prima di tale novita' normativa, peraltro, lo Statuto aveva ben chiara la necessita' del riconoscimento di un ruolo centrale alla Regione in materia di continuita' territoriale, stabilendo all'art. 53 che "La Regione e' rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e della regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla" e con cio' comportando la diretta presenza della Regione nei relativi procedimenti. La continuita' territoriale e' dunque competenza specifica della Regione, sia sul piano legislativo che su quello della gestione amministrativa. Tanto, sia per l'espressa previsione normativa ora riportata, sia in forza del c.d. "principio del parallelismo" di cui all'art. 6 dello Statuto, in base al quale la Regione ha potesta' legislativa (anche) nelle materie in cui ha potesta' amministrativa (si veda la sentenza di codesta Ecc.ma Corte n. 51 del 2006). La disposizione censurata, proprio in una materia di sicura spettanza regionale, esclude del tutto la ricorrente dal procedimento approvativo delle convenzioni ad oggi sottoscritte e - comunque - la riduce al ruolo di soggetto meramente udito nel successivo ed eventuale procedimento di integrazione e modificazione delle convenzioni stesse. Tutto cio' considerato, appare evidente che la disposizione censurata viola: il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., perche' dispone l'approvazione della convenzione tra il Ministero dei trasporti e la Societa' Tirrenia senza prevedere, nel corso del relativo procedimento, alcun tipo di partecipazione da parte della Regione; il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., per un ulteriore profilo, perche' prevede che l'Amministrazione statale determini le variazioni della concessione senza dover raggiungere l'intesa con la Regione, ma potendo semplicemente limitarsi a "sentirla"; l'art. 53 dello Statuto di autonomia, che impone la diretta partecipazione della Regione ai procedimenti che interessano i trasporti da e per il continente; l'art. 3, comma 1, lett. p), dello Statuto, che riconosce alla Regione potesta' legislativa esclusiva nella materia "turismo", in quanto e' specifico interesse regionale assicurare collegamenti efficienti ed economici, tali da alimentare l'industria turistica; l'art. 4, comma 1, lett. f) e g), dello Statuto, che attribuisce alla Regione la competenza legislativa concorrente nelle materie "linee marittime ed aeree di cabotaggio ,fra i porti e gli scali della Regione" e "assunzione di pubblici servizi", sia in quanto lo stato dei collegamenti di cabotaggio e' condizionato dai collegamenti da e per il continente, sia in quanto tali collegamenti sono, sine dubio, servizi pubblici (dai quali la Regione e' invece estromessa); l'art. 6 dello Statuto, in relazione all'art. 3 e all'art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, perche' impedisce alla Regione l'esercizio delle funzioni (sia legislative che amministrative) nella materia "continuita' territoriale" che ad essa - pure - e' stata trasferita. 4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., degli artt. 117 e 119 Cost. e 3 e 7 della legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna. L'art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012 dispone che "Al fine di assicurare il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative, le regioni, le province e i comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20 per cento, enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a comuni, province, e citta' metropolitane ai sensi dell'articolo 118, della Costituzione". Il successivo comma 2 prevede che "Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, al fine di dare attuazione al comma 1, con accordo sancito in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si provvede alla complessiva ricognizione degli enti, delle agenzie e degli organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica di cui al comma 1". Il comma 3, poi, dispone che "al fine di dare attuazione al comma 2, in sede di Conferenza unificata si provvede mediante intesa ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e sulla base del principio di leale collaborazione, all'individuazione dei criteri e della tempistica per l'attuazione del presente articolo e alla definizione delle modalita' di monitoraggio", mentre il comma 4 precisa che "se, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni, le province e i comuni non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono soppressi. Sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi". Il successivo comma 5, invece, dispone che "ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai sensi dell'articolo 118, della Costituzione, funzioni amministrative conferite alle medesime regioni". Infine, il comma 6 fa "divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o piu' funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'articolo 118, della Costituzione". Le menzionate disposizioni regolano nel dettaglio l'organizzazione amministrativa degli enti territoriali, imponendo alle Regioni e agli enti locali non solo una quota di risparmio di gestione delle funzioni amministrative cosi esercitate, ma obbligando all'accorpamento o alla soppressione di enti e organizzazioni, senza considerare che la Regione, nell'esercizio della propria competenza legislativa esclusiva nelle materie "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione", "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni" e "biblioteche e musei di enti locali" (art. 3, comma 1, lett. a), b), e q) dello Statuto), potrebbe conseguire il medesimo risultato di contenimento della spesa pubblica utilizzando le forme di gestione delle funzioni pubbliche ritenute piu' idonee allo scopo. Per tale motivo la disposizione menzionata viola l'art. 3, comma 1, lett. a), b), e q) dello Statuto, ove si attribuisce alla Regione la competenza legislativa esclusiva nelle materie "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione", "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni" e "biblioteche e musei di enti locali", e, all'un tempo, anche l'art. 117, comma 3, Cost., nella misura in cui detta norme per il coordinamento della finanza pubblica che travalicano i "principi fondamentali" della materia. L'imposizione, ai fini del contenimento degli oneri della finanza pubblica, di obblighi che si ripercuotono direttamente sull'organizzazione degli enti locali fa si che sia lesa anche l'autonomia finanziaria della Regione, cosa che implica la violazione dell'art. 7 dello Statuto e dell'art. 119 Cost., che tale autonomia tutelano. A questo proposito si rileva che codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha chiarito quali sono i rapporti economici che intercorrono tra Stato e Regioni a Statuto speciale nella materia del coordinamento della finanza pubblica nella sent. n. 82 del 2007. In tale pronuncia si afferma, da una parte, che "non e' contestabile «il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti», e che, «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiti complessivi alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza n. 36 del 2004). Tali vincoli, come questa Corte da tempo ha avuto modo di chiarire, devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell'obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all'azione di risanamento della finanza pubblica (sentenza n. 416 del 1995 e successivamente, anche se non con specifico riferimento alle Regioni a statuto speciale, le sentenze n. 417 del 2005 e numeri 353, 345 e 36 del 2004). Un tale obbligo, pero', deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, come questa Corte ha avuto occasione di affermare, la previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto «patto di stabilita'» (sentenza n. 353 del 2004)". Se cio' e', come e', vero, il legislatore statale, onde conseguire il maggior risparmio nello svolgimento delle funzioni pubbliche degli enti locali, doveva limitarsi ad indicare il risparmio atteso, rispettando l'autonomia organizzativa delle Regioni. Ne' si potrebbe dire, ovviamente, che con l'articolo censurato il legislatore statale abbia inteso esercitare la propria potesta' esclusiva in materia di `funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane", di cui all'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., per la semplice ragione che tale competenza generale non puo' certo prevalere (secondo i comuni principi di risoluzione delle antinomie) su quella speciale dettata, in materia, dall'art. 3, comma 1, lett. a) e b) dello Statuto sardo, che affida alla competenza esclusiva della Regione Sardegna le materie "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale" e "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni". Tanto, senza considerare che l'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., concerne l'istituzione e la regolazione delle funzioni amministrative, il procedimento da seguire, gli interessi pubblici da perseguire, etc., mentre la disposizione censurata agisce sul versante dell'organizzazione degli enti al fine di conseguire un ipotetico vantaggio di finanza pubblica. Per quest'ultimo profilo, poi, si deve evidenziare che violato e' anche il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 1, lett. a), b), e q) dello Statuto, in quanto il divieto per gli enti locali di istituire enti strumentali impedisce che province e comuni, anche in ossequio alla normativa regionale, possano esercitare le proprie funzioni in regime di intercomunalita', istituendo un apposito ente associativo, laddove tale modello organizzativo comportasse significative economie di scala. 5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 22, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 sgg. Cost., degli artt. 32, 117 e 119 Cost. e degli artt. 6, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, anche in relazione all'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006. L'art. 15, comma 22, del decreto-legge n. 95 del 2012 prevede che "In funzione delle disposizioni recate dal presente articolo il livello del fabbisogno del Servizio sanitario nazionale e del correlato finanziamento, previsto dalla vigente legislazione, e' ridotto di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2.000 milioni di euro per l'anno 2014 e 2.100 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015. Le predette riduzioni sono ripartite fra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano secondo criteri e modalita' proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano medesime, da recepire, in sede di espressione dell'Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano per la ripartizione del fabbisogno sanitario e delle disponibilita' finanziarie annue per il Servizio sanitario nazionale, entro il 30 settembre 2012, con riferimento all'anno 2012 ed entro il 30 novembre 2012 con riferimento agli anni 2013 e seguenti. Qualora non intervenga la predetta proposta entro i termini predetti, all'attribuzione del concorso alla manovra di correzione dei conti alle singole regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, alla ripartizione del fabbisogno e alla ripartizione delle disponibilita' finanziarie annue per il Servizio sanitario nazionale si provvede secondo i criteri previsti dalla normativa vigente. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, ad esclusione della regione Siciliana, assicurano il concorso di cui al presente comma mediante le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo del concorso alla manovra di cui al presente comma e' annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Per comprendere le ragioni per le quali la disposizione in commento appare particolarmente lesiva delle attribuzioni della ricorrente si deve premettere che l'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria per il 2007) ha stabilito che "dall'anno 2007 la regione Sardegna provvede al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato". Cio' vuol dire che il legislatore, con la disposizione in esame, ha disciplinato non tanto la spesa statale per la salute pubblica nel territorio sardo, ma ha direttamente posto un onere su un capitolo di spesa che ormai e' gestito e finanziato autonomamente dalla Regione Sardegna. In altri termini, la Regione Sardegna, che e' stata onerata dal 2006 del finanziamento della spesa sanitaria regionale, sara' costretta a stornare una quota parte di questo finanziamento per utilizzarlo come contributo di finanza pubblica, con evidente compromissione del diritto alla salute dei suoi cittadini, in una con quella delle sue attribuzioni costituzionali. A questo proposito, si deve ricordare che codesta Ecc.ma Corte costituzionale si e' pronunciata in un caso analogo gia' con la sent. n. 133 del 2010. In tale caso si controverteva della legittimita' costituzionale dell'art. 22, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 78 del 2009: "La predetta norma, nel prevedere l'istituzione di un fondo con dotazione di 800 milioni di euro - «destinato ad interventi relativi al settore sanitario» ed alimentato con le economie di spese derivanti, tra l'altro, dall'applicazione del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 [...] - dispone che «in sede di stipula del Patto per la salute e' determinata la quota che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano riversano all'entrata del bilancio dello Stato per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale»" (cosi' e' riassunta la questione nel Ritenuto in fatto della menzionata sent. n. 133 del 2010). Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, a quel proposito, rilevo' che "lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, «neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario» (sentenza n. 341 del 2009)". Similmente nel caso giudicato con sent. n. 341 del 2009, si controverteva sulla legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, ove si prevedeva che "siano ridotti del 20 per cento, rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008 e a decorrere dalla data di conferimento o rinnovo degli incarichi, i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori generali, ai direttori sanitari, ai direttori amministrativi, ed i compensi spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e degli istituti zooprofilattici". Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, rilevato che "Le risorse provenienti dalla riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle strutture sanitarie, prevista dalla disciplina impugnata" sarebbero state poi utilizzate per consentire che le "Regioni stesse concorr[essero] con lo Stato alla copertura dei relativi oneri" e considerato che la Provincia autonoma di Trento (ricorrente in quella vicenda) "provvede interamente al finanziamento del proprio servizio sanitario provinciale, «senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato» (art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994)", ha affermato che "In tale diverso e peculiare contesto, l'applicazione alla Provincia autonoma di Trento del comma 14 dell'art. 61 non risponderebbe alla funzione che la misura in questione assolve per le altre Regioni. Dal momento che lo Stato non concorre al finanziamento del Servizio sanitario provinciale, ne' quindi contribuisce a cofinanziare una eventuale abolizione o riduzione del ticket in favore degli utenti dello stesso, esso neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalita' di contenimento di una spesa sanitaria che e' interamente sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento". Tanto, e' evidente, deve valere anche nel caso qui in esame. 5.1. Non basta. Il contributo richiesto alle Regioni, tra le quali e' la ricorrente, non e' straordinario o limitato nel tempo (del resto, la c.d. spending review che si e' intesa avviare con il decreto-legge n. 95 del 2012 non e' una manovra di finanza pubblica temporanea, ma una rideterminazione complessiva della spesa pubblica, che si intende strutturalmente applicabile di qui in avanti), ma cresce fino a toccare l'enorme somma di due miliardi e cento milioni di euro "a decorrere dall'anno 2015" (e quindi di li' in avanti). Se questo e', come e', vero, sono violati i principi che codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricavato dal testo costituzionale a presidio dei rapporti finanziari tra Stato e Regione. Gia' si e' detto, riportando un brano della sent. n. 82 del 2007, che le "limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti" (ma, si noti, in questione vi e' addirittura una limitazione diretta, della quale si conoscono il settore di spesa cui imputarla e l'ammontare!) possono darsi solamente "in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale". La disposizione in esame, invece, non pone vincoli transitori, ma definitivi. Nella recentissima sent. n. 193 del 2012, poi, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ricordato di essersi "espressa sulla non incompatibilita' con la Costituzione delle misure disposte con l'art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, sul presupposto - richiesto dalla propria costante giurisprudenza - che possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)". 5.2. Si deve poi considerare che il meccanismo di accantonamento delle risorse "a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali" e' particolarmente odioso per la Regione Sardegna. Come si e' gia' detto e come e' noto a codesta Ecc.ma Corte costituzionale (si v. le sentt. n. 99 e 118 del 2012, nonche' il pendente ricorso rubricato al Reg. Confl. Enti n. 9/2012), la Regione ancora attende (ormai da due anni e nove mesi) che lo Stato dia completa e corretta esecuzione al nuovo regime di compartecipazione alle entrate erariali previsto dall'art. 8 dello Statuto, come riformato dall'art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006. Il fatto che lo Stato, inadempiente ai doveri cui si e' autovincolato con la riforma dello Statuto, oggi accampi nuove pretese illegittime da farsi valere proprio sul regime delle compartecipazioni rende ancor piu' evidenti i vizi ora contestati. 5.2.1. Ai sensi del novellato art. 8 dello Statuto, invero, le entrate della Regione Sardegna derivano "a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici". 5.2.2. E' appena il caso di rievocare la vicenda che - come e' ben noto a codesta Ecc.ma Corte costituzionale - ha condotto all'approvazione del novellato testo statutario, ora riportato. La riforma dell'art. 8 dello Statuto, invero, si rese necessaria per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione complessiva della realta' economico-finanziaria territoriale e nazionale. Di questo e' testimonianza il carteggio intervenuto tra il Ragioniere generale dello Stato e la medesima Regione tra l'agosto e il settembre del 2005, relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per le finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A. Con nota del 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, il Ragioniere generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva una determinazione annuale in merito, una proposta di quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A. "nell'attesa che si proceda alla revisione dell'ordinamento finanziario che consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a quota fissa", e che tale proposta era stata predisposta "abbandonando [...] il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel tempo la progressiva svalutazione in termini reali del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento di garanzia previsto dallo Statuto, che mirava a consentire il tempestivo adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti dall'espletamento delle funzioni normali della Regione". Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere generale rappresentava che "il gettito IRPEF regionale [...] registra una crescita, nell'arco temporale considerato [1991-2003], pari all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa l'anomalo trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale". E' proprio in considerazione della palese insufficienza (esplicitamente riconosciuta dallo Stato) del quadro finanziario delle entrate regionali che si e' addivenuti alla seconda modifica dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e' gia' detto, nel 2006, con la quale - fra l'altro - si e' aggiunto il canale di finanziamento relativo ai "sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici" e - per l'appunto in coerenza con i rilievi sopra riportati - si e' introdotta la quota fissa di compartecipazione all'I.V.A. maturata nella Regione Sardegna (v., rispettivamente, lett. m) e f) dell'art. 8, comma 1, nella formulazione vigente). Risulta dunque per tabulas, sia dalla posizione assunta dallo Stato nell'interlocuzione con la Regione, sia (e soprattutto) dal contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il regime delle entrate regionali e' stato modificato al fine permettere alla Sardegna di assolvere ai propri compiti istituzionali, in considerazione delle condizioni fattuali e normative maturate nel tempo (in particolare, dell'accollo alla Regione di alcune funzioni supplementari, come tutte quelle in materia di sanita', di trasporti e di continuita' territoriale). Orbene: non solo, allo stato, e nonostante le puntuali affermazioni di codesta Ecc.ma Corte nelle sentt. n. 99 e 112 del 2012, il nuovo regime statutario non ha ancora avuto compiuta esecuzione, ma si pretende anche, adesso, di sottrarre alla Regione Sardegna ulteriori risorse, quando lo stesso Stato - come si e' visto - ha riconosciuto la necessita' di assegnarne di supplementari. Il che, si ripete, determina la violazione dell'art. 8 dello Statuto, ma si risolve anche in violazione (in combinato) del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., per l'evidente contraddittorieta' degli interventi normativi succedutisi nel tempo. 5.2.3. Per mero tuziorismo, e' infine opportuno precisare, sul punto, che la violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia puo' e deve essere censurata sebbene l'art. 8 di tale Statuto sia stato modificato con legge ordinaria, ai sensi del successivo art. 54. La qualita' di parametri dei giudizi di legittimita' costituzionale, invero, deve essere riconosciuta anche alle disposizioni del Titolo III dello Statuto speciale della Sardegna che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo, possono essere modificate con legge ordinaria, previo parere della Regione. Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e' stato definito un processo di "decostituzionalizzazione" (come codesta Ecc.ma Corte ha affermato nella sent. n. 70 del 1987), costituiscono pur sempre precetti che il legislatore statale deve rispettare, in quanto il procedimento di modificazione della norma statutaria e' comunque "assistito da una garanzia del tutto peculiare a favore della Regione sarda", sicche' la legge statale non puo' derogare la norma in questione, ma puo' solo modificarla con lo speciale procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi' ancora la cit. sent. n. 70 del 1987, cui adde le pur meno dirette affermazioni della sent. n. 215 del 1996). 5.3. In definitiva, l'art. 15, comma 22 del decreto-legge n. 95 del 2012 e' palesemente lesivo dell'autonomia finanziaria costituzionalmente riconosciuta alla ricorrente in quanto impone la partecipazione regionale alla riduzione della spesa sanitaria per un periodo di tempo indeterminato, nonostante che la Regione provveda al servizio di tutela del diritto alla salute senza oneri a carico del bilancio statale. Per questa ragione: sono violati gli artt. 7 dello Statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna; e' violato l'art. 8 dello Statuto, e con esso il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., perche' lo scomputo del contributo previsto dall'art. 15, comma 22, del decreto-legge n. 95 del 2012 e' fatto valere direttamente sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo Stato non abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto, dall'art. 8; e' violato l'art. 119, comma 4, Cost., anche in relazione con l'art. 32 Cost., in quanto il contributo richiesto dallo Stato, a valere sul finanziamento della spesa sanitaria regionale, contravviene al principio di integrale finanziamento delle funzioni pubbliche, con la conseguente violazione dell'art. 32 Cost., in ragione dei pregiudizi recati al diritto alla salute dei cittadini sardi; e' violato l'art. 6 dello Statuto, in quanto il minor finanziamento della spesa sanitaria impedisce di fatto alla Regione di esercitare la sua potesta' amministrativa in materia; e' violato l'art. 117, comma 3, Cost., nonche' il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., anche in relazione all'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006, perche' lo Stato impone oneri su un capitolo di spesa che e' integralmente finanziato dalla Regione, cosi esorbitando dalla competenza a fissare i soli "principi fondamentali" nella materia "coordinamento della finanza pubblica" e impedendo alla Regione lo svolgimento autonomo delle funzioni (anche economico finanziarie) direttamente attribuite dallo Stato. 6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione, degli artt. 117 e 119 Cost. e degli artt. 6, 7 e 8 della legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna. L'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 dispone che "Con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012, 1.200 milioni di euro per l'anno 2013 e 1.500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1.575 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo del concorso complessivo di cui al primo periodo del presente comma e' annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, sulla base di apposito accordo sancito tra le medesime autonomie speciali in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 30 settembre 2012. In caso di mancato accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'accantonamento e' effettuato, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze da emanare entro il 15 ottobre 2012, in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal SIOPE. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al citato articolo 27, gli obiettivi del patto di stabilita' interno delle predette autonomie speciali sono rideterminati tenendo conto degli importi derivanti dalle predette procedure". Valgono anche per il presente comma i vizi gia' elencati in relazione all'art. 15, comma 22, del decreto-legge qui impugnato. In particolare, il legislatore statale, anche in questo caso, ha imposto un ulteriore contributo aggiuntivo agli obiettivi di finanza pubblica a carico del bilancio regionale, senza delimitare il periodo di questo particolare sforzo finanziario cosi' fissato (che, infatti, sara' massimo "a decorrere dal 2015"). Inoltre, anche in questo caso, Io Stato fa valere le proprie pretese con accantonamenti sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali, che, nel caso della Regione Sardegna, ancora attendono di essere versate dopo la riforma dell'art. 8 dello Statuto avvenuta del 2010. Pertanto anche l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 e' palesemente lesivo dell'autonomia finanziaria costituzionalmente riconosciuta alla ricorrente in quanto impone la partecipazione ad un nuovo onere di finanza pubblica per un periodo di tempo indeterminato. Per questa ragione: sono violati gli artt. 7 dello Statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna; e' violato l'art. 8 dello Statuto, e con esso il principio di leale collaborazione, perche' il contributo alla finanza pubblica e' fatto valere direttamente sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo Stato non abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto, dall'art. 8; e' violato l'art. 119, comma 4, Cost., in quanto il contributo richiesto dallo Stato impedisce, di fatto, alla Regione di provvedere all'integrale finanziamento delle funzioni pubbliche di cui e' titolare in ragione della Costituzione, dello Statuto e della legge in generale; e' violato l'art. 6 dello Statuto, in quanto l'accantonamento delle somme ivi previste in sulla quota di compartecipazione alle entrate erariali prevista dall'art. 8 dello Statuto impedisce di fatto alla Regione di esercitare la potesta' amministrativa nelle materie di sua competenza; e' violato l'art. 117, comma 3, Cost., in quanto il legislatore, determinando un obbligo finanziario indefinito per la Regione, ha esorbitato dalla propria competenza concorrente nella materia "coordinamento della finanza pubblica". 6.1. Il successivo comma 4 dell'art. 16, poi, prevede che "dopo il comma 12 dell'articolo 32 della legge 12 novembre 2011, n 183, e' aggiunto il seguente comma: «12-bis. In caso di mancato accordo di cui ai commi 11 e 12 entro il 31 luglio, gli obiettivi delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano sono determinati applicando agli obiettivi definiti nell'ultimo accordo il miglioramento di cui: a) al comma 10 del presente articolo; b) all'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, come rideterminato dall'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e dall'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44; d) agli ulteriori contributi disposti a carico delle autonomie speciali.»". Il comma in esame disciplina il caso in cui le Regioni e lo Stato non conseguano l'accordo sul "livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti" e sul "saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista", ossia, in termini piu' generali, sulle componenti del patto di stabilita' interno. Ove, appunto, non si raggiunga tale accordo, tra di esse vale l'ultimo patto stipulato, modificato per tenere conto degli ulteriori contributi alla finanza pubblica determinati dall'art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011 (€ 314.234.000,00 per l'anno 2012; € 368.156.000,00 annui per gli anni 2013 e successivi) e dall'art. 28, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 (860 milioni di euro annui a decorrere dal 2012 da dividere per il comparto delle autonomie speciali). La modificazione del patto, che il legislatore statale, dalla sua prospettiva, ha chiamato "miglioramento", nella prospettiva della Regione e' senz'altro peggiorativa del patto di stabilita' (e da tanto deriva l'interesse all'impugnazione). Lo Stato ha previsto, poi, che tali misure decorressero "in caso di mancato accordo di cui ai commi 11 e 12 entro il 31 luglio", termine che e' ormai gia' decorso. A questo proposito, pero', si deve tenere conto che il decreto-legge n. 95 del 2012 e' stato pubblicato in G.U. il 6 luglio 2012 e che e' stato convertito in legge 7 agosto 2012, pubblicata in G.U. solo il 14 agosto 2012. E' del tutto evidente che la scansione dei tempi necessari per evitare che le Regioni fossero vincolate al precedente patto di stabilita', ma con i saldi peggiorati in ragione del presente comma, e' stata cosi ristretta da impedire di fatto che fosse conseguito l'accordo in questione e da imporre l'applicazione della normativa unilateralmente imposta dallo Stato. Questa difesa non ignora il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale che vuole che il termine di conclusione del patto sia ordinatorio e non perentorio. Scrutinando l'art. 1, comma 148, della legge n. 266 del 2005, che disponeva, circa il patto di stabilita' 2006-2008, che "in caso di mancato accordo si applicano [alle Regioni ad autonomia speciale] le disposizioni stabilite per le Regioni a statuto ordinario", codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha infatti affermato che "la mancata conclusione dell'accordo entro il termine previsto non comporta [...] la definitiva applicazione del regime di spesa delle Regioni a statuto ordinario. Tale interpretazione trova conferma nella prassi applicativa, dato che fino al 2006 gli accordi in concreto stipulati da Stato e Regioni a statuto speciale sono stati conclusi quasi tutti alcuni mesi dopo lo scadere del termine del 31 marzo. Deve dunque ritenersi che, in base alla norma censurata, sostanzialmente omogenea a quella gia' scrutinata da questa Corte [cfr. sent. n. 353 del 2004], e dalla stessa ritenuta non contraria a Costituzione, in caso di mancata tempestiva definizione dell'accordo entro il termine del 31 marzo si applicano i limiti di spesa previsti per le Regioni a statuto ordinario, ma cio' solo in via provvisoria, fino alla conclusione dell'accordo, che puo' intervenire anche successivamente". Purtuttavia, la norma in esame non e' affatto omogenea a quella di cui all'art. 1, comma 148, della legge n. 266 del 2005, ne' a quella scrutinata con sent. n. 353 del 2004 (ci si riferisce all'art. 29, comma 18, della legge n. 289 del 2002: "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano concordano, entro il 31 marzo di ciascun anno, con il Ministero dell'economia e delle finanze, per gli esercizi 2003, 2004 e 2005, il livello delle spese correnti e dei relativi pagamenti. Fino a quando non sia raggiunto l'accordo, i flussi di cassa verso gli enti sono determinati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2003-2005"), per due ordini di motivi. In primo luogo, come gia' si accennava, il termine del 31 luglio 2012 segue quello gia' fissato del 31 marzo 2012, sicche' vi e' motivo di ritenere che questo secondo termine sia perentorio. In secondo luogo, il nuovo termine e' stato fissato, strumentalmente, ad un momento temporale impossibile da rispettare, sicche' la disciplina unilaterale dettata dallo Stato non costituisce un aspetto eventuale del mancato accordo, bensi' la fatale conseguenza del (rapido) fluire del tempo. Per tali motivi, il principio di leale collaborazione risulta violato per due differenti profili: perche' il legislatore ha fissato un termine sostanzialmente impossibile da rispettare al momento in cui il decreto-legge n. 95 del 2012 e' stato emanato; perche' un termine perentorio contravviene al principio dell'accordo, cui sono ispirati i rapporti finanziari tra Stato e Regioni ad autonomia speciale. 7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 17 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 sgg. Cost., degli artt. 116 e 133 Cost., degli artt. 3, 43 e 54 della legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna. L'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 2012 reca disposizioni sul riordino delle province e delle loro funzioni. In particolare, il legislatore ha demandato al Governo la determinazione dei requisiti minimi di popolazione residente e di estensione territoriale che le province dovranno avere (comma 2) e ha richiesto alle Regioni di trasmettere una proposta di riordino delle province ubicate nel loro territorio (comma 3). Tenuto conto di tali iniziative, un successivo "atto legislativo di iniziativa governativa" determinera' il riordino delle province, con contestuale ridefinizione dell'ambito delle citta' metropolitane (comma 4). Nel caso di accorpamento di piu' province, il comune piu' popoloso tra i due che gia' erano capoluogo di provincia rimarra' comune capoluogo (comma 4-bis). Il "riordino" previsto con l'articolo in esame sottende una radicale diminuzione del numero delle province, attraverso la soppressione di molte di esse e il relativo accorpamento delle circoscrizioni territoriali ad altro Ente. Tanto si deriva direttamente dal comma 2 dell'art. 17, in cui si demanda al Consiglio dei Ministri la "apposita deliberazione" relativa al riordino delle province dei requisiti minimi di popolazione residente e di estensione territoriale. Il Governo ha attuato tale previsione con la deliberazione 20 luglio 2012, in G.U. 24 luglio 2012, n. 171, fissando il minimo di duemilacinquecento chilometri quadrati quanto al requisito della dimensione territoriale, e un minimo di trecentocinquantamila abitanti quanto alla popolazione residente. In questo modo, dunque il riordino delle province non e' divenuto altro che l'operazione di individuazione delle province che non superano i requisiti cosi' stabiliti, le quali saranno soppresse con conseguente accorpamento del loro territorio ad altro ente provinciale. Che sia cosi' e' vieppiu' confermato dall'art. 1, commi 5 e 6, della cit. deliberazione 20 luglio 2012, nei quali si prescrive che "Le iniziative di riordino delle province stabiliscono le denominazioni delle province esistenti in esito al riordino" (comma 5) e che "In esito al riordino [...] assume il ruolo di comune capoluogo delle singole province il comune gia' capoluogo delle province oggetto di riordino con maggior popolazione residente". E' evidente che la determinazione di un unico nome e di un unico capoluogo si giustifica in ragione della necessita' di soppressione di alcune province e di conseguente accorpamento con quelle che rimangono attive. Tutto questo complesso procedimento (che, come si e' evidenziato, passa necessariamente per la soppressione di alcune province e il relativo accorpamento dei territori) si applica, ai sensi del comma 1 dell'articolo in esame, a "tutte le province delle regioni a statuto ordinario esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto". Il successivo comma 5, pero', prescrive che "Le Regioni a statuto speciale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adeguano i propri ordinamenti ai principi di cui al presente articolo, che costituiscono principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica nonche' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Le disposizioni di cui al presente articolo non trovano applicazione per le province autonome di Trento e Bolzano". Orbene, si deve tenere conto che le province "esistenti alla data di entrata in vigore" erano, nella Regione Sardegna, le c.d. "province storiche", ossia Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano. Le province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell'Ogliastra e di Olbia-Tempio, infatti, sono state soppresse dal referendum del 6 maggio 2012, che ha abrogato (tra le altre) la legge reg. n. 9 del 2001, che le aveva istituite. Di queste quattro province, tre sono espressamente previste dall'art. 43 dello Statuto, che prevede che "Le province di Cagliari, Nuoro e Sassari conservano l'attuale struttura di enti territoriali. Con legge regionale possono essere modificate le circoscrizioni e le funzioni delle province, in conformita' alla volonta' delle popolazioni di ciascuna delle province interessate espressa con referendum.". La Provincia di Oristano e' stata istituita con legge (statale) n. 306 del 1974. Cosi' ricostruito il contesto normativo in cui si inserisce la disposizione impugnata, i suoi vizi di legittimita' costituzionale appaiono palesi. In primo luogo, per poter effettuare l'"adeguamento del proprio ordinamento", che potrebbe comportare anche l'eventuale soppressione o l'accorpamento fosse pure di una sola delle Province di Cagliari, Sassari e Nuoro sarebbe, invero, necessaria la revisione dello Statuto. Alla legge regionale, infatti, compete la modificazione delle circoscrizioni delle tre Province statutarie, non certo la soppressione dell'una o dell'altra. Ne' la legge regionale, per lo stesso motivo, potrebbe determinare la fusione di due o di tutte e tre le Province statutarie. Cio' premesso, e' agevole osservare che la Regione Sardegna non ha nella sua disponibilita' il relativo procedimento. Lo Statuto, infatti, ai sensi dell'art. 54 dello stesso, si puo' riformare solo con legge costituzionale, sicche' la Regione Sardegna non ha la possibilita' di adeguarsi all'art. 17, del decreto-legge n. 95 del 2012 (ai sensi dell'art. 54, ultimo comma, dello Statuto, solamente "le disposizioni del Titolo III)", ossia gli artt. da 7 a 14 del medesimo, relativi a finanze, demanio e patrimonio regionale, "possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la Regione"). A questo proposito si deve considerare che la recentissima sent. n. 198 del 2012 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 2011, che imponeva alle Regioni, compresa la Sardegna, di' ridurre il numero dei consiglieri regionali e degli assessori, nonche' i loro emolumenti, per poter essere considerate Enti virtuosi ai fini del coordinamento della finanza pubblica. Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in quel caso, ha affermato che "la disciplina relativa agli organi delle Regioni a statuto speciale e ai loro componenti e' contenuta nei rispettivi statuti. Questi, adottati con legge costituzionale, ne garantiscono le particolari condizioni di autonomia, secondo quanto disposto dall'art. 116 Cost. L'adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome ai parametri di cui all'art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011 richiede, quindi, la modifica di fonti di rango costituzionale. A tali fonti una legge ordinaria non puo' imporre limiti e condizioni". Quand'anche il riordino delle province sarde dovesse contemplare la sola soppressione della Provincia di Oristano e il conseguente accorpamento della sua intera circoscrizione territoriale o di parti di essa ad una o piu' delle altre tre province statutarie, poi, la procedura decisionale per il riassetto del territorio dovrebbe comunque rispettare l'art. 43 dello Statuto che, come si e' visto, impone lo svolgimento di un referendum in cui sia definita la volonta' delle popolazioni interessate. E' del tutto evidente che la consultazione elettorale non si puo' tenere nel brevissimo tempo messo a disposizione dall'art. 17, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 2012 (sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 95 del 2012, nemmeno dalla data di conversione in legge del medesimo). Ne' si potrebbe obiettare che, a questo proposito, possa essere utile il referendum consultivo regionale celebratosi, ai sensi della legge reg. n. 20 del 1957, in data 6 maggio 2012. Il quesito n. 5, relativo al tema qui in esame, era di siffatta formulazione: "Referendum n. 5: «Siete voi favorevoli all'abolizione delle quattro province 'storiche' della Sardegna, Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano?»". E' del tutto evidente che la formulazione della proposta referendaria non e' in alcun modo sovrapponibile all'eventuale soppressione della Provincia di Oristano e annessione del relativo territorio ad una o piu' delle altre province statutarie, sicche', per effettuare il "riordino" delle province in ossequio all'art. 43 dello Statuto, sarebbe senz'altro necessaria una ulteriore consultazione popolare. Per tale motivo, dunque, appare evidente che il comma 5 dell'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 2012, come pure i commi da 1 a 4-bis, nella misura in cui pretendono di costituire "principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica nonche' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica", violano il principio di leale collaborazione, in una con gli artt. 43 e 54 dello Statuto, nella misura in cui impongono alla Regione di conformarsi a principi di coordinamento della finanza pubblica che postulano o la revisione dello Statuto o lo svolgimento di consultazioni referendarie che non sono certamente possibili nel limitatissimo periodo di tempo che e' messo a disposizione delle Regioni a statuto speciale dall'art. 17, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 2012. Non basta. Si deve considerare che l'art. 133 Cost. prevede che "Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione". Premesso che la competenza a istituire nuove province e modificare le circoscrizioni provinciali, in ragione del principio di specialita' e visto l'art. 45 dello Statuto, deve essere riconosciuta in capo al legislatore regionale e non al legislatore statale, anche il primo comma dell'art. 133 Cost. fa salvo il principio della consultazione delle comunita' locali (seppure attraverso l'iniziativa legislativa dei comuni e non tramite referendum), cosa che non puo' certo avvenire nei ristrettissimi tempi previsti dall'art. 17, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 2012. In definitiva, e in sintesi, dunque, il comma 5 dell'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 2012, come pure i commi da 1 a 4-bis, nella misura in cui pretendono di costituire "principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica nonche' principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica", violano l'art. 43 dello Statuto, in una con l'art. 54 dello stesso e l'art. 116 Cost., in quanto dispongono circa il riassetto di Enti provinciali che sono direttamente disciplinati dallo Statuto di autonomia. Gli artt. 43 e 54 dello Statuto e 116 Cost. sono violati, poi, anche per un ulteriore profilo, perche' l'art. 17 del decreto-legge n. 95 del 2012, commi da 1 a 5, dispone in ordine al riassetto delle province sarde senza contemplare lo svolgimento del referendum previsto dall'art. 43 dello Statuto medesimo. Violato e' anche il principio di leale collaborazione, perche' il legislatore ha imposto alla Regione Sardegna un termine per ottemperare ai principi fissati con l'articolo qui censurato che non consentono lo svolgimento degli adempimenti previsti dall'art. 43 dello Statuto. Infine, e' violato l'art. 133, comma 1 Cost., anche in relazione al principio di leale collaborazione, in quanto l'art. 5 del decreto-legge n. 95 del 2012, specie per la rigida scansione dei tempi del procedimento, non consente la consultazione delle comunita' locali, nemmeno sotto forma delle "iniziative dei comuni". 7.2. Illegittimi sono anche i successivi commi da 6 a 12 dell'art. 17 qui censurato. In quelle disposizioni si porta a compimento la riforma delle funzioni provinciali (commi da 6 a 11) e si conferma la riforma degli organi di governo delle province (comma 12) gia' varata con l'art. 23 del decreto-legge n. 201 del 2011. Come ben sa codesta Ecc.ma Corte costituzionale, la Regione Sardegna ha gia' impugnato l'art. 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 con ricorso tuttora pendente e rubricato al n. 47/2012 Reg. Ric. Pertanto, in questa sede, non si puo' che insistere nei motivi di ricorso gia' formulati. In particolare, si deve sottolineare il palmare contrasto di queste previsioni con le norme che garantiscono alla Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva nelle materie "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione" e "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni" (art. 3, comma 1, lett. a) e b), dello Statuto). L'autoritativa e unilaterale determinazione, da parte dello Stato, della riforma degli organi e delle funzioni delle province e l'esclusione della remunerazione delle cariche politico-amministrative degli enti territoriali gia' disposta con l'art. 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 e oggi confermata dall'art. 17 (in particolare: commi 6 e 12), del decreto-legge n. 95 del 2012 e' violativa della previsione statutaria che riserva alla Regione l'ordinamento degli enti locali. Ne' si potrebbe obiettare che la norma impugnata appartenga a quelle "fondamentali" delle "riforme economico-sociali della Repubblica", poiche' essa entra in estremo dettaglio nell'ordinamento degli enti locali, senza che cio' risulti necessario per la realizzazione degli obiettivi di maggiore efficienza perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe potuto e dovuto lasciare alla Regione il potere di determinare le modalita' di riforma dell'ordinamento degli enti locali del territorio sardo, nel rispetto di alcuni principi e criteri generali, anche attinenti al contenimento dei costi, cosi' da poterli adattare alle variegate realta' locali). Sono, poi, particolarmente lesivi delle attribuzioni regionali i commi 6 e 7 e 8 dell'articolo in esame, come gia' lo erano i commi 18 e 19 dell'art. 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 (le cui determinazioni sono per l'appunto confermate e fatte salve dalle disposizioni qui impugnate), nella parte in cui operano il trasferimento ai comuni delle funzioni gia' attribuite alle province e le connesse le risorse umane, finanziarie e strumentali. Ne' si potrebbe ritenere che il legislatore statale fosse a cio' legittimato in ragione dell'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., in quanto in detta disposizione generale si fa riferimento alle "funzioni fondamentali" degli Enti locali e qui trova applicazione la disciplina speciale dello Statuto di autonomia. 8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 sgg. Cost., dell'art. 116 Cost., degli artt. 43 e 54 della legge Cost. n. 3 del 1948. L'art. 18 del decreto-legge n. 95 del 2012 disciplina l'istituzione delle citta' metropolitane di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria (comma 1), disciplinando il loro territorio (comma 2), le forme di approvazione dello statuto di autonomia (commi 2-bis e 9), la composizione e le attribuzioni degli organi (comma 3), il regime transitorio di funzionamento dell'Ente, anche nelle more dell'adozione dello Statuto (commi 3-bis, 3-ter, 3-quater), l'elezione del sindaco (comma 4), la composizione del "consiglio metropolitano" (commi 5 e 6) e le attribuzioni dei "consiglieri metropolitani" (comma 10), le funzioni attribuite al nuovo Ente (comma 7), le funzioni che, invece, rimangono di competenza della Regione (comma 7-bis), la dotazione patrimoniale e finanziaria dell'Ente (comma 8), la disciplina applicabile in via residuale (comma 11), l'attribuzione di ulteriori funzioni (comma 11-bis). Si e' gia' detto che la disposizione in esame non menziona direttamente una citta' metropolitana da istituirsi nella Regione Sardegna. Tuttavia si deve ricordare che l'art. 17, comma 5, della legge n. 142 del 1990, prima fonte dell'ordinamento, a quanto consta, a disciplinare questo tipo di Ente, prevedeva che "In attuazione dell'art. 43 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (statuto speciale per la Sardegna), la regione Sardegna puo' con legge dare attuazione a quanto previsto nel presente articolo delimitando l'area metropolitana di Cagliari". Questo comma e' stato poi modificato e trasfuso nel d.lgs. n. 267 del 2000, recante T.U. sull'ordinamento degli Enti locali, il cui art. 22, comma 1, prevedeva che: "Sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attivita' economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonche' alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali". Il successivo comma 2 demandava alle Regioni i successivi adempimenti, mentre il comma 3 prevedeva che "Restano ferme le citta' metropolitane e le aree metropolitane definite dalle regioni a statuto speciale". L'art. 22 del T.U.E.L. e' oggi abrogato in forza dell'art. 18, comma 1, ult. cap., del decreto-legge n. 95 del 2012 ("Sono abrogate le disposizioni di cui agli articoli 22 e 23 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, nonche' agli articoli 23 e 24, commi 9 e 10, della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni". Con tale abrogazione, evidentemente, alla Regione Sardegna dovrebbe rimanere preclusa l'istituzione di citta' metropolitane nel territorio regionale, tra cui quella di Cagliari. In questo modo, pero', e' violato l'art. 45 dello Statuto, in cui si prevede che "La Regione, sentite le popolazioni interessate, puo' con legge istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni". E' di immediata evidenza che l'articolo ora menzionato non contempla direttamente le citta' metropolitane. Tuttavia, se si tiene conto che le citta' metropolitane, nel territorio su cui insistono, modificano in maniera sensibile sia l'ordinamento della provincia sia l'ordinamento dei comuni che ne faranno parte, appare egualmente evidente che l'art. 45 dello Statuto deve essere interpretato nel senso che, tra le attribuzioni della Regione, e' compresa l'istituzione delle citta' metropolitane, non espressamente menzionata solo a causa dell'anteriorita' dello Statuto rispetto alla introduzione nel nostro ordinamento della nuova tipologia di ente locale. Date queste premesse, l'art. 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, nella parte in cui abroga l'art. 22 (specie il comma 3) del T.U.E.L. e nella misura in cui disciplina l'istituzione e l'ordinamento delle citta' metropolitane escludendo la possibilita' per la Regione di istituire simili Enti nel proprio territorio e, anzitutto, la citta' metropolitana di Cagliari, viola l'art. 45 dello Statuto, in una con l'art. 54 dello stesso e l'art. 116 Cost., in quanto dispone circa il riassetto di Enti territoriali senza tenere conto che lo Statuto sardo conferisce tale competenza alla Regione, anche giusta l'art. 116 Cost. (come ha affermato la cit. sent. n. 198 del 2012). Gli artt. 45 e 54 dello Statuto e 116 Cost. sono violati anche per un ulteriore profilo, nella misura in cui l'art. 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, nel definire il procedimento di istituzione della citta' metropolitana (commi 2, 2-bis, 3-bis, 3-ter e 3-quater), non contempla lo svolgimento preventivo di una consultazione tra le popolazioni interessate, come previsto, appunto, dall'art. 45 dello Statuto, che regola la maggiore autonomia conferita alle Regioni speciali tutelata e riconosciuta anche dall'art. 116 Cost. 9. Illegittimita' costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione dell'art. 117 Cost. e dell'art. 3 della legge Cost. n. 3 del 1948. L'art. 19 del decreto-legge n. 95 del 2012 detta disposizioni sulle funzioni fondamentali dei Comuni e sulle modalita' di esercizio associato di funzioni e servizi comunali. In particolare, i commi da 2 a 4 e 6 disciplinano l'istituzione, l'organizzazione e le funzioni delle unioni di comuni. Il comma 2, piu' precisamente, sostituisce i commi da 1 a 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, introducendo, pero', alcune limitate modifiche all'impianto della disciplina gia' in vigore, che e' opportuno riportare, seppure in sintesi estrema. i) Non e' venuto meno il carattere obbligatorio dell'unione dei Comuni. Vero e' che l'art. 16, comma 1, del decreto-legge n. 138, nella nuova formulazione prevede che i comuni con popolazione fino a 1000 abitanti "possono esercitare in forma associata" le loro funzioni, ma tale possibilita' configura solo una "alternativa a quanto previsto dall'articolo 13 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78". Unica eccezione alla costituzione dell'unione e' disciplinata al comma 12 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, nella formulazione oggi vigente, laddove si prevede che "l'esercizio in forma associata di cui al comma 1 puo' essere assicurato anche mediante una o piu' convenzioni ai sensi dell'articolo 30 del testo unico [delle leggi sugli Enti Locali, d.lgs. n. 267 del 2000], che hanno durata almeno triennale. Ove, alla scadenza del predetto periodo, non sia comprovato, da parte dei comuni aderenti, il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione [...] agli stessi si applica la disciplina di cui al comma 1". L'eccezione e', a ben vedere, insignificante, perche', o nella forma dell'unione di comuni disciplinata dall'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, o nella forma dell'unione di comuni disciplinata dall'art. 14, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, o, ancora, nella forma della convenzione ex art. 30 T.U.E.L., lo svolgimento in forma associata (o consociata) delle funzioni finisce per essere inderogabile. ii) Il comma 2 dell'art. 16 del dcreto-legge n. 138 del 2011, come modificato dall'articolo qui censurato, enumera le ulteriori funzioni affidate alle unioni di comuni, in particolare quelle concernenti il bilancio e la programmazione economico-finanziaria. iii) Il comma 3 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, come modificato dall'articolo qui impugnato, poi, ribadisce il principio di successione universale dell'unione ai comuni in essa associati, limitatamente ai servizi esercitati e alle funzioni svolte in forma associativa, gia' contenuto nel comma 5 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011. iv) Il comma 4 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, come modificato dall'articolo in esame, definisce alcuni parametri minimi delle istituende unioni di comuni, quanto al criterio della popolazione residente, in questo riproducendo sostanzialmente le norme gia' previste nel comma 6 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011. v) Il comma 5 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, come modificato dall'articolo qui censurato, disciplina il procedimento di costituzione delle unioni di comuni, prevedendo che "I comuni [...], con deliberazione del consiglio comunale, da adottare a maggioranza dei componenti [...] avanzano alla regione una proposta di aggregazione, di identico contenuto, per l'istituzione della rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31 dicembre 2013, la regione provvede, secondo il proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di tutte le unioni del proprio territorio come determinate nelle proposte di cui al primo periodo. La regione provvede anche in caso di proposta di aggregazione mancante o non conforme alle disposizioni di cui al presente articolo". Questa disposizione, lo si anticipa, oltre a confermare l'obbligatorieta' delle unioni di comuni (sembrando la Regione tenuta a provvedere in presenza della proposta comunale) e' particolarmente invasiva delle competenze della ricorrente, in quanto limita la potesta' della Regione alla mera istituzione dell'unione, secondo le proposte provenienti dagli enti comunali, senza che vi sia una partecipazione alla fase istruttoria e decisoria del procedimento. vi) I commi da 6 a 13 del decreto-legge n. 138 del 2011, come modificato dall'articolo qui impugnato, poi, disciplinano gli organi dell'unione, le loro competenze e la loro composizione, come gia' facevano, in maniera analoga (sovente anche con le medesime formulazioni testuali), i commi da 10 a 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, per come convertito in legge n. 148 del 2011. Sono, invece, rimasti intatti i commi da 17 a 21, 25 e 26 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, ove si dettano disposizioni relative alla composizione degli organi di governo e di controllo dei comuni che non sono obbligati a costituire un'unione, nonche' allo svolgimento delle loro funzioni istituzionali e alla rendicontazione delle spese di rappresentanza. Il comma 27 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, anch'esso non modificato, stabilisce i criteri di definizione degli enti locali cui e' fatto divieto di costituire societa' per lo svolgimento di funzioni pubbliche. Il comma 28, anch'esso non modificato, prevede la verifica, da parte del Prefetto, dell'avvenuta soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, di cui all'art. 2, comma 186, lett. e), della legge n. 191 del 2009, e l'eventuale esercizio di poteri sostitutivi da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. I commi 30 e 31, infine, prevedono che l'applicazione dell'articolo non debba produrre nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che siano assoggettati al patto di stabilita' interno tutti i comuni con popolazione superiore a 1000 abitanti. Non e' stato modificato nemmeno il comma 29 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, ove si prevede che "le disposizioni [...] si applicano ai comuni appartenenti alla regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni e province medesime, delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42". 9.2. All'interpolazione dell'art. 16 del decret-legge n. 138 del 2011, l'articolo qui impugnato somma ulteriori interventi, ancora in tema di unioni di comuni. Ad opera del comma 3 dell'art. 19 del decreto-legge n. 95 del 2012 e' interamente novellato l'art. 32 del T.U.E.L., ove e' disciplinata le caratteristiche generali dell'unione di comuni. Il successivo comma 4, vieppiu' confermando il principio della sostanziale obbligatorieta' dello svolgimento delle funzioni comunali in forma associata, nelle forme gia' sopra brevemente descritte, prevede che "i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti che fanno parte di un'unione di comuni gia' costituita alla data di entrata in vigore del presente decreto optano, ove ne ricorrano i presupposti, per la disciplina di cui all'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 [...] ovvero per quella di cui all'articolo 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 [...]". Il comma 6, poi, concede ai comuni il "termine perentorio" di sei mesi "dalla data di entrata in vigore del presente decreto" per deliberare circa la proposta di costituzione dell'unione di comuni. Il solo comma 5 contempla una partecipazione della Regione al procedimento di istituzione delle unioni di Comuni, prevedendo che "Entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascuna regione ha facolta' di individuare limiti demografici diversi rispetto a quelli di cui all'articolo 16, comma 4, del citato decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, come modificato dal presente decreto". 9.3. Come questa Ecc.ma Corte costituzionale ben sa, la Regione Sardegna ha gia' impugnato l'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, con il ricorso (in parte qua) tuttora pendente e rubricato al n. 47 del Reg. Ric. 2012. Anche cio' considerato, la Regione non si puo' esimere dal denunciare nuovamente i vizi di legittimita' gia' lamentati nei confronti dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011 come convertito in legge n. 148 del 2011, rivolgendoli alle nuove disposizioni. 9.4. L'art. 19 del decreto-legge n. 95 del 2012, in definitiva, nel novellare l'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011 e nel dettare ulteriori disposizioni in tema di unioni di comuni, ha ulteriormente modificato in profondita' l'organizzazione politico-amministrativa dei comuni minori della Sardegna, attraverso una disciplina di estremo dettaglio e particolarmente stringente. E' agevole constatare il palmare contrasto di queste previsioni con le norme che garantiscono alla Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva in materia di "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni" (art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto). L'istituzione obbligatoria di unioni di comuni, la contestuale riduzione dei consigli comunali a puri organi di partecipazione e del sindaco a semplice ufficiale di Governo producono l'effetto di determinare di fatto la soppressione dei comuni che partecipano a questa forma associativa e la loro sostituzione con un nuovo tipo di ente territoriale, in violazione esplicita della competenza in materia di "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni" di cui al piu' volte citato art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto. Quanto ora affermato trova conferma nella giurisprudenza costituzionale, in cui a piu' riprese si e' statuito che alla disposizione statutaria ora richiamata si deve dare l'interpretazione piu' ampia che sia consentita, tanto che in essa deve essere ricompresa anche la potesta' di istituire nuove province (sent. n. 230 del 2001), nonche' quella di regolare la finanza locale (sent. n. 275 del 2007). Si deve aggiungere, infine, che il comma 2, ult. cpv., dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, nella formulazione vigente (come gia' il comma 4, ult. cpv., dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011 come convertito in legge n. 148 del 2011) e' specificamente illegittimo, in quanto prevede un regolamento statale in materia di (esclusiva) competenza regionale (e precisamente quanto al "procedimento amministrativo-contabile di formazione e di variazione del documento programmatico", ai "poteri di vigilanza sulla sua attuazione" e alla "successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione", tutti ambiti ricompresi nella materia "ordinamento degli enti locali"), in violazione dell'art. 117, comma 6 Cost. (in una con quella dell'art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto), che esclude la potesta' regolamentare dello Stato nelle materie di competenza regionale. Violato e' anche l'art. 117, comma 4 Cost. Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, infatti, nella sent. n. 456 del 2005, ha affermato che, l'art. 117, comma 2, lett. p) Cost. "deve innanzitutto ritenersi - in linea con quanto affermato con la citata sentenza n. 244 del 2005 - non conferente [...] nella parte in cui prevede, tra l'altro, che rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia relativa alla "legislazione elettorale" e agli "organi di governo" degli enti territoriali subregionali. Cio' in quanto in essa si fa espresso riferimento ai Comuni, alle Province e alle Citta' metropolitane e l'indicazione deve ritenersi tassativa. Da qui la conseguenza che la disciplina delle Comunita' montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000, rientra ora nella competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione". E' evidente che l'argomentazione svolta nei confronti delle comunita' montane deve estendersi pianamente alle unioni di comuni. Pertanto il legislatore, disciplinando il fenomeno associativo tra comuni, ha travalicato i confini della propria competenza legislativa, non solo violando l'art. 3, comma 1, dello Statuto sardo, ma anche usurpando la competenza residuale delle Regioni ordinarie, che, ai sensi dell'art. 10 della legge Cost. n. 3 del 2001, e' garantita anche alla ricorrente. Ne' la previsione di cui al comma 29 dell'art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011, che vorrebbe essere una clausola di salvaguardia delle attribuzioni delle Regioni a statuto speciale, a ben vedere, riesce ad escludere la lesione delle attribuzioni della Sardegna, per due ordini di motivi. In primo luogo si deve ribadire che l'art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto della Sardegna conferisce alla ricorrente la potesta' legislativa esclusiva nella materia "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni". E' dunque evidente che la semplice applicazione dell'art. 16 agli enti territoriali sardi, ancorche' nelle modalita' di cui al comma 29, e' gia' di per se' lesiva dell'autonomia regionale. La previsione del comma 29 appare, dunque, meramente di stile, perche' la normativa statale, nella materia di cui al citato art 3, comma 1, lett. b), dello Statuto, non puo' avere alcun ingresso, nemmeno nelle forme cautelative della previsione qui censurata. In secondo luogo, l'articolo in esame non introduce una normativa di carattere generale o limitata ai principi di semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione degli enti non necessari, bensi' un'autoritativa e unilaterale determinazione delle forme e delle modalita' di attuazione della c.d. intercomunalita', cui segue una regolamentazione di estremo dettaglio, della quale la Regione, anche attivando le procedure necessarie per il rispetto del proprio Statuto, e pur applicandosi quanto previsto dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009, non potrebbe che prendere atto e recepire in via automatica. Proprio per questa ragione non si potrebbe obiettare che la norma impugnata appartenga a quelle "fondamentali" delle "riforme economico-sociali della Repubblica" e nemmeno che costituisca esercizio dell'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., poiche' essa regola con estremo dettaglio l'ordinamento degli enti locali, senza limitarsi all'essenziale e senza che cio' risulti necessario per la realizzazione degli obiettivi di maggiore efficienza perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe potuto e dovuto lasciare alla Regione il potere di determinare le modalita' di concreta attuazione del principio dell'intercomunalita', adattandolo alle variegate realta' locali). 10. Illegittimita' costituzionale dell'art. 24-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento all'illegittimita' costituzionale degli artt. 15, comma 22, e 16, commi 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 sgg., degli artt. 32, 117 e 119 Cost. degli artt. 6, 7 e 8 della legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, 3, 117 e 119 Cost. All'art. 24-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, si prevede che, "fermo restando il contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all'azione di risanamento cosi' come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale". Tale previsione, oltre a costituire una "clausola di salvaguardia" meramente apparente, perche' - come si e' visto - il decreto-legge n. 95 del 2012 compromette direttamente l'autonomia delle Regioni speciali, lascia ferme le previsioni degli artt. 15 e 16. Essa e', pertanto, illegittima per le medesime ragioni che sorreggono le censure nei confronti di tali articoli e precisamente (in sintesi, e rimandando, pel resto, ai parr. 6 e 7): l'art. 15, comma 22 del decreto-legge n. 95 del 2012 e' palesemente lesivo dell'autonomia finanziaria costituzionalmente riconosciuta alla ricorrente in quanto impone la partecipazione regionale alla riduzione della spesa sanitaria per un periodo di tempo indeterminato, nonostante che la Regione provveda al servizio di tutela del diritto alla salute senza oneri a carico del bilancio statale. Per questa ragione: i) sono violati gli artt. 7 dello Statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna; ii) l'art. 8 dello Statuto, e con esso il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., perche' lo scomputo del contributo previsto dall'art. 15, comma 22, del decreto-legge n. 95 del 2012 e' fatto valere direttamente sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo Stato non abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto, dall'art. 8; iii) e' violato l'art. 119, comma 4 Cost., anche in relazione con l'art. 32 Cost., in quanto il contributo richiesto dallo Stato, a valere sul finanziamento della spesa sanitaria regionale, contravviene al principio di integrale finanziamento delle funzioni pubbliche, con la conseguente violazione dell'art. 32 Cost., in ragione dei pregiudizi recati al diritto alla salute dei cittadini sardi; iv) e' violato l'art. 6 dello Statuto, in quanto il minor finanziamento della spesa sanitaria impedisce di fatto alla Regione di esercitare la sua potesta' amministrativa in materia; v) e' violato l'art. 117, comma 3, Cost., nonche' il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost., anche in relazione all'art. 1, comma 836, della legge n. 296 del 2006, perche' lo Stato impone oneri su un capitolo di spesa che e' integralmente finanziato dalla Regione, cosi' esorbitando dalla competenza a fissare i soli "principi fondamentali" nella materia "coordinamento della finanza pubblica" e impedendo alla Regione lo svolgimento autonomo delle funzioni (anche economico finanziarie) direttamente attribuite dallo Stato; l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, invece, impone un ulteriore contributo aggiuntivo agli obiettivi di finanza pubblica a carico del bilancio regionale, senza delimitare il periodo di contribuzione e detraendo le somme pretesamente dovute dalle Regioni direttamente dalle quote di compartecipazione alle entrate erariali, che, nel caso della Regione Sardegna, ancora attendono di essere versate dopo la riforma dell'art. 8 dello Statuto avvenuta del 2010. Pertanto anche l'art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012: i) viola gli artt. 7 dello Statuto e 119 della Costituzione, che tutelano la particolare autonomia finanziaria della Regione Sardegna; ii) viola l'art. 8 dello Statuto, e con esso il principio di leale collaborazione, perche' il contributo alla finanza pubblica e' fatto valere direttamente sulle quote di compartecipazione alle entrate erariali nonostante che lo Stato non abbia ancora dato completa esecuzione al nuovo regime delle medesime, fissato, appunto, dall'art. 8; iii) viola l'art. 119, comma 4 Cost., in quanto il contributo richiesto dallo Stato impedisce, di fatto, alla Regione di provvedere all'integrale finanziamento delle funzioni pubbliche di cui e' titolare in ragione della Costituzione, dello Statuto e della legge in generale; iv) viola l'art. 6 dello Statuto, in quanto l'accantonamento delle somme ivi previste in sulla quota di compartecipazione alle entrate erariali prevista dall'art. 8 dello Statuto impedisce di fatto alla Regione di esercitare la potesta' amministrativa nelle materie di sua competenza; il successivo comma 4 dell'art. 16, infine, come si e' gia' detto, prevede che, qualora lo Stato e le Regioni non addivengano entro il 31 luglio 2012 ad un accordo sul patto di stabilita', sia applicato l'ultimo patto stipulato, modificato con ulteriori oneri per le Regioni. Ne viene, pertanto, la violazione del principio di leale collaborazione sia perche' il legislatore ha fissato un termine sostanzialmente impossibile da rispettare al momento in cui il decreto-legge n. 95 del 2012 e' stato emanato; sia perche' un termine perentorio contravviene al principio dell'accordo, cui sono ispirati i rapporti finanziari tra Stato e Regioni ad autonomia speciale. L'art. 24-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, tenendo "ferme" le previsioni dei precedenti artt. 15 e 16, risulta dunque affetto dai medesimi vizi, gia' riportati, e va - pertanto - dichiarato illegittimo.
P.Q.M. Chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 4, 5, 6, 9, 15, 16, 17, 18, 19 e 24-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, pubblicato in G.U. 6 luglio 2012, n. 156, S.O., convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata in G.U. 14 agosto 2012, n. 189, S.O., per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; del principio dell'affidamento e della sicurezza giuridica; del principio di buon andamento della pubblica Amministrazione; del principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 sgg. Cost.; degli artt. 3, 32, 39, 41, 75, 97, 116, 117, 119, 133 e 136 Cost.; degli artt. 3, 4, 6, 7, 8, 43, 45, 53 e 54 della legge Cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, anche in relazione all'art. 1, commi 834, 836 e 837, della legge n. 296 del 2006 e all'art. 10 della legge Cost. n. 3 del 2001. Si produce la deliberazione della Giunta regionale della Regione autonoma della Sardegna, n. 40/14 dell'11 ottobre 2012, di proposizione del gravame e di conferimento dell'incarico defensionale. Cagliari - Roma, 12 ottobre 2012 Avv. Ledda - Avv. prof. Luciani