N. 172 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 ottobre 2012
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 ottobre 2012 (della Regione Puglia). Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica - Riorganizzazione delle funzioni fondamentali dei Comuni ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione - Previsione per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti dell'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante riunione dei Comuni o convenzioni di durata triennale - Previsione per i Comuni con popolazione fino a 1000 abitanti, dell'obbligo di esercizio in forma associata, mediante unione di tutte le funzioni amministrative e di tutti i servizi pubblici ad essi spettanti - Previsione che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individuano le dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio delle funzioni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa regionale - Denunciata violazione della sfera di competenza regionale in materia di associazionismo degli enti locali - Denunciata violazione del principio di sussidiarieta'. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 19, comma 1, lett. a), d) e e), 2, 3, 4, 5 e 6. - Costituzione, artt. 117, commi secondo, terzo e quarto, 118, comma secondo, 119, commi primo, secondo e sesto, e 123, commi primo e quarto.(GU n.1 del 2-1-2013 )
Ricorso della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Nicola Vendola, a cio' autorizzato con deliberazione della. Giunta regionale n. 1973 del 12 ottobre 2012, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Marcello Cecchetti e Vittorio Triggiani ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Via Antonio Mordini n. 14 (pec.marcellocecchetti@pec.ordineavvocatifirenze.it), come da procura speciale a margine del presente atto; Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale in parte qua dell'art. 19, comma 1, lettere a), d), e), nonche' commi da 2 a 6, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 7 agosto 2012, n. 135, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2012, n. 189, S.O., per violazione degli articoli 117, secondo, terzo e quarto comma, 118, secondo comma, 119, primo, secondo e sesto comma, e 123, primo e ultimo comma, della Costituzione. 1. - Con l'approvazione dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, nel testo risultante dalla conversione in legge ad opera della legge n. 135 del 2012, e' stata introdotta nell'ordinamento una normativa concernente le funzioni fondamentali dei comuni e il loro esercizio in forma associata, nonche' una complessiva e articolata regolazione dell'istituto delle unioni di comuni, in larga parte sostitutiva della disciplina gia' a suo tempo contenuta nell'art. 14, commi 27 e ss., del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge dalla legge n. 122 del 2010, e nell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, come convertito in legge dalla legge n. 148 del 2011. Queste disposizioni disciplinano le procedure di istituzione, la delimitazione territoriale e la struttura organizzativa delle unioni di comuni, regolando altresi' le funzioni che le unioni di comuni sono destinate a svolgere e contemplando inoltre alcune specifiche previsioni destinate ad incidere su importanti aspetti tributari e patrimoniali dell'autonomia comunale. 2. - La Regione Puglia, con la deliberazione della Giunta indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti a questa Corte le disposizioni contenute nell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, limitatamente al comma 1, lettere a), d) ed e), e ai commi da 2 a 6, perche' costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia che la Costituzione riconosce e garantisce alle Regioni e agli territoriali sub-regionali, in riferimento agli articoli 117, 118, 119 e 123 della Costituzione. I molteplici profili di illegittimita' costituzionale che si denunciano con il presente ricorso si fondano sulle seguenti ragioni di Diritto 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. a), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), dell'art. 117, terzo e quarto comma. nonche' dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui include tra le funzioni fondamentali dei Comuni anche funzioni amministrative ricadenti in materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale. 3.1. - L'art. 19, comma 1, lett. a), del d.l. n. 95 del 2012 introduce un nuovo testo del comma 27 dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Il testo attualmente vigente cosi' recita: «Ferme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, sono funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo; b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente; d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonche' la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale; e) attivita', in ambito comunale di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi; f) l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi; g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione; h) edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici; i) polizia municipale e polizia amministrativa locale; l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonche' in materia di servizi elettorali e statistici, nell'esercizio dalle funzioni di competenza statale». 3.2. - Questa disciplina viola la competenza legislativa regionale per le seguenti ragioni. La potesta' legislativa ordinaria dello Stato fondata sulla lett. p) del secondo comma dell'art. 117 Cost., in materia di «funzioni fondamentali» di Province, Comuni e Citta' metropolitane, si presenta, per sua natura, limitata. Da essa non puo' certo ricavarsi un titolo che abiliti lo Stato a qualificare liberamente - come nel caso di specie - qualunque funzione amministrativa come «funzione fondamentale» dei Comuni o delle Province, potendo per cio' stesso disporne l'integrale disciplina. Altrimenti si giungerebbe alla inaccettabile conseguenza di svuotare di qualunque contenuto precettivo gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., i quali prescrivono che sia la legge regionale ad allocare e disciplinare le funzioni amministrative nelle materie diverse da quelle di competenza legislativa statale. Se lo Stato potesse qualificare come «fondamentali» funzioni amministrative in qualunque materia e di qualunque genere e tipo, sarebbe sufficiente procedere in tal senso per «espropriare» ad libitum le Regioni delle prerogative ad esse riconosciute dalle disposizioni costituzionali appena citate. La giurisprudenza di questa Corte ha piu' volte riconosciuto espressamente il carattere «limitato» della potesta' legislativa statale di cui alla menzionata lett. p) del secondo comma dell'art. 117 (si vedano, al riguardo, le sentt. richiamate al successivo par. 6.2), ma non ha ancora avuto modo di individuare con chiarezza i limiti entro i quali dovrebbe essere intesa l'espressione «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». Ad avviso della Regione Puglia, le «funzioni fondamentali» cui fa riferimento la disposizione costituzionale in esame devono ritenersi limitate a quelle in cui si esprimono la potesta' statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa a carattere «ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo degli enti locali territoriali ivi espressamente contemplati. In nessun caso vi potrebbero essere ricondotte funzioni «amministrativo-gestionali» in senso proprio, ne', tanto meno, alcune di quelle individuate dalla norma legislativa qui censurata. 3.3. - A sostegno di una simile conclusione militano diversi argomenti. Innanzitutto, l'argomento «topografico» riferito allo stesso testo dell'art. 117, secondo comma, lett. p), per il quale le «funzioni fondamentali» sono accomunate agli «organi di governo» e alla «legislazione elettorale». In secondo luogo, la considerazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118, primo comma, Cost. Infatti, se si muove dalla premessa - ampiamente desumibile dalla giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale la ratio della attribuzione allo Stato di una competenza legislativa e' da rintracciare in una esigenza unitaria di livello nazionale, risulterebbe del tutto incomprensibile individuare una tale esigenza unitaria nell'ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali menzionate alla lett. p) dell'art. 117, secondo comma, Cost., fossero annoverabili anche funzioni amministrative consistenti nella concreta cura di interessi. Cio' perche' tali funzioni dovrebbero comunque essere allocate tra gli enti locali in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza ex art. 118, primo comma, Cost. E tale vincolo, ovviamente, graverebbe allo stesso modo sulla legge statale e su quella regionale (art. 118, secondo comma, Cost.), guidandole verso le medesime scelte. Come e' stato evidenziato in dottrina, «se le funzioni fondamentali sono amministrative, la legge statale non potrebbe allocarle senza tener corto del vincolo costituito dal principio di sussidiarieta': e quindi, non potrebbe assegnare alle Province funzioni amministrative che potrebbero essere adeguatamente svolte dai comuni (o viceversa). Ma in questo caso non si capisce perche' - nelle materie di spettanza regionale - questa valutazione di sussidiarieta'/adeguatezza debba essere operata dalla legge statale in luogo di quella regionale, tanto piu' che la sussidiarieta' vincolerebbe allo stesso modo tanto il legislatore statale che quello regionale prescrivendo la medesima soluzione allocativa» (cosi' O. Chessa, Pluralismo paritario e autonomi locali nel regionalismo italiano, in www.astrid-online.it, p. 14). D'altra parte, non si potrebbe certo ritenere che la soluzione proposta in questa sede sia in grado di pregiudicare quella uniformita' minima negli standard di prestazione relativi a quelle funzioni, particolarmente importanti per le collettivita' locali, che in virtu' di tale importanza si volessero far rientrare tra quelle «fondamentali». Lo Stato, infatti, sarebbe comunque dotato della competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere sostitutivo straordinario ex art. 120, secondo comma, Cost., per garantire l'effettivita' di questi ultimi. 3.4. - Si deve notare, peraltro, che - al di la' della qualificazione delle medesime come «funzioni fondamentali» - lo Stato ovviamente dispone della competenza a regolare e allocare agli enti locali funzioni amministrative che ricadono nell'ambito delle proprie materie di competenza legislativa esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost. La lesione delle competenze regionali, dunque, si produce esclusivamente in relazione a quelle funzioni amministrative che, qualificate come «fondamentali» dalla disposizione in questa sede contestata, ricadono in ambiti di competenza legislativa regionale, (di tipo concorrente o residuale). Il riconoscimento della possibilita' di qualificare come «fondamentali» funzioni di questo tipo, infatti, determinerebbe la conseguenza della sostanziale «espropriazione» delle Regioni della possibilita' di disciplinare e allocare importanti funzioni amministrative ricadenti negli ambiti materiali che la Costituzione assegna alla loro competenza legislativa. A scorrere l'elenco delle funzioni che, nella disposizione oggetto del presente giudizio, ricevono la qualifica di «fondamentali», e' del tutto evidente che tale «effetto espropriativo» si produce in relazione a settori di primissima importanza. Basti considerare, al riguardo, la «organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale», che inerisce alla materia dei «servizi pubblici locali», pacificamente collocata, dalla giurisprudenza costituzionale, nell'ambito dell'art. 117, quarto comma, Cost.; la «pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonche' la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale», evidentemente riferibile al «governo del territorio»; la «progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione della relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione», anch'essa ascrivibile alla competenza residuale regionale, in materia di «servizi sociali» (cfr. le sentt. nn. 61 del 2011, par. 3.1. del Considerato in diritto; 40 del 2011, par. 4.1. del Considerato in diritto; 10 del 2010, par. 6.3 del Considerato in diritto; 50 del 2008, par. 5 del Considerato in diritto); le funzioni in tema di «edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province», nonche' in tema di «organizzazione e gestione dei servizi scolastici», dal momento che lo Stato, in materia di istruzione, dispone soltanto della competenza concernente le «norme generali sull'istruzione» di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., ed i «principi fondamentali» in materia di «istruzione» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.; ancora, le «attivita', in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi», pacificamente rientranti nella competenza regionale in materia di «protezione civile», ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.; infine, le funzioni in materia di «polizia municipale e polizia amministrativa locale», espressamente escluse, dall'art. 117, secondo comma, Cost., dalla competenza esclusiva statale, e riconducibili invece alla potesta' legislativa regionale residuale. 3.5. - Deve essere rilevato, peraltro, come l'idea che importanti servizi pubblici locali non possano senz'altro essere «avocati» alla competenza legislativa dello Stato mediante la utilizzazione, da parte di quest'ultimo, della qualificazione dei medesimi come «funzioni fondamentali», sia stata fatta propria da questa Corte con le sentt. nn. 274 del 2004 e 325 del 2010. Nella prima decisione, infatti, e' stato escluso che le norme in tema di servizi pubblici locali possano rientrare nella competenza legislativa statale «in tema di "funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane» (art 117, secondo comma, lettera p), giacche' la gestione dei predetti servizi non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale, (par. 3 del Considerato in diritto). Nella seconda, d'altra parte, e' stato chiarito al di la' di ogni possibile dubbio che il servizio idrico integrato «non costituisce funzione fondamentale dell'ente locale» (par. 6.2. del Considerato in diritto). Come e' noto, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto la possibilita' per il legislatore statale di regolare, anche in modo penetrante, importanti aspetti del servizio idrico integrato e di altri servizi pubblici locali. Lo ha fatto, pero', ascrivendo questa possibilita' alla competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» o in materia di «tutela dell'ambiente» evidenziando, invece, che - per il resto - il legislatore competente e' il legislatore regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. (cosi' almeno a partire proprio dalla citata sent. n. 272 del 2004). Le indicazioni reperibili nelle sentt. nn. 274 del 2004 e 325 del 2010 - quest'ultima pur espressamente riferita al solo servizio idrico integrato - si inseriscono coerentemente in questo quadro, chiarendo che la «invasione» della potesta' regionale residuale in materia di servizi pubblici locali non puo' mai essere legittimata dalla competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione. Dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata si desumono due ulteriori argomenti, entrambi di notevole rilievo nella presente sede. I. Appare chiaro, innanzi tutto, che secondo la sent. n. 272 del 2004, possono essere considerate «fondamentali» solo quelle «funzion(i) propri(e) ed indefettibil(e)» degli enti locali. Si tratta di una precisazione estremamente rilevante, poiche' porta ad escludere - conformemente a quanto affermato piu' sopra - che le «funzioni fondamentali» di cui alla lett. p) del secondo comma dell'art. 117 Cost. possano essere funzioni di cura concreta di interessi. Le funzioni di questo tipo, come e' noto, devono infatti essere attribuite dalla legge sulla base del principio di sussidiarieta', che conduce a ritenere inadeguato un determinato livello di governo quando la legge stessa conforma la funzione in modo tale da conferirle un ambito valutativo ultroneo rispetto ai confini territoriali del livello di governo citato. Ora, dal momento che ben potrebbe la legge conformare le singole funzioni di cura concreta di interessi in modo tale da conferir loro un ambito valutativo ultracomunale (cosi', ad esempio, l'art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011), appare chiaro che nessuna funzione di cura concreta di interessi e' ontologicamente propria e indefettibile per i comuni. Funzioni proprie e indefettibili possono dunque essere soltanto quelle «ordinamentali», come si e' provato ad argomentare piu' sopra. II. In secondo luogo, quand'anche non si ritenga di adottare questo punto di vista, dalle due decisioni piu' sopra evocate emerge chiaramente che: a) la qualificazione di «fondamentale» non puo' essere ascritta ad libitum dallo Stato a qualunque funzione di Province, Comuni e Citta' metropolitane, ma che tale qualificazione e' assoggettata ad un controllo di costituzionalita'; b) che - nella specie - tale qualificazione e' gia' stata ritenuta contrastante con la Costituzione da parte di questa Corte, con specifico riguardo ai servizi pubblici locali (sent. n. 272 del 2004) ed in particolar modo al servizio idrico integrato (sent. n. 325 del 2010). 3.5. - In questa sede appare inoltre indispensabile, fin da ora, richiamare la recente sent. n. 148 del 2012, con la quale questa Corte ha ritenuto non fondata una analoga censura, prospettata dalla Regione Puglia, nei confronti dell'art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010 (par. 8 del Considerato in diritto). Cio' in quanto la disposizione allora impugnata, nel qualificare «funzioni fondamentali» alcune funzioni amministrative a carattere gestionale e di cura concreta di interessi, rispondeva all'esigenza di sopperire «sia pure transitoriamente ed ai limitati fini indicati nella stessa norma impugnata, alla mancata attuazione della delega contenuta nell'art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)» (par. 8.1 del Considerato in diritto). Senza voler in questa sede criticare in alcun modo la decisione adottata da questa Corte con la citata sent. n. 148 del 2012, la Regione Puglia si limita a rilevare che, nel presente caso, mancano del tutto le condizioni che avevano spinto a rigettare la questione di costituzionalita' proposta nei confronti dell'art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010. La disciplina oggi in discussione, infatti, non si presenta in alcun modo come caratterizzata dalla «transitorieta'» di cui discorreva la sent. n. 148; ne', del resto, e' posta a fini circoscritti e limitati, come invece il precedente art. 14, comma 27, citato. Si tratta, invece, di una disciplina generale, e «a regime», di funzioni amministrative qualificate stabilmente (ed erroneamente, come si e' visto) «funzioni fondamentali». Mancano, dunque, quelle circostanze che avevano indotto la sent. n. 148 del 2012 a ritenere non lesiva della competenza regionale la normativa allora oggetto del giudizio, imponendosi, di conseguenza, una decisione di accoglimento nel senso specificato nella presente doglianza. 3.6. - Da quanto sopra esposto emerge chiaramente come l'art. 19, comma 1, lett. a), del d.l. n. 95 del 2012 violi gli artt. 117, secondo comma, lett. p), terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., nella parte in cui include tra le funzioni fondamentali dei Comuni anche funzioni ricadenti in materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, per violazione dell'art. 117. quarto comma, e dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui si rivolge anche a funzioni amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex art. 117, quarto comma, Cost., alla potesta' legislativa regionale residuale. 4.1. - L'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, introduce un nuovo testo del comma 30 dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Nella versione attualmente in vigore, il citato comma 30 cosi' prescrive: «La regione nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione individua, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei comuni delle funzioni fondamentali di cui al comma 28, secondo i principi di efficacia, economicita', di efficienza e di riduzione delle spese. Nell'ambito della normativa regionale, i comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il termine indicato dalla stessa normativa». Questa normativa si pone in contrasto con gli artt. 117, quarto comma, e 118, secondo comma, Cost. per le ragioni che di seguito si espongono. 4.2. - Come si e' visto, si tratta di una disciplina inerente la allocazione delle funzioni amministrative qualificate come «fondamentali» ai sensi del sopra citato comma 28 (recte 27), nonche' la regolazione delle modalita' del loro esercizio, in attuazione dell'art. 118, primo comma, Cost., ed in particolare, per il tramite del riferimento agli ambiti territoriali ottimali, del principio di differenziazione in esso contenuto. Se si parte dal presupposto, gia' illustrato nell'ambito della precedente censura, in riferimento alla previsione di cui alla lett. a) del medesimo comma 1 dell'art. 19 del d.l. in esame - secondo il quale le funzioni fondamentali in relazione alle quali lo Stato dispone della competenza legislativa esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., possono essere soltanto quelle «ordinamentali», concernenti le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo degli enti locali - risulta pero' evidente la incostituzionalita' della disciplina sopra richiamata, nella parte in cui si rivolge anche a funzioni amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex art. 117, quarto comma, Cost., alla potesta' legislativa regionale residuale. Come e' noto, infatti, lo Stato dispone di un titolo per allocare le sole funzioni amministrative che ricadano nell'ambito delle proprie competenze esclusive. Ove si ritenga, secondo quanto appena accennato, che le funzioni fondamentali suddette siano soltanto quelle «ordinamentali», concernenti le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo degli enti locali, apparira' chiaro che l'art. 117, secondo comma, lett. p), non potra' costituire il titolo di legittimazione dello Stato per dettare disposizioni che disciplinino l'allocazione e l'esercizio di funzioni amministrative sol perche' queste ultime vengano qualificate «fondamentali» dalla stessa legge statale. Ora, qui non si vuole affermare che lo Stato non possa dettare alcuna norma in relazione all'allocazione e all'esercizio di funzioni amministrative ricadenti in ambiti differenti da quelli elencati al comma secondo dell'art. 117 Cost. Viceversa, come gia' la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di evidenziare, nelle materie di potesta' ripartita ex art. 117, terzo comma, Cost., lo Stato ben potra' dettare principi di allocazione delle funzioni amministrative, i quali dovranno essere successivamente svolti dalla legislazione regionale. E la disciplina qui in discussione e' proprio di tale genere: pone alcuni principi fondamentali sulla allocazione di funzioni amministrative. Da quanto accennato risulta dunque chiaramente che lo Stato e' legittimato a dettarla soltanto in relazione a quelle funzioni che ricadano oltre che nelle materie di propria competenza esclusiva anche nelle materie di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma. Cost. Da qui il contrasto dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012 con gli artt. 117, quarto comma, e 118, primo comma, Cost., per la parte in cui pretende di rivolgersi anche a funzioni amministrative riconducibili a materia di competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, per violazione dell'art. 123, primo e ultimo comma della Costituzione, nella parte in cui impone alla Regione di attivare una «concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali». 5.1. - Sotto altro profilo, la disciplina contenuta nell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, e' parimenti incostituzionale in parte qua per contrasto con la riserva di fonte statutaria regionale stabilita dall'art. 123, primo e ultimo comma, Cost. La violazione di questa disposizione costituzionale puo' essere agevolmente apprezzata sol che si consideri che la disposizione impugnata prescrive che la Regione, debba definire la «dimensione territoriale ottimale e omogenea» anche per il tramite di una «concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali». Questa previsione, infatti, invade la potesta' statutaria regionale riconosciuta dall'art. 123 Cost., violando in particolare la riserva di statuto ivi contenuta. Ai sensi dell'art. 123, primo comma, infatti, e' affidata alla fonte statutaria la disciplina della materia dell'organizzazione e del funzionamento della Regione, mentre ai sensi dell'ultimo comma della medesima disposizione costituzionale e' affidata alla sola fonte statutaria regionale la disciplina del Consiglio delle autonomie locali e delle sue funzioni «quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali». Ne', d'altronde, e' individuabile nell'art. 117, secondo e terzo comma, Cost. un qualche titolo di legittimazione della potesta' legislativa dello Stato che abiliti quest'ultimo a dettare una disciplina che attribuisca una qualunque funzione al Consiglio delle autonomie locali, che la Costituzione espressamente qualifica quale organo regionale necessario e indefettibile. La incostituzionalita' dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, per violazione dell'art. 123, primo e ultimo comma, Cost., si apprezza agevolmente, inoltre, considerando quanto affermato da questa Corte con le sentt. nn. 387 del 2007 (par. 6.1 del Considerato in diritto), 201 del 2008 (par. 3 del Considerato in diritto), e ribadito, piu' di recente, con la sent. n. 22 del 2012, che ha dichiarato incostituzionale la normativa statale censurata in quella sede perche' lesiva dell'«autonomia statutaria regionale nell'individuare con norma statale l'organo della Regione titolare di determinate funzioni (par. 6 del Considerato in diritto). In tali decisioni, in sintesi, si afferma con chiarezza che quella della organizzazione interna delle Regioni e' una materia riservata alla fonte statutaria prevista dall'art. 123, primo comma, Cost., di talche' nessun'altra fonte - e meno che mai la legge statale -puo' individuare gli organi Regionali titolari di una determinata funzione, e, piu' in generale, assegnare ad essi alcuna funzione. Da qui, per tabulas, la illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui impone alla Regione di attivare una «concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali», per violazione dell'art. 123, primo e ultimo comma, Cost. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. e), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p). e quarto comma, Cost. 6.1. - L'art. 19. comma 1, lett. e), del d.l. n. 95 del 2012, sostituisce il comma 31 dell'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, individuando il limite demografico minimo delle unioni di comuni in 10.000 abitanti, salva diversa determinazione da parte della Regione «entro i tre mesi antecedenti il primo termine di esenzione associato obbligatorio delle funzioni fondamentali, ai sensi del comma 31-ter». La norma e' incostituzionale, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost., in quanto il legislatore statale ordinario non dispone di un titolo di legittimazione a regolare l'istituzione e l'organizzazione delle unioni di comuni, poiche', in materia di ordinamento degli enti locali, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, gode soltanto della competenza a stabilire norme in tema di legislazione elettorale, funzioni fondamentali e organi di governo di Province, Comuni e Citta' metropolitane. 6.2. - Le considerazioni che e' necessario svolgere per illustrare la presente censura sono di grande importanza, nell'economia del presente ricorso, poiche' essere costituiscono la base anche della maggior parte delle censure che verranno proposte nel prossimo par. 7 e ss. Esse riguardano i limiti della potesta' legislativa statale, nell'ambito del vigente sistema costituzionale, in relazione all'ordinamento degli enti locali. Come e' noto, la materia dell'ordinamento degli enti locali non e' oggi prevista espressamente tra quelle attribuite alla competenza legislativa esclusiva statale, ne' tra quelle affidate alla competenza concorrente di Stato e Regioni. Allo Stato pertiene, invece, la competenza esclusiva in materia di «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane» (art. 117, comma secondo, lett. p, Cost.). Risulta dunque chiaro che, mentre prima dell'entrata in vigore della legge cost. n. 3 del 2001 lo Stato disponeva di un titolo generale per disciplinare l'ordinamento degli enti locali, anche alla luce dell'allora vigente art. 128 Cost., ad oggi questo titolo generale non e' piu' reperibile, anche in considerazione della esplicita abrogazione proprio della disposizione costituzionale da ultimo citata, la quale demandava ad una legge generale della Repubblica la individuazione dei principi entro i quali avrebbe dovuto svolgersi l'autonomia di Comuni e Province. Oggi l'assetto e' decisamente differente. Lo Stato ha perso la competenza legislativa generale-residuale, che ora spetta alle Regioni in virtu' dell'art. 117, quarto comma, Cost., l'art. 128 Cost. e' stato abrogato, e l'unica norma che attribuisce alla legge statale una competenza in materia di enti locali territoriali e' il gia' richiamato art. 117, comma secondo, lett. p), Cost. Da cio' si deduce agevolmente che, nel diritto costituzionale vigente, la competenza generale e residuale a disciplinare l'ordinamento degli enti locali pertiene alla legge regionale, mentre lo Stato puo' intervenire soltanto per disciplinare le funzioni fondamentali, la legislazione elettorale, e gli organi di governo dei soli enti locali costituzionalmente necessari, ovverosia Comuni, Province, e Citta' metropolitane. A fianco di cio' si collocano, inoltre, quelle «incursioni» che lo Stato e', senza dubbio, legittimato a porre in essere, in virtu' di altri titoli di intervento, quale ad esempio quello del «coordinamento della finanza pubblica». In sintesi, come e' stato osservato in dottrina, si deve ritenere che «la competenza in materia di ordinamento degli enti locali spetti oggi alle Regioni, salvo per quel che riguarda cio' che attiene a legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane e per le norme che lo Stato puo' porre in essere in tale materia giustificate da altri titoli di intervento che siano, rispetto ad essa, «trasversali», in quarto non individuati mediante il criterio "oggettivo"» (cosi' S. Pajno, Lo strano caso della competenza legislativa in materia di enti locali. Un percorso attraverso la giurisprudenza costituzionale, in www.federalismi.it, 2/2010). Dopo alcuni tentennamenti iniziali (si vedano, in particolare, le sentt. nn. 159 del 2008, 377 del 2003 e 48 del 2003), anche la giurisprudenza costituzionale ha accolto chiaramente questa prospettiva. Al riguardo rilevano, innanzi tutto, alcune ben note decisioni in tema di comunita' montane: le sentt. nn. 244 e 456 del 2005, 397 del 2006, e 237 del 2009. La sent. n. 244 del 2005 riconosce alla comunita' montana la «natura di ente locale autonomo, quale proiezione dei Comuni che ad essa fanne capo». Secondo questa decisione si tratta, in particolare, «di un caso speciale di unioni di Comuni», quindi particolarmente rilevante nella presente sede. Questa considerazione e' sufficiente per escludere che la disciplina concernente le comunita' montane sottoposta al giudizio costituzionale in quella circostanza rientri nell'ambito dell'art. 117, secondo comma, lett. p) , Cost., e cio' «in quanto la citata disposizione fa espresso riferimento ai Comuni, alle Province e alle Citta' metropolitane e l'indicazione deve ritenersi tassativa». Da cio' una ulteriore conseguenza: secondo la sent. n. 244 del 2005, «la disciplina delle Comunita' montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000, rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell'art 117, quarto comma, della Costituzione». Come e' stato notato in dottrina, «dalla sent. n. 244 del 2005 risulta chiaramente dunque, che non basta la qualificazione delle Comunita' montane come "enti locali" per fondare una qualsivoglia competenza statale in relazione ad esse. E cio' perche', evidentemente, non esiste nessuna norma costituzionale che attribuisce allo Stato una competenza generale in materia di enti locali. L'unica norma che e' espressamente rivolta a disciplinare la competenza legislativa su tale oggetto e' il menzionato art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., il quale pero' limita il titolo di intervento statale non soltanto in relazione al "tipo" di enti locali (Comuni, Province e Comunita' montane), ma anche in relazione agli aspetti degli ordinamenti di questi ultimi (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali)» (cosi', ancora, S. Pajno, Lo strano caso della competenza legislativa in materia di enti locali, cit., p. 9). Non vi e' chi non veda come tale ragionamento debba per necessita' estendersi anche a quelle unioni di comuni diverse dalle comunita' montane, delle quali in questa sede si discute. Nello stesso senso della sent. n. 244 del 2005 sono orientate anche le successive sentt. n. 456 del 2005 (parr. 4 e 5 del Considerato in diritto), n. 397 del 2006 (par. 7 del Considerato in diritto) e n. 237 del 2009, la quale esplicitamente riconduce la materia de qua alla potesta' legislativa residuale delle Regioni (par. 15 del Considerato in diritto). Successivamente, la giurisprudenza costituzionale ha consolidato l'orientamento appena richiamato, estendendolo anche ad aspetti della disciplina degli enti locali "necessari" (Comuni, Province e Citta' metropolitane) diversi da quelli specificamente indicati dall'art. 117, secondo comma, lett. p) , Cost. In tale ottica, sono stati ricondotti espressamente alla potesta' legislativa regionale residuale di cui all'art. 117, quarto comma, Cost., il "subsettore" della "organizzazione degli uffici regionali e degli enti locali" e, all'interno di quest'ultima, dell'«organizzazione delle societa' dipendenti, esercenti l'industria o i servizi» (sent. n. 326 del 2008, par. 8 del Considerato in diritto). Ove si consideri anche la piu' recente sent. n. 173 del 2012 (in part., il par. 12 del Considerato in diritto), si puo' affermare che si tratta di un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato. 6.3. - Facendo uso dei principi di diritto statuiti dalla giurisprudenza costituzionale teste' ricostruita, non ci vuol molto per evidenziare la assoluta incostituzionalita' dell'art. 19, comma 1, lett. e), che in questa sede si impugna. Tale disposizione, infatti, stabilisce il limite demografico minimo delle unioni di comuni. Quindi concerne un aspetto dell'ordinamento degli enti locali che: a) non e' in alcun modo riconducibile al tema delle "funzioni fondamentali", degli "organi di governo", e della "legislazione elettorale" di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.; 4 per di piu' riguarda enti locali differenti da quelli in relazione ai quali lo Stato dispone della competenza esclusiva di cui alla norma costituzionale appena citata. La violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p) , e quarto comma, Cost., non potrebbe risultare piu' evidente. 7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi da 2 a 6, d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, per violazione dell'art. 117, secondo comma. lett. p) terzo e quarto comma, dell'art. 118. secondo comma, nonche' dell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost. 7.1. - I commi da 2 a 6 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012 pongono una articolata disciplina delle unioni di comuni. Tale normativa presenta profili differenti, ciascuno dei quali merita una autonoma e differente trattazione. 7.2. - Innanzi tutto devono essere menzionate quelle disposizioni che regolano le procedure di istituzione e la struttura organizzativa delle unioni di comuni. A questa famiglia appartengono le norme contenute nei nuovi commi 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, nonche' nei nuovi commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, cosi' come sostituiti, rispettivamente, dal comma 2 e dal comma 3 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012; ancora, al medesimo gruppo appartengono il comma 4, il comma 5 e il comma 6 del citato art. 19. I nuovi commi da 4 a 10 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, nel testo in vigore per effetto del d.l. n. 95 del 2012, infatti cosi' dispongono: «4. Le unioni sono istituite in modo che la complessiva popolazione residente nei rispettivi territori, determinata ai sensi dell'articolo 156, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, sia di norma superiore a 5.000 abitanti, ovvero a 3.000 abitanti se i comuni che intendono comporre una medesima unione appartengono o sono appartenuti a Comunita' montane. 5. I comuni di cui al comma 1, con deliberazione del consiglio comunale, da adottare a maggioranza dei componenti, conformemente alle disposizioni di cui al comma 4, avanzano alla regione una proposta di aggregazione, di identico contenuto, per l'istituzione della rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31 dicembre 2013, la regione provvede, secondo il proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di tutte le unioni del proprio territorio come nelle proposte di cui al primo periodo. La regione provvede anche in caso di proposta di aggregazione mancante o non conforme alle disposizioni di cui al presente articolo. 6. Gli organi dell'unione di cui al comma 1 sono il consiglio, il presidente e la giunta. 7. Il consiglio e' composto da tutti i sindaci dei comuni che sono membri dell'unione nonche', in prima applicazione, da due consiglieri comunali per ciascuno di essi. I consiglieri di cui al primo periodo sono eletti, non oltre venti giorni dopo la data di istruzione dell'unione in tutti i comuni che sono membri dell'unione dai rispettivi consigli comunali, con la garanzia che uno dei due appartenga alle opposizioni. Fino all'elezione del presidente dell'unione ai sensi dal comma 8, primo periodo, il sindaco del comune avente il maggiore numero di abitanti tra quelli che sono membri dell'unione esercita tutte le funzioni di competenza dell'unione medesima. Al consiglio spettano le competenze attribuite dal citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 al consiglio comunale, fermo restando quanto previsto dal comma 2 del presente articolo 8. Entra trenta giorni dalla data di istituzione dell'unione il consiglio e' convocato di diritto ed elegge il presidente dell'unione tra i sindaci dei comuni associati Al presidente, che dura in carica due anni e mezzo ed e' rinnovabile, spettano le competenze attribuite al sindaco dall'articolo 50 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, ferme restando in capo ai sindaci di ciascuno dei comuni che sono membri dell'unione le attribuzioni di cui all'articolo 54 del medesimo testo unico, e successive modificazioni. 9. La giunta dell'unione e' composta dal presidente, che la presiede, e dagli assessori, nominati dal medesimo fra i sindaci componenti il consiglio in numero non superiore a quello previsto per i comuni aventi corrispondente popolazione. Alla giunta spettano le competenze di cui all'articolo 48 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; essa decade contestualmente alla cessazione del rispettive presidente. 10. Lo statuto dell'unione individua le modalita' di funzionamento dei propri organi e ne disciplina i rapporti. Il consiglio adotta lo statuto dell'unione, con deliberazione a maggioranza assoluta dei propri componenti, entro venti giorni dalla data di istituzione dell'unione.». I nuovi commi da 1 a 4 dell'art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, nel testo oggi vigente, dispongono invece quanto segue: «1. L'unione di comuni e' l'ente locale costituito da due o piu' comuni, di norma contermini, finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi. Ove costituita in prevalenza da comuni montani, essa assume la denominazione di unione di comuni montani e puo' esercitare anche le specifiche competenze di tutela e di promozione della montagna attribuite in attuazione dell'articolo 44, secondo comma, della Costituzione e delle leggi in favore dei territori montani. 2. Ogni comune puo' far parte di una sola unione di comuni. Le unioni di comuni possono stipulare apposite convenzioni tra loro o con singoli comuni. 3. Gli organi dell'unione, presidente, giunta e consiglio, sono formati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, da amministratori in carica dei comuni associati e a essi non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennita' o emolumenti in qualsiasi formi percepiti. Il presidente e' scelto tra i sindaci dei comuni associati e la giunta tra i componenti dell'esecutivo dei comuni associati. Il consiglio e' composto da un numero di consiglieri, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri componenti, non superiore a quello previsto per i comuni con popolazione pari a quella complessiva dell'ente, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando ove possibile, la rappresentanza di ogni comune. 4. L'unione ha autonomia statutaria e potesta' regolamentare e ad essa si applicano, in quanto compatibili, i principi previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione». Anche i commi 4, 5 e 6 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, come accennato, riguardano la istituzione e la organizzazione delle unioni di comuni. Ai sensi della prima disposizione, infatti, «i commi con popolazione fino a 5.000 abitanti che fanno parte di un'unione di comuni gia' costituita alla data di entrata in vigore del presente decreto optano, ove ricorrano i presupposti, per la disciplina di cui all'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, come modificato dal presente decreto, ovvero per quella di cui all'articolo 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, come modificato dal presente decreto». In base alla seconda, invece, «entro due mesi dalla data di entrata in vigore» del d.l. n. 95 del 2012 «ciascuna regione ha facolta' di individuare limiti demografici diversi rispetto a quelli di cui all'articolo 16, comma 4, del citato decreto-legge n. 138 del 2011». Infine, in base a quanto previsto nel comma 6, «ai fini di cui all'articolo 16, comma 5, del citato decreto-legge n. 138 del 2011 (...), nel termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore» del d.l. n. 95 del 2012 «i comuni di cui al citato articolo 16, comma 1, con deliberazione del consiglio comunale da adottare a maggioranza dei componenti, conformemente alle disposizioni di cui al comma 4 del medesimo articolo 16, avanzano alla regione una proposta di aggregazione, di identico contenuto, per l'istituzione della rispettiva unione». Le norme di questo tipo sono senz'altro da ritenere incostituzionali per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p). e quarto comma, Cost. Come si e' avuto modo di argomentare piu' sopra, al par. 6.2 del presente ricorso, e come riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza costituzionale in quella sede richiamata, la Stato non dispone della competenza legislativa a dettare una disciplina generale egli enti locali differenti da quelli espressamente indicati dall'art. 117, secondo comma, lett. p) , in quanto, a seguito della riforma costituzionale del 2001, ed in particolare del combinato disposto del nuovo testo dell'art. 117 e dell'abrogazione dell'art. 128 Cost., lo Stato non dispone piu' di una competenza generale in questa materia, potendo invece dettare soltanto le norme inerenti alla legislazione elettorale, alle funzioni fondamentali e agli organi di governo di Province, Comuni e Citta' metropolitane (artt. 117, secondo comma, lett. p), Cost.). Da cio' consegue, evidentemente, che il legislatore statale ordinario non ha alcun titolo per disciplinare l'istituzione e l'organizzazione di enti locali differenti da quelli appena menzionati, quali le unioni di comuni, tanto piu' e a maggior ragione se la suddetta disciplina pretende di assumere - come nel caso di specie - natura vincolante e conformativa delle potesta' normative e amministrative della Regione e dei comuni interessati. Si tratta, infatti, di un ambito oggi affidato alla potesta' regionale residuale di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. Da qui, dunque, la palese violazione, ad opera delle disposizioni sopra menzionate, degli art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. 7.3. - Una diversa considerazione meritano invece quelle norme concernenti le funzioni che le unioni di comuni sono destinate a svolgere. Si consideri, ad esempio, il nuovo comma 1 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, cosi' come sostituito dal comma 2 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012. Ai sensi di questa disposizione, «i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, in alternativa a quanto previsto dall'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n 122, e successive modificazioni, e a condizione di non pregiudicarne l'applicazione possono esercitare in forma associata, tutte le funzioni e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di comuni». Si tratta di una disposizione che interviene nella individuazione del livello istituzionale di esercizio delle funzioni amministrative, poiche' rende possibile che esse vengano svolte presso un ente locale diverso da quello comunale, anche se di carattere associativo e frutto anche della partecipazione dei comuni stessi. D'altra parte, ove si consideri "isolatamente" questa disposizione, ci si rende conto che la mera possibilita' dell'esercizio in forma associata fa si' che lo Stato non si ingerisca nella disciplina delle unioni di comuni, rendendole obbligatorie, ma si limiti a prevedere che - ove il legislatore competente ne abbia previsto la costituzione - per i comuni e' possibile percorrere tale strada. Inutile dire che, secondo la prospettazione offerta nel presente ricorso, il legislatore competente e' soltanto quello regionale. Alla luce di tali considerazioni, e' possibile concludere come segue. La legge ordinaria dello Stato puo' certamente dettare norme di tal genere in relazione alle materie sulle quali disponga di una competenza esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost., e l'odierna ricorrente non intende disconoscere questa competenza statale neanche in relazione alla funzioni che ricadono in materia di competenza concorrente, dal momento che alla norma in questione e' senz'altro possibile riconoscere la natura di principio fondamentale. Altrettanto certamente, pero', lo Stato non ha alcun titolo per dettare la disciplina sopra richiamata per quelle funzioni che risultino ascrivibili ad ambiti materiali differenti da quelli di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost. Da qui, pertanto, la conclusione secondo la quale la disposizione considerata - ossia il nuovo art. 16, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011, come sostituito dal comma 2 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012 - e' incostituzionale nella parte in cui si rivolge anche a funzioni ricadenti nell'ambito del quarto comma dell'art. 117 Cost., per violazione di questa disposizione costituzionale, nonche' dell'art. 118, secondo comma, Cost., il quale prescrive che le funzioni amministrative siano allocate, in base al principio di sussidiarieta', dal legislatore competente per materia. Analoghe argomentazioni devono essere spese anche per due ulteriori disposizioni, ossia per i primi due periodi del nuovo comma 3 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011. come sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012. Secondo il primo periodo «l'unione succede a tutti gli effetti nei rapporti giuridici in essere alla data di costituzione che siano inerenti alle funzioni e ai servizi ad essa affidati ai sensi del comma 1, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 111 del codice di procedura civile. In base al secondo, invece, «alle unioni di cui al comma 1 sono trasferite tutte le risorse umane e strumentali relative alle funzioni ed ai servizi loro affidati, nonche' i relativi rapporti finanziari risultanti dal bilancio». E' agevole rendersi conto che si tratta di disposizioni "meramente accessorie" rispetto a quella, considerata piu' sopra, che contiene un "principio di allocazione" delle funzioni amministrative. La loro legittimita' costituzionale, dunque, sussiste nei medesimi limiti in cui sia predicabile quella della norma dalla quale dipendono. Pertanto, sulla base delle ragioni appena esposte in riferimento al nuovo comma 1 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, anche i primi due periodi del comma 3 del medesimo art. 16, nel testo in vigore per effetto della sostituzione operata dall'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, sono costituzionalmente illegittimi per violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., nella parte in cui si rivolgono anche a funzioni ricadenti in materie affidate alla competenza residuale regionale. Infine, al medesimo gruppo di norme deve essere ascritto anche il nuovo comma 12 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, ovviamente come risultante dalle modifiche apportate dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012. Questa disposizione cosi recita: «L'esercizio in forma associata di cui al comma 1 puo' essere assicurato anche mediante una o piu' convenzioni ai sensi dell'articolo 30 del testo unico, che hanno durata almeno triennale. Ove alla scadenza del predetto periodo, non sia comprovato, da parte dei comuni aderenti, il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, secondo modalita' stabilite con il decreto di cui all'articolo 14, comma 31-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, agli stessi si applica la disciplina di cui al comma 1». Come si vede, si tratta di una disciplina volta a prefigurare una strada alternativa nelle modalita' di esercizio associato delle funzioni rispetto a quella della costituzione di un "nuovo" ente locale (l'unione di comuni). Invece di costituire il nuovo ente locale, e affidare ad esso le funzioni, i comuni possono utilizzare lo strumento delle "convenzioni" regolate dal T.U.EE.LL. La norma, dunque, regola una modalita' di esercizio delle funzioni amministrative, che - nel caso in cui i comuni optino per la possibilita' prefigurata dalla norma in esame - restano ai comuni anziche' essere trasferite all'unione. Anche in questo caso, dunque, non si puo' che concludere in modo analogo a quanto evidenziato piu' sopra: lo Stato dispone della competenza a dettare norme di tal fatta soltanto in relazione alle funzioni che ricadano in materie ascrivibili al secondo o al terzo comma dell'art. 117 Cost. Non per funzioni ricadenti in materie di competenza residuale regionale. Il nuovo comma 12 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, cosi' come risultante dalle modifiche apportate dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, e' dunque incostituzionale per violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., nella parte in cui si rivolge anche a funzioni ascrivibili alle materie di competenza residuale regionale. E' appena il caso di notare che, in questo caso, non viene in considerazione quale parametro l'art. 118, secondo comma, Cost., poiche', come si e' visto, la norma in questione, a differenza di quella prima considerata, non e' una norma sulla allocazione di funzioni ma solo sul loro esercizio. 7.4. - Alle unioni di comuni, infine, vengono affidate, ai sensi del nuovo comma 2 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2001, come sostituito dal comma 2 dell'art. 19 in esame, «la titolarita' della potesta' impositiva sui tributi locali dei comuni associati nonche' quella patrimoniale, con riferimento alle funzioni da essi esercitate per mezzo dell'unione». Analogamente, il nuovo comma 7 dell'art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 3 dell'art. 19 qui considerato, stabilisce in via generale che «alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati». Tali previsioni violano l'artt. 119, commi primo, secondo e sesto, Cost., i quali, nel riconoscere esclusivamente agli enti autonomi costitutivi della Repubblica l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa, il potere di stabilire ed applicare "tributi ed entrate propri" (in armonia con la Costituzione e secondo "i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario"), nonche' la disponibilita' di un proprio patrimonio, impediscono che la legge statale possa sottrarre autonomia impositiva e di entrata nonche' risorse patrimoniali ai suddetti enti, attribuendole in titolarita' a nuovi e diversi enti territoriali Cosi facendo, le norme qui censurate contrastano altresi' con i limiti che l'art. 117, terzo comma, Cost. impone alla potesta' legislativa dello Stato in materia di "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario", fuoriuscendo dall'ambito dei "principi fondamentali" e invadendo percio' gli spazi costituzionalmente affidati alla potesta' legislativa regionale sia dal terzo che dal quarto comma dell'art. 117 Cost. Possono bastare poche considerazioni per approfondire e questa censura. Come e' noto, ai sensi del primo comma dell'art. 119 Cost., «i Comuni, le Province, le Citta' metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa»; mentre, ai sensi del secondo comma del medesimo art. 119, «i Comuni, le Province le Citta' metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Ora, e' evidente che il legislatore competente ben potrebbe attribuire ad enti locali diversi da quelli indicati nell'art. 119 - ed anche a enti associativi - la possibilita' di esercitare autonomia di entrata e di spesa, imponendo le relative norme di «coordinamento». Lo Stato, dunque, ben puo' attribuire alle unioni di comuni, ad esempio, la potesta' di decidere tra aliquota minima e massima di tributi che siano stati istituiti dallo Stato medesimo. Cio' che pero' non puo' fare e' attribuire alle unioni spazi di autonomia di entrata sottraendola ai comuni che ne fanno parte e pretendendo di disciplinare l'intera materia della potesta' impositiva e delle entrate di questi enti. In altre parole, come emerge chiaramente dalla giurisprudenza costituzionale in materia di comunita' montane citata piu' sopra, le unioni di comuni sono enti locali differenti dai comuni che ne fanno parte. E se si desidera attribuire a questi "nuovi" enti margini di autonomia lo si puo' fare, ma non e' possibile farlo sottraendola a quegli enti cui la Costituzione la riconosce - ossia, nel caso di specie, i comuni - oltretutto incidendo anche su ambiti affidati alla competenza legislativa regionale e sottratti alla potesta' conformativa della legislazione statale (si pensi. ad es., alle entrate di vario tipo connesse con lo svolgimento di servizi pubblici da parte dei comuni). Discorso del tutto analogo vale, infine, per il patrimonio: in base al comma sesto dell'art. 119 «i Comuni, le Province le Citta' metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato». Anche in questo caso, e' senz'altro possibile dotare le unioni di comuni di un proprio patrimonio. Ma questo obiettivo non potra' essere conseguito spogliando di quel patrimonio i soggetti che, in base alla citata disposizione costituzionale, debbono esserne titolari o, ancor peggio, che ne risultino gia' titolari allo stato attuale. 8. - Sintesi delle questioni proposte. 8.1. - In chiusura del presente ricorso, la Regione Puglia ritiene opportuno, per maggiore chiarezza, offrire una sintetica ricapitolazione delle questioni di legittimita' costituzionale sottoposte al giudizio di questa Corte. I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. a), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, nella parte in cui include tra le «funzioni fondamentali» dei Comuni anche funzioni amministrative ricadenti in materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale, per violazione: dell'art. 117, secondo comma, lett. p), dell'art. 117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione. II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, nella parte in cui si rivolge anche a funzioni amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex art. 117, quarto comma, Cost., alla potesta' legislativa regionale residuale, per violazione: dell'art. 117, quarto comma, e dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione. III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. d), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, nella parte in cui impone alla Regione di attivare una «concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali», per violazione: dell'art. 123, primo e ultimo comma, della Costituzione. IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lett. e), del d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, per violazione: dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi da 2 a 6, d.l. n. 95 del 2012, come convertito in legge dalla legge n. 135 del 2012, per violazione: dell'art. 117, secondo comma, lett. p) terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 118, secondo comma; dell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost. Sono dedotte, in particolare: V.1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui sostituisce i commi 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011; dell'art. 19, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 nella parte in cui sostituisce i commi l, 2, 3 e 4 dell'art. 32 del d.lgs. n 267 del 2000, nonche' dell'art. 19, commi 4, 5 e 6, del medesimo d.l. n. 95 del 2012, per violazione: dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma, Cost. V.2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui, sostituendo il comma 1 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, si rivolge anche a funzioni ricadenti nell'ambito della potesta' legislativa residuale delle Regioni, per violazione: dell'art. 117, quarto comma, nonche' dell'art. 118, secondo comma, Cost. V.3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui, sostituendo il comma 3, primo e secondo periodo, dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, si rivolge anche a funzioni ricadenti nell'ambito della potesta' legislativa residuale delle Regioni per violazione: dell'art. 117, quarto comma, nonche' dell'art. 118, secondo comma, Cost. V.4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui, sostituendo il comma 12 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, si rivolge anche a funzioni ricadenti nell'ambito della potesta' legislativa residuale delle Regioni, per violazione: dell'art. 117, quarto comma, Cost. V.5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui sostituisce il comma 2 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011 per violazione: dell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost. dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. V.6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19. comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui sostituisce il comma 7 dell'art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, per violazione: dell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost. dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
P.Q.M. Si chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 1, lettere a), d), e), e commi da 2 a 6, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nei limiti e nei termini sopra esposti. Con ossequio. Bari-Roma, 12 ottobre 2012 Avv. Prof. Cecchetti - Avv. Triggiani