N. 2 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 2012

Ordinanza del 10 ottobre 2012 emessa  dal  Tribunale  di  Tivoli  nel
procedimento civile promosso da Pandolfi Simonetta e Margiotta  Rocco
contro Ciavarella Claudia e Ancona Luca. 
 
Contratto, atto e negozio giuridico - Caparra confirmatoria  -  Somma
  da  ritenere,  o  da  restituire  in  misura  doppia,  in  caso  di
  inadempimento - Potere del giudice di ridurla equamente  d'ufficio,
  in ipotesi di manifesta sproporzione o  se  ricorrano  giustificati
  motivi  -  Omessa  previsione  -  Violazione   del   principio   di
  ragionevolezza sotto piu' profili - Penalizzazione  del  contraente
  "debole". 
- Codice civile, art. 1385, comma secondo. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.5 del 30-1-2013 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Nella persona del  Giudice  unico  dott.  Alessio  Liberati,  nel
procedimento iscritto al numero 2759/2009 RG e proposto dalla  sig.ra
Simonetta Pandolfi, nata a Tivoli (RM) il 17 febbraio 1963 e dal sig.
Rocco Margiotta, nato a Forenza (PZ) il 5 marzo 1949, rappresentati e
difesi dall'avv. Felice Fazio ed elettivamente domiciliata presso  lo
studio dell'avv. Enzo  Esposito  e  dall'avv.  Luigi  Di  Angelis  in
Guidonia Montecelio (RM), via  Maremmana  Inferiore  n.  199,  giusta
delega in atti, attore; 
    Nei confronti della sig.ra Claudia Ciavarella (CF CVR  CLD  67842
L182U),  rappresentata  e  difesa   dall'avv.   Vittorio   Messa   ed
elettivamente domiciliata presso il suo studio in Guidonia Montecelio
(RM), via Mario Calderara n. 4 (fax 0774.300200),  giusta  delega  in
atti, convenuta ed attrice in via riconvenzionale; 
    Del sig. Luca Ancona (c.f. NCN LCU 62R09 L1825), rappresentato  e
difeso dall'avv. Vittorio Messa ed elettivamente  domiciliata  presso
il suo studio in Castel Madama (RM), via Mario Calderara  n.  4  (fax
0774.300200), giusta delega in atti,  convenuta  ed  attrice  in  via
riconvenzionale; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza con la quale si  solleva  di
ufficio questione di legittimita' costituzionale. 
 
                                Fatto 
 
    Parte attrice  ha  citato  con  atto  ritualmente  notificato  (a
seguito di autorizzazione  al  rinnovo  della  notifica)  innanzi  al
tribunale  di  Tivoli  le  parti  convenute,  per  ottenere  sentenza
declaratoria  della  risoluzione   del   contratto   preliminare   di
compravendita stipulato in data 5 marzo 2008 ed integrato in data  30
luglio 2008 e, conseguentemente, ottenere la restituzione della somma
di euro 150.000,00 complessivamente consegnata. 
    Invoca in proposito  la  propria  irresponsabilita'  nel  mancato
acquisto dell'immobile dei  convenuti,  sito  in  Tivoli,  via  delle
Piagge n. 3 (gia' IB) e della autorimessa annessa, distinti  al  NCEU
fg. 64, part. 980, sub 501, cat. A2 e fg. 64, part.  980,  sub.  501,
cat. A/6, classe 4, in ragione della mancata erogazione del mutuo  da
parte della banca cui era stato richiesto, qualificando come indebita
la  somma  trattenuta  dai  convenuti,  in  quanto  costituente  mero
anticipo sul prezzo di vendita. 
    I convenuti si sono costituiti con due distinti  atti,  eccependo
che la somma di euro 150.000,00 era stata  consegnata  (come  risulta
dalla   proposta   irrevocabile   e   dal   contratto    preliminare)
espressamente a  titolo  di  caparra  confirmatoria  (su  un  importo
complessivo di vendita pari a 510.000,00 euro), che la parte  attrice
avesse  inadempiuto   al   proprio   obbligo   contrattuale   e   che
conseguentemente avessero diritto alla ritenzione della caparra, come
previsto dall'art. 1385 del codice civile. Hanno  altresi'  richiesto
in via riconvenzionale il risarcimento dei maggiori  danni  derivanti
dal fatto che sono stati costretti ad acquistare  l'immobile  per  il
quale  si  erano  impegnati  all'acquisto  in  vista  della   vendita
dell'immobile per cui e' controversia attraverso la erogazione di  un
mutuo oneroso e con la procedura (piu' costosa) relativa all'acquisto
delle seconde case, quantificando il danno subito in  euro  15.155,87
complessivi. 
    E'   stata   svolta   attivita'   istruttoria   e    nel    corso
dell'interrogatorio  formale  della   attrice   (convenuta   in   via
riconvenzionale) la stessa ha affermato che  il  contratto  era  gia'
stato predisposto dalla agenzia immobiliare al momento del suo arrivo
nella sede e  che  non  conoscesse  il  significato  della  locuzione
"caparra  confirmatoria",  avendo  inteso   semplicemente   dare   un
anticipo. 
    Alla udienza del 30 maggio 2012 la causa e' stata  trattenuta  in
decisione,  con  concessione  dei  termini  di  legge  per   comparse
conclusionali e memorie di replica. 
 
                               Diritto 
 
    Ritiene il tribunale che dagli atti di causa emerga con chiarezza
che  la  somma  fosse  stata   consegnata   a   titolo   di   caparra
confirmatoria,  come  espressamente  stabilito  sia  nella   proposta
irrevocabile che nel contratto preliminare. 
    A nulla giova la giustificazione addotta dalla parte  attrice  in
merito alla mancata conoscenza del termine  "caparra  confirmatoria",
in quanto non  dimostrabile  obiettivamente  e  comunque  costituente
"ignorantian" addebitabile. 
    La  domanda  di  risoluzione   del   contratto   e   restituzione
dell'asserito indebito non possono dunque essere accolte.  Sussistono
invece ad avviso del tribunale gli estremi per  la  ritenzione  della
caparra confirmatoria ex art. 1385, comma  2  del  codice  civile  da
parte degli alienanti convenuti. 
La norma in questione e la sua interpretazione. Impossibilita' di una
interpretazione costituzionalmente orientata. 
    L'art. 1385 del codice civile dispone che "Se  al  momento  della
conclusione del contratto  una  parte  da'  all'altra,  a  titolo  di
caparra, una somma di danaro o una quantita' di altre cose fungibili,
la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata
alla prestazione dovuta. 
    Se la parte che ha dato la caparra e' inadempiente, l'altra  puo'
recedere dal contratto, ritenendo  la  caparra;  se  inadempiente  e'
invece  la  parte  che  l'ha  ricevuta,  l'altra  puo'  recedere  dal
contratto ed esigere il doppio della caparra. 
    Se pero' la parte che non e'  inadempiente  preferisce  domandare
l'esecuzione o la risoluzione  del  contratto,  il  risarcimento  del
danno e' regolato dalle norme generali". 
    Diversamente dall'istituto della  clausola  penale,  disciplinato
dall'art. 1384 del codice civile, in ipotesi di caparra non e' dunque
consentito al giudice di operare la riduzione  dell'importo  (ipotesi
che con riferimento alla clausola penale la  giurisprudenza  dopo  un
lungo dibattito ermeneutico ha ritenuto essere  esperibile  anche  ex
officio), atteso che  il  carattere  eccezionale  della  disposizione
contenuta  nell'art.  1384  del  codice   civile   ne   esclude   una
applicazione analogica. 
    La  giurisprudenza  e'  granitica  sul  punto  e  non  sussistono
precedenti di senso opposto. Del resto la  tranciante  argomentazione
del carattere eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 1384
del codice civile, derivante dalla natura  di  fattore  limitante  la
liberta' negoziale delle parti (ex plurimis Cass. civ., sez.  II,  1°
dicembre 2000, n, 15391), non consente  una  diversa  interpretazione
dell'articolato  normativo,  escludendo  altresi'  l'ipotesi  di  una
interpretazione diversa e costituzionalmente compatibile. 
La quaestio nella fattispecie in oggetto. 
    Nel  caso  di  specie,  come  meglio  precisato  in   fatto,   la
controversia concerne un'azione intentata per  contestare  l'asserita
ritenzione di un  indebito,  pari  a  150.000,00,  che  il  convenuto
Ritiene essere stato anticipato a titolo di caparra  confirmatoria  e
di  avere  legittimamente  trattenuto  a  seguito  di   inadempimento
dell'attore all'obbligo di controparte. 
    Chiede  altresi'  il  convenuto,  in  via   riconvenzionale,   il
risarcimento del maggior danno derivante dall'aver  dovuto  stipulare
un successivo mutuo con il tasso e la  procedura  prescritta  per  le
case diverse dalla prima (che godono di condizioni agevolate).  Cio',
diversamente da quanto dedotto dall'attore non  integra  gli  estremi
del comma 3 dell'art. 1385 del codice civile atteso che non e'  stata
domandata ne' l'esecuzione ne'  la  risoluzione  del  contratto  (che
giustificherebbero   l'applicazione   delle   norme   generali    sul
risarcimento), ma  semplicemente  un  danno  maggiore  ed  aggiuntivo
rispetto a quello relativo all'affare per cui e'  stata  prevista  la
caparra. 
    Dagli  atti  emerge  con  assoluta  chiarezza  che  l'importo  di
110.000,00 e' stato consegnato a titolo di  caparra  confirmatoria  -
espressamente qualificata come tale - in sede di proposta di acquisto
irrevocabile  dell'11  febbraio  2008,  regolarmente  accettata   dal
venditore convenuto in data 12 febbraio 2008, come  letteralmente  ed
espressamente dichiarato. 
    Anche il  successivo  contratto  preliminare  del  5  marzo  2008
definisce espressamente l'importo ulteriore di 40.000,00 euro versato
da parte attrice (promissaria acquirente) quale importo da addebitare
a titolo di caparra confirmatoria. 
    Nessun dubbio, dunque, puo' sorgere in merito alla natura ed alla
qualificazione giuridica della dazione, che l'attore sostiene,  senza
fornire alcuna prova a sostegno, sarebbero state  un  anticipo  sulla
vendita e non  un  versamento  a  titolo  di  caparra,  giustificando
sostanzialmente solo con la propria ignoranza del termine tecnico. 
    Ne deriva che l'importo complessivo della  caparra  confirmatoria
e' di  150.000,00  euro,  a  fronte  di  un  prezzo  di  acquisto  di
510.000,00 euro. Nessun dubbio, poi, vi e' sulla circostanza  che  il
promissario acquirente non si sia presentato all'atto della  stipula,
anche  a  seguito  di  concessione  di  ulteriore  termine  con  atto
integrativo del contratto preliminare, come attesta la  dichiarazione
del  notaio   che   dichiara   la   mancata   stipula   per   assenza
dell'acquirente. 
    Non e' infine contestato che la stipula non  sia  andata  a  buon
fine  in  ragione  della  mancata  erogazione  del  mutuo  da   parte
dell'istituto bancario (in realta'  tre)  cui  si  sono  rivolti  gli
attori. 
    Giova in proposito rammentare  che  l'acquirente  avrebbe  potuto
condizionare il contratto al rilascio del finanziamento,  circostanza
che non e' stata esplicitata. In sede di  interrogatorio  formale  la
parte attrice ha dichiarato che si trattava del  suo  primo  acquisto
immobiliare e di  aver  semplicemente  sottoscritto  il  modulo  gia'
predisposto e compilato dalla agenzia  immobiliare  che  si  occupava
della mediazione. 
    Va anche rilevato che gli istituti  bancari  non  seguono  regole
precise e conoscibili  ex  ante  in  merito  alla  dazione  di  mutui
ipotecari e che, anzi, a seconda dei periodi  storici  (ed  anche  al
minore o maggiore vantaggio dell'istituto  bancario  in  ragione  del
tasso applicabile in un preciso periodo storico) le banche erogano  o
meno i mutui, variando - di fatto a proprio piacimento - i criteri di
erogabilita',   con   modifiche   anche   consistenti   e   repentine
dell'importo  erogabile  rispetto  al   valore   dell'immobile,   del
parametro relativo al rapporto tra reddito percepito ed  importo  del
mutuo,  delle  garanzie  richieste.  Cio'  non  consente  alla  parte
acquirente di immobile una certa  e  piena  valutazione  aprioristica
della effettiva possibilita' di ottenere il finanziamento. 
    Nel caso di specie, pertanto, sussistono  due  opposte  e  valide
ragioni: da un lato il diritto del venditore a percepire  la  caparra
confirmatoria ai sensi dell'art. 1385, comma  2  del  codice  civile,
dall'altro quella dell'acquirente a non perdere un capitale  notevole
per le proprie risorse finanziarie in ragione di un adempimento  che,
seppur colposo, certamente non e' stato voluto e rispetto al quale si
e' adoperato in ogni modo per trovare una soluzione, e conseguente ad
attivita' svolta in situazione di debolezza  contrattuale  (si  dira'
piu' ampiamente oltre). 
    Ne' puo' nemmeno farsi ricorso all'istituto della presupposizione
(cioe' di una condizione non  esplicitata,  del  resto  non  invocata
dalla  parte  convenuta),  atteso  che  la  stessa  non  ricorrerebbe
comunque in termini obiettivi nei confronti di entrambe le parti,  ma
solo della parte acquirente  (esulando  cosi'  il  presupposto  della
comune volonta'), sicche' non si puo'  comunque  ritenere  che  nella
fattispecie vi sia stata una situazione di fatto, considerata ma  non
espressamente  enunciata  dalle  parti  in   sede   di   stipulazione
dell'accordo contrattuale  quale  presupposto  imprescindibile  della
volonta' negoziale, il cui successivo verificarsi o venire  meno  sia
dipeso da circostanze non imputabili alle parti stesse. 
    Cio'  Premesso,  resta  un'evidente   sproporzione   dell'importo
pattuito  rispetto  alla  prassi  in  uso  per  analoghe   operazioni
commerciali che impone a questo giudice di valutare se vi siano spazi
applicativi  per  una  eventuale  riduzione  ex  officio  (che,  come
ricordato, e' oggi ammessa  dalla  giurisprudenza  nella  ipotesi  di
clausola penale ex art. 1384 del codice civile). 
    In  tale  riflessione  non  si  possono  nemmeno  trascurare   le
peculiari caratteristiche della  fattispecie,  in  cui,  come  detto,
ricorre la circostanza della mancata erogazione del  mutuo  da  parte
dell'istituto bancario quale causa determinante l'inadempimento e  il
tentativo  palesato  in  ogni  modo  dal  promissario  acquirente  di
adempiere  all'impegno  preso  con  la  formulazione  della  proposta
irrevocabile e ribadito in sede preliminare. 
    La riduzione della penale, tuttavia, per quanto gia' evidenziato,
e' soluzione impraticabile allo stato della normativa (e per costante
giurisprudenza)  stante  la  impossibilita'  di  applicare   in   via
analogica una disposizione di carattere eccezionale che  deroga  alla
liberta' negoziale delle parti. 
    Vi  sono  dunque  elementi  per  dubitare  della   compatibilita'
costituzionale della norma di cui all'art. 1385, comma 2  del  codice
civile, sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in cui non
prevede la possibilita'  per  il  Giudice  di  ridurre  la  somma  da
restituire   a   titolo   di   caparra    confirmatoria    consegnata
dall'acquirente (o il doppio della caparra in caso  di  inadempimento
del  venditore)  ove  manifestamente  eccessiva   o   ove   ricorrano
giustificati motivi. 
Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1385, comma 2  del
codice civile. 
    Si ritiene dunque  di  dover  sollevare  di  ufficio,  in  quanto
rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  la   questione   della
legittimita' costituzionale dell'art. 1385, comma 2 del codice civile
in materia di caparra confirmatoria, nella parte in cui  non  dispone
che - nelle ipotesi in cui  la  parte  che  ha  dato  la  caparra  e'
inadempiente, l'altra  puo'  recedere  dal  contratto,  ritenendo  la
caparra e nella ipotesi in cui, se inadempiente e'  invece  la  parte
che l'ha ricevuta, l'altra puo' recedere dal contratto ed esigere  il
doppio della caparra - il giudice possa equamente ridurre la somma da
ritenere  o  il  doppio  da  restituire  in  ipotesi   di   manifesta
sproporzione o ove, tenuto conto della  natura  dell'affare  e  delle
prassi commerciali, sussistano giustificati motivi. Va  ricordato,  a
riguardo del parametro della irragionevolezza, che la  giurisprudenza
della Corte costituzionale, in passato, era orientata  nel  senso  di
ricondurre  il  principio   di   ragionevolezza   all'interno   della
previsione dell'art. 3 della Costituzione che afferma - come  noto  -
il principio di uguaglianza; di modo che la norma  irragionevole  era
costituzionalmente   illegittima   in    quanto    apportatrice    di
irragionevoli   discriminazioni.   Come   conseguenza   di   siffatta
impostazione era necessario, per accertare  l'irragionevolezza  della
norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis. 
    Nel tempo la Corte ha affrancato il principio  di  ragionevolezza
sia dal principio di  uguaglianza,  sia  dalla  ricerca  del  tertium
comparationis, e ne ha poi affermato la violazione anche  in  assenza
di  una  sostanziale  disparita'  di  trattamento   tra   fattispecie
omogenee, allorche' la  norma  presenti  una  intrinseca  incoerenza,
contraddittorieta' od  illogicita'  rispetto  al  contesto  normativo
preesistente o rispetto alla  complessiva  finalita'  perseguita  dal
legislatore. 
    Tale ipotesi appare ricorrere nel  caso  di  specie,  per  quanto
detto sopra. 
    Sotto altro profilo non puo' poi non evidenziarsi come,  rispetto
all'impianto complessivamente  disegnato  nel  codice  del  1942,  la
materia  contrattualistica  abbia  subito  profondi  mutamenti  negli
ultimi  anni,  soprattutto  per  le  influenze  subite  dal   diritto
comunitario. 
    In particolare si sono susseguiti interventi volti ad  assicurare
una equita' oggettiva delle prestazione e del complessivo  equilibrio
contrattuale (anche attraverso la declaratoria di  inefficacia  delle
c.d. clausole abusive) Anche se nel caso  di  specie  non  si  e'  di
fronte  all'ipotesi  di  contratto  stipulato  da  professionista   e
consumatore, non vi e'  dubbio  che  la  parte  alienante  sia  stata
assistita  da  un  professionista  (l'agenzia  immobiliare)  il   cui
interesse dell'alienante alla conclusione dell'affare coincideva  con
il proprio interesse alla provvigione, incamerata ancor  prima  della
conclusione del definitivo. 
    Puo' quindi affermarsi che sotto tale profilo l'acquirente  fosse
in una posizione di debolezza contrattuale meritevole di tutela, alla
luce dei principi generali vigenti oggi nella materia. 
    Anche per questa ragione  si  dubita  della  ragionevolezza,  nei
termini sopra indicati, di  una  disposizione  che  non  consente  di
tutelare attraverso rimedi ripristinatori del giudice  (oggi  ammessi
in forma sempre piu' estesa) una  evidente  sproporzione  determinata
(come emerso dalla istruttoria) dalla posizione di contraente  debole
da un lato (inesperienza,  predisposizione  del  contratto  da  parte
della agenzia ancorche'  sottoscritto  da  privati  consumatori),  da
fatti non previsti e non interamente prevedibili dall'altro  (mancata
erogazione del mutuo bancario). 
    Per  completezza,  si  consideri  anche  che,  in   mancanza   di
qualsivoglia limite normativa alla regola della cui costituzionalita'
si dubita, si potrebbe addirittura arrivare al risultato  paradossale
che, ove  la  parte  inadempiente  fosse  il  venditore  e  l'importo
accettato a titolo di caparra confirmatoria fosse di  poco  inferiore
al totale del prezzo, l'acquirente potrebbe ottenere  addirittura  la
restituzione di un duplum di molto superiore al valore  del  bene  da
acquistare. 
Sulla rilevanza della questione nella fattispecie alla attenzione del
tribunale. 
    Va precisato che la questione che si  sottopone  alla  attenzione
del Giudice delle Leggi e' di assoluta rilevanza per  la  fattispecie
in oggetto. 
    Nel caso di specie  la  questione  di  diritto  appena  descritta
appare  infatti  di  imprescindibile  soluzione  per  la   decisione,
dovendosi determinare la quantificazione della somma da incamerare in
base a disposto normativo la  cui  compatibilita'  costituzionale  e'
messa in discussione per le ragioni che precedono. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Tivoli, sezione civile, in  persona  del  Giudice
unico  dott.,  Alessio  Liberati,  visti  gli  articoli   137   della
Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1984, n. 1 e 23
della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta  la  rilevanza  e  la  non
manifesta infondatezza; 
    Solleva  d'ufficio  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1385, comma 2 del  codice  civile  in  materia  di  caparra
confirmatoria, nella parte in cui non dispone che - nelle ipotesi  in
cui la parte che ha dato la caparra  e'  inadempiente,  l'altra  puo'
recedere dal contratto, ritenendo la caparra e nella ipotesi in  cui,
se inadempiente e' invece la parte che l'ha  ricevuta,  l'altra  puo'
recedere dal contratto ed  esigere  il  doppio  della  caparra  -  il
giudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il  doppio  da
restituire, in ipotesi di manifesta  sproporzione  o  ove  sussistano
giustificati motivi; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  Ministri  e
che venga comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
        Tivoli, 4 ottobre 2012 
 
                        Il Giudice: Liberati