N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2013

Ordinanza dell'11 marzo 2013 emessa dalla  Corte  dei  conti  -  Sez.
giurisdizionale  per  la  Regione  Lazio  sul  ricorso  proposto   da
Sancetta Antonino ed altri 27 contro l'INPS.. 
 
Bilancio e  contabilita'  pubblica  -  Disposizioni  urgenti  per  la
  stabilizzazione finanziaria - Interventi in materia previdenziale -
  Trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di  forme  di
  previdenza obbligatorie (nella specie dall'INPDAP ai magistrati)  i
  cui  importi  superino  complessivamente  i  90.000  euro  lordi  -
  Assoggettamento a decorrere  dal  1°  agosto  2011  e  fino  al  31
  dicembre 2014 ad un contributo di perequazione pari al 5 per  cento
  per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro,  al
  10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per  cento
  per la parte eccedente 200.000 euro  -  Lesione  del  principio  di
  solidarieta' sociale -  Violazione  del  principio  di  uguaglianza
  sotto il profilo dell'irragionevolezza e del deteriore  trattamento
  di  pensionati  del  settore  pubblico  rispetto  ai   contribuenti
  titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro, tenuti
  al versamento di un contributo di  solidarieta'  del  3  per  cento
  sulla parte di reddito che eccede il predetto  importo,  quali  che
  siano le componenti del loro reddito complessivo,  ivi  compresi  i
  redditi pensionistici  -  Violazione  del  principio  di  capacita'
  contributiva. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art.  18,  comma  22-bis,  come
  successivamente  modificato  dall'art.  24,   comma   31-bis,   del
  decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza
  e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'art. 2, comma 1,
  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 53. 
(GU n.17 del 24-4-2013 )
 
                          LA CORTE DEI CONTI 
 
    Visto il ricorso iscritto al  numero  72310/PC  del  registro  di
Segreteria; 
    Uditi -  nella  pubblica  udienza  dell'8  marzo  2013  -  per  i
ricorrenti l'avv. Giovanni C.  Sciacca,  e  per  I'INPS  Gestione  ex
INPDAP l'avv. Andrea Botta, che hanno concluso come in atti; 
    Visti gli atti di causa; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio introdotto  con
il ricorso in premessa, proposto da: 
        Sancetta  Antonino,   Atelli   Umberto,   Spano'   Salvatore,
Gambardella  Vincenzo,  Cardia  Lamberto,  Sancetta   Mario,   Serrao
Feliciano, Serino  Felice,  Tranchino  Alfonso,  D'Ambrosio  Tommaso,
Zotta  Giuseppe,  Delfini  Danilo,  Ricci  Italo,   Costanza   Carlo,
Provvidera Alfredo - magistrati della Corte dei  conti,  titolari  di
pensione ordinaria diretta; 
        Romano Guido, Fera Aldo,  Ruoppolo  Giovanni,  Pezzana  Aldo,
Camozzi Antonio, Cortese Roberto, Alibrandi Tommaso, Cafini Domenico,
Gentile Domenico, Scognamiglio Roberto  -  magistrati  amministrativi
(del Consiglio di Stato e dei TAR)  titolari  di  pensione  ordinaria
diretta; 
        Caramazza Ignazio Francesco,  di  Tarsia  di  Belmonte  Paolo
Vittorio, Linguiti Aldo - avvocati dello Stato, titolari di  pensione
ordinaria diretta, 
    tutti rappresentati  e  difesi  dagli  avvocati  Piero  d'Amelio,
Giovanni  C.  Sciacca  e  Maria  Stefania  Masini,  ed  elettivamente
domiciliati presso il loro studio in Roma, via della Vite  7,  contro
l'INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale), in persona  del
legale rappresentante pro-tempore, avverso: 
        1) il trattamento pensionistico loro attribuito a partire dal
mese  di  agosto  2011,  nella  parte  in  cui  e'  assoggettato   al
"contributo di perequazione" previsto dal comma 22-bis  dell'art.  18
del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, in legge
n. 111/2011, come reintrodotto dall'art. 2, comma 1 del decreto-legge
n. 138/2011, convertito con modificazioni dalla  legge  n.  148/2011,
nelle  percentuali  ivi  stabilite,  come  risulta  dalle  rispettive
certificazioni CUD o cedolini pensionistici; 
        2) la mancata rivalutazione automatica del  loro  trattamento
pensionistico,  in  applicazione  del  comma  25  dell'art.  24   del
decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 214/2011. 
    Per  la  dichiarazione  del  diritto  alla   corresponsione   del
trattamento   pensionistico   senza   assoggettamento   al   predetto
"contributo  di  perequazione"  e  con  sua  completa   rivalutazione
automatica, con condanna alla restituzione di quanto  trattenuto  per
tali titoli, con rivalutazione  monetaria  e  interessi  dal  di'  di
ciascuna trattenuta e rateo di pensione sino al soddisfo. 
 
                            Premesso che 
 
    Con  il  ricorso  collettivo  in  epigrafe  parti  attrici  hanno
rappresentato e dedotto quanto  segue:  con  decreto-legge  6  luglio
2011,  n.  98  sono  state  emanate  "Disposizioni  urgenti  per   la
stabilizzazione finanziaria"; la legge 15  luglio  2011,  n.  111  di
conversione del predetto decreto, ha  introdotto  nell'art.  18,  che
concerne gli "Interventi in materia previdenziale", un comma  22-bis,
che cosi' dispone:  "In  considerazione  della  eccezionalita'  della
situazione economica internazionale e  tenuto  conto  delle  esigenze
prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica,  a
decorrere  dal  l°  agosto  2011  e  fino  al  31  dicembre  2014,  i
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza obbligatorie,  i  cui  importi  complessivamente  superino
90.000 euro lordi  annui,  sono  assoggettati  ad  un  contributo  di
perequazione pari al 5 per cento della parte  eccedente  il  predetto
importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al  10  per  cento  per  la
parte eccedente 150.000 curo e al 15 per cento per la parte eccedente
200.000 euro; a  seguito  della  predetta  riduzione  il  trattamento
pensionistico complessivo non puo' essere comunque essere inferiore a
90.000 euro lordi annui";  il  contributo  e'  stato  temporaneamente
abrogato dall'art. 2, commi 1 e 2, del decreto-legge 13 agosto  2011,
n. 138, e  reintrodotto  con  l'art.  1,  comma  2,  dalla  legge  di
conversione di tale decreto 14 settembre 2011, n. 148. 
    I ricorrenti, tutti magistrati della Corte dei conti,  magistrati
amministrativi (del Consiglio di Stato e  dei  TAR),  avvocati  dello
Stato, titolari di pensione ordinaria diretta, hanno  rilevato  dalle
rispettive certificazioni CUD o dai cedolini pensionistici che i loro
trattamenti, pensionistici sono stati assoggettati a tale "contributo
di perequazione"; inoltre, in applicazione del comma 25 dell'art.  24
del decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge
n. 214/2011, la rivalutazione automatica della loro pensione e' stata
pressoche' soppressa. 
    Pertanto ricorrono davanti a questa Corte dei  conti  avverso  il
trattamento pensionistico loro  attribuito  a  partire  dal  mese  di
agosto  2011,  nella  parte  in  cui  e'  assoggettato  al   suddetto
contributo pressoche' senza rivalutazione  automatica,  chiedendo  la
dichiarazione del loro diritto alla  corresponsione  del  trattamento
pensionistico  senza  le  relative  trattenute  e  con  rivalutazione
automatica e condanna alla restituzione di quanto invece dovuto,  con
rivalutazione monetaria e interessi dal di' di  ciascuna  trattenuta,
sino al soddisfo, adducendo i seguenti motivi di diritto. 
    I. Illegittimita' costituzionale, del comma 22-bis  dell'art.  18
del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, in legge
n. 111/2011, come reintrodotto dall'art. 2, comma 1 del decreto-legge
138/2011, convertito in legge,  con  modificazioni,  dalla  legge  n.
148/2011 e s.m.i., per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 51 e 27 Cost. 
    1.1. Il comma 22-bis dispone  un  prelevamento  coatto  di  somme
effettuato mediante un sistema che la norma definisce "contributo  di
perequazione"; la perequazione, che consiste  nella  rideterminazione
dei trattamenti pensionistici,  e'  finalizzata  di  norma  o  ad  un
adeguamento  dei  trattamenti  stessi  all'andamento  del  valore  di
acquisto   della   moneta,   o   all'eliminazione    di    differenze
ingiustificate tra le varie categorie di soggetti che  ne  fruiscono;
nella specie non si e' in presenza  di  una  forma  di  perequazione,
perche' in tal  caso  le  pensioni  avrebbero  dovuto  semmai  essere
aumentate per la svalutazione della moneta in atto mentre  per  altro
verso non si e' neppure in presenza di differenze  ingiustificate  di
percezione tra le varie categorie di pensionati, che  hanno  ricevuto
invece le pensioni  loro  spettanti  costituenti  diritti  soggettivi
perfetti quali forme  differite  di  corresponsione  del  trattamento
economico  di  attivita'  sulla  base  dei  contributi  previdenziali
versati dagli stessi e dai loro datori di lavoro. 
    1.2. Ne consegue che in luogo di un "contributo di perequazione",
ci si trovi in presenza di una vera e propria  "imposta",  atteso  il
carattere  obbligatorio  della  prestazione  patrimoniale  (prelievo)
autoritativamente imposta e la destinazione del relativo provento  al
risanamento  delle  gravi  condizioni  dell'economia   pubblica;   il
prelievo in questione  ricondotto  alla  sua  sostanziale  natura  di
imposta, commina oneri fiscali a carico di soggetti titolari  di  uno
specifico status, e cioe' i pensionati e, sottolineato che  la  legge
introduce "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione  finanziaria",
considerata   la   "eccezionalita'   della    situazione    economica
internazionale"  e  "tenuto  conto  delle  esigenze  prioritarie  del
raggiungimento degli obiettivi di  finanza  pubblica",  di  fatto  il
gravoso onere di partecipare alla realizzazione della  indispensabile
e ineludibile  finalita'  di  interesse  nazionale,  e'  stato  posto
unicamente a carico di una categoria ancorche' ampia  di  pensionati,
con esclusione delle altre categorie di contribunti, i cui redditi  e
le cui condizioni economiche sono  talvolta  largamente  superiori  a
qualsiasi piu' elevato trattamento pensionistico. 
    Nella specie, i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e  53
Cost. risultano violati, essendo state chiamate solo alcune categorie
di cittadini (pensionati oltre che dipendenti pubblici) a  concorrere
alle spese pubbliche, mentre altre categorie sono  state  esentate  o
comunque assoggettate ad imposizione in misura minore o diversa. 
    L'art. 3 Cost. stabilisce il principio di eguaglianza,  e  quindi
anche  di  eguaglianza  tributaria,   in   ordine   alla   quale   la
giurisprudenza  della  Corte  e'  risalente  dell'affermare   che   a
situazioni "uguali  devono  corrispondere  uguali  regimi  impositivi
(sent. n. 120/1972)  e  che  per  capacita'  contributiva,  ai  sensi
dell'art.  53  Cost.,  deve  intendersi  l'idoneita'   del   soggetto
all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto  economico  al
quale la prestazione risulta collegata (sent. nn.  78/1986;  25/1984;
63/1982); il chi impone di verificare se sussista uguaglianza tra  le
situazioni da sottoporre a confronto: nella specie, da  una  parte  i
pensionati, dall'altra le diverse categorie di contribuenti. 
    L'oggetto della comparazione e' costituito dal versamento di  una
"imposta", cioe' un prelevamento coattivo di  ricchezza,  rivolto  al
preminente  fine  di   soddisfare   necessita'   indivisibili   della
collettivita', in attuazione  dell'art.  53  Cost.:  versamento  che,
malgrado  la  impellente  gravita'  della  situazione,  e'   ingiunto
solamente ai  pensionati,  in  palese  contrasto  con  il  richiamato
principio di uguaglianza, riguardo al  quale  alcun  assunto  vale  a
giustificare la scelta legislativa in questione  che,  contraddicendo
detto principio, concreta il vizio di eccesso di  potere  legislativo
per carenza di coerenza, congruita' e  proporzionalita',  di  cui  un
aspetto e' la disparita'  di  trattamento  che  sussiste  laddove  il
potere legislativo discrezionale venga esercitato in maniera  diversa
nei confronti di coloro  che,  rispetto  al  potere,  si  trovino  in
condizioni identiche. 
    Invero, pur se i tratti distintivi dei titolari  del  trattamento
dr quiescenza nei confronti dei dipendenti pubblici e  privati  siano
incontestabili, com'e' evidente la diversita' tra il pubblico impiego
e il lavoro autonomo, sul piano del diritto civile come sul piano del
diritto tributario,  nondimeno  la  discriminazione  qualitativa  dei
redditi non implica soltanto che le rispettive  forme  di  produzione
siano diverse, bensi' richiede - per manifestarsi  costituzionalmente
legittima - che la capacita' contributiva  dei  redditi  esclusi  dal
tributo sia di gran  lunga  quantitativamente  inferiore  rispetto  a
quella  dei  contribuenti  titolari  di   trattamenti   pensionistici
soggetti al tributo; e nulla consente di  desumere  dal  testo  della
norma riguardante l'imposizione in argomento, che l'omessa inclusione
dei contribuenti titolari  delle  attivita'  sopra  indicate  dipenda
dalla valutazione delle  caratteristiche  differenziali  delle  varie
forme di lavoro. 
    Pertanto, se il concetto ispiratore della norma  deve  rinvenirsi
nella applicazione del principio della capacita retributiva,  in  tal
caso sussiste la violazione degli artt.  3  e  53,  1°  comma  Cost.,
poiche'   sono   discriminati   ingiustificatamente   i   trattamenti
previdenziali obbligatori rispetto agli emolumenti  di  pari  importo
derivanti da fonti diverse. 
    1.3. L'art. 2  del  decreto-legge  n.  138/2011,  convertito  con
modificazioni in legge n. 148/2011, che ha  reintrodotto  con  il  1°
comma il contributo di perequazione, cha introdotto  per  il  periodo
gennaio 2011 - 31 dicembre  2013  -  piu'  breve  rispetto  a  quello
previsto per i pensionati - un contributo, definito questa volta  "di
solidarieta'":  "In   considerazione   della   eccezionalita'   della
situazione economica internazionale e  tenuto  conto  delle  esigenze
prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
concordati in sede europea a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino  al
31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui  all'articolo  8  del
testo unico  delle  imposte  sui  redditi  di  cui,  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e  successive
modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro  lordi  annui,  e'
dovuto un contributo di solidarieta' del  3  per  cento  sulla  parte
eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento
del limite di 300.000  euro  rilevano  anche  il  reddito  di  lavoro
dipendente di cui all'articolo 9,  comma  2,  del  :decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30
luglio 2010, n. 122, al lordo  della  riduzione  ivi  prevista,  e  i
trattamenti pensionistici di cui all'articolo 18, comma  22-bis,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011,  n.  111,  al  lordo  del  contributo  di
perequazione ivi previsto.  Il  contributo  di  solidarieta'  non  si
applica sui redditi di cui all'articolo 9, comma 2 del  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30
luglio 2010, n. 122, e di cui  all'articolo  18,  comma  22-bis,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarieta'  e'
deducibile dal reddito complessivo". 
    Il suddetto contenuto normativo appare piu' chiaro con la lettura
dell'art. 1, d.m. 21 novembre 2011, di attuazione  ("1.  A  decorrere
dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013,  qualora  il  reddito
complessivo di cui all'art. 8  del  testo  unico  delle  imposte  sui
redditi (TUIR), di cui al decreto del Presidente della Repubblica  22
dicembre 1986, n. 917 e successive  modificazioni,  sia  superiore  a
300.000 euro, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento
sulla parte di reddito che eccede  il  predetto  importo  di  300.000
euro, fermo restando  che  il  contributo  medesimo  si  applica  sui
redditi ulteriori rispetto a quelli gia' assoggettati alla  riduzione
di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e a
quelli  gia'  assoggettati  al  contributo  di  perequazione  di  cui
all'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio  2011,  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111").
Questo stabilisce che qualora il reddito complessivo sia superiore  a
300.000 euro, e' dovuto un contributo di solidarieta'  del  3%  sulla
parte di reddito che eccede il predetto importo, fermo  restando  che
il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a quelli gia'
assoggettati al contributo di perequazione. 
    Da tale disciplina consegue che i  contribuenti  assoggettati  al
contributo   di   solidarieta'   versano   (per   far   fronte   alla
eccezionalita' della situazione economica internazionale) il 3% della
sola quota eccedente i 300.000 euro e, qualunque siano le  componenti
del loro reddito complessivo, ivi compresi i  redditi  pensionistici;
invece, i contribuenti assoggettati al  contributo  di  perequazione,
cioe'  i  ricorrenti,  versano  (per   far   fronte   alla   medesima
congiuntura) quanto previsto secondo gli scaglioni indicati dall'art.
22/bis del decreto-legge 98/2011 convertito in legge n. 111/2011  ed,
in particolare, subiscono un prelievo del 15% sui  redditi  superiori
ad euro 200.000. 
    Oltre i 300.000 euro percio', a parita' di reddito, si avra'  per
l'una categoria l'imposizione del 3%, per l'altra  l'imposizione  del
15%. 
    Questa normativa viola i canoni costituzionali dell'eguaglianza e
della ragionevolezza nonche' il canone della  capacita'  contributiva
ed il criterio della progressivita' dell'imposta; ledendo altresi' il
principio dell'affidamento maturato dopo  il  collocamento  a  riposo
circa il livello del reddito da pensione, con violazione degli  artt.
3 e 97 della Costituzione. 
    1.4. Anche ammettendo in astratto che la norma possa sfuggire  ai
suddetti   dubbi   di   costituzionalita',   allorche'    la    Corte
costituzionale ha escluso da simili censure misure in  considerazione
della portata transeunte del sacrificio imposto, si eccepisce che  un
sacrificio imposto dal 1 ° agosto 2011 al .31 dicembre 2014 non  puo'
definirsi "transeunte", specie per la categoria dei pensionati la cui
aspettativa di vita rispetto alla popolazione attiva. 
    2. Se il contributo di perequazione  in  esame  -  contraddicendo
allo stesso nomen iuris -  dovesse  invece  essere  configurato  come
contributo  previdenziale  in  senso  tecnico,  vale  a   dire   come
prestazione patrimoniale imposta per legge di cui all'art. 23  Cost.,
in attuazione dell'art. 2 Cost., non  verrebbe  per  questo  meno  la
violazione del principio  di  ragionevolezza  per  i  profili  dianzi
dedotti, in quanto il principio di legalita' dei tributi non puo' non
esser coniugato con  il  supremo  principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art. 3 Cost., principio fondante di uno Stato di diritto. 
    II. Illegittimita' costituzionale del comma 25 dell'art.  24  del
decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge  n.
214/2011, per contrasto con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. 
    La legge n. 111/2011 di conversione del decreto-legge n.  98/2011
ha  introdotto  all'art.  18,  sostituendo   il   terzo   comma   del
provvedimento  d'urgenza,  a  sua  volta  sostituito  dal  comma   25
dell'art.   24   del   decreto-legge   201/2011    convertito,    con
modificazioni, in legge  n.  214/2011,  una  nuova  disciplina  della
rivalutazione  automatica  precedentemente  in  vigore.  Tale   nuova
disciplina  e'  estremamente  restrittiva  fino  a   determinare   la
soppressione quasi totale dell'Istituto in questione. 
    Infatti,  stabilisce   la   norma:   "in   considerazione   della
contingente situazione finanziaria, la rivalutazione  automatica  dei
trattamenti   pensionistici,   secondo   il   meccanismo    stabilito
dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n.  448,  e'
riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS, nella misura del 100  per  cento.  Per  le  pensioni  di
importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e  inferiore
a tale limite incrementato della quota  di  rivalutazione  automatica
spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato". 
    La nuova disciplina, limitando in misura notevole il  trattamento
di pensione nella sua fase di adeguamento al costo della vita,  offre
il  fianco  alle  medesime  censure  di   incostituzionalita'   sopra
riportate a proposito del contributo di perequazione, alle  quali  si
rinvia. 
    Osservazioni piu' specifiche sono quelle  che  fanno  riferimento
alla violazione degli artt. 36  e  38  della  Costituzione;  infatti,
avendo  presente  che  il   trattamento   pensionistico   ha   natura
retributiva, perche' costituisce il prolungamento in  pensione  della
retribuzione goduta in  costanza  di  lavoro,  viene  in  discussione
l'inosservanza da parte del legislatore dell'art. 38, secondo  comma,
che  tutela  l'adeguatezza  della  prestazione  previdenziale;   tale
principio costituzionale appare messo in pericolo dalla quasi  totale
soppressione dell'unico istituto (rivalutazione) posto a tutela della
conservazione nel tempo del trattamento pensionistico;  inoltre,  con
l'introduzione di questa disciplina restrittiva, e' messa in pericolo
anche la proporzionalita' tra pensione e retribuzione goduta  durante
l'attivita' lavorativa, principio sancito dagli artt. 36 e 38  Cost.;
se e' vero che talvolta la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che
l'intervento  sporadico  del  legislatore  rivolto  a   contenere   o
sopprimere per un breve  periodo  la  rivalutazione  dei  trattamenti
pensionistici   medio/alti   non   viola    i    predetti    principi
costituzionali, e' altrettanto vero che tali affermazioni sono  state
bilanciate dalla considerazione che, al contrario, non e'  consentita
la  reiterazione  di  misure  intese  a  paralizzare  il   meccanismo
perequativo. 
    Rilevato che in questi ultimi  tempi  sono  stati  frequenti  gli
interventi  legislativi  rivolti   a   "bloccare"   la   perequazione
automatica per uno o piu' anni (art. 1, comma 19, legge n.  247/2007;
art. 19, comma 13, legge n. 449/997), che  la  norma  in  discussione
limita per un biennio (2011/2012) l'adeguamento, e che la limitazione
e' piuttosto pesante, appaiono fondati i dubbi di incostituzionalita'
anche con riferimento ai canoni di ragionevolezza e proporzionalita'. 
    In conclusione si chiede -  previa  rimessione  degli  atti  alla
Corte    costituzionale    per    l'esame    della    questione    di
costituzionalita': 
        a)  del  comma  22-bis  dell'art.  18  del  decreto-legge  n.
98/2011, convertito, con modificazioni, in legge  n.  111/2011,  come
reintrodotto dall'art. 2, comma  1  del  decreto-legge  n.  138/2011,
convertito in legge, con modificazioni, dalla  legge  n.  148/2011  e
s.m.i., per contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 53  e  23  Cost.,  nella
parte in cui, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino  al  31  dicembre
2014, i trattamenti pensionistici  corrisposti  da  enti  gestori  di
forme di previdenza  obbligatorie,  i  cui  importi  complessivamente
superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un  contributo
di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto
importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al  10  per  cento  per  la
parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente
200.000 euro; 
        b) del comma 25 dell'art. 24 del  decreto-legge  n.  201/2011
convertito, con modificazioni, in legge n.  214/2011,  per  contrasto
con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. - l'accoglimento del  ricorso,
con tutte le conseguenze di legge. 
    Con ulteriore memoria i ricorrenti hanno ribadito sostanzialmente
quanto gia' dedotto nell'atto introduttivo del giudizio,  anche  alla
luce della intervenuta sentenza costituzionale n. 223 del  2012,  che
confermerebbe in tesi attorea la manifesta fondatezza della questione
di legittimita' costituzionale sollevata in relazione  al  contributo
cui sono assoggettati nella specie solo i ricorrenti  in  pensione  e
non le corrispondenti categorie in  servizio,  con  riferimento  agli
artt. 1, 2, 3, 53 e 97. 
    Con memoria di costituzione e difesa il  resistente  INPS,  quale
successore ex lege dell'INPDAP, ai sensi dell'art. 21,  comma  1  del
decreto-legge n. 201 del 2011 convertito in legge n.  214  del  20]1,
controdedotto come segue. 
    I. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore delle
Commissioni tributarie regionali sulla domanda inerente il contributo
ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98;  in  via
pregiudiziale si eccepisce il difetto di  giurisdizione  della  Corte
dei conti in  favore  delle  Commissioni  tributarie  regionali,  con
riferimento alla domanda relativa al contributo ex 18,  comma  22-bis
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; cio'  in  quanto  il  petitum
sostanziale della pretesa, avversa non e'  costituto  dall'an  o  dal
quantum della pensione ma dalla contestazione della  legittimita'  di
una maggiorazione dell'imposta  sul  reddito  e  sulla  richiesta  di
restituzione di quanto versato all'erario; pertanto, la  controversia
esula dalla giurisdizione della Corte dei  conti  rientrando  tra  le
materie soggette alla giurisdizione tributaria ai sensi  dell'art.  2
del decreto-legge 546 del 31 dicembre 1992, secondo cui "Appartengono
alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto
i tributi di ogni  genere  e  specie,  comunque  denominati  compresi
quelli regionali, provinciali e  comunali  e  il  contributo  per  il
Servizio  sanitario  nazionale,   nonche'   le   sovrimposte   e   le
addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da  uffici
finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio..."; in  tal  senso
si sono piu' volte pronunciate le Sezioni unite della Cassazione  che
hanno  affermato  il  principio  secondo  cui:  "E'   devoluta   alla
giurisdizione del giudice tributario  la  controversia  promossa  dal
sostituito d'imposta, nei  confronti  del  sostituto  ai  fini  delle
imposte dirette, per pretendere il pagamento (anche) di quella  parte
del suo credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a  titolo
di ritenuta d'imposta;  si  tratta,  infatti,  di  un'indagine  sulla
legittimita' di detta ritenuta  integrante  non  una  mera  questione
pregiudiziale, suscettibile di  esser  delibata  incidentalmente,  ma
comporta una causa  tributaria  avente  carattere  pregiudiziale,  la
quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal
giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia,  in
litisconsorzio  necessario  anche  dell'amministrazione  finanziaria"
(Cass. [ord.] Sez. Un. 24-10-2007  n.  22272;  idem  Cass.  Sez.  Un.
24-10-2007, n. 22266.)"; e la natura  tributaria  del  contributo  in
questione e'  stata  affermata  e  riconosciuta  dalla  stessa  Corte
costituzionale  nella  sentenza  n.  241  del  24  ottobre  2012;  la
giurisdizione della Corte dei conti, al di fuori  della  contabilita'
pubblica, e' strettamente  limitata  alle  sole  materie  specificate
dalla legge;  nel  caso  della  materia  pensionistica,  l'ambito  di
competenza del giudice contabile e' circoscritto ai ricorsi  relativi
alla sussistenza e alla misura del diritto a pensione a carico totale
o parziale dello Stato (art. 62, primo  comma,  del  r.d.  12  luglio
1934, n. 1214), ovvero a  tutti  gli  altri  ricorsi  in  materia  di
pensione, attribuiti da leggi speciali alla Corte dei conti (art. 62,
secondo comma r.d. cit.), come, ad es., l'art. 60 del  r.d.  3  marzo
1938, n. 680, che ha riguardo alle pensioni dei dipendenti degli enti
locali. 
    II. Carenza parziale di legittimazione  passiva  dell'INPS  sulla
domanda  di  condanna  alla  restituzione   di   quanto   versato   -
Litisconsorzio  necessario   e   necessita'   di   integrazione   del
contraddittorio  nei  confronti  dell'Agenzia   delle   entrate;   la
riconosciuta  natura  tributaria   del   contributo   contestato,   a
prescindere dalla sollevata carenza di giurisdizione della Corte  dei
conti, impone altresi' un  approfondimento  sulla  sussistenza  della
legittimazione passiva dell'INPS nel giudizio atteso  che  l'Istituto
previdenziale resistenza agisce nel caso de quo quale mero  sostituto
di imposta, ex artt. 23 e 64, comma 1, D.P.R 29  settembre  1973,  n.
600; invero, seppure fosse ancora ipotizzabile la  partecipazione  in
giudizio dell'INPS al solo fine di renderlo edotto  dell'impugnazione
dell'atto impositivo ed allo scopo di rendere opponibile al sostituto
eventuale annullamento della norma, e' evidente che  in  nessun  caso
l'INPS potra' essere destinatario della domanda  di  restituzione  di
somme che non detiene per averle semplicemente trasferite all'erario,
mancando  nella  fattispecie  qualsiasi   presupposto   di   indebito
oggettivo;  pertanto  la  domanda  proposta  dai  ricorrenti  per  la
"condanna alla restituzione di quanto trattenuto per tali titoli, con
rivalutazione monetaria ed interessi dal di' di ciascuna trattenuta e
rateo di pensione sino al soddisfo", andava  proposta  nei  confronti
dell'Agenzia delle entrate che doveva essere convenuta  nel  presente
giudizio e nei  confronti  della  quale  dovrebbe  quantomeno  essere
integrato il contraddittorio ai sensi dell'art. 102  c.p.c.;  proprio
la contestazione sulla legittimita' della  norma  (norma  su  cui  si
fonda  l'atto  impositivo   contestato)   determina   la   necessaria
partecipazione  dell'Agenzia  delle  entrate,  parte  necessaria  del
procedimento cosi' come ritenuto dalla Corte  di  cassazione  Sezioni
unite, nella sentenza 18 gennaio 2007, n.  1052,  secondo  cui  "Ogni
volta  che  per  effetto  della  norma  tributaria  o  per   l'azione
esercitata  dall'amministrazione  finanziaria  (oggi  Agenzia   delle
entrate) l'atto impositivo debba essere o sia unitario,  coinvolgendo
nella unicita' della fattispecie  costitutiva  dell'obbligazione  una
pluralita' di soggetti, e il ricorso proposto da  uno  o  piu'  degli
obbligati abbia ad oggetto non la  singola  posizione  debitoria  del
ricorrente,  ma  la  posizione  inscindibilmente  comune  a  tutti  i
debitori rispetto  all'obbligazione  dedotta  nell'atto  autoritativo
impugnato,  ricorre  un'ipotesi  di  litisconsorzio  necessario   nel
processo tributario". 
    III.  In  ulteriore  subordine,  ove  si  ritenesse   la   natura
pensionistica  della  controversia,  si  eccepisce  il   difetto   di
competenza territoriale della adita Corte dei conti territoriale  con
riferimento ai  ricorrenti  non  residenti  nella  Regione  Lazio;  i
ricorrenti  non  residenti  nella  Regione  Lazio  avrebbero   dovuto
proporre il ricorso presso le Sezioni giurisdizionali della Corte dei
conti site nei capoluoghi di regione  dei  comuni  di  residenza;  in
particolare Gentile Domenico, residente  a  Cosenza,  avrebbe  dovuto
proporre ricorso alla Corte dei conti Sezione giurisdizionale per  la
Regione Calabria: Camozzi Antonio, residente a Napoli, avrebbe dovuto
proporre ricorso alla Corte dei conti Sezione giurisdizionale per  la
Regione Campania. 
    IV.  Infondatezza  della   domanda   nel   merito   e   manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata; in ogni caso la domanda dei ricorrenti  risulta  infondata
nel merito avendo l'INPS (ex INPDAP) agito in base a norme  di  legge
tuttora vigenti sia con riferimento all'art. art. 24,  comma  25  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 che  con  riferimento  all'art.
18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98;  invero  i
ricorrenti, assumono l'illegittimita' costituzionale delle  norme  in
questione con il proposito di  ottenere  una  rimessione  alla  Corte
costituzionale. 
    I dubbi di costituzionalita' delle norme, ad avviso della  difesa
dell'INPS, sono tuttavia da ritenersi privi di fondamento. 
    IV.a) legittimita' costituzionale  dell'art.  24,  comma  25  del
decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201.  L'art.  24,  comma  25  del
decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201  non  risulta  irragionevole  ed
appare del tutto coerente  con  l'evoluzione  della  normativa  sulla
rivalutazione delle pensioni; secondo i ricorrenti la suddetta  norma
contrasterebbe con gli articoli 36 e 38 della  Costituzione,  poiche'
il blocco seppure  temporaneo  della  rivalutazione  delle  pensioni,
farebbe venire meno la  natura  "retributiva"  della  pensione  quale
"prolungamento in pensione della retribuzione goduta in  costanza  di
lavoro";   al   riguardo   si   osserva   che   simili   profili   di
incostituzionalita'  sollevati  in  precedenza  sono   stati   sempre
respinti dal Giudice delle leggi; a titolo  esemplificativo  si  puo'
citare l'ordinanza 18 maggio 2006, n. 202 con la quale  la  Corte  ha
ritenuto "... manifestamente infondata la questione  di  legittimita'
costituzionale degli art. 2, legge 8 agosto 1991, n. 265,  11  d.lgs.
30 dicembre 1992, n. 503, 59. legge 27 dicembre  1997,  n.  449,  34,
legge 23 dicembre 1998, n. 448 e 69, legge 23 dicembre 2000, n.  388,
nella  parte  in  cui,  limitandosi  a  prevedere  un  meccanismo  di
perequazione  dell'importo   dei   trattamenti   pensionistici   alle
variazioni del costo della vita, determinerebbero un significativo ed
apprezzabile superamento del trattamento pensionistico dei magistrati
collocati a riposo con riguardo al trattamento economico proprio  dei
colleghi in servizio attivo ed allo stesso trattamento  pensionistico
dei magistrati collocati a  riposo  successivamente,  in  riferimento
agli artt.  36,  38  e  53  Cost.";  ancora  puo'  farsi  riferimento
all'ordinanza  17  luglio  2001,  n.  256,  con  la  quale  la  Corte
costituzionale ha ritenuto: "manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 59, 13 comma, legge 27 dicembre
1997, n. 449, nella parte in cui  esclude,  per  l'anno  1998,  dalla
perequazione  automatica  i  trattamenti  pensionistici  superiori  a
cinque volte il minimo INPS, in riferimento agli artt.  3,  36  e  38
Cost."; inoltre la norma censurata si  inserisce  nell'ambito  di  un
articolo (art. 24)  che  introduce  pesanti  limitazioni  a  tutti  i
trattamenti di pensione e non soltanto a quelle oggi in  discussione;
basti pensare che con la predetta si e' previsto: l'introduzione  del
sistema di calcolo della pensione contributivo pro rata anche  per  i
lavoratori che avevano mantenuto  il  sistema  retributivo  all'epoca
della legge 335/1995; l'innalzamento  a  66  anni  dell'eta'  per  la
pensione di vecchiaia, sia per gli uomini che  per  le  donne  (salvo
modifiche connesse all'aspettativa di vita), con necessita' di almeno
20 anni di anzianita' contributiva; l'introduzione  della  cosiddetta
"pensione anticipata", in luogo della "pensione di anzianita'" con il
requisito di 41 anni e un mese  di  anzianita'  contributiva  per  le
donne e 42 anni e un mese per gli uomini seppure con  penalizzazioni;
la  possibilita'  di  optare  per  la  liquidazione  del  trattamento
pensionistico esclusivamente con le regole del sistema  contributivo;
la specifica disposizione sulla  rivalutazione  delle  pensioni  piu'
elevate rientra in un  percorso  ormai  decennale  che  ha  visto  la
tendenziale cessazione degli automatismi  nella  rivalutazione  delle
pensioni per pervenire ad un criterio che  tenga  conto  del  reddito
complessivo;   il   sistema   di   perequazione    delle    pensioni,
originariamente basato sul punto unico  di  contingenza  secondo  gli
indici  ISTAT,  e'  stato  radicalmente   trasformato   dalle   leggi
succedutesi nel tempo (art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n.  730;
art. 59 della legge 27 dicembre l997, n. 449, art. 34 della legge  n.
448 del 1998), con la conseguenza  che  la  perequazione  dell'intero
trattamento nelle sue due componenti  di  pensione  e  di  indennita'
integrativa speciale, ha reso  incompatibile  il  riconoscimento  del
diritto  alla   riliquidazione   delle   variazioni   dell'indennita'
integrativa speciale; cio' e'  avvenuto  per  effetto  dell'art.  21,
comma 8 della legge 27 dicembre  1983,  n.  730,  secondo  cui  "Agli
effetti delle disposizioni di cui al presente articolo  le  pensioni,
alle quali  si  applica  la  disciplina  dell'indennita'  integrativa
speciale  ...   1°   maggio   1984   sono   considerate   comprensive
dell'indennita' stessa. Gli aumenti dovuti ai sensi del  terzo  comma
sono attribuiti sull'indennita' integrativa speciale, ove competa,  e
sulla pensione con le modalita' che saranno stabilite con il  decreto
interministeriale di cui al  secondo  comma";  il  sistema  e'  stato
confermato ed esteso dalle norme successive fra cui, in  particolare:
l'art. 24, commi 4 e 5 dell'articolo 24 della legge 28 febbraio 1986,
n. 41 che ha precisato i criteri per il calcolo della perequazione di
cui alla legge 730/1983 precisando, tra l'altro che  "La  percentuale
di aumento si  applica  sull'importo  non  eccedente  il  doppio  del
trattamento minimo del fondo pensioni per  i  lavoratori  dipendenti.
Per le fasce di importo comprese fra  il  doppio  ed  il  triplo  del
trattamento minimo detta percentuale e' ridotta al 90 per cento.  Per
le fasce di importo superiore al triplo  del  trattamento  minimo  la
percentuale e' ridotta al 75 per cento";  l'art.  11  del  d.lgs.  30
dicembre l992, n. 503, con previsione del calcolo della  perequazione
con decorrenza dal 1994, sulla base del  solo  adeguamento  al  costo
vita con cadenza annuale ed effetto dal primo novembre di ogni  anno;
l'art. 59 della legge 2, dicembre 1997, n. 449, commi 4 e 13  che,  a
decorrere  dal  1°  gennaio  1998,  ha  esteso  a  tutte   le   forme
pensionistiche   i   criteri   di   adeguamento   delle   prestazioni
pensionistiche previsti dal suddetto art. 11, d.lgs. 503/1992  ed  ha
introdotto limiti di aumento in misura variabile con  riferimento  ai
trattamenti pensionistici che dovessero superare da  cinque  ad  otto
volte il trattamento minimo INPS; si rammenta inoltre l'art. 34 della
legge n. 448 del 1998 che, con  l'istituzione  del  Casellario  delle
pensioni,  ha  disposto   che   la   perequazione   dei   trattamenti
pensionistici debba farsi con riferimento all'insieme dei trattamenti
pensionistici goduti dal medesimo beneficiario anche  se  riferiti  a
diverse  gestioni;  ancora,  l'art.  18,  commi  6,  7,  8  e  9  del
decreto-legge 6 luglio  2011,  n.  98,  interpretando  autenticamente
l'art. 10, comma 4, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 e l'art.
21,  ottavo  comma,  della  legge  27  dicembre  1983,  n.  730,   ha
ridimensionato la perequazione delle pensioni godute  dai  cosiddetti
"baby pensionati" cessati dal servizio prima del  1995  con  meno  di
quarant'anni e con l'IIS calcolata in quarantesimi, ossia di soggetti
che  percepiscono  trattamenti   di   modesta   entita'   non   certo
paragonabili a quelli degli attuali ricorrenti; la norma censurata e'
quindi una disposizione dettata da  una  situazione  di  emergenza  e
contingente che colpisce tutti i pensionati pubblici e privati  senza
distinzioni di sorta in materia  progressiva  secondo  le  rispettive
capacita' reddituali. 
    IV.b) legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 22-bis  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; L'INPS ritiene infondate anche le
censure  rivolte  dai  ricoprenti  all'art.  18,  comma  22-bis   del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98; si tratta di un prelievo  fiscale
straordinario  temporaneo  e  straordinario  gravante   sulla   quota
eccedente delle pensioni di importo elevato  che  e'  stato  definito
"perequativo"  in  senso  atecnico,  intendendo  il  legislatore  per
perequazione non gia' la rivalutazione del trattamento di pensione ma
la "riconduzione ad  equita'"  delle  cosiddette  pensioni  d'oro  in
rapporto all'intera platea dei pensionati che ha pesantemente colpito
per  effetto  della  crisi  finanziaria   in   atto;   a   differenza
dell'analogo contributo sulle retribuzioni  dei  dipendenti  pubblici
introdotto dall'articolo 9, comma 2,  del  decreto-legge  n.  78  del
2010, gia' dichiarato incostituzionale con  la  recente  sentenza  n.
223/2012, il  contributo  di  perequazione  in  questione  vede  come
destinatari   l'intera   platea   dei   titolari    di    trattamenti
pensionistici, anche integrativi,  e  pertanto  non  sono  fondati  i
rilievi di illegittimita' della  norma  con  riferimento  all'art.  3
della  Costituzione,  dal   momento   che   le   uniche   prestazioni
pensionistiche escluse dal contributo risultano essere le prestazioni
assistenziali  (rispetto   alle   quali,   d'altronde,   risulterebbe
difficile ipotizzare il superamento degli importi previsti dal  comma
22-bis, ratione mensurae), gli assegni straordinari  di  sostegno  al
reddito, le pensioni erogate alle vittime del terrorismo e le rendite
dell'INAIL; risulta altresi'  infondata,  a  parere  dell'INPS  anche
l'ulteriore obiezione, riferita al presunto vulnus del  principio  di
uguaglianza in relazione alla capacita' contributiva di cui  all'art.
53 Cost. per essere  i  titolari  di  elevate  pensioni  discriminati
rispetto alla generalita' dei consociati; considerato che, secondo la
giurisprudenza della Corte costituzionale, la formulazione  dell'art.
53 Cost.: "Tutti sono tenuti a concorrere  alle  spese  pubbliche  in
ragione della loro Capacita' contributiva", impone che  il  principio
dell'universalita' dell'imposizione debba essere valutato in  termini
non  assoluti  ma  relativi,  in  necessario  coordinamento  con   il
principio solidaristico e di uguaglianza di cui  agli  artt.  2  e  3
Cost.; sicche' il legislatore, con il limite della  ragionevolezza  e
dei criteri di progressivita' e proporzionalita', puo' ben introdurre
per  singole  categorie  di  contribuenti  specifici   tributi,   non
risultando un obbligo di indistinta ed uniforme imposizione. 
    V. Sussistenza di analoga q.l.c. gia' pendente innanzi alla Corte
costituzionale richiesta di sospensione pregiudiziale  del  giudizio;
l'art. 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio  2011,  n.  98  e'
stato sottoposto al vaglio di costituzionalita' da parte della  Corte
dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Campania,  la  quale
con ordinanza di rimessione del 20 luglio 2012 pubblicata sulla  G.U.
n. 45 del 14 novembre 2002 resa nell'ambito del giudizio proposto  da
Staro Salvatore c/INPDAP ed  altri,  ha  sollevato  la  questione  di
legittimita' costituzionale della suddetta norma con riferimento agli
artt. 2, 3, 53 e 97 della Costituzione, per motivi del tutto analoghi
a  quelli  qui  prospettati;   pertanto,   ove   la   adita   Sezione
giurisdizionale  dovesse  condividere   i   dubbi   manifestati   dai
ricorrenti, potra' ordinare la sospensione  del  giudizio  in  attesa
della pronuncia della Corte costituzionale sulla q.l.c. sollevata. 
    In conclusione,  si  chiede  che  questa  Corte  voglia:  in  via
pregiudiziale, ritenere il proprio difetto di giurisdizione in favore
delle Commissioni tributarie regionali con riferimento  alla  domanda
relativa il contributo ex 18, comma 22-bis del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98; sempre in via pregiudiziale  e  nel  rito,  accertare  e
ritenere parziale carenza di legittimazione passiva dell'INPS nonche'
la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio  necessario  ex  art.
102. c.p.c. nei confronti dell'Agenzia  delle  entrate,  quale  parte
necessaria nelle controversie inerenti la sussistenza l'ammontare  di
imposte e i tributi e la  restituzione  di  somme  asseritamente  non
dovute   a   tale   titolo,   con   conseguente   integrazione    del
contraddittorio nei confronti della suddetta Agenzia; ancora  in  via
pregiudiziale e nel rito, dichiarare il proprio difetto di competenza
relativamente alle  domande  dei  ricorrenti:  Gentile  Domenico,  in
favore della Corte dei conti Sezione giurisdizionale per  la  Regione
Calabria, Camozzi Antonio, in favore della Corte  dei  conti  Sezione
giurisdizionale per la Regione Campania; nel  merito,  respingere  in
ogni caso le domande attoree perche' infondate in fatto e diritto per
i  motivi  sopra  evidenziati,  con  declaratoria  della  correttezza
dell'operato dell'INPS nell'applicazione delle  norme  richiamate  in
premessa; in via subordinata disporre  la  sospensione  del  presente
giudizio  in  attesa  della  pronuncia  della  Corte   costituzionale
sull'ordinanza  di  rimessione  della   Corte   dei   conti   Sezione
giurisdizionale per la Regione Campania del 20 luglio 2012 pubblicata
sulla G.U. n. 45 del 14 novembre 2002; con il favore delle spese. 
 
                           Considerato che 
 
    I ricorrenti,  titolari  di  trattamento  pensionistico  diretto,
chiedono: A) il riconoscimento del diritto a percepire il trattamento
pensionistico senza le decurtazioni derivanti  dall'applicazione  del
contributo di perequazione di' cui  all'art.  18,  comma  22-bis  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come  successivamente  modificato
dall'art, 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011 n.  201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,
la  cui  vigenza  e'  stata  solo  ribadita,  senza  nulla  innovare,
dall'art. 2, comma 1,  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
B) la integrale rivalutazione automatica del medesimo trattamento  di
quiescenza, ovvero senza i limiti recati dal disposto di cui all'art.
4,  comma  25  del  decreto-legge   n.   201/2011   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
    Quanto  sopra,  previa   rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale per l'esame delle questioni di  costituzionalita':  A)
del comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111,
come  successivamente  modificato  dall'art.  24,  comma  31-bis  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza  e'  stata  solo
ribadita,  senza  nulla  innovare,  dall'art.   2,   comma   1,   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli artt. 1,
2, 3,  53,  23  e  97  Cost.;  B)  del  comma  25  dell'art.  24  del
decreto-legge n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge  n.
214/2011, per contrasto con gli artt. 3, 53, 27, 36 e 38 Cost. 
    Quanto alla seconda questione di legittimita'  costituzionale  di
cui al punto B), la  stessa  -  ancorche'  rilevante  -  si  appalesa
manifestamente infondata e su di  essa  si  dispone  con  contestuale
separato provvedimento recante le motivazioni del rigetto. 
    Quanto alla prima questione di legittimita' costituzionale di cui
al punto A) che precede, appare evidente nella specie la  sussistenza
della condizione della rilevanza posta all'autorita'  giurisdizionale
dall'art. 23, secondo comma della legge n:- 87  del  1953  per  poter
sollevare   questione   di   legittimita'   costituzionale,    ovvero
dell'impossibilita'  di  poter  definire   il   giudizio   in   esame
"indipendentemente dalla risoluzione della questione di  legittimita'
costituzionale"   della   normativa   coinvolta,    trattandosi    di
disposizione di legge (comma 22-bis dell'art. 18, del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  15
luglio 2011, n. 111, come successivamente  modificato  dall'art.  24,
comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201,  convertito
con modificazioni, dalla legge 22  dicembre  2011,  n.  214,  la  cui
vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla  innovare,  dall'art.  2,
comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.  148)  pacificamente
applicabile ed  invero  autoritativamente  applicata  al  trattamento
pensionistico dei  ricorrenti,  stante  l'univoco  e  cogente  tenore
letterale che la connota, con  la  conseguente  necessaria  influenza
(sub specie di stretta pregiudizialita') di un'eventuale pronuncia di
accoglimento da parte della Corte costituzionale sulla decisione  del
presente giudizio; impossibilita' di poter definire  il  giudizio  in
esame  "indipendentemente  dalla  risoluzione  della   questione   di
legittimita' costituzionale" che postula logicamente la giurisdizione
di  questa  Corte  dei  conti  nella  materia  oggetto   di   ricorso
giurisdizionale, da ritenersi nella specie  sussistente  sul  rilievo
che  il  petitum  sostanziale,  da  identificare  in  funzione  della
intrinseca  natura  della  poisizione  dedotta  in  giudizio   (causa
petendi) dai ricorrenti - ovvero l'oggetto della  domanda  sulla  cui
base va determinata,  a  norma  dell'art.  386  cod.  proc.  civ.  la
giurisdizione  -  attiene,  per  quel  che  qui  occupa,  al  preteso
riconoscimento  del  diritto  alla  corresponsione  del   trattamento
pensionistico senza le decurtazioni patrimoniali definitive  previste
dal comma 22-bis dell'art. 18, decreto-legge 6  luglio  2011  n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio  2011,  n.  111,
come  successivamente  modificato  dall'art.  24,  comma  31-bis  del
decreto-legge 6 dicembre 2011. n. 201, convertito con  modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214;  ovvero  al  mantenimento  del
trattamento pensionistico fruito anteriormente al 1° agosto 2011; con
cio' risultando evidente che il tema su cui  si  controverte  attiene
alla determinazione  dell'ammontare  del  trattamento  pensionistico,
rimesso alla giurisdizione esclusiva sulla Corte dei conti. 
    Invero, la giurisdizione della Corte  dei  conti  in  materia  di
pensioni (ai sensi degli artt. 13 e 62 de R.D. n. 1214 del  1933)  ha
carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio  di  collegamento
costituito dalla  materia,  onde  in  essa  sono  comprese  tutte  le
controversie in cui il rapporto  pensionistico  costituisca  elemento
identificativo  del  petitum  sostanziale,  ovvero  sia  comunque  in
questione la misura della prestazione previdenziale (Cass. civ.  Sez.
unite, Sent. n. 8324 del 2010). 
    La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto  da
una  norma   "certamente   di   natura   tributaria"   (sent.   Corte
costituzionale n. 241 del 2012, non trasforma il rapporto tra gestori
di forme  di  previdenza  obbligatorie  e  beneficiari  dei  relativi
trattamenti  pensionistici  in  un  rapporto  tributario,   di   tipo
pubblicistico, il quale implica - diversamente dal caso di specie  un
soggetto  investito  di  potestas  impositiva  ed  un   provvedimento
espressione di tale potere (Sentenza Cass. n. 15031/2009). 
    Nella fattispecie,  il  rapporto  tra  INPDAP/INPS  e  pensionati
percettori - al  quale  e'  estranea  l'Amministrazione  finanziaria,
coerentemente non evocata in questo giudizio  -  non  contiene  quale
petitum  sostanziale,  una  contestazione   diretta   della   debenza
all'Erario della somma trattenuta, ovvero un rappotto tributario  tra
contribuente ed Amministrazione (come tale  rimesso  alla  competenza
esclusiva del giudice tributario: cfr. Cass. civ. Sez. unite, ord. n.
22381 del 2011), ma attiene ad un rapporto pensionistico, atteso  che
- siccome affermato, mutatis  mutandis,  dalla  Sezioni  unite  della
Corte  di  cassazione  nella  sentenza  n.  2064  del  2011   -   "le
controversie relative all'indebito pagamento dei tributi  seguono  la
regola della devoluzione  alla  giurisdizione  speciale  del  giudice
tributario soltanto quando si debba impugnare uno degli atti previsti
dal d.lgs. n. 54 del 1992, art. 19 e, di conseguenza, il convenuto in
senso formale sia uno dei soggetti indicati nell'art. 10,  d.lgs.  n.
546 del 1992. Quando la  controversia  si  svolga  tra  due  soggetti
privati in assenza di un provvedimento che sia  impugnabile  soltanto
dinanzi al giudice tributario, il giudice  ordinario  si  riappropria
della giurisdizione e non rileva che la composizione della lite debba
passare attraverso la interpretazione di una norma tributaria. 
    Si  ritiene  altresi'  che  la  questione   sollevata   non   sia
manifestamente infondata, ai sensi dello stesso art. 23, econdo comma
della legge n. 87 del  1953,  per  i  motivi  e  con  riferimento  ai
parametri costituzionale che seguono. 
    Invero, come recentemente affermato  dalla  Corte  costituzionale
con sentenza n. 241 del 2012, il "contributo di perequazione" di  cui
al  comma  22-bis  dell'art.  18  del   decreto-legge   n.   98/2011,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 e  s.m.i.  "e'
previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti  da  enti
gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha  natura  certamente
tributaria, in  quanto  costituisce  un  prelievo  analogo  a  quello
effettuato  sul  trattamento  economico  complessivo  dei  dipendenti
pubblici ... nella parte dichiarata illegittima da questa  Corte  con
sentenza n. 223  del  2012  e  la  cui  natura  tributaria  e'  stata
espressamente  riconosciuta  dalla  medesima   sentenza.   La   norma
impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale  definitiva
del trattamento pensionistico, con acquisizione al  bilancio  statale
del relativo ammontare, che  presenta  tutti  i  requisiti  richiesti
dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare  il  prelievo
come tributario  ...",  ovvero,  indipendentemente  dal  nomen  juris
attribuitole  dal  legislatore,  quelli  di  un   prelievo   coattivo
finanziato al concorso delle pubbliche spese, posto a  carico  di  un
soggetto passivo  in  base  ad  uno  specifico  indice  di  capacita'
contributiva  che  deve  esprimere  l'idoneita'  di   tale   soggetto
all'obbligazione tributaria. 
    Da quanto precede consegue che - richiamando principi riaffermati
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 223  del  2012  secondo
cui "«la Costituzione  non  impone  affatto  una  tassazione  fiscale
uniforme, con criteri  assolutamente  identici  e  proporzionali  per
tutte le tipologie di  imposizione  tributaria,  ma  esige  invece_un
indefettibile raccordo con la capacita' contributiva in un quadro  di
sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come  svolgimento
ulteriore,  nello  specifico  campo  tributario,  del  principio   di
eguaglianza,  collegato  al  compito  di  rimozione  degli   ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei
cittadini-persone  umane,  in  spirito  di   solidarieta'   politica,
economica e sociale (artt. 2 e 3 della  Costituzione)»  (sentenza  n.
341 del 2000). Pertanto, il controllo  della  Corte  in  ordine  alla
lesione dei principi di cui all'art. 53  Cost.,  come  specificazione
del fondamentale principio di uguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.,
consiste in  un  «giudizio  sull'uso  ragionevole,  o  meno,  che  il
legislatore-stesso abbia  fatto  dei  suoi  poteri  discrezionali  in
materia tributaria, al fine di verificare la coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la
non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del
1997)." - occorre verificare se il contributo di perequazione,  quale
norma di natura tributaria, si ponga in contrasto con gli artt. 2,  3
e 53 della Costituzione, pretermettendosi dall'analisi il pur evocato
parametro di cui all'art. 23 della Costituzione,  postulabile  invero
solo nella subordinata e  controfattuale  ipotesi  della  natura  non
tributaria del prelievo; mentre inconferente si appalesa  ictu  oculi
il richiamo all'art. 97 della Costituzione, parametro invero  atto  a
sindacare   la   ragionevolezza    di    leggi    che    disciplinano
l'organizzazione e, di riflesso, l'attivita' amministrativa;  siccome
irrilevante nella specie e' il richiamo alla violazione  dell'art.  l
della Costituzione, trattandosi  di  una  disposizione  di  principio
priva di sostanziale cogenza prescrittiva, quale  autonomo  parametro
nel giudizio di costituzionalita'. 
    Ritiene questo giudice che la disposizione di cui al comma 22-bis
dell'art.  18  del  decreto-legge   n.   98/2011,   convertito,   con
modificazioni,  nella   legge   n.   111/2011   e   s.m.i.,   recante
l'introduzione di  un'imposta  speciale,  ancorche'  transitoria  ("a
decorrere dal 1°  agosto  2011  e  fino  al  31  dicembre  2014")  ed
eccezionale ("In considerazione della eccezionalita' della situazione
economica  ..."),  a  carico  dei  soli  "trattamenti   pensionistici
corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria",  si
ponga in contrasto con il principio di parita' di prelievo a  parita'
di presupposto d'imposta economicamente rilevante, siccome  postulato
dai richiamati artt. 2, 3 e 53 della Costituzione. 
    Ed invero, da un lato, a parita' di reddito con la categoria  dei
lavoratori (pubblici o privati), il prelievo  e'  ingiustificatamente
posto a carico della sola categoria dei pensionati di enti gestori di
forme  di  previdenza  obbligatoria,  con  conseguente  irragionevole
limitazione della platea dei soggetti passivi, tenuto conto  che,  se
l'eccezionalita'  della  situazione  economica  che  lo  Stato   deve
affrontare consente  al  legislatore  di  intervenire  con  strumenti
eccezionali, nondimeno e' compito dello Stato garantire  il  rispetto
dei principi  fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale  ed,  in
particolare  del  principio  di   uguaglianza   su   cui   si   fonda
l'ordinamento  costituzionale;  principio   di   uguaglianza   (quale
specificato nell'art. 53 della Costituzione) in ossequio al quale  la
Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2010, ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  9,  comma   2,   del
decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78,  ravvisando  un'ingiustificata
limitazione ai soli dipendenti  pubblici  dell'imposta  speciale  ivi
prevista, determinativa di un irragionevole effetto  discriminatorio;
indicando viceversa, in positivo, la compatibilita' costituzionale di
misure che, in  un'ottica  di  solidarieta'  economica  correlata  ad
eccezionali finalita' di carattere finanziario, si caratterizzino per
una modulazione universale dell'intervento impositivo  a  parita'  di
presupposti  economici;  compatibilita'   costituzionale   che,   con
specifico riferimento ai parametri costituzionali di cui al combinato
disposto degli artt. 2, 3 e 53 della  costituzione  non  puo'  essere
postulata nei confronti di disposizioni che  -  come  quella  oggetto
della  presente  rimessione  -  conducono   irragionevolmente   nella
fattispecie oggetto di scrutinio ad un prelievo "di solidarieta'" nei
confronti dei soli pensionati, pretermettendo, per l'effetto  indotto
dal decisum costituzionale di cui alla  sentenza  n.  223  del  2012,
l'omologo personale in  servizio,  pur  in  una  ottica  emergenziale
complessiva caratterizzata da identicita' di ratio, con il risultato,
peraltro gia' sanzionato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
119  del  1981,  sub  specie  della  vulnerazione  del  principio  di
eguaglianza in relazione alla capacita'  contributiva  sancito  dagli
artt. 3 e  53  della  Costituzione,  che  la  suddetta  categoria  di
pensionati e' stata cosi' colpita  in  misura  maggiore  rispetto  ai
titolari di altri redditi  e,  piu'  specificamente,  di  redditi  da
lavoro dipendente. 
    Dall'altro  lato,  ulteriore  motivo,  di  censura  puo'   essere
individuato nella stessa entita' del contributo di  perequazione  che
invero, non si correla con un altro  prelievo  speciale  di  indubbia
natura tributaria (cfr. sent. Corte costituzionale n. 223 del  2012),
ovvero il contributo di solidarieta' previsto dall'art. 2,  comma  2,
del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito  in  legge  n.
148 del 14 settembre  2011,  secondo  cui  "In  considerazione  della
eccezionalita' della situazione  economica  internazionale  e  tenuto
conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica concordati in  sede  europea,  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul  reddito  complessivo  di
cui all'articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi  di  cui
al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,
e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi
annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento  sulla
parte eccedente il predetto  importo.  Ai  fini  della  verifica  del
superamento del limite di 300.000 euro rilevano anche il  reddito  di
lavoro dipendente di cui all'articolo 9, comma 2,  del  decreto-legge
31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla  legge  30
luglio 2010, n. 122; al lordo della  riduzione'  ivi  prevista,  e  i
trattamenti pensionistici di cui all'articolo 18, comma  22-bis,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011,  n.  111,  al  lordo  del  contributo  di
perequazione ivi previsto.  Il  contributo  di  solidarieta'  non  si
applica sui redditi di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30
luglio 2010, n. 122, e di cui  all'articolo  18,  comma  22-bis,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarieta'  e'
deducibile dal reddito complessivo ...". 
    Con la conseguenza irragionevole ed  ingiustificata,  che  -  con
riferimento a interventi "di solidarieta'  connotati  da  sostanziale
identita'  di  ratio  -  i  contribuenti  titolari  di:  un   reddito
complessivo superiore a 300.000 euro, sono tenuti al versamento di un
contributo di solidarieta' del 3% sulla parte di reddito  che  eccede
il predetto importo, qualunque siano le componenti del  loro  reddito
complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici  e  fermo  restando
che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a  quelli
gia'  assoggettati  al   contributo   di   perequazione;   mentre   i
contribuenti assoggettati al contributo  di  perequazione,  ovvero  i
ricorrenti,  versano  (per  far  fronte  alla  medesima   eccezionale
situazione economica) quanto previsto secondo gli scaglioni  indicati
dall'art. 22-bis del decreto-legge 98/2011, convertito  in  legge  n.
111/2011, come successivamente modificato dall'art. 24, comma  31-bis
del  decreto-legge  6  dicembre  2011,   n.   201,   convertito   con
modificazioni, dalla legge 22  dicembre  2011,  n.  214,  subendo  in
particolare un  prelievo  del  15%  sui  redditi  superiori  ad  euro
200.000;  quanto  sopra  -  in  disparte  la   circostanza   comunque
sintomatica, ancorche' non rilevante ai fini del  presente  giudizio,
che oltre la soglia di reddito di 300.000 euro lordi annui, a parita'
di reddito, si avra' per l'una categoria tendenzialmente  universale)
l'imposizione del 3%, per l'altra (circoscritta  ai  soli  pensionati
titolari di trattamenti di quiescenza corrisposti da enti gestori  di
forme di previdenza obbligatoria) l'imposizione del 15% - in  patente
violazione   dei   canoni   costituzionali   dell'eguaglianza   della
ragionevolezza  stabiliti  dall'art.  3,  nonche'  del  canone  della
capacita' contributiva e del criterio di progressivita' delle imposte
sanciti dall'art. 53; noto essendo che i parametri posti  dagli  art.
2, 3 e  53  della  Costituzione  postulano,  nell'insegnamento  della
giurisprudenza costituzionale, quale presupposto  di  un  ragionevole
esercizio della discrezionalita' legislativa in materia, un  raccordo
dell'imposizione   tributaria   con   la   capacita'    contributiva,
nell'ambito di un  sistema  informato  a  criteri  di  progressivita'
declinati quale specificazione nel contesto tributario del  principio
di uguaglianza, collegato nella  specie  ai  doveri  di  solidarieta'
economica  e  sociale  previsti  dall'art.  2   della   Costituzione;
parametri che appaiono pretermessi nella circostanza dal  legislatore
con la disposizione in esame. 
    Disposizione che, quale corollario delle censure  che  precedono,
qualora non venisse espunta dal sistema  giuridico,  ridonderebbe  in
ulteriore profilo di irrazionalita'  complessiva  del  sistema  delle
imposte speciali cosi' delineate (tutte,  come  visto,  connotate  da
analoga ratio  e  finalita'),  con  correlato  irragionevole  effetto
discriminatorio derivato (sub specie  della  coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con  il  suo  presupposto  economico),  tenuto
conto che lo stesso contributo di solidarieta' di cui citato art.  2,
comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto  2011  convertito  in
legge n. 148 del 14 settembre 2011, non si applica sui redditi di cui
all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78
convertito, con modificagioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e
di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge luglio  2011,
n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,  n.
111; determinando percio' - in esito alla intervenuta declaratoria di
incostituzionalita' del disposto di cui all'articolo 9, comma 2,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recata dalla richiamata  sentenza
costituzionale n. 223 del  2012  -  un  irragionevole  ed  arbitrario
disallineamento   normativo   derivante   dall'asimmetricita',    nel
meccanismo impositivo del contribtp di solidarieta', dei  presupposti
reddituali di esclusione; atteso che il contributo di solidarieta' si
applica solo per la parte di reddito complessivo, eccedente i 300,000
euro, che trova capienza in redditi di categoria diversa da quelli di
lavoro dipendente (dove rientrano retribuzioni e pensioni) proprio in
quanto  rispettivamente  gia'  assoggettati  a  riduzione  (non  piu'
attuale in esito alla sentenza costituzionale n. 223 del 2012) ovvero
al contributo di perequazione (oggetto della  presente  ordinanza  di
rimessione); meccanismo che, nel  contesto  di  bilanciamento  tra  i
valori  costituzionali  dell'interesse  fiscale  e  della   capacita'
contributiva, si  connota  per  un  intrinseco  difetto  di  coerenza
interna e di razionalita' dell'assestamento normativo cosi'  venutosi
a delineare, come tale  -  alla  luce  dei  parametri  costituzionali
ripetutamente  evocati  -  sindacabile  alla  luce  del  criterio  di
irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso  trattamento  riservato
ai ricorrenti dalla norma qui oggetto di censura. 
    Per quanto suesposto, ai sensi dell'art. 23, secondo comma  della
legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente infondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  del   comma   22-bis
dell'art. 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge   15   luglio   2011,   n.   111,   come
successivamente   modificato   dall'art.   24,   comma   31-bis   del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui vigenza  e'  stata  solo
ribadita,  senza  nulla  innovare,  dall'art.   2,   comma   1,   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli articoli
2, 3 e 53 della Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti  gli  artt.  134  della   Costituzione;   1   della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11  marzo  1953,
n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per  contrasto
con gli articoli 2,  3  e  53  della  Costituzione  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  del  comma  22-bis  dell'art.  18,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come  successivamente  modificato
dall'art. 24, comma 31-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,
la  cui  vigenza  e'  stata  solo  ribadita,  senza  nulla  innovare,
dall'art. 2, comma 1, del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, con gli atti e con la  prova  delle  notificazioni  e
delle comunicazioni prescritte nell'art.  23  della  legge  11  marzo
1953,  n.  87  (ex  artt.  l  e  2  del   regolamento   della   Corte
costituzionale 16 marzo 1956), con sospensione del  giudizio  per  la
fattispecie oggetto della presente rimessione. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
 
        Cosi' deciso in Roma,  nell'udienza  pubblica  del  giorno  8
marzo 2013. 
 
                          Il Giudice: Torri