N. 143 SENTENZA 17 - 20 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Condannati sottoposti al regime  speciale
  di sospensione delle regole del trattamento - Previsione di  limiti
  di durata e di frequenza dei colloqui visivi  e  telefonici  con  i
  propri difensori - Lesione del diritto di difesa  -  Illegittimita'
  costituzionale parziale - Assorbimento di ulteriori censure. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera
  b), ultimo periodo, come modificato dall'art. 2, comma 25,  lettera
  f), numero 2), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 24 (artt. 3 e 111, terzo comma) 
(GU n.26 del 26-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 41-bis,
comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), come modificato dall'articolo
2, comma 25, lettera f), numero 2), della legge 15 luglio 2009, n. 94
(Disposizioni  in  materia  di  sicurezza  pubblica),  promosso   dal
Magistrato di sorveglianza di Viterbo sul reclamo  proposto  da  G.D.
con ordinanza del 7 giugno 2012, iscritta  al  n.  241  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24  aprile  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 7 giugno 2012, il  Magistrato  di
sorveglianza di Viterbo ha sollevato, in riferimento agli articoli 3,
24 e 111, terzo comma, della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'articolo  41-bis,  comma  2-quater,  lettera  b),
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), come modificato dall'articolo 2, comma  25,  lettera
f), numero 2), della legge 15 luglio 2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia  di  sicurezza  pubblica),  «nella  parte  in  cui  introduce
limitazioni al diritto di espletamento dei colloqui con  i  difensori
nei confronti dei detenuti sottoposti alla sospensione  delle  regole
di trattamento ai sensi del medesimo art. 41-bis». 
    Il giudice a  quo  riferisce  di  essere  investito  del  reclamo
proposto da un detenuto, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 354 del
1975, avverso il provvedimento dell'8  settembre  2011,  con  cui  il
direttore della casa  circondariale  di  Viterbo  aveva  respinto  la
richiesta del reclamante volta ad ottenere un colloquio visivo con un
avvocato, designato come suo difensore di fiducia in un  procedimento
penale pendente davanti al Tribunale di Palmi. 
    Il  diniego  si  basava  sul  disposto  dell'art.  41-bis,  comma
2-quater, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 354 del 1975, in
forza  del  quale  i  detenuti  sottoposti  al  regime  penitenziario
speciale previsto dal comma 2 del medesimo articolo sono  ammessi  ad
effettuare con i difensori, «fino ad un massimo  di  tre  volte  alla
settimana, una telefonata o  un  colloquio  della  stessa  durata  di
quelli previsti con i familiari», pari rispettivamente a dieci minuti
e a un'ora. 
    Con circolari del 3 settembre 2009, del 3 dicembre 2009 e del  1°
aprile  2010  -  esse  pure  poste  a  fondamento  del  provvedimento
impugnato - il Dipartimento  dell'Amministrazione  penitenziaria  del
Ministero della giustizia  ha  precisato  che  le  limitazioni  sopra
indicate operano a prescindere dal  numero  dei  procedimenti  per  i
quali il detenuto risulta imputato o condannato e, quindi, dal numero
dei legali patrocinanti, e ha inoltre  riconosciuto  al  detenuto  la
facolta'  di  effettuare  un  unico  colloquio  visivo  o  telefonico
prolungato, della durata rispettivamente  di  tre  ore  o  di  trenta
minuti, in luogo dei tre distinti colloqui settimanali di un'ora o di
dieci minuti ciascuno. 
    Nella specie,  il  reclamante  -  nei  cui  confronti  era  stata
disposta la sospensione delle regole di trattamento con  decreto  del
Ministro della giustizia del 5 agosto 2010, per un periodo di quattro
anni - non aveva potuto effettuare  il  richiesto  colloquio  con  il
difensore  il  giorno  8  settembre  2011,  avendo  gia'  fruito   il
precedente  5  settembre  -  e,  dunque,  nell'ambito  della   stessa
settimana -  di  tre  ore  consecutive  di  colloquio  con  un  altro
difensore,  designato  nel  procedimento  di  sorveglianza  originato
dall'impugnazione   del   decreto   di   sottoposizione   al   regime
penitenziario speciale. 
    Con il reclamo, l'interessato aveva lamentato l'avvenuta  lesione
del   proprio   diritto   di   difesa,   eccependo   l'illegittimita'
costituzionale  della  norma  posta  a  base  della   decisione   del
direttore. 
    Cio' premesso, il rimettente rileva - quanto alla  non  manifesta
infondatezza della questione - che la Corte  costituzionale,  con  la
sentenza  n.   212   del   1997,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 18 della legge n. 354 del 1975, nella  parte
in cui non prevede che il condannato in via definitiva ha diritto  di
conferire con il  difensore  fin  dall'inizio  dell'esecuzione  della
pena. A seguito di tale pronuncia, i  detenuti  in  regime  ordinario
possono effettuare colloqui con i difensori senza limiti di frequenza
e di durata. 
    Ad avviso del giudice a quo,  la  diversa  disciplina,  di  segno
restrittivo,  introdotta  dalla  norma  censurata  per   i   detenuti
sottoposti al  regime  speciale  si  rivelerebbe  lesiva  di  plurimi
parametri costituzionali. Essa troverebbe, infatti, fondamento non in
una  sostanziale  diversita'  delle  esigenze   difensive,   ma   nel
differente grado di pericolosita' sociale del detenuto: elemento  che
non potrebbe, peraltro, incidere in senso  limitativo  sull'esercizio
del diritto di difesa. 
    Sarebbe violato, per questo verso, anzitutto l'art. 3  Cost.,  in
quanto i detenuti soggetti  al  regime  speciale  hanno,  di  regola,
esigenze difensive maggiori rispetto ai detenuti  cosiddetti  comuni,
collegate al numero piu' elevato e  alla  maggiore  complessita'  dei
procedimenti  penali   pendenti   a   loro   carico:   esigenze   che
risulterebbero, peraltro, gia'  penalizzate  dalla  distanza,  spesso
notevole, del luogo  di  detenzione  da  quello  di  svolgimento  del
processo, necessaria al  fine  di  ridurre  al  minimo  i  rischi  di
mantenimento  dei  collegamenti  con  le  organizzazioni   criminali.
Identiche  posizioni  processuali  -  magari  anche  contrapposte   -
riceverebbero,   in   tal   modo,   una   tutela    irragionevolmente
differenziata. 
    Risulterebbe leso anche l'art. 24  Cost.,  posto  che  l'evidente
compressione del diritto di difesa, derivante dalla norma denunciata,
non troverebbe giustificazione  nella  necessita'  di  proteggere  un
altro interesse costituzionalmente garantito. L'esigenza di  impedire
contatti  del  detenuto   con   i   membri   dell'organizzazione   di
appartenenza in stato di liberta', che  e'  alla  base  di  tutte  le
restrizioni imposte dall'art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, tra
cui la consistente limitazione dei rapporti con i familiari -  con  i
quali puo' essere effettuato un solo colloquio mensile - non potrebbe
essere, infatti, invocata con riguardo ai rapporti con  i  difensori,
trattandosi di «categoria di  operatori  del  diritto  che  non  puo'
essere formalmente destinataria del sospetto di porsi  come  illecito
canale di comunicazione». 
    La disposizione censurata si porrebbe, infine, in  contrasto  con
l'art.  111,  terzo  comma,  Cost.,  il  quale,  nello  stabilire  le
condizioni del «giusto processo penale», prevede che la  legge  debba
assicurare alla persona accusata di un reato il tempo e le condizioni
necessarie per preparare la sua difesa. I  limiti  prefigurati  dalla
norma sottoposta a  scrutinio  non  consentirebbero,  di  contro,  al
reclamante, coinvolto in diversi procedimenti penali, di disporre del
tempo occorrente per predisporre  la  propria  difesa,  tenuto  conto
anche del fatto che i difensori non sarebbero in grado di  assicurare
una presenza assidua presso  il  luogo  di  detenzione,  notevolmente
distante da quello di svolgimento della maggior  parte  dei  processi
(pendenti presso uffici giudiziari della Calabria). 
    Quanto,  poi,  alla  rilevanza  della  questione,  il  rimettente
osserva che il reclamante e' detenuto in esecuzione  di  tre  diverse
sentenze ed e' sottoposto a custodia cautelare in carcere in forza di
due provvedimenti restrittivi; pendono, inoltre, a suo carico  alcuni
procedimenti penali per i quali sono decorsi i  termini  di  custodia
cautelare. Egli,  pertanto  -  al  pari  della  quasi  totalita'  dei
detenuti sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis  della  legge
n. 354 del 1975 - avrebbe un  evidente  interesse  ad  esercitare  il
diritto di difesa in  una  molteplicita'  di  procedimenti  distinti,
riguardanti sia la fase della cognizione che quella  dell'esecuzione.
La   declaratoria   di   illegittimita'    costituzionale    invocata
comporterebbe l'accoglimento del reclamo e la conseguente imposizione
alla direzione dell'istituto penitenziario dell'obbligo di consentire
il libero espletamento di colloqui visivi con i difensori nominati in
tutti i procedimenti nei quali il reclamante e' coinvolto. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata. 
    La  difesa  dello  Stato  rileva  come,   secondo   la   costante
giurisprudenza della Corte costituzionale, le esigenze  cui  risponde
il regime detentivo previsto dall'art. 41-bis della legge n. 354  del
1975 legittimino un trattamento penitenziario diverso  da  quello  al
quale e' sottoposta  la  generalita'  dei  detenuti.  Le  restrizioni
connesse al regime speciale, comprese quelle concernenti i  colloqui,
sono   giustificate,   infatti,   dall'esigenza   di   contenere   la
pericolosita' di determinati soggetti, individuati non  in  astratto,
sulla base del titolo del reato per i quali  sono  imputati  o  hanno
riportato condanna, ma all'esito di  una  valutazione  individuale  e
specifica.  Di  conseguenza,  le  limitazioni  dei  colloqui  con   i
difensori previste  dalla  norma  censurata,  essendo  preordinate  a
ridurre  le  occasioni  di  contatto  tra  i  detenuti  di  accertata
pericolosita'  e  il  mondo  esterno,  lungi  dal   determinare   una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  rispetto   ai   detenuti
sottoposti al trattamento ordinario, costituirebbero il risultato  di
un corretto bilanciamento tra l'esigenza di tutelare adeguatamente il
diritto di difesa e quella,  di  pari  rilevanza  costituzionale,  di
proteggere l'ordine giuridico e la sicurezza dei cittadini. 
    La questione sarebbe infondata anche nella parte in cui prospetta
il contrasto tra la norma  denunciata  e  l'art.  111,  terzo  comma,
Cost., giacche' il precetto costituzionale evocato non atterrebbe  ai
rapporti  tra  la  persona  accusata   e   il   suo   difensore,   ma
esclusivamente all'organizzazione del  processo  e  ai  rapporti  tra
l'imputato e il giudice, garantendo le condizioni indispensabili  per
una efficace azione difensiva. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Viterbo  dubita  della
legittimita' costituzionale  dell'articolo  41-bis,  comma  2-quater,
lettera  b),  della   legge   26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), come modificato dall'articolo
2, comma 25, lettera f), numero 2), della legge 15 luglio 2009, n. 94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte  in  cui
pone limitazioni al diritto ai colloqui con i difensori nei confronti
dei detenuti sottoposti alla sospensione delle regole di  trattamento
ai sensi del  comma  2  del  medesimo  art.  41-bis,  in  particolare
prevedendo che detti detenuti possono avere con i difensori, «fino  a
un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio
della stessa durata  di  quelli  previsti  con  i  familiari»  (pari,
rispettivamente, a dieci minuti e a un'ora). 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l'art.
3 Cost., riservando ai detenuti in  regime  speciale  un  trattamento
deteriore rispetto a quello accordato alla  generalita'  degli  altri
detenuti, non giustificabile ne' con la loro maggiore  pericolosita',
la quale non potrebbe incidere in senso limitativo sull'esercizio del
diritto  di  difesa;  ne'  con  un  minore  livello  delle   esigenze
difensive, avendo,  al  contrario,  i  detenuti  in  regime  speciale
esigenze  difensive  solitamente  maggiori   rispetto   ai   detenuti
"comuni", in correlazione al piu'  elevato  numero  e  alla  maggiore
complessita' dei procedimenti penali pendenti a loro carico. 
    La norma denunciata  si  porrebbe,  altresi',  in  contrasto  con
l'art. 24 Cost., determinando una evidente compressione  del  diritto
di difesa del detenuto, a fondamento della quale non potrebbe  essere
invocata   l'esigenza   di   impedire   contatti   con    i    membri
dell'organizzazione  criminale  di  appartenenza,  non  essendo  tale
esigenza  riferibile  ai  rapporti  con  i  difensori,  i  quali  non
potrebbero essere normativamente gravati «del sospetto di porsi  come
illecito canale di comunicazione». 
    Sarebbe violato, infine, l'art. 111, terzo comma, Cost., giacche'
le limitazioni censurate impedirebbero ai  detenuti  in  questione  -
spesso contemporaneamente coinvolti in una pluralita' di procedimenti
penali - di disporre del tempo necessario per preparare efficacemente
la propria difesa. 
    2.- In riferimento all'art. 24 Cost., la questione e' fondata. 
    E' acquisito,  nella  giurisprudenza  di  questa  Corte,  che  la
garanzia costituzionale del diritto di  difesa  comprende  la  difesa
tecnica (sentenze n. 80 del 1984 e n. 125 del 1979) e, dunque,  anche
il diritto - ad essa strumentale -  di  conferire  con  il  difensore
(sentenza n. 216 del 1996): cio', al fine di definire  e  predisporre
le strategie difensive e, ancor prima, di conoscere i propri  diritti
e le  possibilita'  offerte  dall'ordinamento  per  tutelarli  e  per
evitare o attenuare le conseguenze pregiudizievoli cui si e'  esposti
(sentenza n. 212  del  1997).  Sostanzialmente  sintonica  con  dette
affermazioni e' quella della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,
secondo la quale  il  diritto  dell'accusato  a  comunicare  in  modo
riservato con il proprio difensore rientra tra i  requisiti  basilari
del processo equo in una societa' democratica, alla luce del disposto
dell'art. 6, paragrafo  3,  lettera  c),  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (tra
le molte, Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  13  gennaio  2009,
Rybacki contro Polonia; 9 ottobre 2008, Moiseyev  contro  Russia;  27
novembre 2007, Asciutto contro  Italia;  27  novembre  2007,  Zagaria
contro Italia). 
    E' evidente, per altro verso, come il diritto in questione assuma
una valenza tutta particolare nei confronti delle  persone  ristrette
in ambito penitenziario, le quali, in quanto fruenti solo di limitate
possibilita'  di  contatti  interpersonali  diretti  con   l'esterno,
vengono a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza  rispetto
all'esercizio delle facolta' difensive.  In  questa  prospettiva,  il
diritto del detenuto a conferire con il difensore  forma  oggetto  di
esplicito e puntuale riconoscimento in  atti  sovranazionali,  tra  i
quali la raccomandazione  R  (2006)2  del  Consiglio  d'Europa  sulle
«Regole penitenziarie europee», adottata dal  Comitato  dei  Ministri
l'11 gennaio 2006, che  riferisce  distintamente  il  diritto  stesso
tanto al condannato  (regola  numero  23)  che  all'imputato  (regola
numero 98). 
    Sul versante interno, il codice di procedura penale  del  1988  -
innovando al regime meno favorevole prefigurato dal codice  anteriore
- ha  sancito  il  diritto  dell'imputato  in  custodia  cautelare  a
conferire con il  difensore  fin  dall'inizio  dell'esecuzione  della
misura; diritto il cui esercizio puo' essere dilazionato dal giudice,
su richiesta del pubblico ministero, solo in presenza di  «specifiche
ed  eccezionali  ragioni  di  cautela»  ed  entro  limiti   temporali
ristrettissimi: non piu' di sette giorni, ridotti poi a cinque  (art.
104 del codice di procedura penale). 
    Il nuovo codice  di  rito  non  si  e'  occupato,  per  converso,
dell'omologo diritto dei detenuti in forza di condanna definitiva. In
assenza di una norma specifica,  anche  nella  legge  di  ordinamento
penitenziario, si era quindi ritenuto che i colloqui  del  condannato
con il difensore soggiacessero alla generale disciplina  relativa  ai
colloqui  con  persone  diverse  dai  congiunti  e  dai   conviventi,
rimanendo in tal modo subordinati ad un'autorizzazione  discrezionale
del direttore dell'istituto, basata sulla verifica dell'esistenza  di
«ragionevoli motivi» (art. 18, primo comma, della legge  n.  354  del
1975 e art. 35, comma 1, dell'allora vigente d.P.R. 29  aprile  1976,
n. 431, recante «Approvazione del  regolamento  di  esecuzione  della
legge  26  luglio  1975,  n.  354,  recante  norme   sull'ordinamento
penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta'»). 
    Con la sentenza n. 212 del 1997, questa Corte ha ritenuto che  un
simile regime fosse incompatibile con il principio di  inviolabilita'
del    diritto    di    difesa,    dichiarando,    di    conseguenza,
costituzionalmente illegittimo il citato art. 18 della legge  n.  354
del 1975, nella parte in cui non prevedeva il diritto del  condannato
a conferire con il difensore fin  dall'inizio  dell'esecuzione  della
pena: e cio', non soltanto in riferimento a  procedimenti  giudiziari
gia'  promossi,  ma  anche  in  relazione  a  qualsiasi  procedimento
contenzioso suscettibile di  essere  instaurato.  Nell'occasione,  la
Corte ha rilevato  che  «il  diritto  di  conferire  con  il  proprio
difensore non puo' essere compresso o  condizionato  dallo  stato  di
detenzione, se non nei limiti eventualmente disposti  dalla  legge  a
tutela di altri interessi costituzionalmente  garantiti  (ad  esempio
attraverso  temporanee,  limitate  sospensioni   dell'esercizio   del
diritto, come quella prevista dall'art. 104, comma 3, cod. proc. pen.
[...]), e  salva  evidentemente  la  disciplina  delle  modalita'  di
esercizio del diritto, disposte  in  funzione  delle  altre  esigenze
connesse allo stato di detenzione medesimo: modalita' che,  peraltro,
non possono in alcun caso trasformare il diritto  in  una  situazione
rimessa all'apprezzamento  dell'autorita'  amministrativa,  e  quindi
soggetta ad una vera e propria autorizzazione discrezionale». 
    Per effetto della pronuncia  ora  ricordata,  tutti  i  detenuti,
anche in forza di condanna definitiva, possono quindi conferire con i
difensori senza sottostare ne' ad autorizzazioni,  ne'  a  limiti  di
ordine "quantitativo" (numero e durata dei  colloqui).  All'autorita'
penitenziaria  resta  affidata,   in   correlazione   alle   esigenze
organizzative e di sicurezza connesse allo stato di detenzione,  solo
la  determinazione  delle  modalita'  pratiche  di  svolgimento   dei
colloqui  (individuazione  degli  orari,  dei  locali,  dei  modi  di
identificazione  del  difensore  e  simili),  senza  alcun  possibile
sindacato in ordine all'effettiva necessita' e ai motivi dei colloqui
stessi. 
    3.- Quanto ora  rilevato,  riguardo  all'assenza  di  restrizioni
numeriche e di durata, vale, tuttavia, per i detenuti  "comuni":  non
piu', attualmente, per i detenuti soggetti allo  speciale  regime  di
sospensione delle regole del trattamento, disposto dal Ministro della
giustizia ai sensi dall'art. 41-bis, comma 2, della legge n. 354  del
1975. 
    Tale regime mira precipuamente a contenere  la  pericolosita'  di
singoli  detenuti  proiettata  verso  l'esterno   del   carcere,   in
particolare impedendo «i collegamenti dei detenuti appartenenti  alle
organizzazioni criminali tra loro e con i membri  di  queste  che  si
trovino  in  liberta'»:  collegamenti  che   potrebbero   realizzarsi
«attraverso  i  contatti  con  il  mondo  esterno»,  che  lo   stesso
ordinamento penitenziario ordinariamente favorisce quali strumenti di
reinserimento sociale (sentenza n. 376 del 1997; ordinanze n. 417 del
2004 e n. 192 del 1998).  Si  intende  soprattutto  evitare  che  gli
esponenti dell'organizzazione in stato di detenzione,  sfruttando  il
normale  regime  penitenziario,  possano  continuare   ad   impartire
direttive agli affiliati in stato di  liberta',  e  cosi'  mantenere,
anche  dal  carcere,  il   controllo   sulle   attivita'   delittuose
dell'organizzazione stessa. 
    A fronte di tale obiettivo, le restrizioni costitutive del regime
detentivo speciale - precisate per la prima volta a livello normativo
dalla legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e
41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di  ordinamento
penitenziario) - non potevano non investire anche, e prima di  tutto,
la disciplina dei colloqui, i quali  rappresentano  il  veicolo  piu'
diretto e immediato di comunicazione del detenuto con  l'esterno.  Al
riguardo, il comma 2-quater, lettera b), dell'art. 41-bis della legge
n. 354 del 1975, come modificato dalla citata legge n. 279 del  2002,
prevedeva limitazioni relative alla frequenza (diritto del detenuto a
non meno di uno e non piu'  di  due  colloqui  visivi  al  mese,  con
possibilita' di un colloquio telefonico aggiuntivo solo dopo i  primi
sei  mesi  di  applicazione  del   regime),   alla   qualita'   degli
interlocutori (divieto di colloqui con persone diverse dai  familiari
e conviventi, salvo casi  eccezionali)  e  al  luogo  di  svolgimento
(locali attrezzati in modo da  impedire  il  passaggio  di  oggetti),
nonche'  possibili   forme   di   controllo   sui   contenuti   delle
conversazioni (controllo auditivo e registrazione). L'ultimo  periodo
della  citata  lettera  b)  soggiungeva,  tuttavia  -  in  chiave  di
salvaguardia del diritto di difesa -  che  le  disposizioni  da  essa
dettate  «non  si  applicano  ai  colloqui  con  i   difensori».   Di
conseguenza, anche per i detenuti soggetti al regime speciale restava
fermo il diritto incondizionato a conferire in modo riservato con  il
proprio difensore. 
    4.- La situazione e' mutata a seguito della legge n. 94 del 2009,
il cui art. 2, comma 25, ha apportato una nutrita serie di  modifiche
all'art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, dichiaratamente volte  -
secondo  le  univoche  risultanze  dei  lavori  parlamentari   -   ad
irrigidire  il  regime  speciale,  in   ragione   della   riscontrata
insufficienza delle misure precedenti a contrastare efficacemente  il
fenomeno temuto. 
    A tale operazione di irrigidimento non e' sfuggita la  disciplina
dei colloqui. La novella ha, infatti, ridotto il numero dei  colloqui
personali  mensili  ad  un  solo;  ha  reso   obbligatori   (anziche'
discrezionali) il controllo  auditivo  e  la  videoregistrazione;  ha
stabilito che i colloqui telefonici possono essere concessi  solo  se
non siano stati effettuati colloqui personali (e non gia' in aggiunta
ad essi). Ma soprattutto - per quanto qui interessa -  ha  modificato
l'ultimo  periodo  della  citata  lettera  b)  del  comma   2-quater,
aggiungendo alla immutata statuizione per cui «le disposizioni  della
presente lettera non si applicano ai colloqui  con  i  difensori»  le
parole «con i quali potra' effettuarsi, fino ad  un  massimo  di  tre
volte alla settimana, una telefonata  o  un  colloquio  della  stessa
durata di quelli  previsti  con  i  familiari»:  ossia  della  durata
massima di un'ora, quanto ai colloqui visivi (art. 37, comma 10,  del
d.P.R.  30  giugno  2000,  n.   230,   «Regolamento   recante   norme
sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e  limitative
della liberta'»), e di dieci minuti, quanto  ai  colloqui  telefonici
(terzo  periodo  della  stessa  lettera  b  dell'art.  41-bis,  comma
2-quater, della legge n. 354 del 1975, che  replica,  in  parte  qua,
l'art. 39, comma 6, del d.P.R. n. 230 del 2000). 
    Pur nella singolare articolazione logico-sintattica del  precetto
che ne risulta, il senso della  norma  rimodulata  e'  chiaro.  Ferma
restando l'inapplicabilita' ai colloqui difensivi delle  disposizioni
(valevoli invece per i colloqui con i familiari) che  prescrivono  il
vetro divisorio,  il  controllo  auditivo  e  la  videoregistrazione,
vengono introdotti per la prima volta dei limiti legislativi di  tipo
"quantitativo" al diritto dei detenuti in questione a conferire con i
propri difensori: limiti che appaiono ispirati al sospetto che questi
ultimi possano prestarsi  a  fungere  da  intermediari  per  illeciti
scambi di comunicazioni tra i detenuti  stessi  e  gli  altri  membri
dell'organizzazione criminale di appartenenza. 
    5.- Le  restrizioni  in  questione,  per  il  modo  in  cui  sono
congegnate,  si  traducono  in  un  vulnus  del  diritto  di   difesa
incompatibile con la garanzia di inviolabilita' sancita dall'art. 24,
secondo comma, Cost. 
    Al  riguardo,  occorre  considerare  come  si  sia  di  fronte  a
restrizioni rigide, indefettibili e di  lunga  durata:  ben  diverse,
dunque, da quella resa possibile, in  termini  generali,  dal  citato
art. 104, comma 3, cod. proc. pen.  nei  confronti  dell'imputato  in
custodia cautelare. 
    A fronte della modifica apportata al secondo  periodo  del  comma
2-quater dell'art. 41-bis (in specie, la sostituzione della locuzione
«puo'  comportare»   con   l'indicativo   presente   «prevede»),   la
compressione del diritto ai colloqui difensivi  consegue  -  al  pari
delle  altre  restrizioni  normativamente  prefigurate  -   in   modo
automatico e  indefettibile  all'applicazione  del  regime  detentivo
speciale (al riguardo, sentenza n. 190 del 2010) e lo accompagna  per
tutta la sua durata, fissata ora in quattro anni, con possibilita' di
proroga per successivi periodi,  ciascuno  pari  a  due  anni  (comma
2-bis). 
    I limiti in questione operano d'altro  canto  invariabilmente,  a
prescindere  non  solo  dalla  natura  e   dalla   complessita'   dei
procedimenti  giudiziari  (o,  amplius,  contenziosi)  nei  quali  il
detenuto e' (o potrebbe essere) coinvolto  e  dal  grado  di  urgenza
degli interventi difensivi richiesti, ma anche  dal  loro  numero  e,
quindi, dal numero dei legali patrocinanti con i quali il detenuto si
debba  consultare.  L'interpretazione  in  tali  sensi  della   norma
censurata, prontamente  adottata  dall'amministrazione  penitenziaria
(circolare del Dipartimento  dell'amministrazione  penitenziaria  del
Ministero della giustizia  n.  297600-2009  del  3  settembre  2009),
risponde, in effetti, tanto al dato testuale  (la  norma  menziona  i
«difensori» al plurale e non fa alcun accenno  a  un  incremento  dei
limiti in funzione della pluralita' dei procedimenti cui il  detenuto
sia interessato), quanto alla ratio  della  novella  legislativa  del
2009, dianzi evidenziata. 
    6.-  Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dall'Avvocatura  dello
Stato, la soluzione normativa adottata non puo'  essere  giustificata
in una prospettiva di  bilanciamento  tra  il  diritto  di  difesa  e
interessi  contrapposti  di  pari  rilevanza  costituzionale,  legati
segnatamente alla protezione dell'ordine pubblico e  della  sicurezza
dei cittadini nei confronti della criminalita' organizzata. 
    Questa  Corte  ha  riconosciuto  che  il  diritto  di  difesa  e'
suscettibile  di  bilanciamento   con   altre   esigenze   di   rango
costituzionale, cosi' che il suo  esercizio  puo'  essere  variamente
modulato o limitato dal legislatore (tra le altre,  sentenze  n.  173
del 2009, n. 297 del 2008 e n. 341 del 2006, nonche',  con  specifico
riferimento alla materia dei colloqui dei detenuti, sentenza  n.  212
del  1997):  cio',  tuttavia,  a  condizione  che  non   ne   risulti
compromessa l'effettivita', costituente  il  limite  invalicabile  ad
operazioni del genere considerato (sentenza n. 317 del 2009), e ferma
restando, altresi', l'esigenza di verificare la ragionevolezza  delle
restrizioni concretamente apportate (sentenza n. 407 del 1993). 
    Detti principi valgono in modo particolare quando si  discuta  di
restrizioni che  incidono  sul  diritto  alla  difesa  tecnica  delle
persone ristrette in ambito  penitenziario,  rese  piu'  vulnerabili,
quanto alle potenzialita' di esercizio  delle  facolta'  difensive  -
come gia' rimarcato - dalle limitazioni  alle  liberta'  fondamentali
insite, in via generale, nello stato di detenzione.  Giova,  anche  a
questo riguardo, il riferimento alla giurisprudenza  della  Corte  di
Strasburgo,  la  quale   -   nell'ammettere   che,   in   circostanze
eccezionali, lo Stato possa limitare i contatti confidenziali tra una
persona detenuta e il suo avvocato -  rimarca,  tuttavia,  come  ogni
misura  limitativa  di  tal  fatta  debba   risultare   assolutamente
necessaria (tra le altre, Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  27
novembre 2007, Asciutto contro  Italia;  27  novembre  2007,  Zagaria
contro  Italia)  e  non  debba  comunque   frustrare   l'effettivita'
dell'assistenza legale alla quale il difensore  e'  abilitato.  Tale,
infatti, e' l'importanza annessa  ai  diritti  della  difesa  in  una
societa'  democratica,  che  il  diritto  ad  una  assistenza  legale
effettiva deve  essere  garantito  in  tutte  le  circostanze  (Corte
europea dei  diritti  dell'uomo,  Grande  Camera,  2  novembre  2010,
Sakhnovskiy contro Russia). 
    Nella specie, il contingentamento, rigido e prolungato nel tempo,
dei momenti di contatto tra il detenuto e i  suoi  difensori  intacca
l'anzidetto nucleo essenziale, non essendo  possibile  presumere,  in
termini assoluti, che tre colloqui visivi settimanali  di  un'ora,  o
telefonici di dieci minuti, consentano in qualunque  circostanza  una
adeguata ed efficace predisposizione delle attivita'  difensive.  Nel
frangente, si discute, tra l'altro, di soggetti condannati o imputati
per delitti  di  particolare  gravita'  e  spesso  contemporaneamente
coinvolti  -  proprio  in  ragione  dei  ritenuti  collegamenti  «con
un'associazione  criminale,  terroristica   o   eversiva»,   cui   e'
condizionata la sottoposizione al regime speciale (art. 41-bis, comma
2, primo periodo) - in  una  pluralita'  di  altri  procedimenti,  di
cognizione ed esecutivi, particolarmente complessi. E' questo il caso
del reclamante  nel  giudizio  a  quo,  il  quale  -  secondo  quanto
riferisce il giudice rimettente - e' detenuto in  esecuzione  di  tre
diverse sentenze ed e' sottoposto a custodia cautelare in carcere  in
forza di due  provvedimenti  restrittivi;  pendono,  inoltre,  a  suo
carico altri procedimenti penali per i quali sono decorsi  i  termini
di  custodia  cautelare,  nonche'  il  procedimento  di  sorveglianza
originato dall'avvenuta  impugnazione  del  decreto  ministeriale  di
sottoposizione al regime detentivo speciale.  L'eventualita'  che  le
tre ore o i trenta minuti settimanali complessivi di colloquio -  pur
tenendo conto della concorrente possibilita' di libera corrispondenza
epistolare  (surrogato  con  evidenti  limiti  di  funzionalita')   -
risultino  in  concreto  insufficienti  a  soddisfare   le   esigenze
difensive  non  puo',  dunque,  considerarsi   remota   o   puramente
congetturale. 
    Significativo, al riguardo, e'  che  la  Corte  di  Strasburgo  -
tenuto conto della complessita'  della  singola  vicenda  giudiziaria
nella quale il ricorrente era coinvolto - abbia reputato  lesiva  del
diritto all'equo processo una limitazione che presenta  significative
assonanze con quella in esame (sentenza 12 marzo 2003, Öcalan  contro
Turchia, relativa a fattispecie nella quale  erano  stati  consentiti
all'imputato, durante il corso del  processo,  solo  due  colloqui  a
settimana con i propri difensori, della durata di un'ora l'uno). 
    7.-  Quanto,  poi,   al   secondo   versante   -   quello   della
ragionevolezza delle restrizioni - vale  osservare  come  i  colloqui
difensivi abbiano, per definizione, quali interlocutori "esterni" del
detenuto, persone appartenenti ad  un  ordine  professionale  (quello
degli avvocati), tenute al rispetto di un codice  deontologico  nello
specifico campo dei rapporti  con  la  giustizia  e  sottoposte  alla
vigilanza disciplinare dell'ordine di appartenenza. 
    L'eventualita' che  dette  persone,  legate  al  detenuto  da  un
rapporto di prestazione d'opera professionale, si prestino a  fungere
da tramite fra il medesimo e  gli  altri  membri  dell'organizzazione
criminale, se non puo' essere certamente esclusa  a  priori,  neppure
puo'  essere  assunta  ad  una  regola  di  esperienza,  tradotta  in
enunciato normativo: apparendo, sotto questo profilo,  la  situazione
significativamente diversa da quella  riscontrabile  in  rapporto  ai
colloqui con persone  legate  al  detenuto  da  vincoli  parentali  o
affettivi, ovvero con terzi non qualificati. 
    Dirimente   e',   peraltro,   il   rilievo   che,   quando   pure
l'eventualita' temuta si  materializzi,  le  restrizioni  oggetto  di
scrutinio non appaiono comunque  in  grado  di  neutralizzarne  o  di
comprimerne in modo apprezzabile gli effetti. Posto, infatti,  che  i
colloqui con i difensori - diversamente da quelli con i  familiari  e
conviventi o con terze persone - restano sottratti all'ascolto e alla
videoregistrazione, i limiti di cadenza e  di  durata  normativamente
stabiliti sono suscettibili, bensi', di penalizzare la difesa, ma non
valgono ad impedire, nemmeno parzialmente,  il  temuto  passaggio  di
direttive e di  informazioni  tra  il  carcere  e  l'esterno,  ne'  a
circoscrivere in modo  realmente  significativo  la  quantita'  e  la
natura dei messaggi che si paventano scambiabili, per il tramite  dei
difensori, nell'ambito dei sodalizi criminosi. 
    L'operazione  normativa  considerata  viene,  di  conseguenza,  a
confliggere  con  il  principio  per   cui,   nelle   operazioni   di
bilanciamento, non puo' esservi un decremento di tutela di un diritto
fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento
di tutela di altro interesse di pari rango. Nel caso  in  esame,  per
converso, alla compressione - indiscutibile - del diritto  di  difesa
indotta dalla  norma  censurata  non  corrisponde,  prima  facie,  un
paragonabile incremento della tutela del contrapposto interesse  alla
salvaguardia dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini. 
    8.-  Va  dichiarata,  pertanto,  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ultimo  periodo,  della
legge n. 354 del 1975, limitatamente alle parole «con i quali  potra'
effettuarsi, fino ad un massimo di  tre  volte  alla  settimana,  una
telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti  con
i familiari». 
    Le censure riferite agli  artt.  3  e  111,  terzo  comma,  Cost.
restano assorbite. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  41-bis,
comma 2-quater, lettera b), ultimo periodo,  della  legge  26  luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sull'esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta'), come  modificato
dall'articolo 2, comma 25, lettera f),  numero  2),  della  legge  15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di  sicurezza  pubblica),
limitatamente alle parole «con i quali potra' effettuarsi, fino ad un
massimo di tre volte alla settimana, una telefonata  o  un  colloquio
della stessa durata di quelli previsti con i familiari». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI