N. 146 SENTENZA 17 - 20 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego pubblico - Personale della scuola  non  di  ruolo  supplente,
  docente e non docente - Mancato  riconoscimento  del  diritto  alla
  maturazione  degli  aumenti  economici  biennali  riconosciuto   al
  personale  non  di  ruolo   a   tempo   indeterminato   -   Erronea
  rappresentazione  del  quadro  normativo  -  Mancanza  del  tertium
  comparationis individuato dal  giudice  a  quo  -  Inammissibilita'
  della questione. 
- Legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 53, terzo comma. 
- Costituzione, artt. 3, 36 e 11, 117, in relazione alla  clausola  4
  dell'accordo  quadro  CES,  UNICE  e  CEEP  sul  lavoro   a   tempo
  determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE. 
Impiego pubblico - Supplenti  con  incarico  a  tempo  determinato  -
  Aumenti economici biennali - Diverso  trattamento  tra  docenti  di
  religione e docenti di materie diverse  -  Asserita  disparita'  di
  trattamento -  Insussistenza  -  Inidoneita'  della  categoria  dei
  docenti di religione, per la peculiarita' del rapporto di lavoro, a
  fungere da idoneo tertium  comparationis  -  Non  fondatezza  della
  questione. 
- Legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 53, terzo comma. 
- Costituzione, artt. 3, 36 e 11, 117, in relazione alla  clausola  4
  dell'accordo  quadro  CES,  UNICE  e  CEEP  sul  lavoro   a   tempo
  determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE. 
(GU n.26 del 26-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Alessandro  CRISCUOLO,   Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  53,  terzo
comma,  della  legge  11  luglio   1980   n.   312   (Nuovo   assetto
retributivo-funzionale del personale civile e militare dello  Stato),
promosso dalla Corte d'appello di Firenze nel  procedimento  vertente
tra il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca  e
F.P. ed altra con ordinanza del 13 marzo 2012 iscritta al n. 267  del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  maggio  2013  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Due lavoratrici della scuola hanno  promosso,  nei  confronti
del Ministero  della  pubblica  istruzione,  una  controversia  nella
quale, adducendo di aver lavorato per  molti  anni,  in  qualita'  di
supplenti con contratti a tempo  determinato,  presso  vari  istituti
scolastici, hanno chiesto  al  Tribunale  di  Pisa,  in  funzione  di
giudice del lavoro,  che  venisse  loro  riconosciuto  il  diritto  a
percepire gli scatti biennali di  stipendio  previsti  dall'art.  53,
terzo comma, della legge  11  luglio  1980,  n.  312  (Nuovo  assetto
retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato). 
    Il Tribunale ha accolto la domanda. 
    2.- Nel corso del giudizio di  appello,  proposto  da  parte  del
Ministero della pubblica istruzione, la Corte d'appello  di  Firenze,
in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato - in riferimento agli
articoli 3, 36, 11  e  117  della  Costituzione,  questi  ultimi  due
parametri in relazione alla clausola 4 dell'accordo quadro CES, UNICE
e CEEP sul lavoro a tempo determinato,  allegato  alla  direttiva  28
giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio - questione di  legittimita'
costituzionale del menzionato art. 53, terzo comma,  della  legge  n.
312 del 1980, nella parte in cui «esclude il personale  della  scuola
non di ruolo supplente (sia docente che non docente) dal diritto alla
maturazione  degli  aumenti  economici   biennali   riconosciuti   al
personale non di ruolo a tempo indeterminato», nonche'  «nella  parte
in cui, con  riferimento  all'ultimo  comma  dello  stesso  articolo,
prevede un diverso trattamento tra docenti di religione e docenti  di
materie diverse,  anche  nel  caso  in  cui  entrambi  rendano,  come
supplenti, una prestazione a tempo determinato». 
    2.1.- Osserva il giudice a quo, sotto il profilo della rilevanza,
che la censurata disposizione, nel menzionare  il  personale  non  di
ruolo nominato dal provveditore agli studi quale  beneficiario  degli
scatti biennali, si riferisce alla categoria dei  cosiddetti  docenti
incaricati, ossia docenti non di ruolo a  tempo  indeterminato;  tale
figura, ancorche' soppressa dal decreto-legge 6 giugno 1981,  n.  281
(Proroga degli incarichi  del  personale  docente,  educativo  e  non
docente delle scuole materne, elementari,  secondarie,  artistiche  e
delle istituzioni educative nonche' delle istituzioni  scolastiche  e
culturali italiane all'estero), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 24 luglio 1981, n. 392, e' tuttavia sopravvissuta attraverso il
richiamo ad essa contenuto  nei  contratti  collettivi  del  comparto
scuola (art. 142 del CCNL per il periodo 2002-2005  e  art.  146  del
CCNL   per   il   periodo   2006-2009).   Tuttavia,   la   previsione
dell'impugnato art. 53, terzo comma, secondo  cui  i  supplenti  sono
esclusi  in  ogni  caso  da  ogni  aumento  biennale  di   stipendio,
«costituisce un ostacolo diretto ed  insuperabile  al  riconoscimento
del diritto alla maturazione degli scatti di anzianita' in favore del
personale non di ruolo assunto a tempo determinato»,  categoria  alla
quale appartengono entrambe  le  ricorrenti,  l'una  in  qualita'  di
docente e l'altra di collaboratore scolastico; esse,  infatti,  hanno
lavorato con contratti annuali per un periodo  complessivo  di  circa
nove anni. 
    La Corte d'appello,  percio',  evidenzia  che,  se  l'espressione
«escluse in ogni caso le supplenze» venisse rimossa dal  testo  della
norma impugnata,  le  lavoratrici  ricorrenti  avrebbero  diritto  al
riconoscimento degli scatti di anzianita' in discussione; e,  d'altra
parte, il testo di legge e' tale da non poter essere superato in  via
interpretativa, come risulta anche dalla giurisprudenza  della  Corte
di cassazione e del Consiglio di Stato, i quali hanno negato che  gli
scatti biennali possano spettare ai supplenti. 
    2.2.- Cio' posto, il giudice  a  quo  rileva,  in  punto  di  non
manifesta infondatezza, che la norma impugnata crea due disparita' di
trattamento, l'una tra il personale docente e amministrativo a  tempo
determinato rispetto a quello non di ruolo a tempo  indeterminato,  e
l'altra tra i primi e i docenti di religione. 
    Sotto  il  primo  profilo,  la  giurisprudenza   comunitaria   ha
evidenziato in piu' di una occasione (Corte di giustizia, sentenza 13
settembre 2007, Del Cerro Alonso, nonche' sentenza  15  aprile  2008,
Impact) che la citata clausola 4, punto 1,  dell'accordo  quadro  sul
lavoro a tempo determinato -  che  stabilisce  il  principio  di  non
discriminazione a favore del personale assunto a tempo determinato  -
e' incondizionata e sufficientemente  precisa,  sicche'  puo'  essere
invocata dinanzi  ad  un  giudice  nazionale;  e,  in  base  a  detta
clausola, «a  parita'  di  qualita'  e  quantita'  della  prestazione
lavorativa, non si giustifica un trattamento economico  differenziato
a scapito del personale temporaneo». 
    Sotto il secondo profilo, l'art. 53, terzo comma, della legge  n.
312 del 1980 crea una discriminazione in favore degli  insegnanti  di
religione, ai quali l'ultimo comma del medesimo  art.  53  garantisce
una progressione economica di carriera anche se si tratta di  docenti
assunti con contratti annuali. Simile disparita',  secondo  la  Corte
d'appello, poteva trovare giustificazione in  origine,  in  quanto  i
docenti di religione non potevano mai diventare di ruolo, sicche' era
ragionevole riconoscere, in loro favore, almeno  il  diritto  ad  una
progressione stipendiale. Ma nel sistema attuale - venutosi a  creare
a seguito dell'entrata in vigore della legge 18 luglio 2003,  n.  186
(Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione  cattolica
degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado),  la  quale  ha
consentito l'ingresso in ruolo anche di tali  docenti,  con  apposito
concorso - le ragioni della diversita'  di  trattamento  sono  venute
meno. 
    Ne consegue che la censurata disposizione appare in contrasto col
principio di uguaglianza e con quello della  parita'  di  trattamento
economico di cui agli artt. 3 e 36  Cost.;  cio'  in  quanto  non  vi
sarebbe ragione per la quale, «a parita' di anzianita'  lavorativa  e
di opportunita' di progressione in carriera, l'insegnante di  materie
non  religiose  debba  percepire,  dopo  il  primo  quadriennio,  una
retribuzione inferiore a quella percepita dall'altro», tanto piu' che
l'insegnante di religione mantiene il beneficio anche dopo l'ingresso
in ruolo, siccome conservato ad personam ai sensi dell'art. 1-ter del
decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250 (Misure urgenti in  materia  di
scuola, universita', beni culturali ed in favore di soggetti  affetti
da gravi patologie, nonche' in tema di rinegoziazione  di  mutui,  di
professioni e di sanita'), inserito  dalla  legge  di  conversione  3
febbraio 2006, n. 27,  mentre  il  docente  di  altre  materie  viene
immesso in ruolo con il solo stipendio base. 
    La Corte fiorentina, in conclusione, aggiunge di dover  sollevare
d'ufficio la presente questione di legittimita'  costituzionale,  non
potendo comunque procedere alla diretta disapplicazione  della  norma
nazionale, anche perche' rimarrebbe il  problema  di  decidere  quale
disciplina di progressione  economica  dovrebbe  essere  in  concreto
applicabile. 
    3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga  dichiarata  inammissibile  o
infondata. 
    3.1.- Rileva la parte intervenuta che  l'art.  53,  terzo  comma,
della legge n. 312  del  1980  prevede  l'attribuzione  degli  scatti
biennali di stipendio nei confronti di una particolare  categoria  di
personale scolastico non di ruolo, cioe' i docenti incaricati a tempo
determinato, i quali costituivano una categoria ben diversa da quella
dei supplenti. Con la sopravvenuta contrattualizzazione del  pubblico
impiego, lo status  giuridico  ed  economico  dei  docenti  e'  ormai
regolato dal contratto collettivo, per cui gli  aumenti  biennali  di
stipendio sono stati eliminati per tutto il personale scolastico;  il
CCNL per il periodo 1994-1997, infatti, ha previsto  il  sistema  dei
cosiddetti gradoni per i passaggi  stipendiali.  Ora,  le  norme  dei
contratti  collettivi   richiamate   dall'ordinanza   di   rimessione
dimostrano che il sistema degli scatti biennali e' rimasto in  vigore
per i soli docenti di religione (art. 66, comma 7, del  CCNL  citato,
nonche' art. 142 del CCNL per il periodo 2002-2005). Il beneficio  in
questione, quindi, e' «scomparso da anni dal sistema  di  adeguamento
della  retribuzione  del  personale  scolastico»,  il  che   dovrebbe
determinare l'inammissibilita' della questione. 
    3.2.- Nel merito, la questione sarebbe infondata. 
    Osserva  al  riguardo  l'Avvocatura  dello  Stato  che  la  norma
censurata  e'  stata  da  sempre  ritenuta  applicabile  soltanto  al
personale a tempo  indeterminato  nonche'  al  personale  incaricato;
quest'ultimo, titolare di un rapporto di durata illimitata  destinato
a trasformarsi in un rapporto di ruolo non appena un posto  si  fosse
reso disponibile, aveva comunque una posizione giuridica  diversa  da
quella dei supplenti. Nel sistema attuale,  regolato  dalla  legge  3
maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti  in  materia  di  personale
scolastico), le supplenze si articolano in annuali, sino  al  termine
delle   attivita'   didattiche,   e   temporanee,   tutte    comunque
caratterizzate dalla temporaneita' dell'incarico; e una  conferma  in
tal senso si trae anche dall'art. 1, comma 1,  del  decreto-legge  25
settembre  2009,  n.  134  (Disposizioni  urgenti  per  garantire  la
continuita'  del  servizio  scolastico  ed   educativo   per   l'anno
2009-2010), convertito, con modifiche, dall'art. 1,  comma  1,  della
legge 24 novembre 2009, n. 167, in base al quale i contratti a  tempo
determinato stipulati per il  conferimento  delle  supplenze  possono
trasformarsi in rapporti di lavoro a  tempo  indeterminato  solo  nel
caso di immissione in ruolo. 
    Alla  luce  della  giurisprudenza  della   Corte   di   giustizia
dell'Unione europea, poi, la normativa nazionale in tema di supplenze
non sarebbe in contrasto con quella europea. 
    Come la Corte di giustizia  ha  ribadito  in  numerose  pronunce,
infatti, la direttiva 1999/70 CE lascia agli Stati  membri  un  ampio
margine   di   discrezionalita'   nell'attuazione   delle    relative
previsioni. 
    Il reclutamento del  personale  scolastico  e'  regolato  da  una
disciplina particolare. Nel caso dei docenti, il rapporto  di  lavoro
temporaneo  trova  giustificazione  nella  necessita'  di  garantire,
comunque,  il  servizio  pubblico  dell'istruzione  allo   scopo   di
tutelare, in favore di  tutti  i  cittadini,  il  diritto  universale
all'istruzione di cui agli artt. 33  e  34  Cost.,  organizzando  «un
apparato che permetta di assicurare sempre e comunque una continuita'
nell'erogazione  delle  prestazioni  che  costituiscono  il   cardine
fondamentale  del  servizio  stesso».  Il  ricorso  alla  nomina  dei
supplenti, pertanto, ha natura «residuale  obbligatoria»,  nel  senso
che  non  dipende  da  una  scelta   discrezionale   della   pubblica
amministrazione, bensi' da  esigenze  obiettive,  il  che  «induce  a
ritenere che l'istituto trovi la sua giustificazione in una legittima
finalita' di politica  sociale»,  la  quale  integra  una  di  quelle
«ragioni obiettive» che giustificano, in base al  menzionato  accordo
quadro, il rinnovo dei successivi contratti a tempo determinato. 
    D'altra parte, l'assunzione di personale con  contratto  a  tempo
indeterminato sull'intero numero di posti del cosiddetto organico  di
diritto non sarebbe un'ipotesi praticabile, non potendosi sapere  con
certezza che la popolazione scolastica manterra' in futuro sempre  la
medesima consistenza. Simile sistema, poi, potrebbe dare luogo ad  un
indiscriminato aumento delle piante organiche, tanto piu' grave in un
momento come quello attuale nel quale sussistono innegabili  e  gravi
necessita' di risparmio di denaro pubblico. 
    L'Avvocatura dello Stato, poi, richiama  la  sentenza  20  giugno
2012, n. 10127, con la quale la Corte di cassazione ha affermato  che
la specifica disciplina del  reclutamento  del  personale  scolastico
cosiddetto  precario  e'  conforme  alla   clausola   5,   punto   1,
dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato,
in quanto la copertura dei posti di insegnamento vacanti mediante  il
conferimento di contratti a tempo  determinato  e'  conseguente  alla
particolare attivita' dell'insegnamento nella scuola, il che  esclude
il presunto contrasto. 
    La Corte di giustizia dell'Unione europea,  a  sua  volta,  nella
sentenza 26 gennaio 2012 (in causa C-586/10, Kucuk), ha chiarito  che
il mero fatto che un  datore  di  lavoro  supplisca  all'esigenza  di
personale sostitutivo attraverso la conclusione di contratti a  tempo
determinato non comporta - anche se tali esigenze siano permanenti  -
un abuso del datore ai sensi della  citata  clausola  5  dell'accordo
quadro. 
    3.3.- Quanto, infine, alla presunta violazione del  principio  di
uguaglianza conseguente al differenziato trattamento previsto  per  i
docenti di materie diverse dalla religione, l'Avvocatura dello  Stato
ritiene  opportuna  una  ricostruzione  storica  della  normativa  di
settore. 
    La legge 28  luglio  1961,  n.  831  (Provvidenze  a  favore  del
personale direttivo ed insegnante delle scuole elementari, secondarie
ed artistiche, dei provveditori agli studi e degli ispettori centrali
e  del  personale  ausiliario  delle  scuole  e  degli  istituti   di
istruzione secondaria  ed  artistica),  prevedeva  l'attribuzione  di
aumenti biennali per tutti i docenti non  di  ruolo  incaricati,  ivi
compresi quelli della religione cattolica. Successivamente, la  legge
20 maggio 1982, n. 270 (Revisione della disciplina  del  reclutamento
del personale docente della scuola materna, elementare, secondaria ed
artistica, ristrutturazione degli organici, adozione di misure idonee
ad evitare la formazione di precariato e sistemazione  del  personale
precario esistente), ha soppresso la figura dei  docenti  incaricati,
residuando tale figura solo per i docenti di religione, per  i  quali
non esisteva un ruolo specifico, ne' la possibilita' di  ingresso  in
ruolo. 
    In quel sistema,  percio',  la  previsione  dell'art.  53,  sesto
comma, della legge n. 312  del  1980  ha  consentito  ai  docenti  di
religione di conseguire uno sviluppo  professionale  che  li  tenesse
agganciati allo status dei docenti di ruolo. Tuttavia, l'attribuzione
degli aumenti biennali  era  riservata  soltanto  a  coloro  i  quali
avessero  almeno  quattro  anni  di  anzianita'  e  accettassero  una
cattedra con orario completo. 
    La legge n.  186  del  2003,  richiamata  dalla  Corte  d'appello
remittente, non ha stabilito, in realta', la possibilita' di ingresso
in ruolo dei  docenti  di  religione  sull'intero  numero  dei  posti
disponibili, bensi' solo sul 70 per  cento  di  questi;  pertanto  il
restante  30  per  cento  dei  predetti  docenti  e'  rimasto   nella
precedente condizione di docente incaricato annuale; in  relazione  a
costoro,  pertanto,  si  giustifica  la  permanenza   degli   aumenti
biennali, perche' essi, altrimenti, «sarebbero esclusi  da  qualsiasi
possibilita'  di  sviluppo  professionale».  Ne   consegue   che   la
prospettata questione sarebbe priva di fondamento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Firenze, in  funzione  di  giudice  del
lavoro, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale  -  in
riferimento agli articoli 3, 36, 11 e 117 della Costituzione,  questi
ultimi due parametri in relazione alla clausola 4 dell'accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul  lavoro  a  tempo  determinato,  allegato  alla
direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio - dell'art. 53,
terzo comma, della legge  11  luglio  1980,  n.  312  (Nuovo  assetto
retributivo-funzionale del personale civile e militare dello  Stato),
nella parte in cui «esclude il personale della scuola  non  di  ruolo
supplente (sia docente che non docente) dal diritto alla  maturazione
degli aumenti economici biennali riconosciuti  al  personale  non  di
ruolo a tempo  indeterminato»,  nonche'  «nella  parte  in  cui,  con
riferimento  all'ultimo  comma  dello  stesso  articolo,  prevede  un
diverso trattamento tra docenti di religione  e  docenti  di  materie
diverse, anche nel caso in cui entrambi rendano, come supplenti,  una
prestazione a tempo determinato». 
    2.- Occorre innanzitutto  rilevare  che  l'odierna  questione  e'
stata posta dalla Corte d'appello di Firenze non in termini  generali
- ossia con riguardo alle  differenze  retributive  esistenti  tra  i
docenti ed il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (A.T.A.)
con rapporto di lavoro  a  tempo  determinato  ed  il  corrispondente
personale di ruolo - bensi' con riferimento a due diverse  situazioni
che il rimettente assume come tertia  comparationis:  da  un  lato  i
docenti non di ruolo a tempo indeterminato e, dall'altro,  i  docenti
di religione a tempo determinato. L'ordinanza di rimessione, infatti,
impugna espressamente il solo terzo comma dell'art. 53 della legge n.
312 del 1980, in base al quale al personale non di ruolo  con  nomina
del provveditore agli studi, «escluse in  ogni  caso  le  supplenze»,
sono attribuiti aumenti periodici di stipendio per  ogni  biennio  di
servizio prestato. 
    Rimane pertanto estranea  al  presente  giudizio  ogni  questione
relativa alla disparita' di trattamento tra personale di ruolo e  non
di ruolo, come  risulta  senza  possibilita'  di  dubbio  dal  tenore
complessivo dell'ordinanza di rimessione e dal fatto che la  medesima
non ha  proposto  alcuna  questione  di  legittimita'  costituzionale
relativa al primo comma del medesimo art. 53; sicche'  l'oggetto  del
presente  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale   deve   essere
limitato all'ambito sopra delineato. 
    3.- Cosi' chiariti i termini dell'odierna questione, va  rilevato
che il primo tertium  comparationis  non  e'  stato  individuato  dal
giudice a quo in modo corretto. 
    La Corte d'appello di Firenze pone  a  confronto  il  trattamento
economico dei lavoratori ricorrenti - che, come  si  e'  visto,  sono
supplenti con contratto a tempo determinato reiterato  nel  corso  di
piu' anni successivi - con quello dei docenti non di  ruolo  a  tempo
indeterminato. 
    3.1.- La categoria dei docenti incaricati risale ad un'epoca  del
tutto diversa rispetto a quella odierna, nella  quale  l'innalzamento
dell'obbligo scolastico  e  la  crescita  della  popolazione  avevano
creato una situazione di continua necessita' di assunzione  di  nuovi
docenti. Si trova menzione di tale figura gia' nella legge  19  marzo
1955, n. 160 (Norme sullo stato giuridico  del  personale  insegnante
non di ruolo delle scuole  e  degli  istituti  di  istruzione  media,
classica, scientifica, magistrale e tecnica), il cui art. 3 prevedeva
la possibilita' di conferire incarichi annuali  di  insegnamento,  da
parte dei vari provveditori agli studi, in  relazione  alle  cattedre
ivi  indicate,  stabilendo  che  l'incarico  annuale  potesse  essere
confermato a domanda. La legge 28 luglio 1961, n. 831 (Provvidenze  a
favore del personale direttivo ed insegnante delle scuole elementari,
secondarie  ed  artistiche,  dei  provveditori  agli  studi  e  degli
ispettori centrali e del personale ausiliario delle  scuole  e  degli
istituti di istruzione secondaria ed artistica),  amplio'  gli  spazi
degli incarichi, stabilendo  che  gli  stessi  divenissero  triennali
(art. 6), con annesso  riconoscimento  degli  incrementi  stipendiali
(art.  7)  e  del  conseguente  trattamento  di  quiescenza  per  gli
incaricati forniti di abilitazione all'insegnamento (art. 8). 
    La legge 13 giugno 1969, n. 282 (Conferimento degli  incarichi  e
delle supplenze negli istituti  di  istruzione  secondaria),  dispose
(art. 1) che alla copertura delle  cattedre  cui  non  era  assegnato
personale docente di ruolo si provvedesse «con personale docente  non
di ruolo, che viene assunto con incarico a tempo  indeterminato»,  in
tal  modo  istituendo  la  figura  del  docente  incaricato  a  tempo
indeterminato, mentre l'art. 2 del decreto-legge 19 giugno  1970,  n.
366 (Istituzione delle cattedre, non licenziabilita' degli insegnanti
non di  ruolo,  riserve  dei  posti  e  sospensione  degli  esami  di
abilitazione all'insegnamento, nelle scuole ed istituti di istruzione
secondaria ed artistica), convertito, con modifiche, dalla  legge  26
luglio 1970, n. 571, dispose la non licenziabilita' degli  insegnanti
abilitati con nomina a tempo indeterminato. 
    Tuttavia gia'  l'art.  1  della  legge  9  agosto  1978,  n.  463
(Modifica dei  criteri  di  determinazione  degli  organici  e  delle
procedure per il conferimento degli incarichi del personale docente e
non docente; misure per l'immissione in ruolo del personale  precario
nelle scuole materne, elementari, secondarie ed  artistiche,  nonche'
nuove  norme  relative  al  reclutamento  del  personale  docente  ed
educativo delle scuole di ogni ordine e grado), abrogando sia  l'art.
1 della legge n. 282 del 1969 che l'art. 2 del d. l. n. 366 del 1970,
sanci' la fine degli incarichi a tempo indeterminato,  poi  soppressi
definitivamente dall'art. 3 del decreto-legge 6 giugno 1981,  n.  281
(Proroga degli incarichi  del  personale  docente,  educativo  e  non
docente delle scuole materne, elementari,  secondarie,  artistiche  e
delle istituzioni educative nonche' delle istituzioni  scolastiche  e
culturali italiane  all'estero),  convertito,  con  modifiche,  dalla
legge 24 luglio 1981, n. 392, la cui previsione  trova  conferma  nel
successivo art. 15, quarto comma, della legge 20 maggio 1982, n.  270
(Revisione della disciplina del reclutamento  del  personale  docente
della  scuola   materna,   elementare,   secondaria   ed   artistica,
ristrutturazione degli organici, adozione di misure idonee ad evitare
la formazione di precariato e  sistemazione  del  personale  precario
esistente). 
    3.2.-  Della   complessita'   di   tale   iter   normativo,   qui
sommariamente tratteggiato, il giudice a quo si dimostra consapevole,
ma  ritiene  che  la  figura  dei  docenti  non  di  ruolo  a   tempo
indeterminato continui ad essere operante attraverso il  richiamo  ad
essa contenuto in alcune disposizioni dei  contratti  collettivi  del
settore scuola; in particolare, la Corte d'appello  di  Firenze  cita
l'art. 142 del Contratto collettivo per il  quadriennio  2002-2005  e
l'art. 146 del Contratto collettivo per il quadriennio 2006-2009. 
    Questa Corte rileva che, in realta', gia' l'art. 66, comma 7, del
Contratto collettivo del comparto scuola  per  il  periodo  1994-1997
disponeva che per gli insegnanti di religione rimanessero  in  vigore
le norme di cui all'art. 53 della legge n. 312 del 1980. L'art.  142,
comma 1, lettera f), numero  5),  del  contratto  collettivo  per  il
quadriennio 2002-2005,  si  limita  a  specificare  che  continua  ad
applicarsi il menzionato art. 53 unitamente all'art. 3, commi 6 e  7,
del d.P.R. 23 agosto 1988, n. 399 (Norme risultanti dalla  disciplina
prevista dall'accordo per il triennio 1988-1990  del  9  giugno  1988
relativo al personale del comparto scuola); e poiche'  queste  ultime
disposizioni si riferiscono ai soli insegnanti di religione -  non  a
caso indicati, in parentesi, a conclusione della previsione citata di
cui all'art. 142 del contratto collettivo - appare  evidente  che  il
richiamo contenuto nella disposizione  del  contratto  collettivo  si
riferisce  ai  soli  insegnanti  di  religione,   attesa   l'indubbia
particolarita' della loro situazione. Ne' a diversa conclusione  puo'
pervenirsi in riferimento all'art. 146, comma 1, lettera  g),  numero
5), del contratto  collettivo  del  settore  scuola  per  il  periodo
2006-2009, altra norma citata nell'ordinanza di rimessione. 
    Le norme della contrattazione collettiva ora considerate, quindi,
non hanno in alcun modo ricondotto in vita la figura dei docenti  non
di ruolo a tempo indeterminato. 
    Ne consegue che, essendo stata eliminata la  figura  dei  docenti
non di ruolo a tempo  indeterminato,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  deve  essere  dichiarata,   sotto   questo   profilo,
inammissibile per mancanza del tertium comparationis individuato  dal
giudice a quo, che si  traduce  in  un'erronea  rappresentazione  del
quadro normativo. 
    4.- La questione posta  dalla  Corte  d'appello  di  Firenze  e',
invece, ammissibile in riferimento al secondo  tertium  comparationis
individuato, costituito dai docenti di religione; per tale categoria,
la previsione dell'ultimo comma del censurato art.  53  trova  ancora
applicazione, determinando il beneficio degli aumenti  periodici  del
trattamento economico, che non e' previsto per i lavoratori di cui al
giudizio a quo, supplenti con incarico a tempo determinato. 
    4.1.- Occorre innanzitutto  rilevare  che  -  come  correttamente
argomenta il giudice remittente - lo status giuridico e  la  carriera
dei docenti di religione hanno subito un profondo mutamento a seguito
dell'entrata in vigore della legge 18  luglio  2003,  n.  186  (Norme
sullo stato giuridico degli insegnanti di religione  cattolica  degli
istituti e delle  scuole  di  ogni  ordine  e  grado).  Quest'ultima,
superando il vecchio assetto delineato dalla legge 5 giugno 1930,  n.
824  (Insegnamento  religioso  negli   istituti   medi   d'istruzione
classica,  scientifica,  magistrale,  tecnica   ed   artistica),   ha
istituito un ruolo dei docenti di religione cattolica, con previsione
di una determinata dotazione  organica  e  con  la  creazione  di  un
accesso al ruolo tramite concorso per titoli ed esami, alla luce  dei
criteri fissati nell'intesa tra lo Stato  italiano  e  la  Conferenza
episcopale italiana, resa esecutiva con d.P.R. 16 dicembre  1985,  n.
751 (Esecuzione dell'intesa tra l'autorita' scolastica italiana e  la
Conferenza episcopale italiana  per  l'insegnamento  della  religione
cattolica nelle scuole pubbliche). 
    L'art. 2 della legge n. 186 del 2003, nell'istituire, come si  e'
detto, la dotazione  organica  dei  posti  per  l'insegnamento  della
religione cattolica, ha stabilito che essa venga  determinata  «nella
misura del 70 per cento  dei  posti  d'insegnamento  complessivamente
funzionanti»; il che significa che la stabilizzazione del rapporto di
lavoro di tali insegnanti e', comunque, limitata da un punto di vista
numerico, perche' il rimanente 30 per cento degli stessi  continua  a
rimanere privo di stabilita'. Ne consegue che  il  richiamo  compiuto
dalla Corte d'appello di Firenze alle profonde modifiche del rapporto
di lavoro dei docenti di religione - le quali farebbero  venire  meno
ogni ragionevole  giustificazione  della  diversita'  di  trattamento
economico - si scontra con il dato ora evidenziato, e  cioe'  che  la
stabilita' del rapporto di lavoro non vale per l'intera categoria  di
docenti, in quanto per una parte minore, ma pur sempre significativa,
di costoro la perdurante applicazione  dell'art.  53,  ultimo  comma,
della legge n. 312 del 1980 costituisce l'unico temperamento rispetto
alla mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro. 
    D'altra parte e' innegabile che, nonostante  la  riforma  di  cui
alla citata legge n. 186 del 2003,  lo  status  degli  insegnanti  di
religione  mantenga  alcune  sue  indubbie  peculiarita',  quali   la
permanente possibilita'  di  risoluzione  del  contratto  per  revoca
dell'idoneita' da parte dell'ordinario diocesano (art.  3,  comma  9,
della legge n. 186 del 2003) e l'assenza di un sistema paragonabile a
quello delle graduatorie permanenti - ora graduatorie ad  esaurimento
- previste per altri docenti, le quali consentono l'ingresso in ruolo
in ragione del cinquanta per cento dei posti  disponibili  (art.  399
del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante: «Approvazione
del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia  di
istruzione, relative alle scuole di ogni ordine  e  grado»).  Inoltre
questa Corte ha sottolineato la peculiarita' del rapporto  di  lavoro
degli insegnanti di  religione  (sentenza  n.  343  del  1999)  e  ha
ricordato che tale categoria di docenti ha  operato  tradizionalmente
con un rapporto di  servizio  nel  quale  assume  un  ruolo  centrale
l'Intesa  tra  l'autorita'  scolastica  italiana  e   la   Conferenza
episcopale italiana (sentenza n. 297 del 2006). 
    Da tanto consegue che la prospettata  questione  di  legittimita'
costituzionale e', in parte qua, priva di fondamento  in  riferimento
all'art. 3 Cost., attesa l'inidoneita' della categoria dei docenti di
religione a fungere da idoneo tertium comparationis. 
    4.2.- La diversita' della condizione dei suddetti  docenti  -  la
quale costituisce una naturale conseguenza dell'intrinseca diversita'
del loro rapporto  di  lavoro  -  rende,  di  conseguenza,  priva  di
fondamento la prospettata questione di legittimita' costituzionale in
riferimento anche all'art. 36 Cost. nonche'  alla  normativa  europea
richiamata attraverso gli artt. 11 e 117 Cost., poiche' il  principio
di non discriminazione di cui alla  clausola  4  dell'accordo  quadro
CES, UNICE e CEEP sul  lavoro  a  tempo  determinato,  allegato  alla
direttiva 28 giugno 1999, n.  1999/70/CE  del  Consiglio,  presuppone
comunque la comparabilita' tra le due categorie di lavoratori a tempo
determinato e a tempo indeterminato. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 53, terzo comma, della legge 11 luglio 1980,
n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale  civile  e
militare dello Stato), sollevata - in riferimento  agli  articoli  3,
36, 11 e 117 della  Costituzione,  questi  ultimi  due  parametri  in
relazione alla clausola 4 dell'accordo quadro CES, UNICE e  CEEP  sul
lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28  giugno  1999,
n. 1999/70/CE del Consiglio - dalla Corte d'appello  di  Firenze,  in
funzione di giudice del lavoro, con riguardo al tertium comparationis
costituito dai docenti  non  di  ruolo  a  tempo  indeterminato,  con
l'ordinanza di cui in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale del medesimo art. 53, terzo comma, della legge n.  312
del  1980   sollevata,   in   riferimento   ai   medesimi   parametri
costituzionali, dalla Corte d'appello  di  Firenze,  in  funzione  di
giudice del lavoro, con riguardo al tertium comparationis  costituito
dai docenti di religione, con l'ordinanza di cui in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                    Sergio MATTARELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI