N. 152 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 dicembre 2012

Ordinanza del 18 dicembre 2012 emessa  dalla  Commissione  tributaria
provinciale di Torino sul ricorso proposto da Longhi  Stefano  contro
Equitalia Nomos Spa. 
 
Imposte e tasse -  Riscossione  delle  imposte  -  Remunerazione  del
  servizio - Aggio percentuale sulle somme iscritte a ruolo  riscosse
  (c.d. compenso di riscossione) - Determinazione  non  collegata  al
  calcolo  dei  costi  effettivi  del  servizio  di   riscossione   -
  Inserimento degli interessi dovuti all'ente creditore  dell'imposta
  nel  montante  su  cui  calcolare  l'importo   percentuale   dovuto
  all'agente  della  riscossione  -  Violazione  del   principio   di
  ragionevolezza. 
- Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, comma  1,  nel
  testo sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a), del decreto-legge
  29 novembre 2008, n.  185,  convertito,  con  modificazioni,  nella
  legge 28 gennaio 2009, n. 2. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.27 del 3-7-2013 )
 
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE 
 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso   n.   4495/10,
depositato il 10 dicembre 2010, avverso cartella di pagamento n.  110
2010 00823091 70 Irpef-add.reg. 2005; avverso cartella  di  pagamento
n. 110 2010 00823091 70  Irpef-add.com.  2005;  avverso  cartella  di
pagamento n. 110 2010 00823091 70 Irpef + Irap 2005; 
    Contro agente di riscossione Torino Equitalia Nord S.p.a.; 
    Proposto dai ricorrenti: Longhi Stefano, via Vincenzo  Lancia  n.
31 - 10141 Torino; 
    Difeso da Bogetti Ferruccio, 10034 Chivasso (Torino); 
    Difeso da Tarquini Raffaella, 10034 Chivasso (Torino). 
 
                        In fatto e in dritto 
 
    1. - Con ricorso spedito il 12 novembre 2010  e  ricevuto  il  16
novembre 2010 dalla destinataria societa' Equitalia  Nomos  s.p.a.  -
agente  della   riscossione   per   la   provincia   di   Torino   -,
tempestivamente depositato il  10  dicembre  2010,  il  sig.  Stefano
Longhi, in giudizio rappresentato e difeso dai dottori commercialisti
Raffaella Tarquini  e  Ferruccio  Bogetti,  impugna  la  cartella  di
pagamento n. 110 2010 0082309170,  per  mezzo  della  quale  l'agente
della riscossione intima il pagamento di € 2.893,00 per  irap;  di  €
2.592,50 per irpef e relative addizionali pari  ad  €  115,44;  di  €
692,49 per interessi dovuti all'ente  impositore,  di  €  5,16  costo
della notifica,  di  292,89  per  compensi  dovuti  all'agente  della
riscossione qualora il pagamento fosse avvenuto entro sessanta giorni
dalla notifica, oppure € 566,88 se oltre sessanta giorni. 
    2. - L'atto impugnato trova motivazione nell'iscrizione  a  ruolo
provvisoria effettuata dall'Agenzia delle entrate, ufficio Torino  1,
in virtu' di avviso di accertamento notificato il 1° dicembre 2009 ed
impugnato con  ricorso  pendente  presso  la  commissione  tributaria
provinciale. 
    3. - Parte ricorrente,  nel  domandare  l'annullamento  dell'atto
impugnato, prospetta vari vizi che inficerebbero la  validita'  della
pretesa tributaria; si duole  pure,  prospettandone  l'illegittimita'
costituzionale, della pretesa di pagamento a favore dell'agente della
riscossione dell'aggio previsto dall'art. 17, comma  1,  del  decreto
legislativo n. 112 del 1999. 
    In particolare, deduce i seguenti motivi di impugnazione: 
    i) inesistenza della notificazione, in quanto ai sensi  dell'art.
26, comma 1, periodo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.
602 del  1973  (Disposizioni  sulla  riscossione  delle  imposte  sul
reddito) non  e'  possibile  delegare  la  notificazione  alle  Poste
Italiane (cita C.T.P. Lecce, sezione V, sentenza n. 909  del  2008  e
C.T.P. Milano, sez. I, n. 450 del 2010); 
    ii) inesistenza della notifica per  carenza  della  qualifica  di
messo notificatore in capo al soggetto che ha notificato l'iscrizione
a ruolo; 
    iii) inesistenza della notificazione per mancanza degli  elementi
previsti dall'art. 148 del codice di procedura  civile,  e  cioe'  il
soggetto notificante e  la  sottoscrizione  del  medesimo  attestante
l'avvenuta notificazione tramite servizio postale; 
    iv) inesistenza della notificazione in quanto dalla lettura della
busta non compaiono ne' la sottoscrizione ne'  il  sigillo  dell'ente
della riscossione; 
    v) mancata allegazione del ruolo alla cartella di pagamento e sua
omessa produzione in giudizio; 
    vi) omessa indicazione dell'autorita'  amministrativa  presso  la
quale il contribuente possa tutelare la propria posizione  giuridica,
ai sensi dell'art. 7, comma 2, lettera c) della legge n. 212 del 2000
(Statuto dei diritti del contribuente); 
    vii)  indicazione  meramente   formale   del   responsabile   del
procedimento indicato in una sola persona che non puo' da sola curare
centinaia di migliaia di pratiche; 
    viii), ix),  x)  assenza  di  sottoscrizione  della  cartella  di
pagamento; 
    xi) illegittimita' costituzionale  dell'aggio  dovuto  all'agente
della riscossione; 
    xii) assenza di delega da Equitalia Nomos s.p.a. all'agente della
riscossione per la provincia di Torino; 
    xiii) violazione del principio  di  trasparenza  del  gruppo  tra
Equitalia Nomos,  societa'  controllata,  e  l'agente  fiscale  delle
entrate, societa' controllante; 
    xiv) vizio prospettato in via di  ipotesi:  ove  sia  accolto  il
ricorso contro l'avviso di accertamento, verra' meno  il  presupposto
dell'iscrizione a ruolo (supra, paragrafo 2). 
    4. - Non si e' costituita in  giudizio  Equitalia  Nomos  s.p.a.,
sebbene il ricorso sia stato  regolarmente  proposto,  con  invio  di
plico postale da essa ricevuto (supra, paragrafo 1). 
    5. - La causa e' stata trattata il 9  ottobre  2012  in  pubblica
udienza,  udito  il  giudice  relatore  nonche'  l'esposizione  delle
ragioni offerte dal difensore di parte  ricorrente.  Il  collegio  si
riservava di decidere e in data odierna, sciogliendo la  riserva,  ha
stabilito  di  sospendere   il   giudizio   rimettendo   alla   Corte
costituzionale la decisione sulla questione posta al  punto  xi)  del
ricorso. 
    In precedenza la commissione tributaria ha  esaminato  gli  altri
motivi dedotti da parte ricorrente ritenendoli tutti infondati per le
seguenti ragioni. 
    Il collegio giudicante osserva che e' pacifica la modalita' della
notifica della cartella avvenuta nel  caso  di  specie  a  mezzo  del
servizio postale. Le censure mosse in  ricorso,  ai  punti  i),  ii),
iii),  iv),  non  assumono  quindi  rilievo   di   vizi   comportanti
l'inesistenza della notifica: ai sensi del terzo comma  dell'art.  4,
della legge n. 890 del 1982, la prova  della  notificazione  a  mezzo
posta e' fornita dall'avviso di ricevimento; in  tal  caso,  la  fase
essenziale del procedimento e' da rinvenire nell'attivita'  espletata
dell'agente postale che si conclude con il ricevimento dell'avviso di
raccomandata attestato dalla firma del destinatario, senza necessita'
di redigere un'apposita relata (Corte di Cassazione, Sezioni Unite n.
7821 del 1995; Sez. V, n. 21949 del 2007, n. 14327 del 2009). 
    Con riguardo,  poi,  all'invio  diretto  della  raccomandata,  la
commissione osserva che l'art. 14 della legge n. 890 prevede che  gli
uffici  finanziari  possono  notificare  avvisi  ed  altri  atti   al
contribuente direttamente a mezzo posta, e l'art. 26 del decreto  del
Presidente della Repubblica n. 602  dispone  che  la  notifica  della
cartella puo' essere  eseguita  (non  solo  avvalendosi  di  soggetti
abilitati, come previsto nel primo periodo del  medesimo  comma,  ma)
«anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento».  La
lettera delle due disposizioni  e'  chiara  nell'indicare  che  anche
l'agente della riscossione puo' notificare direttamente  la  cartella
di pagamento chiusa in plico raccomandato. La contraria  opinione  di
quanti ritengono che la suddetta modalita' di  notifica  sia  inibita
all'agente della riscossione non persuade, perche'  appare  contraria
alla lettera delle disposizioni sopra indicate ed inoltre trascura di
indicare per quale motivo l'agente della riscossione  possa,  a  tale
riguardo, apparire meno affidabile degli uffici finanziari in  genere
e debba necessariamente avvalersi  dell'intermediazione  di  soggetti
abilitati. 
    La commissione, dunque, rileva l'infondatezza  dell'eccezione  di
parte ricorrente e il suo convincimento trova  conforto  anche  nella
piu' recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale,  con
sentenza n. 2288 del 2011, conferma che, in virtu' dell'art.  26  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  602  del   1973   la
notificazione, da parte dell'esattore, possa essere  eseguita  «anche
mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento». 
    E' interessante anche la sentenza 15948 del  2010  (che  risponde
negativamente - anche se non esplicitamente -  al  quesito  specifico
attinente alla spedizione diretta della raccomandata). 
    Non esiste alcuna norma che obblighi l'agente  della  riscossione
ad allegare materialmente il ruolo alla  cartella  di  pagamento.  Il
motivo dedotto al punto v) del ricorso e' quindi del tutto infondato. 
    E' altresi' infondato  il  motivo  formulato  al  punto  vi)  del
ricorso: l'invocata norma di cui all'art.  7,  comma  2,  lettera  c)
della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei  diritti  del  contribuente)
prevede che l'indicazione dell'autorita' amministrativa sia  espressa
in via alternativa  all'indicazione  dell'organo  giurisdizionale  da
adire. E' manifestamente evidente che  nel  caso  di  specie  non  e'
configurabile alcuna  possibile  alternativa  alla  proposizione  del
ricorso davanti al giudice tributario; sicche' la questione non trova
alcuna possibilita' applicativa riferibile ad  una  supposta  lesione
del diritto di difesa del contribuente. 
    La cartella di pagamento, indicando  nominativamente  la  persona
del responsabile del procedimento ha assolto esaustivamente l'obbligo
di cui all'art. 7, comma 2 lettera a) della legge  n.  212  del  2000
(Statuto dei diritti del contribuente). La censura di  cui  al  punto
vii) del ricorso e', quindi, puramente ipotetica e non e'  supportata
da alcun dato di fatto. 
    E' principio consolidato in giurisprudenza (Corte costituzionale,
ordinanze n. 117 del 2000 e n. 377 del 2007, Corte di Cassazione,  ex
multis, sentenze n. 4923 e n. 18972 del 2007)  che  la  cartella  non
esige la firma come elemento essenziale dell'atto essendo sufficiente
la sua intestazione per verificarne la  provenienza;  e  siccome  nel
caso di specie e' certo  che  la  cartella  impugnata  e'  riferibile
all'organo competente ad emetterla, i pertinenti motivi,  di  cui  ai
punti viii) ix) e x) del ricorso devono essere respinti. 
    Parte ricorrente contesta - sub xii) e xiii) -  violazione  delle
norme (di cui agli articoli 2359,  2497-bis  e  2497-  quater  codice
civile ed al decreto-legge  n.  203  del  2005)  che  legittimano  la
societa'  controllata  a  svolgere  l'attivita'  di   riscossione   e
disciplinano il principio di trasparenza di gruppo e dello  stato  di
soggezione all'altrui attivita' di direzione e coordinamento. 
    Ad avviso della  commissione  tributaria  le  norme  civilistiche
invocate da parte ricorrente non incidono sulla  validita'  dell'atto
impugnato ne' parte  ricorrente  e'  legittimata  a  far  valere  nel
giudizio tributario gli asseriti vizi posti a tutela degli  interessi
dei soci e dei creditori. 
    Il collegio giudicante ritiene inammissibile il  motivo  proposto
al  punto  xiv)  del  ricorso,  nella  considerazione  che  l'ufficio
impositore ha fatto buon governo della  norma  di  cui  all'art.  15,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del  1973
(Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) iscrivendo
a ruolo  provvisorio  la  meta'  delle  imposte  accertate  con  atto
impugnato per mezzo di ricorso  che,  al  momento  dell'iscrizione  a
ruolo, era pendente davanti alla commissione tributaria  provinciale.
Quali che siano state le successive vicende processuali (delle  quali
peraltro parte ricorrente  non  ha  riferito  nulla,  nel  corso  del
presente giudizio) resta legittima  l'iscrizione  a  ruolo,  rispetto
alla cui validita' le deduzioni in ricorso appaiono  come  ipotetiche
ed eventuali e, in quanto tali, inammissibili. 
    Dall'esame fin  qui  condotto  risulta,  dunque,  che  tutti  gli
anzidetti  motivi   del   ricorso   sono   infondati   e   che   sono
conseguentemente da respingere. 
    Rimane da valutare la questione di illegittimita'  costituzionale
relativa all'addebito dell'aggio che parte ricorrente contesta (punto
xi del ricorso) in quanto  stabilita  apoditticamente  dall'art.  17,
comma  1,  del  decreto  legislativo  n.  112  del   1999   in   modo
irragionevole  giacche',  ignorando  i  canoni  di  imparzialita'   e
trasparenza, prescinde dal calcolare i costi effettivi  del  servizio
pubblico di riscossione (articoli 3, 53 e 97 della Costituzione). 
    La norma in esame, inoltre, legittima l'agente della  riscossione
a liquidare il proprio compenso sugli interessi di  mora  dovuti  dal
debitore all'ente impositore  per  ritardato  pagamento  delle  somme
iscritte a ruolo;  ed  anche  sotto  tale  aspetto  la  norma  appare
irragionevole,  giacche'  l'agente  della  riscossione,  che  non  ha
anticipato alcuna somma, non ha subito alcun  danno  patrimoniale  da
riparare con la corresponsione di interessi. Per converso  il  cumulo
degli oneri da cui  e'  gravato  il  contribuente  (interessi  dovuti
all'ente  impositore  cui  si  aggiungono  gli  interessi  a   favore
dell'agente della riscossione), che secondo parte ricorrente e'  pari
all'11,4508 per cento  annuo,  oltrepassa  il  limite  dell'interesse
definito usurario dalla legge n. 108 del 1996. 
    A questo  riguardo,  la  commissione  tributaria  rileva  che  la
cartella esattoriale in esame  intima  il  pagamento,  oltre  che  di
talune imposte erariali e  relativi  interessi,  anche  dei  compensi
dovuti all'agente della riscossione  di  € 566,88,  fissati  in  tale
misura nella considerazione che il pagamento della  cartella  non  e'
avvenuto entro il sessantesimo giorno dalla notifica. Il compenso  e'
stato calcolato applicando la percentuale del  nove  per  cento  alla
somma  di  €  6.298,59  complessivamente  dovuta   dal   contribuente
all'Agenzia delle entrate  per  imposte,  addizionali  ed  interessi.
L'agente della  riscossione,  infatti,  deve  essere  remunerato  dal
debitore, ai sensi dell'art. 17, comma 1, del decreto legislativo  n.
112 del 1999 - come sostituito, a  decorrere  dal  1°  gennaio  2009,
dall'art. 32, lettera a) del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito
dalla legge n. 2 del 2009 - con un aggio pari al nove per cento delle
somme iscritte a ruolo riscosse e dei  relativi  interessi  di  mora,
qualora il pagamento  avvenga  oltre  il  sessantesimo  giorno  dalla
notifica della cartella (mentre nel caso  in  cui  il  pagamento  sia
effettuato entro sessanta giorni, la remunerazione dell'agente  della
riscossione e' ripartita tra il contribuente, in ragione del 4,65 per
cento, e l'ente creditore, per il restante 4,35 per  cento).  L'aggio
dunque varia col variare dell'entita' del  debito  d'imposta:  566,88
euro nel caso in esame, oppure, in ipotesi 9.000 euro  se  il  debito
tributario ammontasse a 100.000 euro;  ovvero,  90.000  euro  per  un
debito di un milione di euro, e cosi' proseguendo verso cifre  sempre
piu' elevate, non avendo la norma in esame posto  alcun  limite  alla
commisurazione dell'aggio, Appare in tal modo violato l'art. 3  della
Costituzione sotto il profilo del canone  della  ragionevolezza.  Se,
infatti, appare giustificato che al contribuente, il quale con il suo
inadempimento ha dato origine alla procedura coattiva, siano imputati
i costi del servizio di riscossione, non e' ragionevole che gli siano
imputati oneri eccessivi che oltrepassino a dismisura il costo  della
procedura: la  norma  di  cui  all'art.  17,  comma  1,  del  decreto
legislativo n. 112 del 1999  e'  priva  di  qualsiasi  «effettivo  ed
opportuno ancoraggio della remunerazione al costo del servizio» (come
avrebbe dovuto se avesse adottato i parametri enunciati  dalla  Corte
costituzionale, con sentenza n. 480 del 1993), esponendo in tal  modo
i contribuenti a pretese di rimborso  di  «costi»  non  giustificati,
indimostrati ed esorbitanti.  Il  calcolo  percentuale  addiziona  di
fatto al debito per imposte una pseudo sanzione, venendo in tal  modo
ad assumere connotati afflittivi e punitivi, estranei  alla  asserita
funzione remunerativa del costo del servizio di riscossione. 
    L'anomalia della norma e' posta in evidenza anche  dal  raffronto
con la normativa previgente nonche' con le norme successive che  sono
state in tempi piu' recenti emanate per correggerne le distorsioni  e
che sono ancora adesso in corso di attuazione. 
    La precedente formulazione del comma 1 dell'art. 17  del  decreto
n. 112, prima che fosse sostituito, a decorrere dal 1° gennaio  2009,
dall'art. 32, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 185  del  2008
convertito dalla legge n. 2 del 2009,  prevedeva  che  l'aggio  fosse
determinato per ogni biennio, con decreto  ministeriale,  sulla  base
del costo medio unitario del sistema, della  situazione  economica  e
sociale di ciascun ambito e dei tempi di riscossione.  Le  norme  che
successivamente hanno modificato il  testo  dell'art.  17  in  esame,
recate  dall'art.  13-quater  del  decreto-legge  n.  201  del   2011
convertito dalla legge n. 214 del 2011 nonche' dall'art. 5,  comma  1
del decreto-legge n. 95 del 2012 convertito dalla legge  n.  135  del
2012, statuiscono esplicitamente che  gli  agenti  della  riscossione
hanno diritto al rimborso dei costi ed esplicitano i criteri  cui  il
decreto ministeriale di attuazione dovra' attenersi. 
    Emerge  dunque  con  chiarezza,  anche  dalle  implicite  censure
contenute nelle norme che in tempi  diversi  disciplinano  la  stessa
materia, che il testo in vigore dal  1°  gennaio  2009  del  comma  1
dell'art. 17 del decreto n. 112, siccome prescinde  dall'ancorare  la
remunerazione dell'agente della riscossione ai costi del servizio, e'
in  urto  con  i  principi  dell'ordinamento  costituzionale,  ed  in
particolare con il principio di  ragionevolezza  insito  nell'art.  3
della Costituzione. 
    Peraltro, la norma appare irragionevole anche per la parte in cui
inserisce nel montante su cui calcolare l'aggio anche  gli  interessi
dovuti all'ente impositore titolare del credito d'imposta, venendo in
tal  modo  a  riconoscere  ad  un  soggetto  terzo,  l'agente   della
riscossione, un  sovrappiu'  a  titolo  di  interessi,  su  somme  da
quest'ultimo non anticipate ne' tantomeno sborsate. 
    La questione dunque non e'  manifestamente  infondata  ed  appare
rilevante,  nella  considerazione  che  il  giudice  adito  non  puo'
definire  la  questione  se  non  applicando  la  norma,  di   dubbia
legittimita'  costituzionale,  introdotta  dall'art.  32,  comma   1,
lettera a) del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito  dalla  legge
n. 2 del 2009. Respingendo infatti il ricorso in quanto,  come  prima
dimostrato, e' infondato in tutti i restanti motivi,  la  commissione
tributaria dovrebbe applicare la norma di cui all'art. 17 del decreto
n. 112 del 1999, nel testo vigente dal 1° gennaio 2009, per  decidere
se il contribuente e' tenuto,  oltre  che  a  pagare  le  imposte,  a
remunerare l'agente della  riscossione  nella  misura  che  la  norma
individua esplicitamente e  chiaramente,  senza  lasciare  spazio  ad
altra interpretazione che meglio  possa  adeguarla  al  principio  di
ragionevolezza. La questione pertanto deve essere devoluta alla Corte
costituzionale a che decida se le disposizioni di cui all'art. 17 del
decreto legislativo n. 112 del 1999, come  sostituito  dall'art.  32,
comma 1, lettera a) del decreto-legge  n.  185  del  2008  convertito
dalla  legge  n.  2  del  2009,  sono   lesive   del   principio   di
ragionevolezza insito  nell'art.  3  della  Costituzione.  Si  impone
pertanto la rimessione della questione alla Corte costituzionale  per
la sua decisione ai sensi degli articoli 1,  legge  costituzionale  9
febbraio 1948, n. 1 e legge 11 marzo 1953, n. 87. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 17 del decreto  legislativo  n.
112 del 13 aprile  1999,  come  sostituito  dall'art.  32,  comma  1,
lettera a) del decreto-legge n. 185 del 29 novembre  2008  convertito
dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2009, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione della Repubblica italiana. 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale con la  prova  delle  notificazioni  e
comunicazioni di cui all'art. 23, quarto comma, legge 11 marzo  1953,
n. 87. 
    Ordina che a cura della  segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alla parte costituita in giudizio  ed  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti  del  Senato
della Repubblica e della Camera dei deputati. 
 
      Torino, 18 dicembre 2012 
 
                       Il presidente: Cocilovo 
 
 
                                                L'estensore: Gratteri