N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 aprile 2013
Ordinanza del 3 aprile 2013 emessa dal Tribunale di Tivoli nel procedimento civile promosso da Cristea Lucia contro Panzini Moreno. Contratto, atto e negozio giuridico - Caparra confirmatoria - Ritenzione, ovvero obbligo di restituzione del doppio, in caso di inadempimento - Potere (d'ufficio) del giudice di ridurre equamente la somma da ritenere o il doppio da restituire, in ipotesi di manifesta sproporzione o se ricorrano giustificati motivi - Omessa previsione - Violazione del principio di ragionevolezza sotto piu' profili - Penalizzazione del contraente "debole". - Codice civile, art. 1385, comma secondo. - Costituzione, art. 3.(GU n.35 del 28-8-2013 )
IL TRIBUNALE Il Tribunale di Tivoli, nella persona del Giudice unico dott. Alessio Liberati, nel procedimento iscritto al numero 4651/2012 RG e proposto dalla sig.ra Lucia Cristea nata a Telenesti (MD) il 25 aprile 1969, rappresentata e difesa dall'avv. Maurizio Scattone ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Carmelo Tripodi, in Tivoli (RM), via del Lavoro n. 13, giusta delega in atti, attore; Nei confronti del sig. Moreno Panzini, convenuto contumace; Ha pronunciato la seguente ordinanza con la quale si solleva di ufficio questione di legittimita' costituzionale In fatto Parte attrice ha citato con atto ritualmente notificato innanzi al tribunale di Tivoli la parte convenuta, per ottenere in via principale la condanna alla restituzione del doppio della caparra (pari originariamente a 45.000,00, per un totale quindi di 90.000,00 euro) e degli altri anticipi successivi (pari a 25.000,00 euro complessivi) corrisposti per l'acquisto di un immobile sito in Canterano, p.za Filippo Antonioni n. 1 (distinto al catasto fg. 4, part. 110, sub 503, part. 112, sub 503) per il quale era stato stabilito un prezzo di vendita di euro 110.000,00. La somma totale da restituire all'attore, come dallo stesso richiesta, e' pari quindi a 115.000,00 euro, superiore cioe' al valore dell'affare stesso, considerato che quanto corrisposto a titolo di caparra deve essere restituito nel doppio. In via subordinata e condizionata, l'attore ha richiesto la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare di compravendita stipulato in data 15 ottobre 2010 e la restituzione di quanto corrisposto e del danno subito. Non si e' costituito il convenuto. Alla udienza del 29 marzo 2013, trattandosi di causa documentale, su richiesta di parte attrice, la stessa e' stata trattenuta in decisione, senza concessione di termini. In diritto Ritiene il tribunale che dagli atti di causa emerga con chiarezza che la somma fosse stata consegnata a titolo di caparra confirmatoria, come espressamente stabilito nel contratto preliminare del 15 ottobre 2010. Sussistono ad avviso del tribunale gli estremi per la restituzione del doppio della caparra confirmatoria ex art. 1385 c. 2 c.c. da parte del convenuto promittente venditore. Giova evidenziare anche che questo stesso tribunale ha sollevato questione di legittimita' costituzionale per fattispecie analoga, ma in parte diverso, rubricata nel ruolo della ecc.ma Corte costituzionale con il n. 2 del 2013. La norma in questione e la sua interpretazione. Impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente orientata. L'art. 1385 del codice civile dispone che «Se al momento della conclusione del contratto una parte da' all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantita' di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra a' inadempiente, l'altra puo' recedere dal contratto, ritenendo la caparra' se inadempiente e' invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra puo' recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Se pero' la parte che non e' inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratta, il risarcimento del danno e' regolato dalle norme generali» Diversamente dall'istituto della clausola penale, disciplinato dall'art. 1384 c.c., in ipotesi di caparra non e' dunque consentito al giudice di operare la riduzione dell'importo (ipotesi che con riferimento alla clausola penale la giurisprudenza dopo un lungo dibattito ermeneutico ha ritenuto essere esperibile anche ex officio), atteso che il carattere eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 1384 c.c. ne esclude una applicazione analogica. La giurisprudenza e' granitica sul punto e non sussistono precedenti di senso opposto. Del resto la tranciante argomentazione del carattere eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 1384 c.c., derivante dalla natura di fattore limitante la liberta' negoziale delle parti (ex plurimis Casa. civ., Sez. II, 1° dicembre 2000, n. 15391), non consente una diversa interpretazione dell'articolato normativo, escludendo altresi' l'ipotesi di una interpretazione diversa e costituzionalmente compatibile. La quaestio nella fattispecie in oggetto. Nel caso di specie, come meglio precisato in fatto, la controversia concerne un'azione intentata per richiedere la restituzione del doppio della caparra confirmatoria originariamente prestata (90.000 euro) e degli ulteriori acconti successivamente corrisposti nelle more della stipula del contratto definitivo, per un totale di 115.000, euro. Nessun dubbio puo' sorgere in merito alla natura ed alla qualificazione giuridica della dazione a titolo di caparra, attesa la chiara espressione utilizzata nel preliminare. Del pari, e' provata la circostanza che il promissario venditore non si sia adoperato per la stipula del definitivo, facendo decorrere il termine stabilito (3 mesi dal 15 ottobre 2010) senza addivenire alla stipula del definitivo, nonostante esplicite diffide. Nella fattispecie la somma complessiva da restituire - pari, come detto a 115.000,00 euro - e' maggiore del valore stesso dell'affare, essendo stata promessa la vendita dell'immobile per l'importo complessivo di euro 110.000,00. Cio' premesso, resta un'evidente sproporzione dell'importo pattuito rispetto alla prassi in uso per analoghe operazioni commerciali che impone a questo giudice di valutare se vi siano spazi applicativi per una eventuale riduzione ex officio (che, come ricordato, e' oggi ammessa dalla giurisprudenza nella ipotesi di clausola penale ex art. 1384 c.c.). La riduzione della penale, tuttavia, per quanto gia' evidenziato, e' soluzione impraticabile allo stato della normativa (e per costante giurisprudenza) stante la impossibilita' di applicare in via analogica una disposizione di carattere eccezionale che deroga alla liberta' negoziale delle parti. Vi sono dunque elementi per dubitare della compatibilita' costituzione della norma di cui all'art. 1385 comma 2 c.c., sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in cui non prevede la possibilita' per il Giudice di ridurre la somma da restituire a titolo di caparra confirmatoria consegnata dall'acquirente (o il doppio della caparra in caso di inadempimento del venditore) ove manifestamente eccessiva o ove ricorrano giustificati motivi. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1385 comma 2 codice civile. Si ritiene dunque di dover sollevare di ufficio, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 1385 comma 2 c.c. in materia di caparra confirmatoria, nella parte in cui non dispone che - nelle ipotesi in cui la parte che ha dato la caparra e' inadempiente, l'altra puo' recedere dal contratto, ritenendo la caparra e nella ipotesi in cui, se inadempiente e' invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra puo' recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra - il giudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il doppio da restituire in ipotesi di manifesta sproporzione o ove, tenuto conto della natura dell'affare e delle prassi commerciali, sussistano giustificati motivi. Va ricordato, a riguardo del parametro della irragionevolezza, che la giurisprudenza della Corte costituzionale, in passato, era orientata nel senso di ricondurre il principio di ragionevolezza all'interno della previsione dell'art. 3 della Costituzione che afferma - come noto - il principio di uguaglianza; di modo che la norma irragionevole era costituzionalmente illegittima in quanto apportatrice di irragionevoli discriminazioni. Come conseguenza di siffatta impostazione era necessario, per accertare l'irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis. Nel tempo la Corte ha affrancato il principio di ragionevolezza sia dal principio di uguaglianza, sia dalla ricerca del tertium comparationis, e ne ha poi affermato la violazione anche in assenza di una sostanziale disparita' di trattamento tra fattispecie omogenee, allorche' la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorieta' od illogicita' rispetto al contesto normativo preesistente o rispetto alla complessiva finalita' perseguita dal legislatore. Tale ipotesi appare ricorrere nel caso di specie, per quanto detto sopra. Sotto altro profilo non puo' poi non evidenziarsi come, rispetto all'impianto complessivamente disegnato nel codice del 1942, la materia contrattualistica abbia subito profondi mutamenti negli ultimi anni, soprattutto per le influenze subite dal diritto comunitario. In particolare si sono susseguiti interventi volti ad assicurare una equita' oggettiva delle prestazione e del complessivo equilibrio contrattuale (anche attraverso la declaratoria di inefficacia delle c.d. clausole abusive). Anche per questa ragione si dubita della ragionevolezza, nei termini sopra indicati, di una disposizione che non consente di tutelare attraverso rimedi ripristinatori del giudice (oggi ammessi in forma sempre piu' estesa) una evidente sproporzione che porterebbe ad una restituzione complessiva di somme addirittura superiori al valore stesso dell'affare. Sulla rilevanza della questione nella fattispecie alla attenzione del tribunale. Va precisato che la questione che si sottopone alla attenzione del Giudice delle Leggi e' di assoluta rilevanza per la fattispecie in oggetto. Nel caso di specie la questione di diritto appena descritta appare infatti di imprescindibile soluzione per la decisione, dovendosi determinare la quantificazione della somma da incamerare in base a disposto normativo la cui compatibilita' costituzionale e' messa in discussione per le ragioni che precedono.
P. Q. M. Visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1984 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1385 comma 2 c.c. in materia di caparra confirmatoria, nella parte in cui non dispone che - nelle ipotesi in cui la parte che ha dato la caparra e' inadempiente, l'altra puo' recedere dal contratto, ritenendo la caparra e nella ipotesi in cui, se inadempiente e' invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra puo' recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra - il giudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il doppio da restituire, in ipotesi di manifesta sproporzione o ove sussistono giustificati motivi. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina cha a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che venga comunicata al Presidente delle due Camere del Parlamento. Tivoli, addi' 29 marzo 2013 Il giudice: Liberati