N. 214 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 giugno 2013
Ordinanza del 6 giugno 2013 emessa dalla Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da B.A. e T.A. contro Ministero dell'interno ed altri 3. Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di sesso - Effetti della sentenza di rettificazione sul matrimonio preesistente - Automatica cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso, senza necessita' di una domanda e di una pronuncia giudiziale - Sostanziale previsione di una fattispecie di "divorzio" imposto ex lege alla coppia coniugata - Violazione del diritto di autodeterminazione nelle scelte relative all'identita' personale - Sproporzionata interferenza statuale nella sfera relazionale del destinatario della rettificazione e dell'altro coniuge - Cancellazione imperativa di una relazione affettiva stabile e continuativa dotata di rilievo costituzionale - Soppressione della volonta' individuale nell'esercizio del diritto personalissimo allo scioglimento del matrimonio - Violazione del diritto alla vita familiare coniugale - Limitazione sostanziale del diritto all'identita' di genere del richiedente e lesione del diritto dell'altro coniuge di scegliere se continuare la relazione coniugale - Contrasto con il diritto al rispetto della propria vita privata e con il diritto di contrarre matrimonio, sanciti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU), come interpretata dalla Corte di Strasburgo. - Legge 14 aprile 1982, n. 164, art. 4 "nella formulazione anteriore all'abrogazione intervenuta per effetto dell'art. 36 del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150". - Costituzione, artt. 2, 10, 29 e 117; Convenzione europea dei diritti dell'uomo [resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848], artt. 8 e 12. Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di sesso - Diritto del coniuge del richiedente, cui il ricorso deve essere notificato, di opporsi nello stesso giudizio di rettificazione allo scioglimento del preesistente vincolo coniugale ovvero di esercitare il medesimo potere in altro giudizio - Mancato riconoscimento, "essendo esclusa la necessita' di una pronuncia giurisdizionale dalla produzione ex lege dell'effetto solutorio in virtu' del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso" - Ingiustificata compressione del diritto di agire giudizialmente a tutela del mantenimento dell'unione coniugale. - Legge 14 aprile 1982, n. 164, artt. 2 e 4. - Costituzione, art. 24. Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di sesso - Diritto del coniuge che procede per la rettificazione di opporsi nello stesso giudizio allo scioglimento del vincolo coniugale preesistente ovvero di esercitare il medesimo potere in altro giudizio - Mancato riconoscimento, "essendo esclusa la necessita' di una pronuncia giurisdizionale dalla produzione ex lege dell'effetto solutorio in virtu' del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso" - Ingiustificata compressione del diritto di agire giudizialmente a tutela del mantenimento dell'unione coniugale. - Legge 14 aprile 1982, n. 164, artt. 2 e 4. - Costituzione, art. 24. Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di sesso - Effetti della sentenza di rettificazione sul matrimonio preesistente - Scioglimento automatico, operante ex lege, del vincolo coniugale - Ingiustificata disparita' di regime giuridico rispetto ad altre ipotesi ritenute dal legislatore radicalmente impeditive della continuazione della convivenza coniugale, nelle quali e' tuttavia necessario l'accertamento giudiziale e la volontarieta' della scelta relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. - Legge 14 aprile 1982, n. 164, art. 4, in relazione all'art. 3, "quarto comma" [recte, comma 1, n. 2,], lett. g), della legge 1° dicembre 1970, n. 898 [aggiunta dall'art. 7 della legge 6 marzo 1987, n. 74]. - Costituzione, art. 3; legge 1° dicembre 1970, n. 898, artt. 3, sub [rectius, n.] 1, lett. a), b), c), e sub [rectius, n.] 2, lett. d).(GU n.42 del 16-10-2013 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 21376-2011 proposto da: B. A. (c.f.), T.A. (c.f.), elettivamente domiciliate in Roma, viale Mazzini 114/B, presso l'avvocato Roberto Di Mattei (Studio associato Coletta), che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati Francesco Bilotta, Anna Maria Tonioni, giusta procura in calce al ricorso; ricorrenti; Contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via Dei Portoghesi, 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis; controricorrente; Contro Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Bologna, Comune di Finale Emilia, Procuratore generale della Repubblica presso la Suprema Corte di Cassazione; intimati; Avverso il decreto della Corte d'appello di Bologna depositato il 18 maggio 2011, n. 859/10 R.G.V.G.; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 febbraio 2013 dal Consigliere dott. Maria Acierno; udito, per i ricorrenti, gli Avvocati Anna Maria Tonioni e Francesco Bilotta che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso; udito, per il controricorrente, l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Costantino Fucci che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione. Ritenuto in fatto A. B., unito in matrimonio con A.T., ha proposto domanda di rettificazione di sesso ed attribuzione del sesso femminile al Tribunale di Bologna. Il coniuge e' stato regolarmente citato in giudizio. Il P.M. vi ha partecipato ai sensi dell'art. 70 cod. proc. civ. Con sentenza n. 23 del 2009, passata in giudicato, il Tribunale ha disposto la rettificazione di sesso con attribuzione di sesso femminile e modifica del prenome della parte ricorrente in A. Nella pronuncia si e' ordinato all'ufficiale di stato civile del Comune di Mirandola di provvedere alla rettifica dell'atto di nascita relativo ad A.B. in conformita' alla sentenza pronunciata, ex art. 2 legge n. 164 del 1982. In data 16 ottobre 2009 la sentenza del Tribunale di Bologna e' stata annotata a margine dell'atto di matrimonio, trascritta nel Registro degli atti dello stato civile di Finale Emilia e nel Registro degli atti di matrimonio del Comune di Bologna. L'annotazione eseguita e' la seguente: «con sentenza n. 23/2009 del Tribunale di Bologna l'atto di nascita di B. A. in data 14 ottobre 2009 e' stato rettificato in modo che la' dove e' scritto "maschile" ad indicare il sesso del nato debba leggersi ed intendersi "femminile" e la' dove e' scritto "A." ad indicare il nome debba leggersi "A.", pertanto B.A. coniuge di T.A. ha assunto il nuovo prenome B.A., come da annotazione apposta all'atto di nascita n. 280, Parte I, Serie A, Anno 1971 del Comune di Mirandola». Oltre a tale annotazione in data 18 novembre 2010 e' stata aggiunta la seguente formula: «la sentenza sopra menzionata ha prodotto ai sensi dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 la cessazione degli effetti civili del matrimonio di cui all'atto controscritto a far data dal 29 giugno 2009, cosi' come previsto al paragrafo 11.5. del nuovo massimario dello stato civile». In precedenza, in data 19 marzo 2010 il Comune di Finale Emilia aveva comunicato la variazione anagrafica per cessazione degli effetti civili di matrimonio agli uffici dell'Anagrafe del Comune di Mirandola e di Bologna ai fini delle annotazioni e variazioni anagrafiche di competenza. A seguito di tale comunicazione il Comune di Bologna ha apposto l'annotazione da ultimo descritta a margine dell'atto di nascita di A.T. e degli atti di matrimonio. Hanno proposto ricorso presso il Tribunale di Modena A.B. e A.T. ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000 chiedendo la rettificazione delle predette annotazioni e la loro cancellazione, in quanto apposte in assenza dei requisiti di legge. Il Ministero dell'Interno si e' costituito chiedendo il rigetto del ricorso ed il Tribunale di Modena, in accoglimento della domanda, ha dichiarato illegittima l'annotazione in oggetto e ne ha disposto la cancellazione, perche' eseguita in assenza delle condizioni previste dall'art. 02 del citato d.P.R. n. 396 del 2000, affermando in particolare che l'annotazione di scioglimento del matrimonio per l'avvenuta rettificazione di attribuzione di sesso puo' eseguirsi solo in ragione di una sentenza dell'autorita' giudiziaria che dichiari la cessazione del vincolo coniugale. Avverso tale provvedimento ha proposto reclamo il Ministero dell'Interno; si sono costituite le ricorrenti in primo grado. Il P.M. ha aderito al reclamo. La Corte d'Appello di Bologna lo ha accolto sulla base delle seguenti argomentazioni: l'annotazione non e' stata disposta fuori dei casi consentiti, trattandosi di un doveroso aggiornamento cui e' tenuto l'ufficiale dello stato civile, dal momento che nel sistema unico integrato non possono darsi atti relativi alla stessa persona che non si corrispondano. Peraltro, in mancanza dell'annotazione contestata sarebbe A. (declinato al maschile) e non A. a essere ancora coniugato; i cambiamenti di nome e di sesso vanno annotati anche nel registro degli atti di matrimonio (art. 69 d.P.R. n. 396 del 2000). La successiva annotazione del 18 novembre 2010 costituisce la mera riproduzione della lettera della norma che qualifica la rettificazione di sesso una causa di scioglimento automatico del matrimonio; l'art. 4 della legge n. 164 del 1982 non e' stato abrogato dalla modificazione dell'art. 3 della legge n. 898 del 1970, intervenuta ex legge n. 74 del 1987, essendo gia' contenuto nel citato art. 4 il rinvio alla legge n. 898 del 1970 per la disciplina dello scioglimento del matrimonio, ragione per cui le modifiche successive ne costituiscono una precisazione non incompatibile con il sistema preesistente; del tutto incompatibile e' invece l'interpretazione proposta dalle resistenti, perche' consentire il permanere del vincolo matrimoniale, rettificato che sia il sesso di uno dei coniugi, significa mantenere in vita un rapporto privo del suo indispensabile presupposto di legittimita', la diversita' sessuale dei coniugi, dovendosi ritenere tutta la disciplina normativa dell'istituto rivolta ad affermare tale requisito. L'interpretazione prospettata dalle resistenti della modifica introdotta con la legge n. 74 del 1987 all'art. 3 della legge n. 898 del 1970 sarebbe del tutto contrastante con i principi di ordine pubblico che regolano la materia, dal momento che non possono darsi rapporti in contrasto con la disciplina positiva che li regola, trattandosi di un settore, come quello che concerne lo stato delle persone, di pubblico interesse. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione A. B. ed A. T. Ha resistito con controricorso il Ministero dell'interno. Nelle articolate censure proposte dalle ricorrenti si deduce, tra l'altro ed in particolare, che la affermazione implicita, contenuta nel provvedimento impugnato, che non sarebbe necessaria una dichiarazione giudiziale di scioglimento del vincolo quando sia stata pronunciata la rettificazione di sesso viola il principio secondo il quale tale scioglimento deve necessariamente formare oggetto di una pronuncia del giudice. Si osserva al riguardo che siffatto principio non solo e' chiaramente recepito nella legge n. 898 del 1970, che non contempla ipotesi di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio che non siano pronunciate dalle autorita' giudiziaria, analogamente a quanto e' disposto per le cause di invalidita' del matrimonio di qualsiasi natura, ma deve essere ritenuto un principio inderogabile di ordine pubblico interno. Si rileva altresi' che l'annotazione dell'ufficiale dello stato civile di cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito della sentenza di rettifica di sesso non puo' ritenersi legittimata solo perche' recepisce una astratta previsione normativa, trovando applicazione il principio di tassativita' degli atti amministrativi desumibile dagli artt. 453 c.c., 11, comma terzo, 12, comma primo, 69 e 102 del d.P.R. n. 396 del 2000. Sotto altro profilo si censura il decreto impugnato per aver ritenuto che lo scioglimento del vincolo derivante dalla rettifica di sesso non deve essere dichiarato mediante il procedimento giudiziale di cui alla legge n. 898 del 1970. Si osserva al riguardo che la modifica dell'art. 3 di detta legge introdotta dalla novella di cui alla legge n. 74 del 1987 non ha determinato alcun mutamento nel regime giuridico preesistente, avendo indicato soltanto l'iter processuale per il conseguimento degli effetti dello scioglimento medesimo, e che d'altro canto, ancor prima dell'innesto della lettera g) nel citato art. 3, l'art. 4 della legge n. 164 del 1982 rinviava alla legge n. 898 del 1970. Sotto ulteriore profilo si rileva che l'affermazione della decisione impugnata secondo cui il permanere del vincolo tra coniugi divenuti dello stesso sesso sino a che non intervenga una pronuncia giudiziale di cessazione degli effetti civili del matrimonio sarebbe contrario ai principi di ordine pubblico che regolano l'istituto, ed in particolare a quello che fonda il matrimonio sulla diversita' di sesso, finisce con l'equiparare ingiustificatamente la situazione di due persone dello stesso sesso che intendono contrarre matrimonio a quella di due soggetti regolarmente coniugati, uno dei quali decida di mutare sesso. Si evidenzia al riguardo che la diversita' tra orientamento sessuale ed identita' di genere e' stata riconosciuta di recente anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010, come gia' in passato in quella n. 161 del 1985, identificandosi il transessuale in un soggetto che, pur presentando i caratteri genetici e fenotipici di un determinato genere, sente di appartenere ad un altro genere del quale ha assunto l'aspetto esteriore ed adottato i comportamenti. Si osserva altresi' che nell'ipotesi di pregresso matrimonio contratto da soggetto transessuale esiste un rapporto coniugale verso la stabilita' del quale si appunta un generale favor dell'ordinamento e che il mancato riconoscimento del diritto di sposarsi non puo' essere equiparato alla soppressione di uno status gia' acquisito, essendo in tale ipotesi i coniugi gia' titolari di quel complesso di diritti e doveri che l'ordinamento riserva loro appunto in ragione di tale status. Si aggiunge che nell'ipotesi di scioglimento automatico il coniuge che non ha rettificato il proprio sesso non ha la possibilita' di esprimere alcuna opzione all'interno di una sfera giuridica tendenzialmente caratterizzata dalla non ingerenza dell'autorita' statale ed e' privato di un diritto fondamentale gia' acquisito. Sono infine prospettate in via subordinata due eccezioni d'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982: la prima con riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 14 della CEDU e 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nella parte in cui la norma non prevede che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio debbano essere pronunciati anche nella ipotesi in esame da sentenza dell'autorita' giudiziaria, violando cosi' sia gli artt. 24 e 111 della Costituzione sotto il profilo della negazione del diritto di difesa e del giusto processo, sia gli artt. 3 Cost. e 20 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sotto il profilo della ingiustificata discriminazione dei coniugi divenuti dello stesso sesso rispetto alle altre tipologie di relazioni coniugali, sia il principio di ragionevolezza, non ravvisandosi alcuna ragione logica nel ritenere che solo la persona transessuale e il suo coniuge debbano subire una risoluzione forzosa del vincolo coniugale, laddove per tutte le altre ipotesi e' richiesto l'accertamento giudiziario; la seconda con riferimento agli artt. 2 e 29 della Costituzione e 8 e 12 della CEDU, nonche' 7, 9, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nella parte in cui il predetto art. 4 non prevede che lo scioglimento debba essere dichiarato su istanza di uno dei coniugi dall'autorita' giudiziaria, cosi' sottraendo agli stessi coniugi il diritto di autodeterminazione sia come singoli che nella formazione sociale costituita dalla loro famiglia legittimamente fondata su un matrimonio validamente contratto, nonche' integrando una lesione del principio di uguaglianza, in quanto l'ipotesi dello scioglimento del vincolo per rettificazione di sesso costituirebbe l'unica situazione in cui i coniugi sarebbero privati della tutela giudiziale, dovendo subire una risoluzione forzosa del vincolo coniugale solo per la condizione di transessualismo di uno di loro (con conseguente violazione anche del principio di ragionevolezza). Le questioni prospettate a giudizio delle ricorrenti sono rilevanti perche' la necessita' o meno dell'accertamento giudiziale della causa di scioglimento del vincolo costituisce il presupposto per la valutazione di legittimita' o illegittimita' dell'annotazione contestata. Considerato in diritto 1. All'attenzione di questa Corte viene posta per la prima volta la questione, pure non sfuggita all'attenzione della dottrina fin dall'entrata in vigore della legge n. 164 del 1982, degli effetti della pronuncia di rettificazione di sesso su un matrimonio preesistente, regolarmente contratto dal soggetto che ha inteso esercitare il diritto a cambiare identita' di genere in corso di vincolo, nell'ipotesi in cui ne' il medesimo soggetto ne' il coniuge abbiano intenzione di sciogliere il rapporto coniugale. L'esigenza di definire esattamente il thema decidendum e' dettata dalla natura del giudizio introdotto dalle ricorrenti ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000. Come evidenziato nella premessa in fatto, la controversia trae origine Ball' intervenuta annotazione sui registri degli atti dello stato civile e degli atti di matrimonio, oltre che della doverosa rettificazione del sesso con riferimento ad A.B. anche della «cessazione degli effetti civili» del matrimonio contratto dalle ricorrenti, pur in mancanza di una pronuncia giudiziale espressa sul punto. La domanda rivolta al Tribunale ha avuto come oggetto immediato la rettificazione dell'annotazione nella parte relativa alla cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle ricorrenti, in quanto non preceduta da un accertamento giudiziale. Ritiene, tuttavia, questa Corte che non possa essere accertato il corretto esercizio della funzione amministrativa svolta dall'ufficiale dello stato civile, peraltro in ossequio ad espresse direttive del Ministero dell'Interno, se non si chiarisce preventivamente quale sia l'efficacia della rettificazione del sesso di uno dei coniugi su di un precedente matrimonio regolarmente celebrato. 2. Una rapida disamina della normativa relativa agli atti dello stato civile evidenzia la natura meramente derivata, da una norma di legge o da un provvedimento giudiziale, dell'esercizio di tale potere amministrativo, a contenuto dichiarativo/esecutivo. In particolare, l'art. 5, primo coma, lettera a), del d.P.R. n. 396 del 2000 stabilisce che l'ufficiale, nel dare attuazione ai principi generali sul servizio dello stato civile, ha il compito di «aggiornare» tutti gli atti concernenti lo stato civile, essendogli vietato (art. 11, comma terzo) di enunciare dichiarazioni ed indicazioni diverse da quelle che sono stabilite o permesse per ciascun atto. Tale precisazione sta ad indicare che sull'atto di nascita o di matrimonio possono essere eseguite soltanto annotazioni relative ed inerenti a quell'atto (come l'eventuale sopravvenuto scioglimento del vincolo del matrimonio), ma non che non si debba aggiornarne il contenuto certatorio quando la condizione preesistente si sia modificata nel rispetto delle prescrizioni di legge. In linea generale, gli artt. 453 cod. civ. e 102 del citato d.P.R. n. 396 del 2000 stabiliscono che le annotazioni possono essere disposte per legge o ordinate dall'autorita' giudiziaria. E' necessario "in ogni caso" (art. 102, terzo comma) che venga indicato l'atto o il provvedimento in base al quale esse sono eseguite. In tale assetto normativo di riferimento appare evidente che nella specie l'ufficiale di stato civile, sulla base dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982, ha provveduto, richiamando l'atto presupposto (la pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso), all'annotazione contestata, assunta come effetto automatico ed ineludibile dell'accertamento giudiziale compiuto. Piu' precisamente ha ritenuto che l'ordine di annotazione della rettificazione di attribuzione di sesso determinasse l'obbligo, sostenuto dal citato art. 4, di aggiornare anche il registro degli atti di matrimonio relativo alle posizioni delle parti ricorrenti. Sulla base di questa lettura delle norme che regolano l'esercizio del diritto alla rettificazione del sesso nel nostro ordinamento si giustifica l'esercizio del potere da parte dell'ufficiale dello stato civile anche alla luce dell'art. 69 del d.P.R. n. 396 del 2000. Questa norma, che al primo comma regola specificamente gli atti di matrimonio, stabilisce alla lett. d) che in essi si fa annotazione delle "sentenze" di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Non ritiene questa Corte che dalla enunciazione sopra indicata possa conseguire la radicale carenza di potere dell'ufficiale di stato civile nell'esecuzione dell'annotazione contestata, dovendo la norma indicata essere interpretata in via sistematica, coordinandola con le cause di scioglimento del vincolo e di cessazione degli effetti civili del matrimonio previste dalla legge n. 898 del 1970 e, come nella specie, da leggi speciali (legge n. 164 del 1982). Nella specie l'ufficiale di stato civile ha quindi adempiuto ad un obbligo proveniente da una norma di legge, peraltro sorto sulla base di un titolo giudiziale che ne costituisce il presupposto. Il d.P.R. n. 396 del 2000 rappresenta invero un corpus normativo "servente", volto esclusivamente a disciplinare gli atti e i registri dello stato civile e le funzioni dei pubblici ufficiali competenti. Cosi' delimitata la finalita' regolatrice del citato d.P.R., deve escludersi che possano desumersi dalle singole disposizioni in esso contenute i modelli matrimoniali e familiari esistenti o consentiti nel nostro ordinamento, i quali devono essere correttamente enucleati dal complesso dei principi costituzionali che unitamente alle regole di diritto positivo li disciplinano. Esclusa pertanto la configurazione dell'attivita' certatoria del pubblico ufficiale come eseguita in condizione di carenza di potere, la valutazione della legittimita' dell'esercizio della funzione esercitata con l'annotazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio legittimamente contratto dalle ricorrenti deriva necessariamente dall'esame delle norme che regolano gli effetti della rettificazione di attribuzione di sesso sui vincoli matrimoniali preesistenti. 3. La legge n. 164 del 1982, nel disciplinare la materia della rettificazione di attribuzione di sesso prevede(va) espressamente all'art. 4, nella formulazione in vigore fino al 4 ottobre 2011, che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, priva di effetto retroattivo, provochi lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Fino all'entrata in vigore della legge n. 74 del 1987 gli effetti della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso su un precedente vincolo matrimoniale erano disciplinati esclusivamente dal citato art. 4. Si riteneva, pressoche' unanimemente, che con il passaggio in giudicato di tale sentenza si determinasse in via automatica e senza la necessita' di una dichiarazione giudiziale apposita lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio preesistente. L'attenzione degli interpreti, pur non avendo mai trascurato questo peculiare profilo degli effetti della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, era concentrata sul diritto del soggetto al quale era stato riconosciuto il diritto di mutare la propria identita' di genere di legarsi e contrarre matrimonio con un partner di sesso diverso da quello scaturito dal percorso di autodeterminazione personale e dalla pronuncia giudiziale. Anche le indicazioni provenienti dalle sentenze della Corte Europea dei diritti dell'uomo (I. contro Regno Unito ricorso n. 25680/94; Goodwin contro Regno Unito, ricorso n. 28957/95; Grant contro Regno Unito ricorso n.32570/2003) erano tutte rivolte in quegli anni a consentire al soggetto che aveva mutato sesso il pieno godimento del diritto alla vita privata e familiare mediante la possibilita' di contrarre matrimonio ai sensi dell'art. 12 della CEDU, o il godimento di diritti sociali conseguenti al genere mutato (trattamento pensionistico a partire dai 60 invece che 65 anni, derivante dall'attribuzione del genere femminile, caso Grant). Come significativamente riconosciuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 161 del 1985, con la legge n. 164 del 1982 il legislatore italiano ha accolto un concetto di identita' sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, "nel senso che ai fini di una tale identificazione viene conferito rilievo non piu' esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale. Presupposto della normativa impugnata e', dunque, la concezione del sesso come dato complesso della personalita' determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l'equilibrio". Il cambiamento d'identita' di genere costituisce il completamento di un processo teso verso la coincidenza tra "soma e psiche". L'identificazione cromosomica del sesso non e' piu' un fattore condizionante in modo ineluttabile l'identita' di genere, dovendosi riconoscere alla persona umana il riconoscimento del diritto, alle condizioni previste dalle varie leggi che si sono susseguite nei paesi europei, a rettificare l'attribuzione originaria di sesso, coerentemente con il proprio equilibrio psico fisico. L'attenzione del legislatore e della Corte costituzionale, in consonanza con gli orientamenti sopra indicati della CEDU, ancorche' successivi e riferiti a Stati aventi strumenti legislativi diversi o carenti, e' stata, in questa prima fase di applicazione delle leggi con le quali e' stato riconosciuto il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso, prevalentemente rivolta ad includere nel catalogo aperto dell'autodeterminazione anche questo peculiare e spesso sofferto percorso personale e di assicurare, per il futuro, la possibilita' di compiere scelte come il matrimonio coerenti con la nuova identita' sessuale e di non essere discriminati nella fruizione dei diritti sociali. Vi e' stata alla base la diffusa percezione della necessita' di una netta soluzione di continuita' con il passato del soggetto, in quanto caratterizzato da una condizione di genere non accettata e, partendo da questa premessa, oltre che dalla volonta' di non aprire alcun varco alla possibilita' di riconoscere matrimoni tra persone dello stesso sesso, si sono introdotte norme, variamente configurate, rivolte alla risoluzione dei rapporti coniugali precedenti. La tecnica normativa, sulla quale si tornera' nel prosieguo, e' stata quella di richiedere come condizione per il riconoscimento del diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso lo scioglimento del vincolo precedente o di far conseguire alla pronuncia giudiziale il medesimo effetto. Come precisato nella richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 161 del 1985, nella legge n. 164 del 1982 lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio conseguono alla sentenza che abbia disposto la rettificazione di attribuzione di sesso. Deve, pertanto, escludersi che nell'ampio spettro dei diritti e delle liberta' riconducibili alla nuova legge, che secondo la stessa Corte costituzionale si colloca "nell'alveo di una civilta' giuridica in evoluzione, sempre piu' attenta ai valori, di liberta' e dignita', della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale", sia ricompresa la scelta di conservare il preesistente vincolo matrimoniale, in quanto, proprio per il rilievo costitutivo dell'identita' personale attribuito dalla legge (e dalla sentenza n. 161 del 1985) alla rettificazione dell'attribuzione di' sesso, dopo la pronuncia giudiziale tale vincolo legherebbe una coppia dello stesso sesso. Il bilanciamento d'interessi di rango costituzionale operato dal legislatore del 1982 e dalla Corte costituzionale risulta privo di ambiguita'. Da un lato esiste il diritto al riconoscimento della vera identita' del genere del soggetto che desidera rettificare il sesso che gli e' stato attribuito alla nascita, dall'altro vi e' l'interesse statuale a non modificare i modelli familiari, nonostante il potenziale sacrificio del diritto alla vita privata e familiare che tale bilanciamento determina, non ritenendosi coerente con il sistema di valori fondanti l'ordinamento costituzionale e di diritto interno (considerati al momento di entrata in vigore della legge) l'estensione del diritto all'autodeterminazione fino al punto da consentire la scelta sulla conservazione del vincolo matrimoniale precedentemente contratto secundum legem. 4. Cosi' delineati i contenuti dell'opzione operata dal legislatore del 1982, deve concludersi per l'operativita' ope legis della causa di scioglimento del vincolo, una volta passata in giudicato la pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso. Solo mediante questa interpretazione della norma si perviene al rispetto della ratio legislativa rivolta ad escludere la facolta' di scelta sulla conservazione del vincolo. Attesa l'univocita' dell'interpretazione della norma anche alla luce della sentenza della Corte cost. n. 161 del 1985 ed in linea con le opzioni delle legislazioni europee sul concreto atteggiarsi del bilanciamento degli interessi in gioco, risulta agevole l'indagine sulla questione, sollevata dalle ricorrenti, relativa alla esclusivita' di questa lettura della norma anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 74 del 1987. L'art. 3 della legge n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 7 della legge n. 74 del 1987, ha aggiunto alle altre ipotesi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio quella relativa al passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. Poiche' la norma si apre con la locuzione «lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio puo' essere "domandato' da uno dei coniugi», secondo la prospettazione delle ricorrenti deve escludersi quanto meno dall'entrata in vigore della legge n. 74 del 1987 che detta pronuncia determini ope legis e senza bisogno di una statuizione giudiziale ad hoc lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, tanto piu' che anche l'art. 4 della legge n. 164 del 1982 sancisce l'applicabilita' delle disposizioni della legge n. 898 del 1970 e successive modificazioni. Si osserva inoltre da parte delle stesse ricorrenti, del tutto correttamente, che tutte le altre ipotesi descritte dal citato art. 3 richiedono una pronuncia giudiziale. Come agevolmente riscontrabile dall'esame della novella e dalla lettura della relazione illustrativa, con la legge n. 74 del 1987 non e' stata operata alcuna innovazione rispetto al sistema preesistente in ordine ai modelli familiari, non essendo stata questa la finalita' dell'intervento legislativo, ne' si e' proceduto ad una radicale modifica dei casi di scioglimento del matrimonio. La novella appare finalizzata alla razionalizzazione del sistema preesistente, caratterizzato da un regime giuridico ormai datato relativamente al diritto transitorio e all'instaurazione di un modello processuale piu' spedito ed efficiente. All'interno di quest'opera di ammodernamento delle norme sostanziali e di innovazione delle forme processuali e' stata aggiunta tra le ipotesi di scioglimento del matrimonio quella di cui all'art. 3, quarto comma, lettera g), riguardante specificamente il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. Non puo', conseguentemente, farsi discendere da un intervento normativo avente una finalita' inequivocamente cosi' circoscritta il risultato di una modificazione, ancorche' in termini numericamente limitati, dei modelli matrimoniali preesistenti, come si verificherebbe accogliendo l'opzione interpretativa indicata dalle parti ricorrenti. L'introduzione della lettera g) costituisce invece la logica conseguenza del riferimento all'applicabilita' della legge n. 898 del 1970, gia' contenuta nell'art. 4 della legge n. 164 del 1982. Poiche' la legge n. 74 del 1987 ha radicalmente mutato il modello processuale relativo al procedimento divorzile, e' stato ritenuto dal legislatore necessario estendere l'applicazione del rito camerale anche alle . controversie consequenziali (relative ai figli minori o patrimoniali) allo scioglimento automatico del vincolo nell'ambito del nuovo procedimento. Si deve, conseguentemente, ritenere che questa sia l'unica interpretazione logicamente e sistematicamente desumibile dal sistema dei modelli matrimoniali codificato nel nostro ordinamento e dalla complessiva ratio della legge n. 164 del 1982, interamente ispirata dall'esigenza di favorire la corrispondenza tra soma e psiche nell'individuazione della identita' di genere senza modificare il preesistente regime giuridico dei rapporti coniugali. Pertanto l'inclusione della lett. g) nell' art. 3 della legge n. 898 del 1970 non comporta che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio per effetto della rettificazione di attribuzione di sesso debbano essere inevitabilmente contenuti in una pronuncia giudiziale, in quanto la norma che ha introdotto questa causa solutoria (art 4 legge n. 164 del 1982) ne ha stabilito l'operativita' automatica in conseguenza soltanto del passaggio in giudicato (indicato espressamente nell'art. 3, quarto comma, lettera g) della legge n. 898 del 1970, ma da ritenersi implicitamente desumibile gia' dalla formulazione del citato art. 4) della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. 5. Esclusa, pertanto, la necessita' che lo scioglimento del vincolo debba conseguire ad una domanda di parte, occorre tuttavia verificare se l'interpretazione coordinata dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 e dell'art. 3 legge n. 898 del 1970 non conduca comunque all'inevitabilita' di una pronuncia giudiziale, anche in assenza di domanda. E' stata adombrata da qualche interprete ed ha trovato parziale riscontro nella giurisprudenza di merito l'ipotesi di una pronuncia officiosa di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, da adottarsi unitamente alla pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso. Con questa soluzione, si afferma, si salvaguarderebbe l'operativita' automatica della causa di scioglimento, ma anche il principio della riserva assoluta di giurisdizione che governa il regime giuridico degli status. La soluzione presta il fianco a radicali critiche. In primo luogo essa non appare rispettosa della lettura coordinata dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 e dell'art. 3, quarto comma, lett. g) della legge n. 898 del 1970, risultando l'operativita' automatica dell'effetto solutorio condizionata al passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso e non alla mera pronuncia. Peraltro, al di la' dell'ostacolo formale sopra illustrato, si ravvisa una ragione sostanziale ostativa all'accoglimento di questa opzione interpretativa ben piu' significativa. Lasciare la declaratoria di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio all'iniziativa officiosa del tribunale determina l'effetto di ancorare l'effetto solutorio esclusivamente alla scelta del tribunale, creando un'ingiustificata disparita' di trattamento tra le coppie coniugate che versano in questa peculiare condizione, in quanto lo scioglimento del vincolo si verificherebbe secundum eventum litis, ovvero subordinatamente all'esercizio di tale potere ufficioso. Si tratta, all'evidenza, di una soluzione irragionevole e discriminatoria del tutto inidonea a fornire una risposta adeguata al rilievo costituzionale degli interessi in gioco. Ne' l'iniziativa giudiziale puo' essere attribuita al pubblico ministero, al quale deve essere notificato, a pena di nullita', l'atto introduttivo del giudizio di rettificazione di sesso, in quanto tale organo ha il limitato potere d'intervenire, ai sensi degli artt. 70 e 72 cod. proc. civ., ma non di promuovere l'azione relativa allo scioglimento del vincolo. La natura personalissima dei diritti coinvolti in tali giudizi incide, infatti, sulla natura e il contenuto della partecipazione del pubblico ministero, il quale ai sensi dell'art. 5, quinto comma, legge n. 898 del 1970 nel giudizio di divorzio puo' esclusivamente proporre impugnazione (e non esercitare autonomamente azione) avverso le statuizioni relative agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci, essendo esclusa qualsiasi sua iniziativa officiosa con riferimento alle specifiche vicende del rapporto coniugale. Alla medesima conclusione si giunge alla luce dell'attuale disciplina del procedimento di rettificazione di attribuzione di sesso introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2011. L'art. 31, infatti, come l'abrogato art. 2 della legge n. 164 del 1982, prevede la partecipazione del pubblico ministero come mero interveniente, oltre che la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio al coniuge ed ai figli. Peraltro la norma sembra rafforzare l'effetto solutorio sul vincolo matrimoniale preesistente laddove stabilisce che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso "determina" (e non "provoca") lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, sottolineando l'automatismo e l'operativita' ope legis dell'effetto predetto. In conclusione, come sottolineato dalla prevalente dottrina, la scelta del legislatore, pienamente confermata anche dalla novella introdotta con l'art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011 (catione temporis non applicabile alla fattispecie dedotta nel presente giudizio), risulta univocamente quella di aver introdotto una fattispecie di divorzio "imposto" ex lege che non richiede, al fine di produrre i suoi effetti, una pronuncia giudiziale ad hoc, salva la necessita' della tutela giurisdizionale limitatamente alle decisioni relative ai figli minori. 6. Tale soluzione obbligata pone l'interrogativo della sua compatibilita' con il sistema costituzionale, integrato dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo come interpretata dalla Corte di Strasburgo (da ritenersi operante come parametro interposto), di riconoscimento e tutela del diritto ad autodeterminarsi nelle scelte relative all'identita' personale, di cui la sfera sessuale esprime un carattere costitutivo; del diritto alla conservazione della preesistente dimensione relazionale, quando essa assuma i caratteri della stabilita' e continuita' propri del vincolo coniugale; del diritto a non essere ingiustificatamente discriminati rispetto a tutte le altre coppie coniugate, alle quali e' riconosciuta la possibilita' di scelta in ordine al divorzio; del diritto dell'altro coniuge di scegliere se continuare la relazione coniugale. Il quesito che s'impone, sotto i profili considerati, consiste nella valutazione dell'adeguatezza del sacrificio imposto all'esercizio di tali diritti dall'imperativita' dello scioglimento del vincolo per entrambi i coniugi. Ritiene questa Corte che, limitatamente agli aspetti sopra delineati, vi siano fondati dubbi di legittimita' costituzionale in ordine alla soluzione normativa adottata dal legislatore italiano del divorzio "imposto" alla coppia coniugata che sia stata "attraversata" dalla rettificazione di sesso di uno dei suoi componenti. La rilevanza della questione deriva dalle gia' svolte considerazioni sul diretto ed esclusivo nesso eziologico esistente tra la qualificazione giuridica degli effetti della pronuncia di rettificazione del sesso sul rapporto coniugale in atto e la soluzione del quesito riguardante il corretto esercizio del potere dell'ufficiale dello stato civile nella annotazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio, in mancanza di una preventiva statuizione giudiziale ad hoc che contenga anche l'ordine di annotazione. Sulla base dell'attuale assetto normativa, in conclusione, il ricorso dovrebbe essere rigettato. Nell'ipotesi contraria la conseguenza sarebbe la cassazione del decreto impugnato. Risulta, pertanto, evidente l'incidenza del sospetto d'incostituzionalita' sotto i profili e nei termini di seguito illustrati. 7. La norma della cui legittimita' costituzionale si dubita e', in primo luogo, l'art. 4 della legge n. 164 del 1982, applicabile ratione temporis ed abrogata dall'art. 36 del d.lgs n. 150 del 2011, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione di quello celebrato con rito religioso, cosi' introducendo nel nostro ordinamento l'unica ipotesi di divorzio "imposto" ex lege. Peraltro, l'art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, che ha sostanzialmente sostituito il previgente art. 4, contiene la medesima previsione utilizzando il predicato verbale "determina" al posto di "provoca", con effetto rafforzativo dell'operativita' automatica dello scioglimento del vincolo come conseguenza della rettificazione di attribuzione di sesso. In linea generale si ritiene che l'esercizio del diritto individuale al riconoscimento della propria effettiva identita' di genere rispetto a quella determinata dal corredo cromosomico produca, alla luce del regime giuridico sopra illustrato, una compressione del tutto sproporzionata dei diritti della persona legati alla sfera relazionale intersoggettiva, mediante un'ingerenza statuale diretta e non altrimenti eliminabile, neanche limitata al soggetto destinatario della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso, ma estesa anche al coniuge, ancor piu' ingiustificatamente colpito da tale interferenza. I parametri costituzionali coinvolti dall'inadeguato bilanciamento d'interessi costituzionalmente rilevanti operato dal legislatore sono molteplici. In primo luogo appare dubbia la compatibilita' del cd, divorzio "imposto" con gli artt. 2 e 29 della Costituzione, nonche' con i parametri interposti costituiti dagli art. 8 e 12 della CEDU. Va al riguardo osservato che, pur essendo l'ordinamento italiano tuttora caratterizzato dall'assenza di norme che attribuiscano riconoscimento giuridico alle cd. famiglie di fatto ed alle coppie formate da persone dello stesso sesso, il rilievo costituzionale di tali unioni, anche con riferimento ai parametri interposti costituiti dalla CEDU, e' stato sancito dalla Corte costituzionale (sent. n. 138 del 2010) e dalla giurisprudenza di' legittimita' (sent. n. 4184 del 2012), oltre che dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (sentenza 24 giugno 2010 caso Schalk e Kopf). Alla luce dei nuovi principi stabiliti in queste pronunce si puo' affermare: la scelta di estendere il modello matrimoniale anche ad unioni diverse da quella eterosessuale e' rimessa al legislatore ordinario. Non sussiste un vincolo costituzionale (art. 29 Cost.) o proveniente dall'art. 12 della CEDU in ordine all'esclusiva applicabilita' del modello matrimoniale alle unioni eterosessuali (Corte cost. n. 138 del 2010; CEDU caso Schalk e Kops); l'art. 12, da leggersi anche alla luce dell'art. 8 della Carta dei diritti dell'Unione Europea, tutela anche modelli matrimoniali diversi da quello eterosessuale, lasciando alla legislazione degli Stati e al loro apprezzamento la scelta di estendere o limitare le tipologie di unioni che possono legarsi anche mediante il vincolo matrimoniale vero e proprio (CEDU sentenza 24/6/2010 caso Schalk e Kopf); il carattere dell'eterosessualita' non costituisce piu', di conseguenza, un canone di ordine pubblico ne' interno (Corte cost. 138 del 2010; Cass. 4184 del 2012) ne' internazionale (CEDU sentenza Schalk e Kopf); le unioni che siano fondate su una stabile e continuativa affectio, ancorche' non riconducibili al modello matrimoniale, ricevono la copertura costituzionale diretta dell'art. 2 (Corte cost. 138 del 2010), nonche' dell'art. 8 della CEDU (Caso Schalk e Kopf). Tale riconoscimento non si limita alla liberta' di vivere la propria condizione di coppia ovvero di non nascondere le scelte riguardanti la sfera emotiva individuale, ma si estende al riconoscimento della situazione oggettiva della stabile convivenza e dei diritti che conseguono alla creazione e al consolidamento di questa formazione sociale costituzionalmente e convenzionalmente garantita. Nell'endiadi «diritto alla vita privata e familiare», contenuta nell'art. 8 della CEDU, l'attenzione, dopo il consolidamento dei diritti individuali, si e' rivolta alle conseguenze relazionali delle scelte personali e private, ovvero alla dimensione «familiare» di tali scelte, nell'accezione che a tale attributo da' la giurisprudenza della CEDU, sostanzialmente coincidente con il contenuto delle «formazioni sociali» cui si riferisce l'art. 2 della Costituzione. In questo quadro profondamente rinnovato e sempre piu' frequentemente arricchito dalla felice «contaminazione» delle fonti costituzionali europee, convenzionali ed internazionali, in cui si collocano i diritti delle persone, deve essere valutata la compatibilita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 rispetto ai parametri costituiti dagli artt. 2 e 29 Cost., e nella loro qualita' di norme interposte ex artt. 10, primo comma, e 117 Cost., degli artt. 8 e 12 della CEDU, non omettendo di considerare che la stessa Corte costituzionale nella pronuncia n. 161 del 1985 ha riconosciuto che questa legge «si colloca nell'alveo di una civilta' giuridica in evoluzione». Al riguardo deve osservarsi che lo scioglimento del vincolo coniugale, disposto ex lege come conseguenza automatica della rettificazione dell'attribuzione di sesso, determina l'eliminazione "chirurgica" di una relazione stabile e continuativa che ha dato vita ad un nucleo familiare, costituzionalmente protetto dall'art. 29 Cost. All'interno dell'affectio coniugalis, consacrata dalla celebrazione del matrimonio, e' maturata la scelta di uno dei partners della rettificazione di attribuzione di sesso, verosimilmente, in mancanza dello scioglimento volontario del vincolo, condivisa dall'altro. La univoca previsione normativa esclude, in prospettiva futura, qualsiasi rilievo all'esistenza e alla stabilita' di tali tipologie di relazioni, ignorandone il rilievo primario di formazioni sociali costituzionalmente garantite, all'origine, dagli artt. 2 e 29 Cost., in un contesto costituzionale nel quale e' ormai largamente condivisa l'esigenza di riconoscere alle unioni di fatto, anche tra persone dello stesso sesso, uno statuto giuridico di diritti ed obblighi che quanto meno "in specifiche situazioni" (cosi' Corte cost. n. 138 del 2010) assicuri un trattamento omogeneo a quello delle coppie coniugate, proprio in virtu' della copertura costituzionale ad esse attribuita dallo sviluppo degli orientamenti delle Corti, sopra illustrato. Le scelte appartenenti alla sfera emotiva ed affettiva costituiscono il fondamento dell'autodeterminazione. Esse, nella nostra cultura giuridica, si esplicano al di fuori di qualsiasi ingerenza statuale. Sul canone indefettibile del consenso e' fondato in via esclusiva l'istituto del matrimonio, dalla costituzione del vincolo al suo scioglimento. Si tratta dell'esercizio di un diritto personalissimo, delimitato da condizioni minime di accesso, nel quale si manifesta una tra le piu' rilevanti scelte della vita. L'opzione normativa del divorzio "imposto" ex lege al soggetto che si e' determinato a rettificare il proprio sesso e all'altro coniuge incide sul contenuto minimo ed ineludibile del predetto diritto e mina alla radice lo stesso diritto all'identita' di genere che la rettificazione di sesso intende riconoscere, in quanto produce l'esclusione di un'altra dimensione di pari rilievo, quella relazionale, all'interno della quale la scelta operata trova generalmente la sua piu' rilevante manifestazione. La questione relativa alla compatibilita' costituzionale di un regime giuridico che da un lato riconosce il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso e dall'altro determina il mutamento della condizione giuridica relazionale preesistente ha assunto un rilievo primario anche in altri paesi europei, rendendo necessario l'intervento delle Corti costituzionali e, di recente, della CEDU. Nel 2009, infatti, analogo quesito e' stato sottoposto alla Corte costituzionale tedesca. In questo Stato la legislazione relativa al diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso (salve altre differenziazioni di regime non rilevanti in questa sede) si fondava sulla preventiva necessita' di sciogliere il vincolo matrimoniale preesistente come condizione di ammissibilita' dell'azione. In comune con la legislazione italiana vi era dunque la necessita' di porre fine al matrimonio preesistente, come "prezzo" da pagare per il riconoscimento del diritto all'effettiva identita' di genere. La Corte costituzionale tedesca (pronuncia BVerfG, 1 BvL 10/051) ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma in questione, ritenendo che la richiesta di estinguere il matrimonio sia produttiva di una limitazione sostanziale del diritto al riconoscimento legale della propria identita' personale, in quanto impone al richiedente di scegliere tra due diritti ugualmente protetti dalla Costituzione. Ha affermato la Corte tedesca che le caratteristiche essenziali del matrimonio sono l'aspettativa di una durevole comunita' di vita e la volontarieta' dello scioglimento del vincolo e che su di esse lo Stato non puo' interferire. La decisione non incide in alcun modo sul contenuto tradizionale del matrimonio ne' determina l'apertura verso l'instaurazione di matrimoni con persone dello stesso sesso, non consentiti dalla legge tedesca. Pur essendo possibile una limitazione dei diritti fondamentali della persona, ove giustificata da un fine legittimo e realizzata con un mezzo proporzionato all'obiettivo, il riconoscimento della possibilita' di proseguire il rapporto matrimoniale, nell'ipotesi in cui uno dei coniugi abbia mutato sesso, lascia inalterata l'unione nella sua configurazione tradizionale, mentre la soluzione contraria mina alla radice il diritto all'identita' personale del richiedente e il diritto al matrimonio dell'altro coniuge. Con questa pronuncia, peraltro, viene colta la profonda differenza tra le nozioni di "identita' di genere" ed "orientamento sessuale" (ampiamente sottolineata anche nella sentenza della Corte cost. n. 138 del 2010) ed e' affermato che la rimozione dello scioglimento coattivo del vincolo coniugale non determina l'introduzione indiretta della possibilita' di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso, essendo il percorso psicologico e, frequentemente, medico chirurgico legato alla condizione di transessualita' ontologicamente diverso da quello compiuto dal soggetto che si determina verso l'uno o l'altro orientamento sessuale. In precedenza, anche la Corte costituzionale austriaca, con la pronuncia n. 17849 dell'8 giugno 2006, aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una norma che stabiliva l'intrascrivibilita' della rettificazione di sesso in mancanza dello scioglimento del vincolo pregresso. La norma censurata e' stata ritenuta in contrasto con il diritto dell'individuo al rispetto della sua vita privata, cosi' come sancito dall'art. 8 CEDU. In un ordinamento come quello austriaco, che esclude il riconoscimento di matrimoni contratti tra persone dello stesso sesso, la Corte costituzionale ha ritenuto che la peculiarita' della condizione personale di chi chiede la rettificazione di attribuzione di sesso e il diritto alla continuazione di un legame duraturo e stabile come il matrimonio non possano essere sacrificati senza il consenso dei coniugi. Deve, pertanto, affermarsi che l'ingerenza statuale situata "a monte" o a "valle" del procedimento di rettificazione di attribuzione di sesso, consistente nell'obbligo preventivo o nell'effetto solutorio successivo sul vincolo coniugale, determina la lesione di un diritto che ha la stessa natura, ampiezza e centralita', nello sviluppo della personalita' dell'essere umano, di quello all'identita' di genere. Ne risulta minato alla radice diritto all'autodeterminazione del soggetto che intende procedere alla rettificazione di attribuzione di sesso, conseguendo a tale opzione la eliminazione per il futuro del diritto alla vita familiare, realizzato mediante la scelta del vincolo matrimoniale e, dunque, dotato del massimo grado di tutela giuridica. Per effetto della rettificazione dell'attribuzione di sesso il preesistente matrimonio rimane deprivato di qualsiasi ancoraggio giuridico e di qualsiasi forma di tutela, pur essendo stato legittimamente celebrato e, cio' che piu' rileva, pur mancando il consenso di entrambi i coniugi alla produzione di tale radicale effetto. Il vulnus al diritto a mantenere ferma l'opzione per la vita familiare coniugale appare ancor piu' accentuato nei confronti dell'altro coniuge, costretto a subire le gravi conseguenze sulla sua sfera emotiva, e sull'assetto giuridico delle proprie scelte relazionali, della rettificazione di sesso operata dall'altro coniuge, trovandosi ipso iure, e in contrasto con la propria volonta', nella condizione di essere privato dello status coniugale. Il sacrificio, in questa ipotesi, e' del tutto unilaterale e privo di alcuna compensazione, costituendo esclusivamente la soppressione, mediante ingerenza statuale, della volonta' individuale nell'esercizio del diritto personalissimo allo scioglimento del matrimonio. Gli effetti imperativi della norma non trovano alcun bilanciamento rispetto alla posizione del coniuge che si trova privato di un fondamentale diritto della persona, costituzionalmente garantito dagli artt. 2 e 29 Cost. Appare pertanto configurabile un contrasto tra l'art. 4 della legge n. 164 del 1982 e gli artt. 2 e 29 della Costituzione e con gli artt. 8 e 12 della CEDU, nella parte in cui la norma censurata fa conseguire come effetto automatico del passaggio in giudicato della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal soggetto che ha esercitato il diritto sopra indicato, con conseguenze irreparabili sulla conservazione del vincolo anche nei confronti dell'altro coniuge. Conforta il prospettato dubbio di costituzionalita', sotto il profilo del parametro interposto degli artt. 8 e 12 della CEDO, una recentissima pronuncia della Corte europea dei diritti umani (Caso H. contro Finlandia 13 novembre 2012), nella quale viene affrontata una questione analoga a quello oggetto del presente giudizio. Nell'ordinamento finlandese per poter registrare la rettificazione dell'attribuzione di sesso, qualora il richiedente sia unito in matrimonio, e' necessario il preventivo consenso dell'altro coniuge al fine di trasformare il matrimonio in unione civile registrata (civil partnership). La Corte ritiene che nella specie coesistano due posizioni in conflitto che necessitano di' un adeguato bilanciamento: il diritto al rispetto della vita privata e familiare di chi richiede la predetta registrazione (nella specie costituita dall'attribuzione di un codice identificativo del genere) e l'interesse dello Stato a mantenere intatti i modelli matrimoniali predefiniti per legge. Rilevato che nel sistema finlandese e' previsto il riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso e che le modalita' di tutela di questa stabile e duratura relazione sono sostanzialmente identiche a quelle del matrimonio, anche in ordine ai diritti dei figli, la Corte EDU ha osservato che il bilanciamento d'interessi compiuto dal legislatore non risulta sproporzionato ne' sotto il profilo dell'art. 8, ne' sotto quello dell'art. 12, ne' infine sotto quello dell'art. 14, non essendo discriminatoria la scelta normativa compiuta. Alla luce delle indicazioni fornite da detta pronuncia della Corte Europea dei diritti umani la mancanza di proporzionalita' e l'ingiustificata ingerenza statuale appaiono senz'altro ravvisabili, in ordine ai parametri costituiti dagli artt. 8 e 12, in un sistema che non offre alcuna alternativa ai coniugi, determinando una netta e definitiva soluzione di continuita' tra passato e esente della relazione coniugale e decretandone la irreversibile caducazione. Ed invero nel nostro ordinamento, da uno stato di massima stabilita' e protezione giuridica costituzionale e di diritto positivo non soltanto codicistico, si trasmigra, contro la volonta' dei componenti la coppia coniugata, verso una condizione di totale indeterminatezza - attesa l'inesistenza di alternative o di soluzioni gradate enucleabili dal sistema - del contesto giuridico all'interno del quale collocare la relazione dotata all'origine del grado massimo di tutela. Non puo' essere trascurato, peraltro, che la sfera dei diritti complessivamente connessi alla rettificazione di sesso ed al fenomeno del transessualismo e' del tutto peculiare e non omologabile od equiparabile alla condizione della coppie dello stesso sesso che richiedono a vario titolo il riconoscimento delle proprie relazioni stabili. Occorre ancora osservare che del tutto insufficienti ad attuare un adeguato bilanciamento d'interessi risultano le indicazioni provenienti dalla pronuncia della Corte cost. n. 138 del 2010 e da questa Corte con la sentenza n. 4184 del 2012, in ordine alla riconducibilita' delle unioni tra persone dello stesso sesso alle formazioni sociali costituzionalmente rilevanti, con conseguente sistema di tutele "in specifiche situazioni", attesa l'incompatibilita' tra la condizione della coppia che non puo' accedere all'unione coniugale e quella di chi ha legittimamente scelto un'unione coniugale proprio in virtu' della duratura cristallizzazione dei diritti e degli obblighi ad essa connessi. 8. Si profila inoltre un rilevante sospetto di incostituzionalita' della norma in esame rispetto al parametro costituzionale costituito dall'art. 24 Cost. Ed invero l'art. 2 della legge n. 164 del 1982 (e l'attualmente vigente art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011) nel procedimento di rettificazione di attribuzione di sesso prevede la notificazione del ricorso al coniuge ed ai figli, ma la posizione di litisconsorte in tale giudizio, con la conseguente facolta' di adottare le scelte difensive attinenti all'oggetto, non esclude che il coniuge resti totalmente privo di tutela con riguardo all'effetto automatico dello scioglimento del vincolo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso, non potendo egli opporsi ne' in quella sede ne' in separato giudizio a tale scioglimento. 9. L'ingiustificata compressione del diritto di agire giudizialmente a tutela del mantenimento dell'unione coniugale riguarda peraltro anche il coniuge che procede alla rettificazione di sesso, il quale puo' agire per il riconoscimento del diritto ad una diversa identita' di genere, ma deve subire, senza alcuna tutela giurisdizionale, gli effetti di questa decisione sul vincolo coniugale preesistente. 10. Sorge, infine, non ravvisandosi alcuna altra ipotesi di divorzio "imposto" ex lege che si produca senza l'impulso giudiziale di almeno uno dei coniugi, un ulteriore dubbio di costituzionalita' del piu' volte citato art. 4 della legge n. 164 del 1982, rispetto al parametro costituzionale costituito dall'art. 3 Cost., correlato all'art. 24. Con riferimento a tale specifico parametro devono essere assunte come tertium comparationis le ipotesi di scioglimento del vincolo o cessazione degli effetti civili del matrimonio indicate nell'art. 3 legge n. 898 del 1970, sub. 1, lettere a), b), c) e sub 2), lettera d), che non richiedono da parte del giudice alcun controllo sull'effettiva disgregazione della convivenza familiare, in quanto si tratta di cause solutorie che, per la estrema gravita' delle condotte che ne costituiscono il nucleo, sono ritenute, con una valutazione astratta e predeterminata compiuta dal legislatore, radicalmente impeditive della continuazione della convivenza coniugale. La riserva di giurisdizione e la necessita' della domanda di parte, tuttavia, non vengono meno neanche in queste fattispecie, assimilabili sotto il profilo della non necessita' di un sindacato sulla concreta ed oggettiva situazione coniugale all'ipotesi di cui alla lettera g) oggetto di censura. La diversita' di regime giuridico, sotto il duplice profilo della necessita' dell'accertamento giudiziale e della volontarieta' (quanto meno di uno dei coniugi) della scelta relativa allo scioglimento del vincolo, relativa alle ipotesi da ultimo descritte comparate a quella di cui all'art. 4 della legge n. 164 del 1982 risulta del tutto priva di una ragionevole giustificazione, alla luce degli artt. 3 e 24 Cost. 11. In conclusione, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, devono essere sollevate per le ragioni sopra illustrate: 1) la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982, nella formulazione anteriore all'abrogazione intervenuta per effetto dell'art. 36 del d.lgs n. 150 del 2011, nella parte in cui dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca l'automatica cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso senza la necessita' di una domanda e di una pronuncia giudiziale, con riferimento ai parametri costituzionali degli artt. 2 e 29 Cost., e, in qualita' di norme interposte, ai sensi degli artt. 10, primo comma, e 117 Cost., degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo con riguardo ad entrambi i coniugi; 2) la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 con riferimento al parametro costituzionale dell'art. 24 Cost., nella parte in cui prevedono la notificazione del ricorso per rettificazione di attribuzione di sesso all'altro coniuge, senza riconoscere a quest'ultimo il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale nel giudizio in questione, ne' di esercitare il medesimo potere in altro giudizio, essendo esclusa la necessita' di una pronuncia giudiziale dalla produzione ex lege dell'effetto solutorio in virtu' del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso; 3) la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 con riferimento all'art. 24 Cost., negli stessi termini di cui sub 2), con riguardo al coniuge che ha ottenuto la rettificazione di attribuzione di sesso; 4) la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 con riferimento al parametro costituzionale dell'art. 3 Cost., per l'ingiustificata disparita' di regime giuridico tra l'ipotesi di scioglimento automatico, operante ex lege, del vincolo coniugale previsto da tale norma in relazione all'art. 3, quarto comma, lettera g) della legge n. 898 del 1970 e successive modificazioni e le altre ipotesi indicate in detto art. 3, sub. 1, lettere a), b), c) e sub 2 lettera d).
P.Q.M. Visti gli art. 134 Cost. e 23 e ss. della legge n. 87/53, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: 1) la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982, nella formulazione anteriore all'abrogazione intervenuta per effetto dell'art. 36 del d.lgs n. 150 del 2011, nella parte in cui dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca l'automatica cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso senza la necessita' di una domanda e di una pronuncia giudiziale, con riferimento ai parametri costituzionali degli artt. 2 e 29 Cost., e, in qualita' di norme interposte, ai sensi degli artt. 10, primo comma, e 117 Cost., degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo; 2) la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 con riferimento al parametro costituzionale dell'art. 24 Cost., nella parte in cui prevedono la notificazione del ricorso per rettificazione di attribuzione di sesso all'altro coniuge, senza riconoscere a quest'ultimo il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale nel giudizio in questione, ne' di esercitare il medesimo potere in altro giudizio, essendo esclusa la necessita' di una pronuncia giurisdizionale dalla produzione ex lege dell'effetto solutorio in virtu' del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso; 3) la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 con riferimento all'art. 24 Cost., negli stessi termini di cui sub 2), in relazione al coniuge che ha ottenuto la rettificazione di attribuzione di sesso; 4) la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge n. 164 del 1982 con riferimento al parametro costituzionale dell'art. 3 Cost., per l'ingiustificata disparita' di regime giuridico tra l'ipotesi di scioglimento automatico, operante ex lege, del vincolo coniugale previsto da tale norma in relazione all'art. 3, quarto comma, lettera g) della legge n. 898 del 1970 e successive modificazioni e le altre ipotesi indicate in detto art. 3, sub. 1, lettere a), b), c) e sub 2 lettera d). Dispone l'immediata trasmissione degli atti e della presente ordinanza, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni, alla Corte costituzionale e sospende il giudizio. Ordina la notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al Pubblico Ministero e al Presidente del Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone che in caso di diffusione siano omesse le generalita' delle parti. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione civile del 12 febbraio 2013. Il Presidente: Luccioli