N. 239 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 maggio 2013

Ordinanza del 22 maggio 2013 emessa  dal  Tribunale  di  Firenze  nel
procedimento civile promosso da F.G. contro M.P.. 
 
Matrimonio  -  Divorzio  -  Assegno  divorzile  -   Presupposti   per
  l'attribuzione e relativa  quantificazione  -  Necessita',  secondo
  l'interpretazione assurta a "diritto vivente", che in  presenza  di
  disparita'  economica  fra  i  coniugi  sia  garantito   a   quello
  economicamente piu' debole il medesimo tenore  di  vita  goduto  in
  costanza  di  matrimonio  -  Violazione  sotto  piu'  profili   del
  principio di ragionevolezza - Incompatibilita' con la ratio legis -
  Alterazione   della   funzione   assistenziale    dell'assegno    -
  Attribuzione al coniuge divorziato di una tutela maggiore di quella
  ricevuta in costanza di matrimonio - Esorbitanza dalle esigenze  di
  solidarieta' post-matrimoniale  -  Contrasto  con  trend  normativi
  consolidati negli altri Paesi  dell'Unione  europea  -  Anacronismo
  legislativo. 
- Legge 1° dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma  6,  come  modificato
  dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 29. 
(GU n.46 del 13-11-2013 )
 
                       IL TRIBUNALE DI FIRENZE 
 
    Ha emesso nella causa civile n. 15701/12  la  seguente  ordinanza
tra G.F. nato a F. il ... ed elettivamente domiciliato in F. via  Del
Corso, 2 presso lo Studio degli avvocati  Daniela  Marcucci  Pilli  e
Francesco Fanciullacci che  la  rappresentano  e  difendono  come  da
procura a margine del ricorso, ricorrente; 
    Contro P.M. nata a S.G.V. il ... ed elettivamente domiciliata  in
F. Fra' Domenico Buonvicini,  5  presso  lo  Studio  dell'avv.  Carlo
Canessa che la rappresenta e difende come da mandato  in  calce  alla
comparsa depositata all'udienza presidenziale, resistente; 
    Oggetto: divorzio giudiziale. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    1. Con ricorso depositato  il  7  novembre  2012  G.F.  adiva  il
Tribunale di Firenze per  sentire  pronunciare  lo  scioglimento  del
matrimonio contratto con P.M. il  2  aprile  2005  a  B.V.  (C.V.)  e
trascritto presso lo Stato Civile del Comune di  Firenze  al  n.  ...
parte ... Serie ... 
    Il  ricorrente  sosteneva  che   i   coniugi   fossero   entrambi
autosufficienti e che nessuno assegno fosse disposto a  favore  della
moglie. 
    In data 26 febbraio 2010 era  intervenuta  Sentenza  parziale  di
separazione giudiziale tra i due coniugi e in data  7  novembre  2012
era intervenuta sentenza definitiva di separazione del  Tribunale  di
Firenze con la quale il giudice, nel pronunciare la separazione tra i
coniugi, aveva posto a carico di G.F.  un  assegno  di  € 750,00  con
rivalutazione annuale Istat a favore di P.M. 
    Quest'ultima con comparsa ha chiesto condannarsi il coniuge ad un
assegno di mantenimento non inferiore a € 5.000,00  mensili  giacche'
l'assegno di separazione era da ritenersi insufficiente  rispetto  al
tenore  di  vita  tenuto  dai  coniugi  in  costanza  di  matrimonio,
caratterizzato da frequenti viaggi all'estero, regali costosi,  e  la
disponibilita' di numerosi immobili di proprieta' del ricorrente. 
    Con riferimento alla determinazione  dell'assegno  divorzile,  la
sig.ra M.P. ha invocato l'applicazione dell'art.  5  comma  VI  della
legge n. 898/1970,  come  modificato  dall'art.  10  della  legge  n.
74/1987, ai sensi  del  quale  «con  la  sentenza  che  pronuncia  lo
scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio,  il
Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi,  delle  ragioni
della decisione,  del  contributo  personale  ed  economico  dato  da
ciascuno alla comunione familiare ed alla formazione  del  patrimonio
di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi,  e  valutati
tutti  i  suddetti  elementi  anche  in  rapporto  alla  durata   del
matrimonio,  dispone  l'obbligo  per  un  coniuge  di   somministrare
periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non
ha mezzi adeguati  o  comunque  non  puo'  procurarseli  per  ragioni
oggettive». 
    Faceva presente che  i  due  coniugi  erano  proprietari  di  due
appartamenti a Capo Verde dove ogni anno soggiornano per qualche mese
a spese del marito. Il F. viveva della  rendita  di  n.  56  immobili
dichiarando per un reddito di € 56.000,00. 
    Con il modesto assegno di € 750,00 disposto con  la  sentenza  di
separazione le era impossibile mantenere lo stile di vita che durante
il  matrimonio  la  coppia  aveva  scelto  con  frequenti   soggiorni
all'estero nei mesi piu' freddi, auto di lusso, ristoranti eleganti. 
    In sede divorzile con Ordinanza Presidenziale del 25 gennaio 2013
venivano confermate, allo stato, le disposizioni  patrimoniali  della
separazione assegnandosi nel contempo i termini di legge per  memorie
integrative e repliche. 
    Con memoria del 25 febbraio  2013  il  ricorrente  contestava  in
maniera decisa  la  pretesa  della  moglie  di  ricevere  un  assegno
divorzile di € 5.000,00. Il matrimonio era durato  solo  due  anni  e
mezzo anche se vi era stata una relazione affettiva fra i due sin dal
1992 poi sfociata nel matrimonio nel 2005. Non vi erano stati i figli
e i due coniugi uscivano da altre esperienze  matrimoniali  e  la  M.
aveva gia' due figli. 
    Quest'ultima  era  entrata  come  collaboratrice  dentista  nello
Studio medico F. diventandone titolare esclusiva giacche' il dott. F.
aveva cessato l'attivita'. 
    La M. svolge un'intensa attivita' professionale come dentista con
sette dipendenti e due collaboratrici  esterne;  e'  proprietaria  di
alcuni immobili in Firenze  e  in  altri  luoghi;  una  fattofia  con
cavalli e risparmi consistenti. 
    La M. ha pertanto i mezzi piu'  che  adeguati  per  mantenere  un
dignitoso tenore di vita. 
    Il  F.  in  questa  sede  sollevava  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 5 comma 6 legge 98/70  (come  modificato
dalla  legge  n.  74/1987)  cosi  come  veniva   interpretato   dalla
generalita' dei giudici e anche dalla Corte di  Cassazione  tanto  da
divenire «diritto vivente». 
    Sul punto, il sig. G.F. ha formulato  deduzioni  in  ordine  alla
asserita  incostituzionalita'  di  tale   disposizione   cosi'   come
risultante    dalla    costante    interpretazione    datane    dalla
giurisprudenza, ed ha spiegato  istanza  affinche'  questo  Tribunale
rimettesse la questione di costituzionalita' prospettata  alla  Corte
costituzionale ex art. 23 legge n. 87/1953. 
    Detto diritto vivente viola ad avviso del ricorrente  sotto  piu'
profili il parametro costituzionale di ragionevolezza e, quindi,  per
contrasto all'articolo 3 della Costituzione che, anche congiuntamente
con l'articolo 29, costituisce il parametro alla  stregua  del  quale
doveva essere sottoposto ad esame costituzionale la sopra  richiamata
disposizione. 
    Con memoria del 27 marzo 2013 la dott.ssa P.M. contestava tutti i
rilievi di fatto e di diritto svolti dal dott. G.F. 
    Chiedeva quindi dichiararsi inammissibile la sollevata  eccezione
di  illegittimita'  costituzionale  giacche'  parte  ricorrente   non
indicava quale delle possibilita' interpretative  dovesse  applicarsi
nel giudizio principale prospettando solo dubbi interpretativi  della
norma. 
    Nel  merito  eccepiva  la  totale  infondatezza  della  eccezione
prospettata avendo gia' la Corte Costituzionale con Sentenza n. 23/91
deciso che: «la riforma della disciplina del divorzio  introdotti  in
Italia nel 1970 con la Legge del 1987, ha avuto tra i suoi obbiettivi
quello di dare una  piu'  ampia  e  sistematica  tutela  al  soggetto
economicamente piu' debole con l'approntamento di incisivi  strumenti
giuridici a garanzia di posizioni economicamente  pregiudicate  dagli
effetti della cessazione del matrimonio» ... e che «non puo'  infatti
dirsi irragionevole una scelta legislativa  che  miri  ad  assicurare
certezze e rapidita' nella definizione del contenuto del diritto e ad
evitare il contenzioso che presumibilmente deriverebbe da  diversita'
di indirizzi giurisprudenziali». 
    Con successiva memoria del 30  aprile  2013  la  M.  ribadiva  la
inammissibilita' e infondatezza dell'eccezione  di  costituzionalita'
giacche' la giurisprudenza (merito e  legittimita')  non  aveva  dato
alla norma in esame una interpretazione contraria  alla  costituzione
assurta a diritto vivente con la sentenza delle sezioni  unite  della
cassazione  n.  11490/90  e  della  successiva  giurisprudenza  della
Suprema Corte. 
    2. Su  queste  premesse  rileva  il  Collegio  che  la  questione
proposta ha ad oggetto l'art. 5 comma  VI  della  legge  n.  898/1970
nella  parte  in  cui,  secondo  l'interpretazione  giurisprudenziale
costante  e  consolidata  degli  ultimi  venti  anni   a   far   data
dall'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione  a  partire  dal
1990  (Cass.  SS.UU.,  n.  11490/1990),  stabilisce   che   l'assegno
divorzile deve garantire al coniuge  economicamente  piu'  debole  il
medesimo tenore di vita goduto in costanza  di  matrimonio.  Siffatta
determinazione dell'importo dell'assegno  divorzile  prescinde  dalle
determinazioni relative ai figli. 
    L'interpretazione in parola e' cosi'  costante  che  puo'  essere
senz'altro  considerata,  secondo  la  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale, come «diritto vivente», cioe' come  quel  significato
della disposizione che si e' affermato in pratiche consolidate  della
giurisprudenza avallate e confermate da orientamenti della  Corte  di
Cassazione. 
    La   questione   di   costituzionalita'   riguarda   dunque   una
l'interpretazione «vivente»  dell'art.  5  comma  VI  della  legge  a
898/1970. Il suo eventuale accoglimento lascerebbe in vita  l'art.  5
comma VI della legge n. 898/1970, permettendo al giudice di stabilire
l'importo dell'assegno divorzile  alla  luce  delle  circostanze  del
caso, senza tuttavia dover necessariamente  procedere  all'automatica
applicazione del criterio dell'«analogo tenore di vita» oggi  imposto
dal diritto vivente. 
    La questione, cosi' precisata, appare al Collegio rilevante e non
manifestamente infondata. 
    3. La questione di  legittimita'  costituzionale  in  oggetto  e'
rilevante perche' il giudizio che impegna questo Tribunale  non  puo'
essere definito senza l'applicazione dell'art. 5  comma  sesto  della
legge n. 898/1970, la cui  consolidata  interpretazione  suscita  non
manifestamente infondati dubbi di legittimita' costituzionale. 
    4. La questione e' ammissibile, dal momento che la stessa non  si
risolve in una questione di mera interpretazione della legge. 
    L'orientamento per cui l'assegno divorzile trova fondamento nella
mera disparita' della situazione economica dei coniugi e deve  essere
calibrato in modo da garantire medesimo tenore  di  vita  al  coniuge
piu' «debole», costituisce ormai diritto vivente, cioe'  un  «approdo
interpretativo  pressoche'  incontrastato  in  giurisprudenza»,   una
«soluzione  interpretativa  collaudata»  (sent.  n.  77  del   1997),
«consolidata giurisprudenza della Cassazione» (sent. 206  del  1997),
«giurisprudenza dominante» (sent. n. 110 del 1995). 
    L'interpretazione consolidata della Cassazione viene assunta come
significato obbiettivo della legge, diventando impermeabile al potere
interpretativo della Corte costituzionale. Il giudice a quo, posto di
fronte  al  diritto  vivente,  non  e'  tenuto,  secondo   la   Corte
costituzionale,  ad  effettuare  una  interpretazione   della   norma
conforme a Costituzione o adeguatrice  a  Costituzione  (che  sarebbe
un'interpretazione destinata ad essere smentita dai giudici superiori
che seguano il diritto vivente), ma, se ritiene  il  diritto  vivente
contrario a Costituzione, deve  rimettere  la  questione  alla  Corte
costituzionale (cfr. ord.  148  del  2008).  E'  sufficiente  che  il
giudice a quo riconduca alla disposizione  «una  interpretazione  non
implausibile  [di  diritto  vivente]  della  quale   egli,   ad   una
valutazione compiuta in una fase  meramente  iniziale  del  processo,
ritenga di dover fare applicazione nel giudizio  principale  e  sulla
quale egli nutra dubbi non arbitrari o non pretestuosi di conformita'
a determinate norme costituzionali» (cfr. sent. n. 58 del 1995). 
    L'obbligo   di   esperire    il    tentativo    di    configurare
un'interpretazione adeguatrice della disposizione  opera  secondo  la
Corte in capo al giudice comune solo «in assenza di diritto  vivente»
(fra le molte, cfr. sent. 190 del 2000, n. 427 del 1999),  e  non  e'
consentito al giudice stesso proporre alla Corte  interpretazioni  in
contrasto col diritto vivente (cfr. sent. n. 177 del 2000). 
    In caso di diritto vivente - cioe' di  disposizione  interpretata
in modo costante e conforme dalla giurisprudenza  -  «la  norma  vive
ormai nell'ordinamento in modo cosi' radicato  che  e'  difficilmente
ipotizzabile  una  modifica  del  sistema  senza   l'intervento   del
legislatore [o] di questa Corte»  (Corte  cost.,  sent.  n.  350  del
1997).  Qualora  l'interpretazione   vivente   sia   contraria   alla
costituzione, la Corte e' quindi tenuta a  pronunciarsi  su  di  essa
dichiarando    l'incostituzionalita'    della    disposizione    «ove
interpretata» secondo tale indirizzo (Corte cost., sent.  n.  78  del
2007). 
    5. La questione appare non manifestamente infondata. 
    L'obbligo di assegnare al coniuge economicamente piu'  debole  un
assegno volto a garantire  il  medesimo  tenore  di  vita  goduto  in
costanza  di  matrimonio  viola  il   principio   costituzionale   di
ragionevolezza  (il  cui  fondamento   riposa   nell'art.   3   della
Costituzione). 
    Esiste  infatti  una  palese  contraddizione  logica  oltre   che
giuridica  -  che  appare  irragionevole,  secondo  i  canoni   della
giurisprudenza costituzionale - fra l'istituto del divorzio,  che  ha
come scopo proprio quello della cessazione del matrimonio e dei  suoi
effetti, e la disciplina in questione, che di  fatto  proietta  oltre
l'orizzonte  matrimoniale  il  «tenore  di  vita»  in   costanza   di
matrimonio quale elemento attributivo e quantificativo  dell'assegno,
prolungando all'infinito i vincoli economici derivanti  da  un  fatto
(il matrimonio) che non esiste piu' proprio a seguito  del  divorzio,
senza che vi sia necessariamente una giustificazione  adeguata  sotto
il profilo della tutela  di  interessi  e  diritti  costituzionali  o
garantiti dalla Costituzione. Il diritto vivente in questione  appare
quindi irragionevole perche' conduce ad esiti palesemente irrazionali
in quanto incompatibili con la stessa ratio legis. 
    6. Si puo' aggiungere scopo dell'art. 5 comma VI della  legge  n.
898/1970, anche alla  luce  della  sua  formulazione  letterale,  era
quello garantire all'assegno divorzile una  finalita'  assistenziale.
Individuare  il   presupposto   dell'assegno   post-coniugale   nello
sbilanciamento delle situazioni patrimoniali degli ex coniugi  e  poi
quantificarlo nella cifra congrua a  «mantenere  il  tenore  di  vita
coniugale»,  tuttavia,  non  costituisce  un  «arricchimento»   della
funzione assistenziale indicata dalla legge, ma una sua  alterazione,
che  travalica  il  dato  normativo  e  la  stessa   intenzione   del
legislatore. L'interpretazione prevalsa nel diritto vivente, infatti,
non  attribuisce  piu'  all'assegno  divorzile   una   funzione   di'
«assistenza»  del  coniuge  piu'  debole,  bensi'  la  garanzia,  per
quest'ultimo, di mantenere per  tutta  la  vita  un  tenore  di  vita
agiato. Ma l'interesse ad una vita piu' agiata risulta  un  interesse
di carattere meramente economico -  di  regola  non  suscettibile  di
specifica tutela da parte  dell'ordinamento  giuridico  -  e  non  un
diritto individuale fondamentale posto  a  tutela  di  un  preminente
interesse della persona. 
    7. La norma di diritto vivente in  oggetto  finisce  inoltre  per
attribuire al coniuge  divorziato  una  tutela  maggiore  rispetto  a
quella che riceve il coniuge in costanza di  matrimonio.  Durante  il
matrimonio, difatti, e' senz'altro  consentito  e  possibile  che  la
coppia decida di' modificare - in senso eventualmente limitativo - il
proprio «tenore di vita» pregresso. Nel caso del divorzio, invece, il
«tenore di vita» matrimoniale viene artificialmente  mantenuto  dalla
normativa in questione come  un  dato  immutabile  a  fondamento  del
diritto e del quantum dell'assegno. 
    A differenza del dovere di mantenimento verso i figli, che  cessa
al raggiungimento della loro autosufficienza economica, l'obbligo  di
mantenimento del coniuge divorziato, nella lettura  giurisprudenziale
di cui qui si tratta, non viene meno neppure  in  caso  di  raggiunta
autosufficienza del coniuge. 
    Anche sotto i profili  sopra  indicati,  pertanto,  la  norma  in
oggetto appare in contrasto con il principio di ragionevolezza. 
    8. Il fondamento costituzionale  del  diritto  vivente  censurato
oggetto della presente questione di costituzionalita' e'  normalmente
individuato nell'art. 2 Cost., nel  cui  ambito  di  applicazione  da
alcuni viene fatta rientrare la tutela  del  «coniuge  debole»  o  la
«solidarieta' post-matrimoniale». 
    Anche inquadrato in quest'ottica, peraltro, il diritto vivente in
questione non appare superare comunque il controllo costituzionale di
ragionevolezza, quantomeno sotto il profilo dell'errato bilanciamento
fra valori. 
    La normativa in questione, infatti, sembra andare  ben  oltre  la
necessita'  di  garantire  l'interesse  costituzionale   a   che   la
cessazione  del  matrimonio  non  incida  in  maniera   intollerabile
sull'assetto patrimoniale del coniuge «debole». Si tratta infatti  di
una impostazione che riconosce al coniuge «debole» non  semplicemente
di  avere  gli  strumenti  necessari  per  superare  la   difficolta'
derivante dalla cessazione del matrimonio, ma - in  modo  assai  piu'
ampio - la riproduzione oltre il divorzio delle condizioni economiche
godute  nel  contesto  matrimoniale.  Il  che  appare  uno  strumento
eccessivo rispetto a  quanto  necessario  per  garantire  l'interesse
sopra individuato. 
    9. La norma di diritto vivente di cui si discute  rappresenta  un
unicum nel  panorama  delle  legislazioni  nazionali  in  materia  di
conseguenze economiche del divorzio. 
    La Commissione europea sul diritto di  famiglia,  del  resto,  ha
stabilito il principio secondo il quale  «dopo  il  divorzio  ciascun
coniuge provvede  ai  propri  bisogni»  (principio  2.2).  Da  questo
principio deriva che dopo il matrimonio, gli unici legami a  rimanere
in vita sono quelli che riguardano i figli o, qualora dei rapporti di
tipo  patrimoniale  siano  effettivamente  mantenuti,  essi   abbiano
quantomeno il carattere della temporaneita' (principio 2.8). 
    Anche  sotto  questo  profilo,  dunque,  l'irragionevolezza   del
diritto  vivente  di  cui  si  tratta  appare   evidente,   ponendosi
sostanzialmente in netto contrasto con  trend  normativi  consolidati
negli altri paesi dell'Unione europea. 
    10. Puo' infine osservarsi che il matrimonio ed il divorzio  sono
istituti storicamente determinati, i  cui  mutamenti  vanno  di  pari
passo  con  le  trasformazioni  sociali,  sicche'  il  loro   profilo
funzionale non e' definibile in astratto, una  volta  per  tutte,  ma
occorre tener conto del modo  in  cui,  secondo  indici  storicamente
mutevoli,  essi  vengono  intesi   e   interpretati   nell'esperienza
giuridica di un dato contesto sociale. 
    Nel periodo storico che va dalla meta' del XIX ai  nostri  giorni
si  e'  assistito  ad  un'evoluzione   del   matrimonio   nel   mondo
occidentale, con la progressiva affermazione dell'idea che la ragione
d'essere  di  questo  istituto  sia  da  identificare  esclusivamente
nell'affetto reciproco degli sposi,  con  il  definitivo  superamento
della visione tradizionale che privilegiava gli aspetti assistenziali
e  patrimoniali  del  medesimo.  La  concezione   tradizionale,   che
attribuiva al matrimonio - fra l'altro - lo scopo di  assicurare  una
posizione e uno  status  sociale  alla  donna,  e'  stata  sostituita
dall'idea che il matrimonio sia un fatto privato  degli  sposi  e  si
fondi sul  reciproco  consenso,  venendo  meno  il  quale  si  ha  la
dissoluzione definitiva del vincolo e del rapporto  che  ad  esso  e'
conseguito. 
    Il  diritto  vivente  oggetto   della   presente   questione   di
costituzionalita',  pero',  mantiene  fermo  il  principio   che   il
matrimonio proietti i suoi effetti patrimoniali in perpetuo,  con  la
possibilita' che un coniuge possa  beneficiare  di  una  rendita  ben
superiore ai propri bisogni di natura assistenziale. Tale  concezione
non tiene dunque conto dei profondi mutamenti dei  modelli  culturali
degli     ultimi     decenni,     esprimendo      una      concezione
«criptoindissolubilista»   del    matrimonio    che    appare    oggi
anacronistica. 
    La giurisprudenza costituzionale ha piu'  volte  riconosciuto  la
sopravvenuta illegittimita' di norme divenute «anacronistiche» e  per
tale  motivo  irragionevoli.  Il  giudizio  di  costituzionalita'  e'
infatti senz'altro aperto agli «argomenti storici», che consentono di
valutare le conseguenze  derivanti  dai  mutamenti  intervenuti,  per
decorso del tempo, nelle situazioni di diritto e nelle situazioni  di
fatto. 
    L'anacronismo, in  particolare,  ricorre  quando  una  disciplina
positiva  perde  progressivamente  la  propria  ragion  d'essere  per
effetto del decorso del tempo, finendo  per  non  corrispondere  piu'
adeguatamente alle esigenze per le quali era stata  posta  in  essere
originariamente, ovvero alle situazioni sociali di riferimento: «tale
esigenza,  pressante  per  quanto  fosse  a  suo  tempo,  e'   venuta
affievolendosi, [...]  sconfinando  oltre  il  ragionevole  esercizio
della discrezionalita' legislativa» (Corte cost. sent n. 4 del 1981);
«una concezione non  aggiornata  [della  realta'  di  riferimento]  e
l'obsolescenza dei motivi  di  trattamento  con  riflessi  di  ordine
propriamente  costituzionale   in   relazione   al   criterio   della
corrispondenza a realta' (giustamente accolto ai fini  del  controllo
del rispetto del principio di eguaglianza)», implicano che  la  norma
«anacronistica» debba essere considerata irragionevole  (Corte  cost.
sent. n. 20 del 1978). 
    I casi di anacronismo legislativo sono stati oggetto di  numerose
pronunce di accoglimento (o interpretative di  rigetto)  della  Corte
costituzionale, proprio basate sulla irragionevolezza: cfr. sent.  n.
189 del 1987, sent. n. 108 del 1994, sent. n. 254 del 2002, sent.  n.
318 del 2002, sent. n. 445 del 2002. In  materia  di  parita'  fra  i
coniugi, la nota sent. n.  126  del  1968  sull'«asimmetria»  fra  le
conseguenze della violazione dell'obbligo  di  fedelta'  matrimoniale
muove  proprio  da  argomentazioni  riguardanti  la  modifica   delle
condizioni sociali e  giuridiche,  dalle  quali  trae  fondamento  la
pronuncia di  irragionevolezza  della  normativa  vigente  in  quanto
«molto e' mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato  pienezza
di diritti e la sua partecipazione  alla  vita  economica  e  sociale
della famiglia e della intera collettivita' e' diventata  molto  piu'
intensa». 
    Anche nel piu' recente periodo, la Corte costituzionale ha  avuto
modo di segnalale l'evoluzione  del  concetto  di  matrimonio  e  del
contenuto di diritti e doveri che esso comporta  (sent.  n.  138  del
2010, sent. n. 61 del 2006;  Relazione  del  Presidente  della  Corte
costituzionale prof. Franco Gallo del 12 aprile 2013). 
    Sotto questi profili, dunque, il profondo mutamento dello  stesso
significato del divorzio, cosi' come piu' in  generale  quello  degli
assetti della famiglia e del ruolo dei coniugi e  delle  donne  nella
societa',  induce   a   ritenere   profondamente   irragionevole   ed
anacronistico un diritto vivente quale quello oggetto della  presente
questione di costituzionalita'. 
    Appare in conclusione necessaria una revisione critica del  dogma
del «tenore di vita», un  dogma  che  ormai  appartiene  ad  un'altra
epoca, ad  un'altra  gerarchia  di  valori  non  piu'  adeguati  alla
contemporanea legalita' costituzionale. 
    11. Ritenuta dunque rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di costituzionalita', il presente giudizio viene sospeso. 
    12. Ogni statuizione in rito, in merito, e in ordine  alle  spese
di causa, resta riservata alla decisione definitiva. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della  legge  cost.
1/1948, l'art. 23 della  legge  87/1953,  dichiara  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di costituzionalita'  dell'art.
5 comma VI della legge n.  898/1970,  come  modificato  dall'art.  10
della legge n. 74/1987, nell'interpretazione di diritto  vivente  per
cui in presenza di una disparita' economica tra i  coniugi  l'assegno
divorzile deve necessariamente garantire  al  coniuge  economicamente
piu' debole  il  medesimo  tenore  di  vita  goduto  in  costanza  di
matrimonio, in relazione agli articoli 2, 3 e 29 della  Costituzione,
per le ragioni indicate nella parte motiva della presente ordinanza. 
    Manda alla Cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al Presidente del Senato  della  Repubblica  e  al  Presidente  della
Camera dei deputati ed alle parti del presente giudizio. 
    Dispone la trasmissione alla Corte costituzionale della  presente
ordinanza. 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Si comunichi a cura della cancelleria alle parti della causa. 
    Cosi deciso in Firenze nella  Camera  di  Consiglio  in  data  15
maggio 2013. 
 
                  Il presidente estensore: Palazzo