N. 273 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 ottobre 2013

Ordinanza del 15 ottobre 2013 emessa dalla Corte  di  cassazione  nel
procedimento penale a carico di D. M. L.. 
 
Processo penale - Ricorso per cassazione - Ricorso straordinario  per
  errore materiale o di fatto  commesso  dalla  Corte  di  cassazione
  contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione -
  Possibilita'  da  parte  della  persona  indagata  di  attivare  la
  procedura di correzione dell'errore materiale o di  fatto  commesso
  dalla Corte di cassazione decidendo nel procedimento de libertate -
  Preclusione - Ingiustificata disparita' di trattamento  nel  regime
  attinente la liberta' tra persone - Lesione del diritto di difesa -
  Contrasto con i principi del processo  equo,  sanciti  dall'art.  6
  della CEDU e con i principi costituzionali del giusto processo. 
- Codice di procedura penale, art. 625-bis, commi 1 e 2. 
- Costituzione, artt. 3, 24, comma  secondo,  111,  commi  secondo  e
  settimo, e 117, primo comma, in  relazione  all'art.  6,  comma  3,
  della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.52 del 27-12-2013 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  straordinario
proposto  ex  art.  625-bis  cod.  proc.  pen.  e  sulla  istanza  di
correzione proposta ex art. 130 cod. proc. pen. da D. M. L.,  nato  a
Castellamare di Stabia il 6 novembre  1958  avverso  la  sentenza  n.
21325 del 12 febbraio 2013 della Corte Suprema di cassazione, sezione
quarta penale; 
    Visti gli atti, il provvedimento Impugnato e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini; 
    Udito il Pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore
generale, Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo applicarsi  l'art.
130 cod. proc. pen. e revocarsi  la  sentenza  della  quarta  sezione
penale del 12 febbraio 2013; 
    Udito per l'imputato l'avv. Esposito Fariello,  che  ha  concluso
chiedendo annullarsi senza rinvio l'ordinanza cautelare  o  revocarsi
la sentenza impugnata e assumere  eventuali  provvedimenti  ai  sensi
dell'ultima parte dell'art. 625-bis cod. proc. pen. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con ordinanza  del  Giudice  delle  indagini  preliminari  del
Tribunale di Napoli e' stata disposta a carico  del  sig.  D.  M.  la
sostituzione della misura cautelare della  custodia  domiciliare  con
quelle della custodia in carcere in ordine al reato ex  art.  73  del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Il  sig.  D.  M.,  ha  censurato  tale
provvedimento davanti al  Tribunale  di  Napoli,  che  con  ordinanza
dell'8 novembre 2012 ha confermato la decisione assunta  dal  Giudice
delle indagini preliminari. 
    2. Con la sentenza n. 21325/13 del 12 febbraio 2013, decidendo su
ricorso dell'indagato, la Corte suprema di cessazione, sezione quarta
penale, ha respinto l'impugnazione e  la  misura  della  custodia  in
carcere ha avuto esecuzione. 
    3. Con ricorso ex art.  625-bis  cod.  proc.  pen,  il  difensore
evidenzia come,  per  errore  di  fatto,  la  notifica  dell'atto  di
citazione avanti la quarta  sezione  penale  sia  stata  inoltrata  a
diverso destinatario mediante invio di telefax  a  utenza  telefonica
del circondano di Genova, cosi' Impedendogli  di  conoscere  la  data
della udienza e di partecipare alla stessa; circostanza questa che il
difensore ha potuto accertare soltanto  In  momento  successivo  alla
comunicazione dell'estratto della sentenza  citata  che  definiva  il
procedimento cautelare. 
    4. Detto ricorso  risulta  preceduto  da  altra  Impugnazione  di
analoga natura, oggetto di decisione di  questa  Corte  dello  scorso
mese di aprile, di cui si dira' appresso. 
    5. Infine, risulta presente in atti una diversa istanza  ex  art.
130 cod. proc. pen. , non fascicolata e non registrata  in  occasione
della udienza dei 12 giugno  2013  fissata  per  la  trattazione  del
ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. Per tale ragione  all'udienza
del  12  giugno  2013  questa  Corte  ha  disposto  li   rinvio   del
procedimento a nuovo ruolo affinche' si provvedesse  a  regolarizzare
la registrazione delle  richieste  del  sig.  D.  M.  e  la  relativa
fascicolazlone. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Osserva la Corte in via  preliminare  che  avverso  la  citata
sentenza emessa dalla quarta  sezione  di  questa  Corte  sono  stati
presentanti dal sig. D. M. plurimi atti di impugnazione che a diverso
titolo lamentano l'esistenza di un errore che ha compresso i  diritti
della difesa; il primo, ex art. 625-bis cod. proc. pen. e oggetto del
procedimento n. 11191/2013, e' stato esaminato  mediante  l'ordinanza
n. 20931/13 emessa da questa sezione all'udienza del 26  aprile  2013
con pronuncia di inammissibilita'; il secondo, sempre ex art. 625-bis
cod. proc. pen. e' oggetto dei presente procedimento, n. 14544/13; il
terzo, ex art. 130 cod, proc. pen., e' stato trasmesso come seguito e
unito agli atti del presente  procedimento  attesa  l'unicita'  della
materia trattata. 
    2. In tutti  i  casi  ricordati  il  ricorrente  lamenta  che  la
sentenza a lui sfavorevole emessa  dalla  quarta  sezione  penale  di
questa Corte in data 12 febbraio 2013 risulti viziata  da  un  errore
radicale, consistente nell'omessa notifica al  difensore  dell'avviso
di udienza, e che il giudizio di legittimita' si sia conseguentemente
svolto in assenza di contraddittorio senza che cio' dipenda da scelte
della difesa. 
    3. La censura e' fondata in  punto  di  fatto.  Dall'esame  della
documentazione in atti, che la Corte puo' effettuare in  presenza  di
censura «in procedendo», emerge che nessun difensore presenzio'  alla
trattazione dei ricorso  e  che  la  notificazione  al  difensore  di
fiducia in vista dell'udienza del 12 febbraio 2013  fu  effettuata  a
numero di telefono recante il prefisso 010,  corrispondente  all'area
genovese, e non al numero telefonico dello studio dell'avv.  Esposito
Fariello; il  collegio  non  rilevo'  il  vizio  di  notificazione  e
l'udienza  si  svolse  senza  la  presenza  del  difensore,  iscritto
all'albo speciale e a cui l'avviso doveva essere inviato anche  quale
rappresentante dell'indagato, per legge non destinatario di  autonoma
comunicazione. Si e', dunque, in presenza di violazione  del  diritto
dell'indagato  ad  essere  rappresentato  in  giudizio  e   assistito
tecnicamente, con conseguente vizio del giudizio integrante l'ipotesi
di nullita' di ordine generale prevista dall'art. 178, lett. c), cod.
proc. pen. 
    4. Puo' rilevarsi fin d'ora che detta violazione chiama in causa,
come sara' di seguito approfondito, i principi del  giusto  processo,
fissati dall'art.  111  Costituzione;  il  diritto  inviolabile  alla
difesa, fissato dal comma 2 dell'art. 24 Costituzione; i principi del
processo  equo,  fissati  dall'art.  6  della  convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (di
seguito, Cedu), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto  1955,
n. 848; nonche' il  principio  di  parita'  di  trattamento,  fissato
dall'art. 3 Costituzione. 
    5. Tutto cio' premesso, va  ricordato  che  il  ricorso  ex  art.
625-bis cod. proc. pen. che ha dato luogo al  presente  procedimento,
n. 14544/2013 R.G.,  e'  stato  preceduto  da  altro  ricorso  avente
contenuto nella sostanza analogo proposto dal medesimo  ricorrente  e
oggetto dell'ordinanza n.  20931/13  pronunciata  da  questa  sezione
all'udienza del 26 aprile 2013.  Detta  ordinanza  dichiaro'  la  non
ammissibilita' dell'impugnazione in quanto proposta non  avverso  una
sentenza che definisce il processo, e dunque da persona  «condannata»
nei termini fissati dalli art. 625-bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen.,
bensi' avverso una ordinanza cautelare. Sul punto si rinvia all'ampia
motivazione  dell'ordinanza  del  26  aprile  2013,  che  viene   qui
riportata nei suoi passaggi rilevanti: 
    «..3. Il ricorso e'  inammissibile,  l'art.  625-bis  cod.  proc.
pen., nel disciplinare il ricorso straordinario per errore  materiale
o di fatto, stabilisce, al primo comma, che il rimedio e' ammesso  «a
favore del condannato». 
    Come chiarito da tempo dalle sezioni unite di  questa  Corte,  la
disposizione richiamata ha natura di norma  eccezionale  e,  come  in
essa  specificato,  l'impugnazione  straordinaria   puo'   riguardare
soltanto quei provvedimenti della Corte  di  cassazione  che  rendono
definitiva una sentenza di condanna e non anche  le  altre  decisioni
che intervengono in procedimenti incidentali  (SS.UU.  n.  16103,  30
aprile 2002. Conf. SS.UU. n. 16104, 27 marzo 2002, non massimata). Le
sezioni unite hanno infatti posto in evidenza il carattere  tassativo
della normativa dettata dall'art. 625-bis,  escludendo  espressamente
che il ricorso straordinario possa essere proposto  anche  contro  le
decisioni adottate nei procedimenti incidentali «de libertate» e cio'
considerando, oltre al tenore letterale del primo comma in precedenza
ricordato, anche la limitazione della legittimazione all'impugnazione
straordinaria al procuratore generale e al condannato ricavabile  dal
comma 2, Osservando che  l'estensione  della  speciale  disciplina  a
decisioni  emesse  all'interno  di  procedimenti  incidentali   trova
insuperabile preclusione nel divieto dell'interpretazione analogica. 
    «4. Poco tempo dopo la  pronuncia  delle  sezioni  unite,  questa
Corte ha avuto modo di  verificare  la  tenuta  costituzionale  della
disposizione codicistica in esame,  escludendo  la  fondatezza  della
questione sollevata in relazione all'art.  3  Cost.  con  riferimento
alla parte in cui l'art. 625-bis  cod.  proc.  pen.  prevede  che  il
ricorso straordinario sia esperibile solo dal condannato e non  anche
dall'imputato  con  riferimento  ad  errore  occorso   in   procedure
incidentali,  rilevando  che  trattasi  di  situazioni  completamente
diverse  e  che  le  decisioni  emesse  all'esito  di  queste  ultime
costituiscono giudicato allo stato degli atti e, come  tali,  essendo
suscettibili  di  modificazione  per  la  sopravvenienza   di   nuovi
elementi, non sono munite  del  carattere  dell'irrevocabilita',  che
connota invece i provvedimenti con  cui  viene  resa  definitiva  una
condanna (Sez. I n. 35614, 23 ottobre 2002). 
    «5.  Il  principio  stabilito  dalle  sezioni  unite   e'   stato
successivamente ribadito,  escludendo  l'ammissibilita'  del  ricorso
straordinario proposto dal procuratore generale a favore della  parte
offesa (Sez. V n.  35186,  21  ottobre  2002),  nonche'  dei  ricorsi
avverso decisioni del giudice  di  legittimita'  aventi  per  oggetto
l'ordinanza di affidamento in prova al servizio sociale  (Sez.  V  n.
38630, 13 ottobre 2003), avverso provvedimenti adottati nella fase di
esecuzione della pena da parte dei giudici di sorveglianza  (Sez.  IV
n. 38269, 30 settembre 2009; sez. V n. 45937, 19 dicembre  2005),  di
rigetto di istanza di riabilitazione (Sez. IV n. 42725,  20  novembre
2007), In materia di riparazione per Ingiusta detenzione (Sez. III n.
1265, 15 gennaio 2009), di rigetto di incidente di esecuzione (Sez. V
n. 2727, 21 gennaio 2010; sez. V n.  48103,  16  dicembre  2009),  in
materia di sequestro preventivo (Sez. IV n. 22497, 8 giugno 2007). 
    E' stata altresi' esclusa la legittimazione dell'imputato nei cui
confronti sia stata pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio
per prescrizione del reato (Sez. I n. 14869, 13 aprile 2007) e  della
parte civile o  di  altre  parti  processuali  diverse  dall'imputato
condannato (Sez. I 42114, 12 novembre 2008; Sez. I n. 11653, 14 marzo
2008; Sez, II n. 28629, 18 luglio 2007). 
    «Con  riferimento  specifico  ai  procedimenti  incidentali   «de
libertate»,  l'ammissibilita'  del  ricorso  straordinario  e'  stata
successivamente esclusa sempre in ragione del  carattere  eccezionale
della disposizione che lo disciplina e la conseguente  impossibilita'
di applicazione analogica (Sez. II n. 11741, 14 marzo 2008). 
    «6. I principi in precedenza richiamati sono pienamente condivisi
dal   Collegio,   che   non    intende    discostarsene,    rilevando
conseguentemente che il ricorso, in quanto concernente una  decisione
di questa Corte relativa ad un  provvedimento  emesso  dal  Tribunale
quale giudice del riesame, non e' ammissibile.». 
    6. La decisione ora  ricordata  ha  dichiarato  inammissibile  il
ricorso avanzato dal sig. D. M. e ha definito  la  fase  incidentale,
cosi  che  puo'  parlarsi  di  avvenuta  formazione   di   «giudicato
cautelare»; essa  costituisce  un  precedente  che  puo'  inibire  la
presentazione di  una  nuova  impugnazione  che,  come  la  presente,
sottoponga a controllo il medesimo provvedimento  del  tribunale  del
riesame,  abbia  analogo  contenuto  e  sia  fondata  sulla  medesima
disposizione di legge di riferimento (si veda, Sez. 3, n. 23976 del 3
marzo 2011, Varvara, rv 250376). 
    7. Deve a questo punto essere preso in  esame  il  diverso  mezzo
d'impugnazione proposto ai sensi dell'art.  130  cod.  proc.  pen.  e
unito al presente procedimento per evidenti ragioni  di  unicita'  di
giudizio. 
    8. La disposizione contenuta nell'art. 130 cod.  proc.  pen.,  la
cui rubrica recita «Correzione degli errori materiali»,  appronta  un
strumento destinato a porre rimedio a «errori o omissioni»  contenuti
nel provvedimento del giudice, ma esclude espressamente che esso  sia
utilizzabile come alternativa  allo  strumento  ordinario  costituito
dalla impugnazione; infatti, la norma contiene l'espressa  previsione
secondo cui il ricorso alla procedura di  correzione  e'  escluso  in
presenza di errori che «determinano nullita'» o la  cui  eliminazione
comporterebbe «una modificazione essenziale dell'atto». Va  aggiunto,
a completamento dell'esame della disposizione, che il  secondo  comma
prevede che «dell'ordinanza che ha disposto la  correzione  e'  fatta
annotazione sull'originale dell'atto», cosa che porta a  esclude  che
l'art. 130 cod. proc. pen. possa essere utilizzato come strumento che
conduce alla revoca del provvedimento contenente l'errore. 
    9. Questa Corte ha affrontato in plurime occasioni  il  tema  dei
rapporti fra le disposizioni contenute negli artt. 130 e 625-bis cod.
proc. pen., disposizione quest'ultima introdotta dall'art.  6,  comma
6, della legge 26 marzo 2001, n. 128 al fine di offrire alta Corte di
cassazione la possibilita' di correggere i propri  provvedimenti  non
emendabili sotto l'egida del citato art. 130. In particolare, secondo
la giurisprudenza di legittimita'  si  parla  di  «errore  materiale»
quando  sussiste   la   «mancata   rispondenza   tra   la   volonta',
correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica», mentre si
parla di «errore di fatto» quando si verificano «una svista  o...  un
equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimita', il
cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello  effettivo»;
in  tale  contesto  la  Corte  ha  precisato  che  restano   estranei
all'ambito degli errori di fatto «gli  errori  di  valutazione  e  di
giudizio»,  che  vanno  assimilati  agli  errori  di  diritto.   Tali
principi, fissati tra le altre da Sez.1, n.  45731  del  13  novembre
2001, Salerno (rv 220373), sono stati accompagnati dalla precisazione
che l'errore materiale richiamato dall'art. 625-bis cod. proc.  pen.,
era  «gia'  previsto  come  emendabile,  a  determinate   condizioni,
dall'art. 130 cod. proc. pen.», mentre  l'errore  di  fatto  ex  art.
625-bis cod. proc. pen. e' «assimilabile a  quello  revocatorio  gia'
previsto, in materia civile, dall'art. 391-bis cod. proc. civ.». 
    10. La Corte ha inoltre avuto  modo  di  esaminare  espressamente
l'ipotesi  che  il  collegio  di  legittimita'  non  abbia   rilevato
l'irregolare costituzione del rapporto  processuale  per  difetto  di
notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza e, in linea  con
l'interpretazione della legge ora ricordata, ha affermato che in tale
ipotesi  il  condannato  con  sentenza  confermata  dalla  corte   di
legittimita' puo' chiedere di ottenere la correzione ex art.  625-bis
cod. proc. pen.; in tal caso, la corte ha la facolta' di revocare  la
propria precedente decisione e procedere immediatamente all'esame dei
motivi di ricorso (si veda Sez. 6, n.  40628  del  16  ottobre  2008,
Ianno', rv 241526). 
    11. L'esame  complessivo  della  giurisprudenza  di  legittimita'
conduce ad affermare che l'errore commesso dalla Corte di  cassazione
consistente nell'omessa rilevazione dei  vizio  di  notificazione  al
difensore  del  ricorrente  e  nella  conseguente  celebrazione   del
giudizio in assenza di valida costituzione del  rapporto  processuale
integra un «errore dl fatto» riconducibile  alla  previsione  di  cui
all'art. 625-bis cod. proc. pen.;  detto  errore  non  puo',  invece,
trovare rimedio mediante il ricorso ail'art. 130 cod.  proc.  pen.  ,
che prevede  la  correzione  dei  soli  «errori  materiali»  che  non
integrino una ipotesi di nullita' (si veda per tutte Sez. 5, n. 21050
del 7 aprile 2011, Gilardi, rv 250404) e non modifichino il contenuto
essenziale della decisione. 
    12. A parere  di  questo  giudice,  disattendendo  sul  punto  la
sollecitazione del ricorrente, le conclusioni adesso esposte non sono
smentite, ma trovano anzi conferma nella sentenza di questa  Sezione,
n. 1265/2009 dell'11  dicembre  2008,  che  ha  ritenuto  applicabile
l'art. 130 cod. proc. pen. alla ipotesi in cui la precedente sentenza
della Corte di cassazione abbia omesso del tutto di pronunciare sulla
impugnazione di uno dei ricorrenti.  La  motivazione  della  sentenza
cosi' illustra le ragioni  della  decisione:  «....  Da  un  lato  e'
indubitabile che «nelle vicende  umane  il  vero  ed  il  giusto  non
possano essere rimessi sempre in discussione e che esiste un  momento
in cui la dinamica processuale deve comunque arrestarsi per cedere il
posto  all'esigenza  di  certezza  e  di  stabilita'   di   decisioni
giurisdizionali quali fonti regolatrici  di  relazioni  giuridiche  e
sociali» (Cass. sez. 1, 6 ottobre 1998 - Bompressi ed altri). A  tale
indiscutibile esigenza di certezza si contrappone, per  altro  verso,
quella, altrettanto significativa, di porre rimedio  agli  errori  di
cui palesemente sia affetta una decisione  ormai  non  piu'  soggetta
agli ordinari mezzi  di  impugnazione.  La  Corte  costituzionale  e'
intervenuta piu' volte in proposito,  evidenziando  che  «al  di  la'
della piu' volte affermata inammissibilita' di richieste  che  mirino
alla introduzione nel sistema processuale di un  mezzo  straordinario
di impugnazione che, in presenza di determinate condizioni,  consenta
di   ovviare   alle   conseguenze,   ritenute   lesive   di   diritti
dell'imputato, di (presunti) errori contenuti  nelle  pronunce  della
Corte di cassazione, in relazione al quale diverse potrebbero  essere
le soluzioni adottabili (v. sentenze nn. 294 del 1995, 21 del 1982  e
136 del 1972) - resta il fatto che l'errore di tipo  "percettivo"  in
cui sia incorso il giudice di legittimita', e dal quale sia  derivata
l'indebita declaratoria di inammissibilita' del ricorso (con  l'ovvia
conseguenza di determinare l'irrevocabilita' della pronuncia  oggetto
di impugnativa) rappresenta  eventualita'  tutt'altro  che  priva  di
conseguenze per il rispetto dei  principi  costituzionali  coinvolti»
(cfr. sent. n. 0395/2000). Siffatta evenienza, invero,  si  porrebbe,
come sottolineava la Corte, «in automatico  e  palese  contrasto  non
soltanto con l'art. 3, ma anche con l'art.  24  Cost.,  per  di  piu'
sotto uno specifico e  significativo  aspetto,  quale  e'  quello  di
assicurare la effettivita' del giudizio di  cassazione».  Di  qui  la
necessita'  che  all'errore  di   tipo   «percettivo»   debba   porsi
necessariamente rimedio. Nel  dichiarare  la  inammissibilita'  della
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 629 e 630 e  ss.
c.p.p., la Corte costituzionale sottolineava come fosse compito della
Corte di cassazione  -  odierna  remittente  -  svolgere  appieno  la
propria  funzione  di  interpretazione   adeguatrice   del   sistema,
individuando, all'interno di  esso,  lo  strumento  riparatorio  piu'
idoneo (sent. cit.). L'ipotesi in cui addirittura vi sia stata,  come
nel caso di specie, una omessa pronuncia  sul  ricorso  proposto  non
puo'  rimanere,  certamente,  priva  di  «tutela».  Il   ricorso   al
procedimento di correzione ex art. 130 c.p.p.  e'  stato  incanalato,
proprio nell'ottica  della  definitivita'  ed  immodificabilita'  dei
provvedimenti della Corte di  cassazione,  entro  rigorosi  limiti  e
applicabile ai soli  casi  di  divergenza  manifesta  e  casuale  tra
volonta' del giudice e  rappresentazione  grafica  della  stessa.  E'
quindi possibile ricomprendervi sia gli errori in senso  stretto  che
le omissioni, sempre che siano frutto  di  una  vista.  Si  e'  pero'
prevista la possibilita' di esperire il suddetto  rimedio  anche  nei
casi in cui  l'errore  si  risolva  nella  omissione  di  statuizioni
derivanti da un obbligo normativo, si'  che  l'intervento  correttivo
sia configurabile come un atto dovuto ed automatico  (di  recente  le
sezioni unite hanno ritenuto  esperibile  il  rimedio  di  correzione
dell'errore materiale ex  art.  130  c.p.p.  nell'ipotesi  di  omessa
condanna dell'imputato alla rifusione  delle  spese  sostenute  dalla
parte civile - cfr. Cass. sez. un. sent. n. 3 del 31 gennaio  2008  -
Boccia). Non puo' revocarsi in dubbio che la pronuncia  in  relazione
ad un ricorso costituisca atto dovuto  e  che  l'eventuale  omissione
determini la lesione  di  diritti  costituzionalmente  garantiti.  La
sentenza della quarta sezione non ha espresso alcuna  valutazione  in
ordine al ricorso del Gulli, avendo.... omesso di esaminarlo.  E'  da
ritenere, conseguentemente, esperibile il procedimento di  correzione
ex art. 130 c.p.p.». 
    13. Come si vede, la fattispecie oggetto della decisione consiste
in una omessa pronuncia sulla domanda del ricorrente,  che  e'  stata
correttamente  ricondotta  all'interno  della  categoria  dell'errore
«materiale» al pari delle varie ipotesi di  sentenza  che  ometta  di
applicare una misura obbligatoria, ipotesi che  la  Corte  ha  sempre
ritenuto correggibili ex art. 130 cod. proc. pen. (si veda Sez. 6, n.
2644/1999 del 22 settembre 1998, Passamonte, rv 213576).  Diverso  il
caso di cui si occupa la presente decisione:  il  giudicante  non  ha
omesso di pronunciare sulla  domanda,  bensi'  ha  pronunciato  senza
ravvisare un vizio essenziale della citazione a giudizio che  avrebbe
imposto la rinnovazione della citazione stessa e la fissazione di una
nuova udienza al fine di consentire alla  difesa  di  partecipare  ai
giudizio. 
    14. Esiste, in realta', una risalente decisione  che  non  sembra
collocarsi in linea con le conclusioni qui  esposte  e  che  presenta
aspetti di specifico interesse. Il riferimento e' alla  ordinanza  n.
2005 dei 22 maggio 1994 con la  quale  la  sesta  sezione  penale  di
questa Corte adotto' una interpretazione costituzionalmente orientata
dell'art. 130 cod. proc. pen. e provvide a  correggere,  revocandola,
la sentenza resa dalla medesima sezione all'udienza  del  4  novembre
1994 in assenza di valida notificazione al difensore per poi disporre
di procedere a ulteriore trattazione del ricorso, rinviando  a  nuovo
ruolo. La  motivazione  dell'ordinanza,  che  e'  bene  ricordare  fu
adottata  nella  vigenza  del  solo  art,130  cod.   proc.   pen.   e
anteriormente all'entrata in  vigore  dell'art.  625-bis  cod.  proc.
pen., individua  una  fattispecie  storica  oggi  riconducibile  alla
disposizione  deil'art.  625-bis,  citato,   ma   presenta   indubbio
interesse in  quanto  giunge  a  superare  il  dato  letterale  della
disposizione di legge allora  vigente  richiamando  principi  che  la
Corte costituzionale aveva fissato con le «decisioni  n.  17  del  30
gennaio 1986, n. 558 del 20  dicembre  1989,  fino  a  giungere  alla
sentenza n. 36 del 31 gennaio 1991». Le decisioni del  giudice  delle
leggi avevano ad oggetto il procedimento di revisione delle  sentenze
civili per errore di  fatto  nella  lettura  degli  atti  interni  al
giudizio (art. 395, comma 4, cod. proc.  civ.)  ed  erano  giunte  ad
affermare che le violazioni dei diritto fissato dall'art.  24,  comma
2, Costituzione non potevano restare senza rimedio solo perche' poste
in essere dal giudice di legittimita'.  Tale  principio,  ricorda  la
motivazione dell'ordinanza in esame, aveva condotto il legislatore  a
introdurre a far data dall'11 gennaio 1993 la  disposizione  prevista
dall'art. 391-bis cod. proc. civ., che prevede la possibilita' per la
stessa Corte di cassazione di procedere in camera di  consiglio  alla
«fase rescindente» e di rinviare alla pubblica udienza per  la  «fase
rescissoria». Cio' premesso,  l'ordinanza  afferma  che  una  lettura
sistematica  e  costituzionalmente   orientata   delle   disposizioni
codicistiche  imponeva  di  rilevare  che  la  inadeguatezza  formale
dell'art. 130 cod. proc.  pen.  non  poteva  impedire  l'applicazione
anche  alle  sentenze  penali  dei  principi  fissati   dalla   Corte
costituzionale e dal legislatore per le sentenze civili;  cosi'  che,
con «interpretazione adeguatrice», che rendeva superfluo l'intervento
del giudice delle leggi, la Corte giudico' possibile dare una lettura
dell'art. 130 cod. proc. pen. comprensiva dell'intervento rescindente
e della possibilita' di revocare la sentenza pronunciata dal  giudice
di legittimita' al termine di un giudizio condotto per  errore  senza
il rispetto del diritto di difesa. 
    15. A questo punto, escluso  che  dopo  l'introduzione  dell'art.
625-bis cod. proc. pen. la fattispecie  oggi  all'esame  della  Corte
possa essere ricondotta sotto l'operativita' dell'art. 130 cod. proc.
pen., occorre chiedersi se  il  giudice  delle  leggi  abbia  assunto
decisioni che consentano di percorrere  soluzioni  interpretative  in
grado di dare risposta alla questione posta dal ricorrente: se esista
un rimedio esperibile avverso  l'errore  essenziale  della  Corte  di
cassazione commesso in procedimento «de libertate». 
    16. La sentenza n. 36  del  17  gennaio  1991,  richiamata  dalla
citata  ordinanza  n.  2005/1994,  ha  fissato  un  chiaro  principio
concernente il processo civile  che  e'  stata  cosi  massimata:  «Il
diritto di difesa in ogni stato  e  grado  del  procedimento  sarebbe
gravemente  offeso  se  l'errore  di  fatto,  cosi'  come   descritto
dall'art. 395, n. 4, cod.  proc.  civ.,  non  fosse  suscettibile  di
emenda sol per essere stato perpetrato  dal  giudice  cui  spetta  il
potere - dovere di  nomofilachia.  Tale  principio,  affermato  dalla
Corte costituzionale per  l'errore  di  fatto  in  cui  la  Corte  di
cassazione incorra nel controllo degli atti del processo  a  qua,  ai
fini della decisione sulla sussistenza di  eventuali  nullita'  dello
stesso procedimento o della correlativa sentenza denunciate al  sensi
dell'art. 395 cod. proc, civ., non puo'  non  valere  anche  (anzi  a
"fortiori") per l'analogo errore in cui quella  Corte  incorra  nella
lettura di atti interni del suo stesso giudizio (nella specie: errore
sulla data della notifica del  ricorso).  Cosi'  come  del  resto  e'
previsto nella nuova norma introdotta dall'art.  67  della  legge  26
novembre 1990, n. 353. Pertanto l'art. 395, n. 4, cod. proc. civ.  va
dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede la  revocazione
di sentenze della cassazione (anche) per  errore  di  fatto  compiuto
nelle lettura di atti propri del giudizio di legittimita'». 
    17. Con riferimento  al  processo  penale  e  all'errore  che  si
verifichi nel giudizio di cassazione, va ricordata la sentenza n. 395
del 17 marzo 2000 che, nel dichiarare inammissibile la  richiesta  di
correzione della decisione della  Corte  di  cassazione  in  tema  di
revisione, ha in motivazione affermato:  «....  Al  di  la',  dunque,
della piu' volte affermata inammissibilita' di richieste  che  mirino
alla "introduzione nel sistema processuale di un mezzo  straordinario
di impugnazione che, in presenza di determinate condizioni,  consenta
di   ovviare   alle   conseguenze,   ritenute   lesive   di   diritti
dell'imputato, di (presunti) errori contenuti  nelle  pronunce  della
Corte di cassazione" -  in  relazione  al  quale  diverse  potrebbero
essere le soluzioni adottabili (v, sentenze nn. 294 del 1995, 21  del
1982 e  136  del  1972)  -  resta  il  fatto  che  l'errore  di  tipo
"percettivo" in cui sia incorso il giudice  di  legittimita',  e  dal
quale sia derivata l'indebita declaratoria  di  inammissibilita'  del
ricorso (con l'ovvia  conseguenza  di  determinare  l'irrevocabilita'
della pronuncia  oggetto  di  impugnativa)  rappresenta  eventualita'
tutt'altro che priva dl conseguenze  per  il  rispetto  dei  principi
costituzionali  coinvolti.  E'  evidente,  infatti,  che  una  simile
evenienza - e non importa certo se statisticamente rara - si porrebbe
in automatico e palese contrasto non soltanto con l'art. 3, ma  anche
con l'art. 24 della Costituzione, per di piu' sotto uno  specifico  e
significativo aspetto, quale e' quello di assicurare la  effettivita'
del giudizio di cassazione. Questa garanzia,  infatti,  si  qualifica
ulteriormente in funzione dell'art. 111 delle Costituzione, il  quale
non a caso prevede che contro tutte le sentenze  ed  i  provvedimenti
sulla liberta' personale "e' sempre ammesso il ricorso in  cassazione
per violazione di legge". Cio' sta dunque a significare non  soltanto
che  il   giudizio   di   cassazione   e'   previsto   come   rimedio
costituzionalmente  imposto  avverso  tale  tipo  di  pronunzie;  ma,
soprattutto,  che  il  presidio  costituzionale   -   il   quale   e'
testualmente rivolto ad assicurare il controllo sulla  legalita'  del
giudizio  (a  cio'  riferendosi,  infatti,  l'espresso  richiamo   al
paradigmatico vizio di violazione di legge) - contrassegna il diritto
a fruire del controllo di legittimita' riservato alla Corte  suprema,
cioe' il diritto al processo  in  cassazione.  Da  cio',  dunque,  un
evidente corollario. L'errore di tipo "percettivo" in cui sia incorso
il giudice di  legittimita'  e  dal  quale  sia  derivata  l'indebita
compromissione di quel diritto, deve avere un necessario rimedio.  Ne
consegue, di riflesso, che spetta alla stessa Corte di  cassazione  -
odierna  rimettente  -  svolgere  appieno  la  propria  funzione   di
interpretazione adeguatrice del sistema, individuando, all'interno di
esso, lo strumento riparatorio piu' idoneo. Che tale strumento  possa
essere poi rinvenuto  proprio  all'interno  dello  speciale  istituto
previsto dall'art. 130 cod.  proc.  pen.,  non  a  caso  oggetto  del
procedimento a quo, e' aspetto che - tenuto conto  delle  ineludibili
esigenze di adeguamento secundum constitutionem che  la  peculiare  e
delicata  tematica,  come  si  e'  detto,  impone  -  dovra'   essere
scandagliato dalla stessa Corte rimettente, in linea, d'altra  parte,
con la funzione nomofilattica ad essa istituzionalmente riservata,». 
    18. La decisione  della  Corte  costituzionale,  al  di  la'  dei
passaggi  motivazionali  che   meritano   di   essere   ulteriormente
approfonditi sul piano del metodo,  ha  come  presupposto  un  «vizio
percettivo» in cui sono incorsi i giudici della Corte di cassazione e
che ha condotto ad omettere di pronunciare su  parte  della  domanda;
come si e' avuto modo di affermare con  riferimento  ai  caso  simile
riguardante l'omessa pronuncia della Corte di cassazione  sull'intera
posizione di un ricorrente, si  e'  in  presenza  di  vizio  che  non
integra ipotesi  di  «nullita'»  e  che  non  modifica  il  contenuto
essenziale della decisione (difettando semplicemente una decisione in
parte qua); un vizio che, a differenza della fattispecie oggetto  dei
presente ricorso, puo' ricadere in via di principio all'interno della
sfera di operativita' dell'art. 130 cod. proc. pen. 
    19.  Le  considerazioni  fin  qui  svolte  possono  essere  cosi'
riassunte: 
    a. la sentenza delta Corte di cassazione  del  12  febbraio  2013
oggetto del presente procedimento e' caratterizzata da un vizio nella
costituzione del rapporto processuale che invalida il giudizio  e  la
decisione, vizio che puo' essere ricondotto  alla  nullita'  prevista
dall'art. 178, lett. c), cod. proc. pen. e che  puo'  ragionevolmente
chiamare in causa anche i principi fissati dagli artt. 3,  24  e  111
Costituzione e dall'art. 6 Cedu; 
    b.  detta  sentenza  ha  concluso  in  termini   sfavorevoli   al
ricorrente il procedimento «de libertate» avviato con  l'istanza  di'
riesame  avverso  l'ordinanza  che  ha  modificato  in  termini  piu'
rigorosi  la   misura   cautelare   in   atto,   cosi'   determinando
l'esecutivita' dell'ordine di custodia in carcere; 
    c. avverso tale decisione non  risultano  esperibili  secondo  la
giurisprudenza  di  legittimita',  e  dunque  secondo   il   «diritto
vivente», gli strumenti di correzione  previsti  dall'art.  130  cod.
proc. pen. e dall'art. 6251-bis cod. proc. pen.; 
    d. sembra cosi' potersi affermare che,  a  differenza  di  quanto
avviene per i  provvedimenti  adottati  dai  giudici  di  merito,  il
sistema processuale non contempla strumenti  di  correzione  per  gli
errori essenziali commessi nel giudizio «de  libertate»  in  sede  di
legittimita'; 
    e.  anche  ipotizzando  che  tale   situazione   giustifichi   la
successiva  presentazione  di  una  domanda  riparatoria  alla  Corte
europea dei diritti dell'uomo da parte dell'odierno ricorrente,  tale
strumento non comporterebbe in  se'  un  rimedio  effettivo  rispetto
all'errore occorso  e  divenuto  non  emendabile  senza  che  a  cio'
concorrano responsabilita' della parte privata; 
    f. si potrebbe,  a  questo  punto,  osservare  che  la  posizione
giuridica del ricorrente non ha carattere di definitivita', potendosi
incidere sullo stato di custodia mediante l'attivazione  di  autonoma
istanza al giudice delle indagini preliminari ai fine di ottenere  la
modifica del regime custoditile. Si tratta di istanza che,  peraltro,
dovrebbe  tenere  in  considerazione   l'esistenza   del   «giudicato
cautelare» generato proprio dalla sentenza della Corte di  cassazione
e  imporrebbe  al  giudice  delle  indagini  preliminari  di  operare
esclusivamente sulla base di fatti ed  elementi  diversi  rispetto  a
quelli del procedimento cautelare esaurito e  presi  in  esame  dalla
sentenza viziata da errore.  Va,  infatti,  escluso  che  il  sistema
processuale  consenta  al  giudice  delle  indagini  preliminari   di
sindacare la correttezza dei giudizio di cassazione e di prescindere,
in ragione del vizio in cui essa  e'  incorsa,  dalla  decisione  non
revocabile che la Corte ha assunto. 
    20.  Occorre  a  questo   punto   verificare   se,   sulla   scia
dell'indicazione contenuta  nella  richiamata  sentenza  n.  395/2000
della Corte costituzionale, esistano  gli  spazi  interpretativi  per
individuare  nella  disciplina  vigente  uno  «strumento  riparatorio
idoneo» e  un  rimedio  effettivo  all'errore  in  cui  la  Corte  di
cassazione e' incorsa. 
    21. Tale ultima questione si sostanzia nella domanda se dell'art.
625-bis cod. proc. pen. possa darsi una lettura  che  includa  tra  i
soggetti legittimati a sollecitare la correzione dell'errore non solo
il «condannato», come si e' motivatamente ritenuto fino ad  oggi,  ma
anche il ricorrente che  sia  stato  destinatario  di  una  decisione
sfavorevole nel procedimento «de libertate». 
    22. Per rispondere a  questa  domanda  occorre  nel  nostro  caso
esaminare  in  primo  luogo  le  conseguenze  dell'esistenza  di  una
precedente decisione assunta con  l'ordinanza  n.  20931/2013,  sopra
richiamata. A tale proposito va rilevato che si e'  giunti  a  questo
punto di esame muovendo dalla richiesta di correzione  di  errore  ex
art. 130 cod. proc. pen., disposizione che non  ha  come  oggetto  le
soie sentenze definitive in tema di responsabilita' e che non conosce
il limite fissato dall'art. 625-bis cod. proc. pen. Va rilevato, poi,
che in applicazione del  principio  dei  «favor  impugnationis»,  una
volta rilevato che l'errore denunciato  non  e'  riconducibile  nella
sfera di applicazione dell'art. 130, citato, questa Corte ritiene  di
ricondurre la richiesta dei sig. D.  M.  all'ambito  di  operativita'
dell'art. 625-bis  cod.  proc.  pen.,  disposizione  che  secondo  la
ricordata giurisprudenza ricomprende l'ipotesi di  errore  percettivo
come quello denunciato. 
    23. Cio' premesso, la Corte rileva come la regola di  preclusione
basata sull'esistenza di precedente pronuncia e'  stata  criticamente
esaminata  e  superata  dalla  stessa  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 113 del 9 febbraio 2011. In  tale  decisione,  avente  ad
oggetto una questione di contrasto fra  la  disciplina  interna  e  i
principi dell'«equo processo» ex art. 6 Cedu,  si  e'  affermato  che
l'esistenza di precedente decisione di non fondatezza della questione
sollevata dal giudice di merito non preclude  la  riproposizione  del
tema nell'ambito del medesimo procedimento penale  a  condizione  che
non sussistano piena identita' di oggetto, di parametro  normativo  e
di argomenti. L'evidente favore dimostrato dalla Corte costituzionale
per l'effettivita' della verifica di legittimita' della legge e della
tutela dei diritti interessati consente di considerare che  nel  caso
presente sia il  dato  normativa  preso  in  esame  sia  il  percorso
argomentativo seguito da questa Corte non coincidono con il contenuto
della ordinanza n. 20913 del  26  aprile  2013,  piu'  volte  citata.
Inoltre,   quest'ultima   decisione   non   ha   affrontato   neppure
indirettamente  il  tema  della  compatibilita'  fra   la   normativa
processuale e i principi costituzionali  e  sovranazionali  che  sono
stati qui richiamati e che verranno di  seguito  specificati.  Quanto
esposto consente alla  Corte  di  concludere  che  non  sussiste  una
preclusione a che nel presente procedimento  si  proceda  a  nuovo  e
diverso esame e in tale contesto  eventualmente  investire  la  Corte
costituzionale della questione di legittimita' di seguito precisata. 
    24. Una volta esclusa l'esistenza di una preclusione processuale,
occorre verificare se la disposizione dell'art.  625-bis  cod.  proc.
pen. possa essere interpretata nei senso che  anche  la  persona  non
«condannata» e' ammessa a richiedere  la  correzione  dell'errore  dl
fatto commesso dalla Corte di cassazione; soluzione che consentirebbe
a questa Corte di provvedere direttamente alla correzione  e  di  non
interessare il giudice delle leggi. 
    25. A tale proposito due  osservazioni  si  impongono.  Il  testo
dell'art. 625-bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen.  appare  univoco  nel
limitare al «condannato» e ai procuratore  generale  la  facolta'  di
richiedere la correzione. La citata giurisprudenza di legittimita' ha
illustrato le ragioni che rendono coerente col sistema processuale la
scelta del legislatore di adottare simile limitazione. 
    26. Entrambi i profili si oppongono, a parere di questa Corte, in
modo decisivo a una interpretazione adeguatrice che  si  muova  sulla
scia dell'invito contenuto nella motivazione della  sentenza  n.  395
del 2000 della Corte costituzionale. 
    27. Devono sul punto considerarsi decisive sul piano metodologico
e interpretativo le motivazioni che la stessa Corte costituzionale ha
offerto con le sentenze n. 110 del 2012 e n. 232 del 2013,  decidendo
su questioni sollevate con riferimento all'art. 275,  comma  3,  cod.
proc. pen. Con l'ultima di tali decisioni la Corte costituzionale  ha
esaminato l'ordinanza di rimessione del Tribunale di Salerno che, non
condividendo le scelte adottate  con  la  sentenza  n.  4377  del  20
gennaio 2012 della Corte di cassazione, muove dalla  convinzione  che
non sia possibile  applicare  estensivamente  in  via  interpretativa
all'art. 609-octies cod. pen. i  principi  fissati  con  riguardo  ad
altre fattispecie criminose dalle  sentenze  n.  265/2010,  164/2011,
231/2011  e  331/2011   dichiarative   di   parziale   illegittimita'
costituzionale del citato art. 275, comma 3.I. 
    28. La sentenza n. 232  del  2013,  nel  dichiarare  la  parziale
illegittimita'   costituzionale   della   disposizione    di    legge
processuale, afferma, tra l'altro, quanto segue: «In via preliminare,
deve rilevarsi la correttezza della tesi del rimettente  che  esclude
la  praticabilita',  nel  caso  in   esame,   di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata della norma sospettata di illegittimita'
costituzionale. Infatti, questa Corte ha  piu'  volte  affermato  che
«l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del  quale
il tentativo interpretativo deve cedere  il  passo  ai  sindacato  di
legittimita' costituzionale» (sentenza n. 78 del 2012) e, a proposito
della presunzione assoluta dettata dall'art. 275, comma 3, cod. proc.
pen., ha gia' ritenuto che le parziali declaratorie di illegittimita'
costituzionale della  norma  impugnata,  relative  esclusivamente  ai
reati oggetto delle varie pronunce, non  si  possono  estendere  alle
altre fattispecie criminose ivi disciplinate  (sentenza  n.  110  del
2012).». 
    29. L'applicazione di tali principi al caso in  esame  conduce  a
concludere che il testo e la «ratio»  dell'art.  625-bis  cod.  proc.
pen. sono incompatibili con  una  interpretazione  adeguatrice  della
disposizione e che occorre investire il  giudice  delle  leggi  della
questione di legittimita' di tale disposizione. 
    30. E, infatti, venendo al profilo di non manifesta  infondatezza
del contrasto che questa Corte  ravvisa  fra  il  disposto  dell'art.
625-bis, commi 1 e  2,  cod.  proc.  pen.  e  le  disposizioni  della
Costituzione  e  della  Cedu,  possono  richiamarsi  le   complessive
argomentazioni esposte in precedenza e sintetizzate  al  punto  19  e
puo' conclusivamente osservarsi quanto segue: 
    a. la  non  effettivita'  del  controllo  previsto  dal  comma  7
dell'art. 111 Costituzione e delle garanzie fissate dal comma  2  dei
medesimo articolo assume una specifica  valenza  nei  caso  in  esame
vertendosi in  materia  di  liberta'  personale  e  considerando  che
l'omissione ha dato  luogo  alla  applicazione  di  misura  cautelare
carceraria in assenza di rimedi  all'errore  posto  in  essere  dalla
Corte di cassazione. Appare, dunque, applicabile al caso in esame  il
principio fissato per il processo civile dalla sentenza  della  Corte
costituzionale n. 36 del 1991, citata, secondo cui non e' ammissibile
che l'errore di  fatto  resti  privo  di  possibile  correzione  solo
perche' l'errore commesso dalla  Corte  di  cassazione  riguarda  una
ordinanza cautelare e non una sentenza che definisce il processo; 
    b. l'assenza di strumenti processuali che consentano di rimediare
all'errore adesso ricordato rende  non  -  emendabile  la  violazione
dell'art. 24, comma 2, della Costituzione  verificatasi  con  la  non
giustificata  compressione  dei  diritto  dell'indagato  e  del   suo
difensore di essere informati  della  celebrazione  del  giudizio  di
cassazione e di essere posti in condizione di parteciparvi utilmente; 
    c. quanto si e' appena  ricordato  evidenzia  l'esistenza  di  un
sistema  processuale  privo  di  strumenti  effettivi  di  correzione
dell'errore  essenziale  che  conduca  a   limitazioni   di   diritti
fondamentali dell'indagato e questo sembra alla Corte evidenziare  un
contrasto delle norme  di  rito  coi  principi  del  «processo  equo»
contenuti nell'art. 6, comma 3, Cedu. Si e' in presenza di  contrasto
che chiama in evidenza la disposizione contenuta nell'art. 117, comma
1, della Costituzione alla luce dei principi  interpretativi  fissati
dalla Corte costituzionale a far data dalle sentenze n. 348 e 349 del
2007; 
    d. infine, non manifestamente infondata appare la esistenza di un
profilo di contrasto con l'art. 3 della Costituzione,  posto  che  la
eventuale impossibilita' di correggere l'errore in cui  la  Corte  di
cassazione sia incorsa  conduce  alla  ingiustificata  differenza  di
trattamento  nei  regime  attinente  la  liberta'  tra  persone  che,
trovandosi in situazione analoga, hanno sollecitato il controllo  del
giudice di legittimita' e partecipato  di  giudizi  svoltisi,  in  un
caso, nel rispetto dei contraddittorio e, nell'altro,  senza  che  la
persona e il  suo  difensore  siano  stati  posti  in  condizione  di
partecipare all'udienza camerale. 
    31. Quanto esposto nelle pagine che precedono fonda  il  giudizio
di rilevanza della questione rispetto alla posizione del sig. D. M. e
alla  decisione  che  questa  Corte  deve   assumere   nel   presente
procedimento. Invero, solo la possibilita' di ottenere la  correzione
dell'errore, e cioe' la revoca della sentenza pronunciata in  assenza
di contraddittorio, consentirebbe di  rinnovare  il  controllo  sulla
ordinanza dei tribunale  del  riesame  e  di  emanare  una  decisione
rispettosa dei diritti della persona, pervenendo alla  formazione  di
un  «giudicato  cautelare»  conforme  a  diritto.   Nessuna   diversa
soluzione  puo'  dare  corso  a  un   controllo   sul   provvedimento
restrittivo della liberta' che sia effettivo e  conforme  al  compito
affidato alla Corte di cassazione dalla nostra Carta costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 625-bis cod. proc.  pen.  nella
parte in cui non  consente  alla  persona  indagata  di  attivare  la
procedura di correzione dell'errore materiale  o  di  fatto  commesso
dalla Corte suprema di  cassazione  decidendo  nel  procedimento  «de
libertate», avendo riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, comma  1,
Costituzione. Sospende il giudizio e dispone  la  trasmissione  degli
atti  alla  Corte  costituzionale.  Manda  alla  cancelleria  per  la
notificazione dell'ordinanza alle  parti,  al  Procuratore  generale,
alla Presidenza dei Consiglio dei  ministri,  nonche'  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
 
        Cosi' deciso in Roma, il 26 settembre 2013 
 
                        Il Presidente: Teresi 
 
 
                                     Il consigliere estensore: Marini